martedì 22 ottobre 2013

Beauty farm



Fandom: segreta
Pairing: Nicholas/Demetrios.
WARNING: Contenuti slash NC17 per scene di sesso


domenica 5 giugno 2011

Professione amante, seconda puntata


L’ultima cartuccia


Miguel guidava verso il loro appartamento. Erano quasi le due di notte. Un vecchio pezzo dei Human league alleggiava indisturbato. Jan sbadigliò guardando distrattamente fuori.
“Ci starà mettendo i voti Anna? Che ne pensi, stallone?” Miguel gli diede una sonora pacca sulla coscia per richiamarlo.
“Non mi frega, tanto lo so che sei più bravo tu”
“E ce l’ho anche più grosso”
Jan si stranì un po’ e assunse quell’aria contrita che piaceva all’amico.
“Se sei tanto un bravo scopatore perché non fai tu l’escort e a me dai il compito di proteggerti?” Miguel rise di gusto: “Bel bambino, perché sono io che ho il fiuto degli affari e tu il sorriso smagliante e gli occhioni blu” gli accarezzò la nuca. “E poi io devo proteggerti”
“Sì, come no” Jan era scettico, fortunatamente, da quando lavoravano in coppia, non c’era mai stato davvero bisogno di protezione. La maggior parte delle clienti faceva parte della facoltosa Berlino, e molte di loro avevano mariti consenzienti che pagavano per vederle tra le braccia di un altro. Non era strano che fosse tutto così tranquillo.
Il giorno seguente Miguel aveva appuntamento con il misterioso mandate del comprato che gli aveva commissionato il video di Anna tra le braccia di Jan. Il franco-spagnolo era certo che dietro quel filmatino si celasse l’intendo di impedire le future nozze previste una settimana dopo, circa. Non che gli importasse, talmente abituato com’era a soddisfare i capricci più disparati. Prima di consegnare il tutto, riguardò il filmato sul suo pc. Il coinquilino dormiva ancora, malgrado fossero passate già da un po’ le undici del mattino. A lui invece non occorreva dormire più di tre o quattro ore. Animale notturno qual’era, ma preferiva essere efficiente anche di giorno. Le immagini sullo schermo lo destarono dal torpore. Appoggiò il succo d’arancia sulla consolle mentre la mano scendeva lungo la quasi inconsistente scia di peluria che partiva da sotto lo stomaco fino al pube. Jan eccitato era uno spettacolo erotico incredibile. Non riuscì a sottrarsi dal darsi piacere.

Poche ore prima....


Helena Legarn e Anna Kordischi erano amiche per la pelle fin da bambine. Per il matrimonio della sua migliore amica, Helena aveva organizzato un party che doveva celebrare, possibilmente con stile, l’addio al nubilato della giovane. Avevano entrambe ventisette anni e provenivano da famiglie bene della città. Quando Anna giunse a casa di Helena l’alcol scorreva a fiumi già da un po’ e Brigitta Fruen aveva tirato fuori la polvere bianca per ricaricarsi. Tutte le ragazze ci appoggiarono il naso. Anche Jan accettò mentre Miguel declinò gentilmente l’invito. Non faceva uso di nessuna sostanza stupefacente, al massimo beveva ma preferiva sempre restare sobrio, soprattutto durante gli impegni di lavoro.
Anna si guardò intorno alla ricerca della sua amica. Appena la vide, Helena le si fiondò addosso per abbracciarla.
“Non puoi farmi questo! Sposi il più borghese di tutti! Un Kolleg! Dovrei odiarti!”
“Perché? Lo volevi impalmare tu?” ridacchiarono. Dopo si scambiarono un bacio in bocca, seguito da una risata felice.
“Ma che sei fatta?” la curiosità della festeggiata era legittima.
“Ho solo tirato su un po’ roba buona, tanto paga papà”
“E che altro paga papà, tipo quei due bei maschietti?” Anna aveva adocchiato Miguel e Jan che parlottavano tra loro. Rimase favorevolmente colpita dal biondo elegante e pieno di fascino, ma a farla eccitare fu il moro dai lineamenti esotici.
“Chi è il mio giocattolo?”
“Il biondo” incrociò le braccia
“Vedremo” Anna sorrise maliziosa, a quell’uscita Helena scoppiò a ridere.
Appena il resto delle amiche la vide iniziarono urli e schiamazzi. Tutte salutarono, chiedendo a gran voce di non sposarsi. Lei fece una specie di discorsetto e dopo Helena le presentò gli ospiti.
“Lui è Jan” quest’ultimo fece un cenno vago con il capo e porse la mano.
“Mentre l’altro è Miguel”
“Piacere” Anna sorridendo, mostrò il diamante incastonato sul canino Da come indugiò sulla cicatrice sotto il labbro inferiore. Jan capì subito che preferiva Miguel. Non le diede torto: anche lui lo avrebbe preferito. Qualcuno accese la musica e a Jan fu chiesto di spogliarsi. Come di prassi l’aitante gigolò attese che le luci si abbassassero e la musica soft fece il resto. Iniziò a togliersi gli indumenti: prima la giacca, poi le scarpe che furono lanciate da una parte. Le donne attorno ridevano e sghignazzando, fecero apprezzamenti ed epiteti irripetibili.
Anna approfittò della confusione per raggiungere Miguel.“Tu cosa rappresenti, una specie di vice spogliarellista?”
“Sì, tipo che se lui si fa male io sostituisco” assecondò ironico, si fece serio quando sentì la mano femminile armeggiare con la zip.
“Senti... Anna vero?”
“Non farti paranoie, è carino il tuo amico, non dico di no, ma io voglio te” senza dargli il tempo di proferire parola lei si girò e lo spinse ad un bacio mozzafiato. Miguel non poté dirle quello che aveva in mente, travolto dal bacio e dalle mani infilate nei boxer che ghermivano il sesso.
Anna sbavò: le riempiva il pugno, pensare al suo futuro (ricchissimo) marito che lo aveva grosso come un baccello, la fece rabbrividire.
“Sei ben messo” sussurrò.
“Non sono io quello pagato per farti la festa”
“Non mi formalizzo” lo spronò ad alzarsi e poi lo spinse verso una porta chiusa.
Solo Jan s’avvide della coppia che si era allontanata.
L’attrazione della serata si ritrovò nudo in mezzo a mani che frugavano. Tutto sommato non gli dispiaceva come situazione. Le ragazze erano carine, e alcune avevano preso a baciarsi tra di loro, la classica situazione erotica sognata da ogni uomo. Helena lo abbracciò da dietro mentre Karin scelse di accarezzare il petto.
“Ma la festeggiata?” chiese informazioni alla donna che lo stava coccolando dietro.
“S’è presa il tuo amico, ma tornerà” l’unico uomo fu spinto sul divano. Bocche lo mapparono ovunque. Assomigliavano ad un branco di belve accanite sulla preda per sbranarla. Karin srotolò un profilattico.
“A chi di noi l’onore?” le guardò una ad una “dato che Anna non c’è dovremmo giocarcela”
Helena controbatté : “Che importanza ha essere la prima. Ci divertiamo un po’ per ciascuna, no?”
“Se non vi fate problemi inizierei io” a parlare fu Brigitta, piccolina di statura ma con le idee chiare e coincise. Si tirò su la gonna a balze larga e si accovacciò su di lui. Jan amava il suo lavoro, soprattutto quando consisteva nel dar piacere ad una donna, certo se Miguel fosse stato presente sarebbe stato di gran lunga più eccitante. Si domandò se avesse quasi finito con Anna o stessero appena cominciando. Dopo aver ingurgitato tutti quei drink e pippato cocaina il concetto di tempo era diventato relativo. Non ricordava più da quanto fosse in quella casa, tra quelle ragazza che avevano in testa una cosa sola: sesso.


