venerdì 12 giugno 2009

Ogni singolo respiro, capitolo 4



WARNING! NC 17 per il linguaggio, la crudezza dei termini e accenni a violenza sui minori


Ian Emmerich se ne stava in disparte tutte le volte che doveva condividere il tempo con gli altri carcerati.
Temeva quella massa di delinquenti senza cervello, zotici e violenti di natura. Avrebbero potuto farlo a pezzi solo per il gusto di farlo se non fosse stato per alcune telecamere di sorveglianza posizionate sopra le loro teste e per i secondini, disseminati per tutto il perimetro del carcere federale.
La divisa arancione gli andava stretta nonostante fosse dimagrito, di botto, cinque chili.
Avrebbe potuto digiunare per settimane, non sarebbe stato un grande sacrificio. Il pasto dei reclusi era quanto di più disgustoso avesse mai messo sotto i denti. Escludendo il vomito che la sua tutrice gli costringeva a mangiare per punirlo se non si fosse comportato bene.
Più ore passava in quel luogo più i ricordi della sua infanzia tormentata giungevano alla sua mente.
-Edward, hai di nuovo giocato con la carta igienica? Quante volte ti ho detto di non farlo?
-Mandy, non sono stato io, te lo giuro.
-Quando hai finito di dire bugie, potrai tornare a giocare con i tuoi fratellini, ora lava questo schifo da terra.

Se guardava verso il basso, Ian ritornava a vedere il pavimento sudicio di ogni maleodorante schifezza. Feci vecchie da giorni, resti di cibo, scarafaggi, veleno per topi.
Mandy, la donna che si sarebbe dovuta occupare di quelle sei sfortunate creature, li avrebbe legati sotto il tavolino delle punizioni se non avessero ubbidito ai suoi dettami.
Tornò improvvisamente alla realtà.
Era nel suo letto, nella sua singola con vista sulle sbarre. Un nodo alla gola gli occludeva il respiro. Booth, amore mio, che aspetti a tirarmi fuori di qui? ancora di salvezza alla quale aggrapparsi era il pensiero dell’amico, fuori di lì.
Il ricordo dei momenti trascorsi con lui e suo figlio gli scaldava il cuore.
Durante l’ultima mattina di libertà si era svegliato presto, a dispetto delle poche ore trascorse a dormire.
Aveva osservato a lungo l’amante abbandonato in un sonno profondo, nonostante il chiarore del giorno invadesse la stanza creando uno scintillio di ombre e luci.
Lo aveva vegliato per un po’, senza osare disturbare quella quiete.
Un rumore improvviso lo aveva risvegliato dal torpore amoroso. Proveniva dalla mansarda. Evidentemente Parker era sceso dal suo letto.
In fretta recuperò i suoi abiti per rendersi presentabile agli occhi del bambino. Poi uscì dalla camera e lo trovò intento a cercare cartoni animati alla tv.
“Zio Ian, perché non ci sono i canali per bambini in questo Hotel?”
“Non credo che qui abbiano la televisione via cavo, campione”, lo informò prendendo posto sul divanetto.
“Che ne dici se invece di guardare la tv andiamo a fare una bella colazione?”
“Solo se dopo mi porti a vedere il pesce gatto.”
“Credo che per quello dovremmo aspettare tuo padre.”
“Ti prego!", lo implorò il bambino facendo il broncio.
Il profiler -il numero uno quando si trattava di manipolare le persone- di fronte alle insistenze del ragazzino si sentì impotente. Sorrise, accondiscendente.
“Va bene, hai vinto. Ora muoviti, prima che ci ripensi.”
Avrebbero dovuto tornare da Booth dopo la colazione ma Parker era eccitatissimo all’idea di salire sulla barca per pescare non lo avrebbe fermato nemmeno una bufera!
E poi, tra le onde che increspavano appena il lago, tutto il suo mondo era scomparso.
Chiuse gli occhi cercando di combattere l’inevitabile affluire dei ricordi spiacevoli.
Non voleva torturarsi.
Bastavano le torture dei suoi secondini.
Una smorfia gli contrasse il viso che, nonostante le vessazioni, rimaneva affascinante.
Si toccò la fronte come se i ricordi spiacevoli si potessero scacciare come le mosche. La mano raggiunse i capelli, o quello che ne restava. I suoi carcerieri, dopo la libertà, avevano preteso di togliergli anche quelli.