Anna spense una candela d’incenso scrutando con desiderio l’uomo dinnanzi a lei: nudo, sdraiato, sorridente.
“Sei proprio bello, lo sai?”
“Sei folle a preferire me a Jan”
“E tu a trovar da ridire sulla mia scelta” gli accarezzò un piede con le unghie laccate facendolo rabbrividire.
“Dunque ti sposi”
“Vuoi fare conversazione?”
“No di certo” si allungò per accarezzarle un seno. A lei sfuggì un ansito di piacere.
“Proprio per questo devi scoparmi bene. Dopo sarò solo la moglie di un uomo molto ricco e molto stupito”
“Mi dispiace” in verità non gli importava un fico secco. Aveva un compito da svolgere e in questo compito Jan si fotteva la futura sposina e lui riprendeva tutto con una telecamera. Erano questi i patti. Ma tutto stava andando a puttane. Finì per convincersi che prima di ristabilire l’ordine non vi era niente di male se si divertiva un po’.
“Prendimi Miguel”
“È quello che ho intenzione di fare” Controllò nel portafoglio se ci fossero dei condom in quanto da almeno sei settimane non faceva sesso, non ci sarebbe stato niente di strano se fosse rimasto a secco. Per la gioia di Anna non ci furono intoppi, il magnaccia aveva ancora un colpo in canna.
Esausti dopo l’estenuante cavalcata, si sdraiarono l’uno a fianco all’altra. Le spalle potevano sfiorarsi. Dopo aver ripreso fiato, Anna si alzò per cercare i suoi vestiti, Miguel la seguì a ruota: “Devo andare da Jan, non vorrei che le tue amiche lo stessero costringendo a fare cose a lui non gradite”
“Ma figurati, si staranno divertendo!” lo guardò con malizia “ci tieni tanto al tuo amico, state insieme?”
“Figurati, lui è il mio escort, io sono il suo protettore”
“Ora capisco, sei un magnaccia”
“Se ti piace definirmi così” una volta rivestito la scansò gentilmente ed uscì.


Dopo il tour de force sessuale, Jan era esausto. Si domandò se gli rimanesse la forza di espletare il compito principale: dare un degno addio al nubilato alla sposina. Sperò gli restasse una cartuccia ancora da sparare. In quel momento scorse con la coda dell’occhio Miguel, seguito da Anna.
“Ma che gli avete fatto?” alzò il tono della voce, le donne si stavano riassestando. Si avvicinò al suo sottoposto. “Hai la faccia stravolta, dolcezza, cosa ti è successo?” premuroso gli accarezzò i capelli.
“Mi hanno semplicemente annientato!” Miguel gli baciò la fronte, il secondo bacio nel giro di poco, Jan si domandò se non stessero diventando troppi. Non gli dispiaceva.
“Il problema è che devi farti la festeggiata”
“Ma non gli sei bastato tu?” Jan non vedeva l’ora di uscire. Quel luogo si era fatto claustrofobico.
“Il tizio che mi ha commissionato il lavoro vuole che riprenda la sposina con il suo stallone, tesoro devi darti da fare”
“Non so se ce la faccio” a quella il l’ispanico si leccò le labbra, poi tirò fuori dalla tasca un misterioso involucro.
“Papino ha la medicina, bellezza. Vedrai come ti torna in alto” sorrise. Miguel prese la pastiglia blu, l’osservò un istante, poi la mise sulla punta della lingua. Si abbassò per raggiungere la bocca di Jan il quale restò un po’ sorpreso, ma schiuse le labbra e l’accolse. La pastiglia andò giù e il leggero sapore di Miguel con lei. Il sesso si rizzò all’istante. Jan dubitò che c’entrasse il viagra, non aveva mai fatto effetto così rapidamente!


A Anna fu chiesto di indossare la lingerie super sexy che le amiche le avevano donato. Le stava proprio bene il corpetto di pizzo bianco con dei nastrini rosa, esaltava il seno alto e sodo e le natiche, anch’esse marmoree.
Miguel piazzò la telecamera tra un vaso cinese e un portaritratti. Controllato che fosse tutto a posto, si collocò dietro la tenda spessa. Anna e Jan, allacciati, si sdraiarono sul letto che emanava ancora l’odore dei precedenti occupanti. Lui, completamente nudo, malgrado l’erezione, sembrava distratto. Lei, invece, ancora vogliosa.
“Sarai all’altezza del tuo protettore?” le parole scivolarono dalla bocca umida di baci all’orecchio dello spogliarellista.
“Ne dubito, ma mi darò da fare” indossò il profilattico poi l’accarezzò tra le gambe. Al pensiero che Miguel fosse stato lì dentro fino a pochi minuti prima, si sentì eccitare. Poi ci rifletté; dov’era Miguel? Magari dietro qualche mobile, ad osservarlo in silenzio. Alla sola idea sentì il sangue pulsare verso il suo sesso.
“Voltati” fu imperativo. Anna ubbidì. Jan si gustò la visione delle natiche esposte oltre. La prese con veemenza. Durò un misero quarto d’ora ma fu sufficiente ad entrambi per godere.
Da dietro il tendaggio, Miguel si ripulì il ventre e le mani impiastricciate. La telecamera continuava a riprendere Anna che si rivestiva. Jan era già uscito da qualche minuto. A questo punto il loro compito era finito. Doveva riportare a casa Jan e poi occuparsi del cliente. Quello scherzetto gli avrebbe fruttato ben ventimila euro. Non ne aveva parlato al suo protetto, preferiva tenerlo al di fuori di certi affari per evitare che si contaminasse troppo.
Una volta che entrambi furono vestiti e liberi dalle scorie, salutarono le giovani voluttuose. Miguel ebbe la faccia tosta di fare gli auguri alla futura sposa. Le ragazze sogghignarono, ricordandole che era stata fortunata ad avere nel letto due uomini così attraenti.



.
“Ti gingilli guardandomi in azione?” la voce nerboruta riscosse Miguel dal dai suoi pensieri
“Sei già sveglio!” sorpreso con le mani ‘in pasta’, il mezzo francese si sentì in dovere di giustificarsi. “Una scena di sesso molto bella, sarai tentato di venderla a qualche sito porno che ne dici?”
Jan si passò il collo della bottiglia di acqua minerale sulle labbra. “Te lo devo dire Miguel, sono geloso del tuo cazzo!” In quel momento Miguel si avvide dello sguardo che indugiava sull’erezione.
“Mi dispiace che tu lo sia, non è colpa mia se madre natura è stata tanto generosa. Ma tu non hai molto da invidiarmi”
“Avrei voluto non essere circonciso. Ma la puttana che mi ha messo al mondo evidentemente la pensava differente” s’incupì. Miguel non ne fu sorpreso, succedeva ogni qual volta nominava sua madre. La donna che l’aveva abbandonato al suo destino precocemente. Si risistemò il sesso nelle mutande. “Ti va di fare colazione? Una colazione come si deve?” si alzò invitandolo ad una abbraccio. Jan ci finì dentro.
“Avevo indovinato, hai bisogno di coccole” la voce carezzevole solleticò il collo del biondo.
“Tu sai sempre tutto” rispose.
Miguel gli prese il volto tra le mani, fissandolo con dolcezza. “Ma quanto sei carino” sussurrò prima di toccare la fronte con le labbra.
“Perché non mi baci sulla bocca?” quelle parole provocarono un brivido in Miguel. Un misto di piacere e paura.
“Perché sarebbe sconveniente...” evitò il suo sguardo fissando la finestra di fronte a loro.
“Per chi, per me o per te?”
“Per entrambi mio caro, io non si devono mischiare mai affari e appetiti sessuali”
“Un bacio è un bacio, non ti ho mica detto di scopare!” Jan si stizzì. Il solito bambino capriccioso, fu il pensiero del suo interlocutore.
“Non mi faccio problemi a baciarti Jan! Solo che non voglio diventi un vizio...” stava arrancando, soprattutto ora che Jan aveva invaso completamente il suo spazio.
“Ma di che parli? Ma quale vizio! L’ho capito che mi vuoi come io voglio te!” si sporse al punto che l’altro, indietreggiò fino a sbattere il sedere sulla consolle del computer. Il mouse cadde in terra mentre le mani di Jan si spostarono ai lati del corpo dell’amico. I visi ad un soffio.
“Voglio che mi baci, niente sesso”
“Perché....”
“Perché sì e basta”
Bambino capriccioso... Le labbra si scontrarono creando una serie di scariche elettriche in Miguel, il quale, oramai in bambola, ricambiò il bacio abbracciandolo e schiudendo la bocca per lasciar passare la lingua invadente.
Durò un po’. Fu dolce e appassionato. Così appassionato che finirono sdraiati sul parquet. Il corpo di Jan su quello di Miguel.
Ansimando pesantemente Miguel disse: “Ora basta, ragazzino! Ti sei tolto il capriccio” provò a scansarlo.
“Tutte le volte che voglio me lo devo togliere” e puntellandosi con i gomiti si alzò. “Mi dicevi di una colazione come si deve, dove avevi in mente?”
Miguel grattò con la gola. Si domandò se Jan fosse così sorprendentemente cinico di fingere che non fosse accaduto niente o la sua era solo una recita ben congeniata. In ogni modo l’erezione che faceva tendenza sotto i boxer, era una prova più che attendibile che l’eccitazione era vera.