Angela continuava ad osservare con aria sognante la foto che ritraeva il feto di dodici settimane.
“Guarda tesoro, già si intravedono le manine! E il profilo? Ha un nasino all’insù che è un amore.”
Temperance non ne voleva sapere di condividere quell’immagine con l’amica.
Continuava a guardare davanti a sé, cercando la forza per respirare.
Si sentiva come se qualcuno gli stesse tenendo un cuscino in faccia, come se fosse di nuovo in mano al becchino ma, questa volta, il suo persecutore, un volto, un piccolo volto, lo aveva.
Rifletté: da ogni errore si trae un insegnamento. Cosa aveva tratto da quella gravidanza imprevista? Oltre al fatto che i profilattici si rompono proprio sul più bello?
“Piccola, ora dovrai per forza di cose dirlo a... ”.
“NO!”, rispose Brennan con tono fermo e deciso.
“Ma... ”
“Angela, ti prego. Booth ne deve restare fuori, assolutamente”. All’improvviso, come colta da un dubbio subitaneo, virò verso l’ufficio informazioni.
“Che vuoi fare?”
“Secondo te?”
Nel giro di pochi minuti, Brennan ricevette le delucidazioni che cercava.
“Temperance tu non puoi... ”
“Certo che posso.”
“Ma Booth... ”
“Questo è un problema mio, non di Booth”
“Non è giusto che tu interrompa la gravidanza a sua insaputa!”
“Perché? Perché, una volta tanto, sono io a proteggere lui?”.
“Perché ha diritto di sapere.”
“Fino a prova contraria, io sono una donna single e posso decidere il mio destino senza che altri interferiscano. E trattandosi di un evento assolutamente indesiderato, agirò di conseguenza.”.
“Per altri intendi anche la tua migliore amica, Bren?”.
L’antropologa assunse un’espressione più umana.
“Lo sai quanto bisogno io abbia della mia più cara amica.”.
“Fidati: tenere questo segreto non farà bene a nessuno. Di certo non farà bene al tuo rapporto con Booth.”.
“Mi sembra che l’abbia già compromesso abbastanza lui andando a letto con Emmerich.”
“Potete mettervi quella storia dietro le spalle ora. E questo bambino vi aiuterà a farlo.”
“Per niente. Quello che tu chiami bambino sarà solo l’inizio di un’altra spirale di problemi. Booth si metterà in testa di essere il padre dell’anno. Non rinunciando però, complice il suo senso di giustizia, a parteggiare per l’amico in prigione.”.
“È probabile. Ma è proprio di questo che ti sei innamorata. La sua infinita caparbietà, il suo senso del dovere. La sua lealtà.”
“So quel che faccio”. Niente e nessuno sembrava poter scalfire le sue certezze.
L’appuntamento era fissato. Tra due giorni e mezzo avrebbe smesso di essere una scienziata con un feto di dodici settimane.

La mattina in cui Temperance Brennan scopriva di essere madre, il sostituto procuratore indiceva una riunione speciale.
All’ordine del giorno c’era la cattura del profiler reo di essersi associato da tempo a un serial killer e di essere entrato nelle maglie del FBI per tenere alla larga la polizia dai loro sudici piani. O forse semplicemente per infangarla.
Booth ascoltò la dissertazione cercando di capire se prima o poi si sarebbe rassegnato all’idea di aver avuto per partner un omicida.
“Ora siamo a conoscenza che sia Kelly sia Emmerich hanno avuto un’infanzia tormentata. Durante il loro soggiorno in casa di Madison Navaar, la donna che avrebbe dovuto occuparsi di loro, hanno subito abusi di vario tipo, violenza inaudita”.
Booth ripensò ai lividi che costellavano il suo corpo. Sentì crescere l’angoscia nel suo petto.
Perché non mi hai detto tutta la verità? Quanto ti facevano soffrire quei segreti? Fino al punto di non fidarti di me, ovvio, considerò amaramente.
La voce squillante del procuratore proseguì con l’esposizione dei fatti: “Tutto questo cianciare di ragazzini legati sotto i tavoli tra i liquami non deve influire sulla nostra determinazione a rendere giustizia a quelle povere sette donne. Sette madri che hanno smesso di vivere, per mano loro. Senza dimenticare il povero capitano Osbron”.
Un giovane dai capelli biondi, lisci e lunghi fin sulle spalle prese parola.
Era stato in disparte tutto il tempo. Chiuso in un mondo tutto suo, sembrava tutt’altro che interessato alla questione Emmerich.
“Mi scusi, Dottor Wright, quando lei afferma che i fatti angosciosi subiti da Kelly ed Emmerich non devono fuorviare la nostra attenzione dagli omicidi, dimentica, se mi permette, un dato molto importante: dietro ad ogni assassino c’è un’analisi comportamentale e dietro quest’analisi comportamentale troppo spesso c’è un bambino che ha subito un abuso.”
“Arrivi al dunque, Dottor Reid”.
L’attenzione si catapultò tutta su di lui. Si formò un fitto chiacchiericcio. Come osava un ragazzo che sembrava appena uscito dal college prendere posizione contro le alte sfere del FBI? Era un’insolenza bella e buona!
“Quello che intendo dire è che gran parte della bravura di Emmerich come profiler si fonda sulla comprensione e sulla totale abnegazione con le quali si è sempre dedicato al suo lavoro investigativo. Nell’analisi psico-sociologica del S.I.*”
“Reid, capisco o, meglio, tento di capire questo suo simpatizzare con un collega in difficoltà. Ma le doti investigative di Emmerich non lo rendono migliore agli occhi del mondo. Si è sporcato del sangue dell’ultima vittima. Il fatto stesso che aiutasse Kelly a commettere quei delitti inscenando situazioni molto simili alle barbarie subite da ragazzi... ”.
“Mi scusi se la interrompo, ma questi fatti non sono stati ancora provati.”
Booth fu molto colpito da quell’alterco. Il giovane Reid sembrava non temere lo scontro con i superiori e questo lo accomunava a Ian.
Era forse una caratteristica tipica dei profiler essere teste calde?
Si rese conto che avrebbe voluto saperne di più.
Wright tentò di chiudere la faccenda con il profiler usando frasi di circostanza. Concluse dicendo: “Non dobbiamo provare un sentimento di pena per loro. Non dobbiamo sforzarci di capirli. Se tutti quelli che hanno avuto un’infanzia disturbata divenissero degli assassini seriali il mondo ne sarebbe invaso”. Promise che l’accusa si sarebbe battuta per assicurare l’iniezione letale a entrambi, anche se era probabile che sarebbe stato Kelly ad avere la pena più dura.
Di fatti, pensò Booth, senza un’ammissione di colpevolezza e con un avvocato con gli attributi, si poteva sempre tentare di dimostrare che Emmerich era stato plagiato o qualcosa del genere. Nonostante tutto, sperava che se la cavasse.
Forse sto diventando pazzo.
Tentò di scacciare quelle considerazioni fuori luogo. Doveva restare con i piedi ben saldati al suolo. Emmerich era un bastardo, un assassino senza scrupoli. Se la realtà dei fatti era quella, niente poteva cambiarla.
In fondo al corridoio che conduceva alla sala riunioni s’imbatté in Reid. Si squadrarono per un lungo istante come se entrambi conoscessero chi fosse l’altro.
Fu il più giovane a presentarsi
“Sono il Dottor Reid”, disse mentre porgeva la mano. “Lei deve essere Seeley Booth, il compagno di Emmerich.”
“Sì, lo sono.”
“Sono costernato. Immagino debba essere tremendo.”
Booth si domandò perché chiunque lo incontrasse sentisse l’esigenza di trattarlo come la vedova di Emmerich. Cercò di ricomporsi e iniziò a parlare: “Mi piacerebbe conoscere la sua opinione sulla cattura di Kelly ed Emmerich.”
“Non mi dispiacerebbe approfondire la cosa con lei”, rispose l’altro. “Purtroppo devo essere a Portland entro le sedici di oggi”. Mentre spiegava i suoi programmi, il profiler aveva ripreso a camminare velocemente.
Per niente soddisfatto, Booth lo seguì fino all’ascensore. “Lei non pensa che Ian sia colpevole”. Lo disse tutto d’un fiato.
“Immagino lo abbia dedotto dal mio intervento. In effetti ho un’idea diversa dalla vostra”.
“Dalla nostra?”. Booth non aveva capito quale fosse, la sua idea! Probabilmente non quella che avevano i suoi superiori.
“L’impianto accusatorio è basato su prove indiziarie ma non è per questo che sono così scettico al riguardo”, affermò Reid.
“Allora mi illumini. Dottor Reid, perché pensa che Emmerich non sia complice di Kelly?”.
Il volto minuto dello scienziato si avvicinò di pochissimo a quello del suo interlocutore. Non sembrava un uomo che amava avvicinarsi troppo agli altri.
“Ho lavorato con lui a stretto contatto per mesi. E posso affermare con il massimo della sicurezza che non è un assassino. Non lo dico come profiler... ”. S’interruppe per accarezzarsi la nuca. “Ian Emmerich è una brava persona. Totalmente incapace di nuocere. Di certo non per il gusto di farlo! Di certo non a una donna. Lui si occupava delle donne che avevano subito abusi o che rischiavano di subirne. Per lui era una missione.”
“Lo so”, commentò sconsolato Booth. Ricordava i tatuaggi con su scritti i nomi delle vittime.
“Mi creda, signor Booth, con questo non voglio dire che non avesse un gemello cattivo, la sua infanzia sofferta ne farebbe un S.I. con i fiocchi! Mi vengono i brividi se ripenso a quella casa degli orrori. Ma aveva imparato a tenere il suo lato oscuro a bada. La sua doppiezza era la sua forza”. Intanto, le porte dell’ascensore si erano aperte. Non c’era più tempo per le chiacchiere.
Ma le parole di Reid avevano turbato non poco Booth.


*soggetto ignoto

1 commento:

Jivri'l ha detto...

Bellooooooo!!!!!Povero Ian, mi fa pena vederlo rinchiuso in un lurido carcere, però sembra che ci sia una speranza per lui, almeno è ciò che deduco dalle parole di Reid...uhm, ma non ho capito bene:Ian ha un gemello cattivo? O era solo una metafora?^^'
A presto e complimentoni!