sabato 6 novembre 2010

Professione amante


AUTORE: Giusi
PROTAGONISTI: Jan Holsen/Miguel Le Breton
GENERE: erotico
RATING: NC 17
DISCLAIMER: ho solo preso spunto dalla serie "Squadra speciale Lipsia" ma i personaggi sono assolutamente originali
SUMMARY: Jan Holsen professione gigolò oserà mettersi contro uno spietato signore della droga? Il suo protettore lo tirerà fuori dai casini o peggiorerà le cose?
Feedback: giusipatito@yahoo.it



Il coniglio bianco


La tabella di marcia diceva: segui sempre il coniglio bianco. Jan ci aveva messo poco a scoprire che il coniglio bianco era il nome di un bar che logicamente non era un vero bar ma un troiaio. Un locale per scambisti con tanto di spogliarelli e ballerine di Lap dance. Si maledì per aver dato di nuovo retta a Miguel ed essere venuto in taxi. Difatti il tassista non sapeva un accidente di dove si trovasse il coniglio bianco, e da quasi due ore giravano come trottole nel hinterland di Berlino.Tra l’altro odiava passare per i sobborghi, gli ricordavano troppo il quartiere dove era cresciuto.
Finalmente trovarono il locale, all’insegna mancavano tre luci.
“Mi lasci pure qui” gli appioppò venti euro e poi scese. L’omuncolo li accettò e prima di andarsene gridò: “Addio finocchio” Jan Holsen fece il dito medio e poi imprecò. Già che quella sera di lavorare non aveva proprio voglia, c’era Bayer di Monaco – Borussia. Amava da morire il calcio, da ragazzino aveva pure praticato, ora al massimo prendeva a calci qualche lattina di birra.
Oltrepassò un gruppetto di persone che attendeva per entrare.
“Ciao Jan, entra” il butta fuori lo riconobbe.
“Berger” fu contento di vedere una faccia conosciuta. Berger era un suo amico, anche se era più amico di Miguel.
“Devi parlare con il tipo con i capelli bianchi e le basette, si chiama Eduard Rott, ti darà lui con chi hai appuntamento”
“Va ben grazie” dopo un’ultima pacca sulla spalla Jan s’arrischiò ad entrare. Come tutte le bettole schifose che gli toccava frequentare anche quella aveva poca illuminazione e la puzza di sperma era uno schiaffo in faccia dato a mano aperta. Si coprì la bocca disgustato e poi, per scacciare il nervoso, si accarezzò la giacca di pelle marrone. Dopo un breve corridoio raggiunse la sala principale. Il mobilio era scarso e scadente: un bancone dove venivano elargiti i cocktail, una decina di tavolinetti sparsi qua e là, e naturalmente il palco dove alcune ragazzette mezze nude inscenavano una sorta di Decamerone lesbo. Finalmente adocchiò il suo uomo
“Eduard?”
“Tu sei Jan, il ragazzo di Miguel”
“Sono qui per il lavoro, sì” gli dava sempre fastidio quando lo definivano ‘ragazzo di Miguel’. Lo faceva sembrare una sua proprietà, ed era l’ultima cosa che avrebbe voluto. Ma da oltre cinque anni era il suo protettore e anche volendo non sarebbe riuscito a privarsi di lui. Li legavano troppe faccende. Jan non avrebbe mai ammesso che senza Miguel sentiva perso.
“La coppia ti aspetta al primo piano, la terza stanza sulla destra.”
“Che tipi sono?”
“Beh lui sembra mezzo suonato, lei però è molto carina, slava”
“Sempre slave” sbuffò, a lui piacevano more, magari non tanto alte e con i fianchi importanti, era stufo di farsi sempre lo stesso genere di donna: alta, bionda, rifatta. Ma gli uomini ricchi, che erano la maggioranza dei suoi clienti, le preferivano così: bamboline da sbattere o meglio da far sbattere. Si accomiatò da Eduard e seguì la linea tratteggiata sul linoleum che conduceva alle scale.
Il nuovo corridoio sembrava quello di un albergo, c’erano porte sia a destra sia a sinistra. Da dietro ad esse provenivano gemiti e altri rumori ai quali Jan era fin troppo abituato. Bussò.
Un uomo sui cinquanta, talmente magro che non si capiva bene da dove traesse la forza per reggersi in piedi, pelato davanti e con un buffo codino, lo fece entrare.
“Si accomodi” da come parlava ansante sembrava avesse un enfisema o qualcosa che lo stava lentamente uccidendo.
“Buona sera” Jan si guardò intorno, la stanza era ancora più anonima di quella di un motel e la ragazza seduta sorridente sul letto era tremendamente insignificante. Pensò che farselo venire duro sarebbe stata una bella impresa e si maledisse per aver lasciato il viagra a casa.
“Ciao” lei le fece un’espressione estatica. “Rott diceva che eri bello ma non pensavo fosse così realistica la sua descrizione” si alzò e gli venne incontro.
“È sempre arrapata” spiegò l’uomo “questo succede a lasciare una donna matura per un’adolescente in calore” alla parola adolescente scattò la professionalità di Jan
“È maggiorenne oltre che arrapata?” lo fulminò con lo sguardo.
“Diciotto anni e sei mesi proprio oggi, Belinda fai vedere i documenti” lei sorridendo smorfiosa tirò fuori dalla Luis Vuitton la carta d’identità. Jan controllò con accuratezza poi restituì.
“Tutto a posto, poliziotto? Sono in regola?” civettò smorfiosa.
“Tutto a posto” ripeté lui cercando di trovare intrigante quello che scontato.
Il cornuto prese il suo posto in prima fila, seduto su una poltrona strategicamente posta ai piedi del letto, mentre Belinda si toglieva le autoreggenti bianche. Jan le fu addosso pronto a disegnarle un bel pigiama di saliva. Fu rallegrato che quanto meno non sapesse di qualche squallido profumo costoso, conservava invece un sano odore adolescenziale. E questo fece risvegliare i suoi sensi attutiti oltre che a far defluire i centilitri di sangue necessari per guadagnarsi una robusta erezione.


“Chi mi paga?” Jan non aspettò neanche che il cornuto si fosse ripulito, Belinda invece era in bagno probabilmente a smaltire l’ubriacatura da orgasmi multipli.
“Con Miguel ero d’accordo che li davo a lui”
Lo aggredì ponendo la sua alta figura contro la sua piccola e insicura. “Non mi fido di lui. Dammi i miei millecinquecento euro se non vuoi che pianti un casino” l’uomo, essendo infinitamente meno dotato fisicamente arretrò, spaventato dall’irruenza del più giovane.
“Va bene, stia tranquillo, la pagherò. Tra l’altro è stato così bravo, sono sicuro che la mia piccina vorrà di nuovo gingillarsi con lei”
“Se vuole gingillarsi con me deve sbrigarsi a tirare fuori la grana”
Dalla tasca di un cappotto probabilmente dal valore spropositato, l’omuncolo tirò fuori il denaro. Era un vecchio trucco fin troppo abusato: Jan si faceva pagare prima così che anche Miguel sarebbe andato a battere cassa e a quel punto il compenso sarebbe raddoppiato senza tanti sforzi. Ma nessuno di solito aveva da ridire, sia perché Jan la parcella se la guadagnava sia perché erano quasi tutti schifosamente ricchi. Dunque, euro più, euro meno. non faceva differenza.
Belinda uscì dal bagno sorridendo, voleva lasciare il suo stallone con un bel bacio, ma lui rifiutò gentilmente ogni avance. Senza salutare abbandonò la coppia.

Miguel stava facendo i pesi in soggiorno quando sentì il coinquilino entrare. Non era inusuale che alle due di notte facesse ginnastica. Miguel Le Breton conduceva una vita completamente scollegata dall’intera società per orari e per abitudini. Ad esempio se andava al ristorante non ordinava mai il primo il secondo, partiva sempre dal dolce. Affermava che se poi gli fosse entrato il resto sarebbe arrivato fino all’antipasto. Aveva l’abitudine di partire dal basso anche negli affari come nel sesso, di fatti era un feticista dei piedi. Gli intrighi amorosi non lo sfioravano, preferiva gli affari in particolare quelli che portavano denaro facile. Viveva in un appartamento extralusso al cento di Berlino. Amava circondarsi di cose belle per il gusto di averle. Il suo box armadi conteneva solo abiti di alta sartoria e il lussuoso bagno oltre che ad essere in tutto e per tutto come una piccola beauty farm, conteneva ogni cosmetico maschile costoso in vendita in città. Aveva appena trentadue anni, tra l’altro portati benissimo, eppure curava il suo aspetto con la maniacalità di una signora di mezza età. Il suo sguardo era chiaro e rassicurante, il sorriso malizioso, le braccia muscolose: la guardia del corpo ideale per qualunque donna. A renderlo ancora più sexy una cicatrice sotto il labbro, procuratasi durante uno scontro con un coetaneo durante l’adolescenza. Almeno questa era la sua versione.
Jan spinse la scheda dentro la feritoia, uno scatto deciso e la porta si aprì.
“Ma ti sembra questa l’ora di fare ginnastica?”
“Com’è andata?” Miguel si alzò per accogliere il suo uomo. Lo baciò sul collo “Puzzi di bordello”
“E secondo te di cosa dovrei odorare, di incenso? Non sono stato mica in chiesa!” si tolse la maglietta ancora intrisa di tutti gli effluvi del coniglio bianco. Quando fu nudo, si buttò sotto la doccia. Miguel lo seguì in bagno, raccolse i pantaloni che giacevano in terra.
“Sempre sveglio il mio ragazzo” ridacchiò borioso mentre acciuffava le banconote dalla tasca dei pantaloni, le contò per sicurezza poi uscì dalla stanza sorridendo. Avrebbe dovuto darsi una lavata anche lui ma preferì sdraiarsi sul divano a bere brandy.
Dormivano ciascuno nella propria stanza, Jan non portava anzi non era autorizzato a portare nessuna cliente e quelle rare volte che aveva un appuntamento vero e proprio avvisava Miguel in anticipo ordinando di non essere in casa.
Dopo la notte al coniglio bianco, Jan si svegliò che era già l’una, sul comodino accanto a letto trovò un biglietto di Miguel, c’era scritto: hai un appuntamento alle otto a Rudower Straße, 90. Vestito elegante. Il giovane imprecò a mezza bocca, ma non voleva pensare, non prima di aver bevuto un caffè lungo, ingurgitato horaffen, e spremuta d’arancia. Per sua fortuna la loro domestica aveva fatto previste il giorno prima. Dopo essersi rifocillato fece la doccia. In accappatoio entrò nella grande cabina armadio dove tirò fuori una camicia rosa e un bel vestito blu “lo troverà abbastanza elegante il capo?” pensò ad alta voce. Sapeva che ci sarebbe stato anche lui a quell’indirizzo. E tutto sommato gli piaceva che vigilasse su di lui in quel modo. Era molto protettivo nei suoi confronti, da questo punto di vista non poteva capitargli magnaccia migliore! Arrivò a Rudower Straße, 90 alle cinque. Pensò di fare un giretto. Il tempo sembrava non passare mai. Sperò in una telefonata di Miguel, provò a chiamare lui ma dio solo sapeva dove si andava a cacciare di giorno. Di solito s’incontravano sempre di notte, o di prima mattina se erano entrambi ancora svegli. Alle otto in punto si fece trovare davanti al luogo dell’appuntamento. Si trattava di un portone di uno stabile elegante. “La signorina Legarn l’aspetta al quinto piano, troverà l’ascensore sulla destra” fece sapere il portiere, un uomo di mezza età stempiato e di bassa statura. Jan posò lo sguardo su di lui poi tornò ad osservare attorno a sé: “Prima devo attendere un amico”
“Se l’amico è un uomo dai capelli scuri e corti è già salito e la aspetta, signore”
“Sia meno generico, sono in molti ad avere capelli corti e scuri” si stizzì.
“Le breton, mi pare abbia detto, un cognome francese”
“Va bene, allora posso andare” sospirò di sollievo.
Appena fuori dall’ascensore camminò lungo il corridoio che lo avrebbe condotto all’arrivo. Sentì il vociare allegro oltre la porta. Una ragazza bionda e già alticcia gli aprì, sfoderando un sorriso radioso.
“Sei Jan vero?” lo squadrò da capo a piedi “me lo auguro!”
“Sì, sono io”
“Anche il tuo amico è carino, entra” lo afferrò per un braccio così che si ritrovò dentro l’appartamento. Guardandosi attorno notò che si trattava di un loft elegantemente arredato. Dopo aver scrutato la mobilia vide gli altri occupanti: una mezza dozzina di ragazze, tutte tra i venti e i trenta avevano accerchiato Miguel sprofondato comodamente in una poltrona di velluto. Rideva anche lui, mentre loro facevano a gara per scompigliargli i capelli e strusciargli il seno sotto il naso.
“Benvenuto Jan, sono felice che tu non ti sia perso”
“Come faccio a perdermi se mi costringi sempre ad andare in taxi?”
“E dai, pasticcino, non te la prendere, lo sai che senza macchina non ci so stare” avevano un auto in due e Jan si lamentava sempre di restare a piedi. Miguel lo prese per un braccio invitandolo ad avvicinarsi. Tutte lo guardarono vogliose. “Ma è una specie di orgia di sole donne?” domandò Jan quando fu con la bocca ad un passo dall’orecchio del suo protettore.
“Non lo hai capito? Eppure sei navigato amico mio! È un addio al nubilato!”
“E la futura sposa chi sarebbe?”
“Non è ancora arrivata, tu comunque sei l’attrazione principale”
“Già, ma prima ci divertiamo noi con te” s’intromise una ragazza mora e riccioluta. Lo prese per la vita e lo attirò a sé. Spinse le labbra sottili sulle sue. Jan accolse la lingua. Di lì a poco, lo baciarono tutte e sette a turno e si ritrovò sporco di diverse tonalità di rossetto dalla fronte al colletto della camicia.
“Su calma ragazze, non me lo strapazzate troppo” Miguel lo scansò abbracciandolo.
Si appartarono. “Ti stai divertendo?”
“Sono scatenate!”
Si guardò dietro come se temesse di essere udito: “Ascolta Jan: devi essere molto disponibile con la festeggiata, siamo intesi?”
“Perché questa precisazione? Scopare è il mio lavoro, o pensi che mi faccia problemi per il suo futuro marito?”
“Poveraccio, è già cornuto!” ridacchiò “quello che intendo dire è: datti da fare, la persona che paga vuole che tu le faccia il servizio completo” a Jan dava sempre un po’ noia quando si esprimeva con frasi tipo ‘servizio completo’ ‘lavoretto soft’ ecc. Era cresciuto per strada Jan, era abituato a chiamare le cose con il proprio nome. “Devo venirle in bocca e romperle il culo, perché non parli chiaro?” lo fissò sgranando le fenditure blu. Miguel gli accarezzò dolcemente la barba appena spuntata.
“Lo fai sembrare quasi poetico” la sua voce era dolce. Senza preavviso gli bacio le labbra. Durò giusto un secondo.
“Ora sei sporco di rossetto anche tu” biascicò con cinismo Jan, in verità era turbato, ma evitò di darlo a vedere. Miguel, dopo una sonora pacca sulla spalla lo invitò a tornare dalle signorine.

giovedì 25 marzo 2010

Cuore d'infiltrato, cuore di poliziotto



Fandom: Squadra Speciale Cobra 11
Pairing: Chris (Mark) Erik, Semir
Storyline: poco dopo la doppia puntata Vita e morte
WARNING: Contenuti slash NC17 per scene di sesso

Gelide, come le mattonelle del bagno dietro la schiena. Chris si sta adagiando sulle piastrelle fredde e impersonali del bagno di Semir. Andrea non c’è e siccome loro sono stati impegnati in un inseguimento all’ultimo spasimo, sono finiti a casa del turco.
Chris sbircia la porta che ha lasciato maliziosamente semiaperta. Non sa se spera o teme di più che il collega entri. Sospira. Ma è un sospiro di piacere non di dolore, in quanto la sola idea glielo ha fatto rizzare. Abbassa la testa. Il suo uccello punta dritto verso il cielo o meglio si è fermato a mezz’asta perché contro la forza di gravità non può nemmeno la genuina virilità teutonica. Se fosse un pervertito trarrebbe soddisfazione a toccarsi nel bagno del suo compagno. A scaldare quelle mattonelle così fredde con il suo seme caldo, ma desiste. Chiude gli occhi. Fa un passo in avanti, non proprio un passo completo come quando si cammina per strada, un mezzo passo. Gli è sufficiente affinché il cazzo tocchi le mattonelle. Improvvisamente chiude il pomello della doccia. Ha sentito dei passi.
“Ti ho portato l’accappatoio” fa sapere il padrone di casa.
“Ok” sbuffa. Chris trova irritante la sua voce quand’è così arrapato, così stridula, tipo falsetto. E poi perché Semir non è entrato a fare la doccia con lui? Forse è un bene, in quanto non lo vuole davvero.
Quindici minuti più tardi è avvolto nell’accappatoio del collega, seduto sul divano. Una birra il lattina nella mano destra. Nell’altra la coscia nuda di Semir. Anche lui si è fatto la doccia. Chris sa di cosa ha bisogno il suo collega, e a lui costerebbe così poco. Spostare il palmo finché non arriva tra le gambe. Masturbarlo piano, poi più veloce. Non sarebbe nemmeno la prima volta che gli fa quel lavoro. Di certo non è la prima volta che fa godere un uomo. Sogghigna al pensiero. Una sega è una roba da ragazzetti. Ma, in fondo, cos’è Semir se non un bambino mai cresciuto che si diverte ad inseguire i cattivi come i personaggi dei videogiochi? Eppure ha una donna, una moglie e una figlia. Ha amato in passato, ha amato pienamente un altro uomo prima di lui.
Chris volta la testa verso la sua. Lentamente si avvicina, anche l’altro si tende. Le labbra si sfiorano appena. Il loro secondo bacio. Poi finalmente Chris lo fa davvero: prima appoggia la birra per terra. E poi lo tocca. E intanto il bacio incalza, duro, passionale.
Non dura molto ma neanche poco come la prima volta. Dopo l’orgasmo il bacio si fa più lento, più dolce.
“Non è solo questo per me Chris” lo abbraccia. Le dita percorrono la schiena, incontrano le cicatrici, le vezzeggiano. L’altro poliziotto sospira. Prima di Semir solo uno gli aveva insegnato a non vergognarsene, anzi le trovava persino sexy! Lui. Ma quelle erano di Mark Jager, non di Chris.
“Anch’io ti amo Semir” il turco risponde sorridendogli con dolcezza. Dopo aver perso Tom non avrebbe mai immaginato di provare di nuovo sentimenti così intensi per qualcuno. Invece quando lo guarda sente che Chris è tutto quello di cui ha bisogno. Ma allora perché non si lascia andare? Ma Semir non si da per vinto e torna alla carica: lo piega sul divano. Chris si ritrova con le spalle sul comodo velluto a coste. L’accappatoio si apre da solo.
Semir osserva rapito il favoloso torace esposto. Così muscoloso, liscio, indubbiamente attraente. Ingoia la saliva “Sei bellissimo... non sai quanto ti desidero” detto questo si piega e lo bacia: le clavicole, i pettorali, lo stomaco, gli addominali.
Ad un passo dal cazzo: “Ti prego non farlo!”
“Perchè? Lo vogliamo entrambi Chris”
“Io no, non sarebbe giusto”
Il piccoletto lo fulmina con lo sguardo. Ha capito che Chris nasconde qualcosa. Un segreto. Bello serie e bello grosso.
“Per chi non sarebbe giusto?” Chris lo accarezza con gli occhi. Si tira a sedere. Sa che non può più rimandare. Deve confidarsi, dire quella verità che gli strozza il respiro impedendogli di lasciarsi andare. Apre la bocca e Semir ascolta.
Era da poco entrato nei panni di Mark Jager nell’intento di stanare l’organizzazione dedita al traffico umano capitanata da Roman e Erik Gehlen. Proprio quest’ultimo fu la persona che più di tutti lo introdusse in quel microcosmo fatto di sesso, tanto sesso, cocaina e una vita sempre al limite. Un circo di trasgressione la cui spirale sembrava non avare fine. Eric gli procurava le puttane migliori, in cambio un unica condizione: che lo lasciasse guardare. All’inizio l’infiltrato aveva pensato si tratta semplicemente di una propensione al voyeurismo. Niente di speciale. Una volta però accadde un fatto strano. Mentre la puttana di turno si cambiava al bagno, Erik rimase seduto in poltrona guardando il complice ancora nudo e riverso con un curioso sorrisetto soddisfatto. Aveva i pantaloni calati e lo sperma gli impiastricciava ancora le pudenda. Ma non ci pensava affatto a riassettarsi preferendo guardare Mark che si toglieva il preservativo, lo annodava per poi posarlo sul comodino. Si alzò e lo raggiunse sedendogli accanto. Mark divenne rosso, quello sguardo ottenebrante lo fece sentire più nudo di quanto già non fosse. Il trafficante allungò la mano e lo gli toccò il torace. A quel leggero contatto lui rabbrividì.
“Sei proprio bello Mark Jager” lo scrutò con desiderio mentre lo toccava “dannatamente sexy” aggiunse: “adoro come scopi e come ti fai scopare” Mark non disse niente ma comprese. Erik Gehlen non voleva assistere alle prestazioni in quanto guardone: aveva un debole per lui. Così ci fece caso e le successive volte che si ripresentò quella particolare occasione Mark badò a dove l’attenzione del giovane Gehlen fosse. Non vi fu più spazio al dubbio, Erik non ci pensava affatto alla ragazza sotto o sopra di lui, guardava costantemente l’uomo. Questo provocò nell’infiltrato parecchie inquietudini. Non meno rese più complicate le cose tra di loro. Ogni qual volta i due restavano da soli, Mark trovava una scusa per andarsene. Finché un bel giorno Erik non se ne avvide.
“Hai paura di stare da solo con me, vero?” lo mise spalle al muro senza toccarlo, solo con la prestanza del suo corpo.
“Cosa te lo fa pensare?”
“Non prendermi per i fondelli. Ho capito che hai capito...”
“Che discorso è? Ti sei forse bevuto il cervello?”
Erik rispose con una risatina. Portò il volto più vicino al suo. “Hai capito che mi piaci e che ti voglio scopare” Mark fu percorso da un lungo brivido. Che fosse di paura o di eccitazione o di entrambe non aveva importanza. Fatto sta che, all’improvviso tutto gli fu chiaro. Anche lui lo voleva: Mark Jager voleva quella bestia senza cuore e senza cervello di Erik Gehlen. Il lampo che vide passare negli occhi di Mark lo fece ghignare di soddisfazione.
“Bene... bene, come pensavo. Anche tu mi vuoi... perfetto” gli accarezzò il labbro inferiore con l’indice. Mark prontamente tirò fuori la lingua per leccarlo. Non sapeva quanto fosse una buona cosa lasciasi scopare dal suo nemico. Sicuramente non lo era per Chris Ritter, ma per Mark Jager... si spostarono in camera da letto e diedero sfogo a tutto il desiderio che tenevano racchiuso dentro.

Annichilito dalla scoperta Semir guarda il suo collega senza parlare.
“Ora ti faccio schifo, vero?”
“Non lo so, dovresti?”
“Dovrei... ho avuto una relazione con... con chi ha messo fine alla vita del tuo grande amore, di Tom Kranich”
“Non è proprio andata così” Semir sorride con dolcezza “Mark Jager ha avuto una relazione con Erik Gehlen” Chris spalanca la bocca per la sorpresa. Pensa che non avrebbe dovuto dargli tutto quel peso. Era Mark tra le braccia della carogna che aveva ucciso il povero Tom, non lui! E Semir ci è arrivato praticamente subito!
“Il cuore di Mark è appartenuto Erik. Quello di Chris appartiene solo a me” si avvicina di nuovo e lo bacia. Questa volta Chris non gli impedisce di proseguire. Finalmente libero di dare spazio al cuore di poliziotto.

lunedì 12 ottobre 2009

Borderline, capitolo 21


Capitolo 21


Se Jake non fosse riuscito a convincere il suo ragazzo a fare sesso a tre con il suo ex avrebbe quanto meno tentato di convincerlo ad incontrarlo. A conoscere Liam. Magari ad una cena o qualcosa del genere. La visita ginecologica di Leasly venne di proposito a fornirgli la soluzione. La nanerottola ninfomane entrò nello studio di Jake alle cinque del pomeriggio. L’ultima visita in programma prima del turno di serale in clinica.
“Ti trovo in forma, befana.”
“Attento a te, finocchio” si abbracciarono. Sebbene fosse ufficialmente l’ex del suo migliore amico, Leasly e Jake erano rimasti in buonissimi rapporti. Fosse stato anche per il fatto che nessuno dei due le aveva tenuto nascosto che facevano ancora l’amore.
“Hai visto Liam ultimamente?” chiese mentre il medico le tastava i noduli sottoascellari.
“L’ultima volta che l’ho incontrato scappava ad un concerto. Credo abbia una cotta per qualche violoncellista o qualcosa del genere.”
“Direttore d’orchestra. Sexy e con un culo a cui manca solo la parola, pare.” Jake si finse indifferente. Dentro di sé però qualcosa s’incrinò. Lei ci mise il carico.
“Hai un rivale agguerrito.”
“Nessun rivale. Liam può scoparsi chi vuole.”
“Già, l’importante è che continui a scoparsi anche te, giusto? Ah! Fai piano, la passera mi serve ancora.”
“Come no” Jake stava infilando lo speculum dentro la vagina. Tutto era a posto.
“Sei sana come un pesce, rivestiti.”
“Questo pesce vuole procreare però” dichiarò la donna mentre si rinfilava il mini abito firmato Dolce&Gabbana. Bianco con dei fiori a stampo.
“Fa come fanno tutti, trovati dello sperma!”
“Sembra facile. Con voi froci che cercate di accaparrarlo tutto. Concorrenza sleale.” Jake rise di gusto.
“Ti faccio una proposta: se io faccio una cosa per te tu fai una cosa per me?”
“Cosa sarebbe? Una specie di accordo tra puttane?”
“Esatto.”
“Ti ascolto.”
“Liam ha le palle piene di quello ti occorre e, soprattutto, desidera diventare padre.”
“Sì lo so. In passato ne abbia parlato.”
“Posso convincerlo a darti un figlio. Fai felice te stessa e fai felice anche lui... ”
“Jake sei un genio, ti amo!” con foga gli saltò in groppa. Jake l’abbracciò felice tenendola per le cosce.
“Ti conosco... cosa vuoi in cambio? Sentiamo...”
“Prima di tutto smetti di strusciare le tue tette posticce su di me. È inutile che ci provi. Sono davvero checca persa, con me non c’è trippa per gatti!”
“Invece Liam...”
“Sì, per quanto lo neghi, a lui le donne sono sempre piaciute. Prima o poi si toglierà lo sfizio.”
“Ok, basta tergiversare, cosa ti serve dalla tua amica?”
“Devi fare in modo che Liam e Heath si incontrino.”
“E perché?”
“Liam sarebbe felice di incontrare Heath, come mio fidanzato. Ma Heath non accetterà mai, la cosa lo metterebbe in imbarazzo. Tu conosci un sacco di pezzi grossi di New York.”
“Cosa dovrei fare esattamente?”
“Trovargli un lavoro anche temporaneo in qualche show. E fai in modo che Liam sia tra i produttori.”
“Così con Liam impresario e Heath tra gli attori, dovranno incontrarsi per forza.”
“Esatto megera. A quel punto dovremmo presentarli. Magari durante la prima o organizzando appositamente un party o qualcosa del genere.”
“Che non sarebbe nemmeno la prima volta. Due anni fa la Spancer associate produsse una piéces teatrale a favore dei bambini dell’Angola. E io sarei la strega? Te sei il genio del male!”
“Già. Se ci dice bene avrai la tua megascopata con Liam con tanto di concepimento. E io...”
Il suo sguardo si fece tra il diabolico e il lussurioso. “E io potrei riuscire nell’intento di farmeli insieme.”


Liam era annichilito. Heath, il ragazzo di Jake, dell’amore della sua vita, del suo quasi figlio, era l’ex di William, l’uomo con il quale desiderava una storia, una relazione stabile che li avrebbe portati alla vecchiaia. Insieme. Ma come era successo?
“Heath non ha mai avuto troppa confidenza con chatroom e quant’altro ma dopo la nascita di Vanilla... ora capisco, chattava con Jake, il suo amante!”
“E dopo che Jake se n’è andato ho iniziato a chattare al suo posto.”
“E io ho fatto lo stesso. Cristo santo.” William guardò in terra cercando i pezzi del suo cuore. Liam, la persona con il quale aveva creduto di iniziare una bellissima storia d’amore, magari romantica e piena di passione, era stato per anni l’uomo di colui che gli aveva rovinato la vita.
“William...” Liam si avvicinò cercando il suo sguardo.
“Io... io... sono disgustato. Tu sei Liam l’ex ragazzo di Jake!” Lo sapevo che era troppo bello per essere vero. Pensò. Cercò i vestiti con fare convulso. Sfortunatamente gli rivennero in mente le sue prodezze erotiche con la zucchina e quant’altro. Come poteva sapere che si stava mettendo in ridicolo con...inaudito!
“Tesoro non cambia niente. Io sono sempre quello di prima.”
“Sei... sei roba sua! Roba di Jake, di quel pezzo di merda!”
“Non sono roba sua!”
“Come no, Heath mi ha detto che scopate ancora, te e Jake” sibilò.
“Cristo, Jake glielo ha detto!” pensò ad alta voce Liam mordendosi il labbro inferiore.
“Dio, mi disgustate. E pensare che quando entravo ed uscivo dalle darkroom mi sentivo sporco. Avrei fatto bene a continuare a scopare in giro, altroché!”
“Non te ne devi andare, tra me e Jake è finita! Gli ho permesso di fare l’amore perché mi mancava ma non ti avevo ancora conosciuto.”
“Chattavamo. E non credo che tra voi sia finita. Penso che invece tu non smetterai mai di amarlo, questo è certo!”
“Forse una parte di me lo amerà per sempre è vero, e in quanto alla chat... beh, credevo sarebbe rimasto un gioco. Nemmeno avrei auspicato di potermi trovare un giorno a letto con William McCarthy” per qualche secondo il musicista rimase incantato da quelle parole. Ma giusto un attimo.
“Balle, e, in ogni caso, il problema non è quello. Tu sei stato con Jake e io non mi prenderò uno scarto di chi mi ha rovinato la vita. Anche se....” fu interrutto da un singulto. Calde lacrime solcarono le guancie magre.
“Anche se è un uomo meraviglioso, affascinante, intelligente e oltre modo sexy... anche se mi ha fatto sentire bene dopo un dolore così lacerante. Anche se... anche se sei il mio Angel...” fu sul punto di inginocchiarsi e piangere tutte le lacrime che infuriavano nel suo petto.
“Sono tuo, sono il tuo Angel. Se me ne darai la passibilità...”
“No, sono arrivato troppo tardi. Addio.” Lo guardò un ultimo istante. Liam Spancer era nudo, bello e sensuale. E gli piaceva come solo pochi uomini gli erano piaciuti da quando era nato. Dio lo sa, tesoro mio, se vorrei dimenticarmi di tutto ed abbracciarti. Ma l’orgoglio di animale ferito lo spinse ad uscire di scena.

Come l’araba fenice, William McCarthy sarebbe risorto dalle sue ceneri. Questa volta, era quasi morto sul serio. Ma decise che non sarebbe successo come dopo la rottura con Heath. Che doveva dimenticarsi di Liam Spancer alla svelta. Due dozzine d’ore dopo sarebbe stato in volo per l’Italia, paese che amava da morire. Questo l’avrebbe aiutato, forse, a dimenticare. Oppure sarebbe davvero impazzito tra quelle meraviglie paesaggistiche, le straordinarie risorse artistiche. I ruderi. I tramonti incantevoli. Avrebbe pianto lacrime amare affacciandosi dalla finestra del suo Hotel a Venezia, osservando i tetti rossi baciati dal sole. Le calle percorse da giovani innamorati mano nella mano. Perché il suo destino era di morire d’amore per sempre? Prima di Heath non aveva nemmeno mai pianto per un uomo. Prima di lui niente di serio. Probabilmente la sua paura a lasciarsi andare con qualcuno era frutto dell’abbandono di sua madre quando era molto piccolo. Qualsiasi psicoterapeuta l’avrebbe pensata così. Sua madre era morta di cancro all’utero. Suo padre si era risposato dopo due anni. Il piccolo William non glielo aveva mai perdonato. Aveva odiato il mondo degli adulti con tutta la sua forza. Forse per questo, una volta che lui stesso fu quasi adulto, iniziò a dare qualche segno di mancanza d’equilibrio. La passione per la musica era la sua salvezza. Nei momenti in cui il risentimento verso suo padre, reo di aver dimenticato l’amata madre troppo in fretta, si faceva troppo pesante, si rinchiudeva in camera sua. Infilava le cuffie per ascoltare, uno dopo l’altro, i nastri di musica classica che sua madre gli aveva lasciato nella scatola dei ricordi, così l’aveva denominata. Schubert, Back, Stravinskij , Beethoven. Era rapito. E, con eguale rapimento, saliva su di un panchetto e iniziava a incalzare l’orchestra immaginaria, ghermendo due matite e sbattendo il ciuffo biondo a destra e manca. Alla fine era come un orgasmo. Dopo le ultime note si ritrovava sudato e spossato. A quindici anni decise che voler intraprendere la carriera di direttore d’orchestra. Naturalmente suo padre lo sconsigliò, era un giudice stimato. Avrebbe voluto che il suo unico figlio (la donna che aveva scelto come moglie non era stata in grado di proseguire la stirpe) avesse intrapreso la carriera di magistrato. Naturalmente, William e il suo ciuffo ribelle fecero fagotto mandando a quel paese il vecchio McCarthy per sempre. Il resto era storia recente. Carriera brillante, amori di circostanza. Solo a Heath aveva permesso di entrare nel suo cuore. E lui l’aveva preso a calci.


La notte dopo la traumatica serata con William, Liam si ritrovò disperatamente solo. Cercò di rimettere insieme i pezzi di quanto era successo. Heath, l’uomo che si era frapposto a lui e Jake, era lo stesso che aveva spezzato il cuore al suo William. A quel punto, avrebbe avuto buone ragioni per andarlo a cercare e spaccargli l’osso che teneva unita il capo al resto del corpo. Ciondolò la testa nervoso. Aveva risolto da tempo la questione. La collera con l’amante del suo amante era durata il tempo di soffocare con il pene un povero cristo nel cesso di un Hotel. Rinvenuto dal suo smarrimento, Liam era tornato in sé. Era vero che, come blaterato da William, avrebbe amato Jake per sempre. Ma non era più suo. Avevano fatto l’amore ma quella scopata, per quanto grandiosa, era niente in confronto a quello che avrebbe potuto essere una storia d’amore con Will. Era questo che lo faceva rammaricare di più. Se solo mi desse la possibilità di dimostrare quanto amore ho da dargli, smetterebbe di pensare al mio passato con Jake. Avrebbe fatto qualcosa, non poteva restare a crogiolarsi nel rammarico per troppo tempo. E, tra l’altro, poche ore più tardi William sarebbe stato anche fisicamente lontano da lui. Ebbe un idea. Rischiosa, un po’ pazza ma abbastanza sensata da salvarlo. Da riuscire, forse, a far desistere l’amato dalla sua decisione di finirla. Di finire qualcosa che era appena sbocciato.

martedì 6 ottobre 2009

Ogni singolo respiro, capitolo 16



WARNING NC 17


Nonostante tutta la confusione che albergava in lui, o, piuttosto, proprio a causa di essa, Booth quella notte tornò tra le braccia di Temperance. E lo fece in maniera piuttosto risoluta. L’antropologa, reduce da una giornata apatica al Jeffersonian, aveva trovato il suo uomo ad attenderla davanti casa. Subito si era chinato a baciarla con veemenza. La collisione delle bocche aveva creato scintille e ci era mancato un niente che lo facessero direttamente sul pianerottolo! Per loro fortuna lo slancio era stato trattenuto fino alla camera da letto. Una volta che lei fu nuda dalla vita in giù, l’agente l’aveva piegata sul letto. Prenderla da dietro, nella maniera consona ovviamente (qualsiasi cosa ‘sodomita’ dove restare fuori dal loro menage) gli piaceva troppo. Ma la determinazione, l’aggressività o quasi con la quale si era presentato, misero Brennan in allarme. Il retaggio di un ricordo abbastanza recente decarburarono la libidine, sebbene i risoluti colpi contro il punto G fossero quando di più amabile a piè di una lunga giornata di lavoro.
“Booth basta!” esortò malgrado fino a tre secondi prima gemesse.
“Perché, non ti piace forse?” la sua voce tradiva cupidigia, e questo non piacque per niente a lei.
“Ti ho detto di finirla, togliti!” lo esortò. Il piacere fisico aveva lasciato spazio a qualcos’altro.
Booth tornò in sé. “Amore, mi dispiace! Se pensi che possa aver danneggiato il bambino...”
“No, non credo. Ma non mi piace quando sei così passionale. Cioè mi piace quando sei passionale, da impazzire. Ma non così. Sembri un energumeno. Cosa è successo oggi che ti ha reso tanto euforico?” quell’accusa colpì l’uomo. No, non c’era nemmeno da pensarci! Era vero che Carol lo aveva provocato. Era vero che la trovava attraente e che le sue attenzioni avevano messo a dura prova i suoi ormoni ma era Bones che amava! Era da lei che voleva il piacere. Non c’era speranza per nessun’altra al mondo!
“Sono solo pazzo di te. Ho visto come mi hai accolto sul pianerottolo e mi piaceva proseguire con quel tenore. Non pensavo di darti fastidio.” Furono interrotti dal telefono di Temperance. Era Angela.
“Piccola, ti ho disturbato?”
“Non proprio, dimmi pure.”
“Hanno scoperto a chi appartengono i resti dell’angelo!”
Brennan scattò a sedere come una molla. “Chi?”
“Nathan Shuman. Un guro del P.N.L. ti dice niente?”
“Kally e Emmerich.” Booth dilatò le pupille udendo quei nomi.
“Già. Su Web ci sono delle sue interviste. Pare fosse molto amato nel suo ambiente. Lavorava come coaching per diverse aziende multinazionali come motivatore ma, da un po’ di tempo a questa parte, aveva cambiato condotta.”
“Mio Dio”. Riagganciò dopo essersi data appuntamento con l’amica al Jeffersonian.
“Che hanno scoperto? Cosa c’entrano Kelly e Ian?”
“Booth, ti rendi conto? Anche quelle ossa potrebbero essere opera del killer della centrifuga!”
“Stai tranquilla tesoro...” La donna non voleva continuare a chiacchierare con l’amante mezza nuda e inumidita di piacere. Doveva ritrovare la sua razionalità, oltre a mutandine e gonna.

Se era stato un sogno, un presagio o un’allucinazione questo lei non lo sapeva. L’unica cosa di cui era a conoscenza che un uomo sicuramente buono l’aveva esortata a non disfarsi di suo figlio. Non riusciva a smettere di pensare a questo mentre al bordo dell’auto di Booth si dirigevano verso il laboratorio.
“Se questo tizio, come hai detto che si chiama?”
“Nathan Shuman.”
“Beh chiunque esso sia scopriremo perché è morto, da quando e se c’entra qualcosa il killer della centrifuga.” Pensieroso, biascicò: “Questo sarebbe un’altro buon motivo per interrogare Kelly.” Il suo piglio tradiva rabbia.
“Hai ancora intenzione di occupartene?”
“Certo! Prima del processo quanto meno. Se solo fossi stato a Washington quando è stato catturato... ”
Temperance si morse un’unghia. Non voleva pensarci nemmeno un secondo di troppo dove fosse, con chi fosse e, soprattutto, cosa stesse facendo durante la cattura del primo dei killer delle mamme. Con l’altro assassino? Con un innocente? Questo lo avrebbero deciso giudice, giurati e prove. A lei faceva male sapere che fosse con Emmerich e non con lei. Qualsiasi cosa il Profiler c’entrasse o non c’entrasse il suo uomo era stato a letto con lui. E quella specie di cotta o digressione sessuale sembrava ancora lasciare tracce ben visibili.
“A volte mi domando se riuscirò mai davvero a perdonarti di aver fatto sesso con Emmerich.” Ruminò a voce bassissima. Booth sperò di aver capito male, odiava dover tornare su quell’argomento. C’era sicuramente una parte di sé che lo amava ancora! E Sweets si era ben visto da scacciare o debellare quella parte. Era vulnerabile di fronte a quella consapevolezza. Così, proprio per non sbagliare, scelse il silenzio. Decisione che non entusiasmò Bones.

Il giudice per le indagini preliminari aveva disposto che Ian Emmerich fosse colpevole in qualche maniera e di essere in combutta con Kelly. Ma fino a quel momento, a parte la confessione di quest’ultimo e il rivelamento di alcuni reperti autoptici, nulla appariva chiaro, netto, nitido. E tutto il mondo si domandava il motivo per il quale un bravo e stimato agente FBI si mettesse a dare la caccia a madri di famiglia. Sarebbe stato sufficiente il profilo del Profiler? Sarebbe stato sufficiente rielaborare le immagini del piccolo Emmerich maltrattato per fare di lui un assassino? Il processo era alle porte. Sarebbe potuto durare molto oppure un’inezia. La selezione dei giurati era stata ostica. La voglia dell’accusa di mettere a cuccia, magari con l’ausilio dell’iniezione letale, i due assassini, aveva favorito la scelta di persone di sesso femminile, alcune madri o nonne o chi avesse direttamente che fare con bambini, ad esempio: una maestra d’asilo. Insomma persone poco incline a perdonare chi si fosse macchiato di tali efferati crimini.
La difesa, dal canto suo, avrebbe dimostrato quando nobili fossero state le imprese di Emmerich durante la sua carriera nell’FBI. Ma tutti e due, difesa e accusa, avrebbero scavato sul suo passato, quello dei maltrattamenti, del dormire sugli escrementi e le cinghiate. Lo avrebbe fatto anche l’accusa, per dare prova di quanto fossero fondanti i sospetti. Era una linea sottile quella che divideva pubblico ministero e difesa. Ma, di certo, se non fosse uscito qualcosa di nuovo abbastanza compromettente, la permanenza dei due nelle patri galere si sarebbe protratta per parecchio. Booth era tra quelli a cui premeva dimostrare l’innocenza di Emmerich ma era certo che avrebbe abbassato il capo di fronte ad una condanna di colpevolezza. Se fosse risultato chiaro il coinvolgimento dell’ex amante nella cattura e uccisione delle poverette, lui sarebbe stato il primo a gioirne. Se non altro, un’esistenza spensierata, o quasi, con la donna della sua vita lo attendeva. Le digressioni omosessuali potevano dirsi parte del suo passato. O no? Ci sarebbe sempre stato il fantasma delle sue colpe chiuso da qualche parte, magari insinuato tra la polvere del comò ad accusarlo, a ricordargli che era impuro e indegno dell’amore di Bones. Ma razionalmente voleva tutto. Voleva trovare la verità, voleva l’amore di Bones e il perdono di Ian. Oppure l’amore di Ian e il perdono di Bones? Questo sembrava fuori discussione in quel momento. Sebbene gli sbalzi d’umore, la donna rappresentava tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Durante quei pochi giorni che precedettero il processo, Brennan e Booth vissero un piccolo idillio. Per non rischiare di incontrare Ardich, impossibilitato a parlare con il procuratore Franklin, Booth si rifugiò a casa della futura madre. Tra le sua braccia, ma, specialmente, tra le gambe. Per fortuna di Booth la donna non mostrò più dubbi e gelosie in particolar modo non nominò più Emmerich. Sembrava così appagata e felice dopo il sesso che tutto appariva facile e concreto. Erano loro due e basta e la ricerca del piacere. Dell’intimità assoluta. Ma buttare fuori di casa il resto, il veleno, i dubbi, la realtà, era stato difficile, quasi insostenibile, soprattutto a causa delle lunghe conversazioni telefoniche che l’agente non poté evitare con Wendy.


La notte prima dell’udienza Booth si portò il suo vestito migliore dietro. Lo appese sul porta abiti sospirando. Temperance gli fu dietro e lo abbracciò appoggiando il mento tra la spalla e la testa.
“Come ti senti?”
“Non me lo chiedere... non lo so. Un pesce fuor d’acqua o qualcosa del genere.” Si voltò per poterla abbracciare da davanti. Restarono per qualche minuto stretti simili ad innamorati romantici in una sala da ballo vecchio stampo. “Lo sai che ti amo?” le ricordò accarezzandole le labbra con un dito. L’indice fece dei cerchi simmetrici attorno alla sua bocca.
“Sì lo so, ti amo anch’io.” Lui restò interdetto. Era forse la prima volta che lo ammetteva. Magari glielo aveva confidato durante qualche orgasmo ma non gli aveva dato peso. Mai fuori dal contesto sessuale.
“Davvero?”
“Booth, stai scherzando? Certo che ti amo! Ti amo davvero tanto per guardare il tuo viso da labrador abbattuto e non sbatterti fuori a calci.”
“Mentre ora faremmo l’amore e tu sarai stata ben felice di non avermi sbattuto fuori a calci” ribatté mentre, sornione, alzava la gonna che fasciava le lunghe gambe toniche. Si chinò seguendo il percorso inverso dell’indumento. Guardò il ventre appena arrotondato. Lo baciò. La sentì rabbrividire. La liberò anche dello slip, e quando fu nuda dalla vita in giù, la contemplò per qualche istante. Non occorreva dirle quanto la trovasse meravigliosa. Lei e quella creatura che le cresceva dentro era tutto quello per il quale valeva la pena lottare, vivere. Fece per spostare la bocca in lidi più umidi e desiderosi d’attenzioni ma lei, trattenendo il desiderio, lo bloccò.
“No, stasera non facciamolo, ti prego.”
“Perché?”
“Diciamo che uno dei miei sbalzi ormonali, ok?” Booth si alzò in piedi. La fissò negli occhi senza chiedere... ma a lei bastò quello sguardo per rispondere.
“Ho paura di... di perderti, Booth.”
“Ancora queste insicurezze? Non cambierà niente... dopo.”
“Me lo giuri?”. L’uomo si morse il labbro.
“Qualsiasi cosa, ti prometto che non vi abbandonerò mai. Ogni singolo respiro, ricordi?” e così dicendo posò il palmo della mano sulla pancia.

giovedì 1 ottobre 2009

Borderline, Capitolo 20





Per Jake fu un giorno stressante tra puerpere e padri ansiosi, anestesisti e ostetriche. Insomma il solito tram tram. Alla fine della giornata poté finalmente rilassarsi sulla sua poltrona prediletta. L’avevano comprata lui e Heath poco prima di prendere la casa a Lexinton Avenue. “In questa poltrona si sta da Dio!” aveva confidato più volte al suo ragazzo. Si stiracchiò pronto a farsi un pisolino. Erano quasi le dieci. Si addormentò. Poco dopo un sonno molto realistico lo fece eccitare. Non erano fantasie per mancanza di sesso. Stava dormendo e sognava proprio! Nel sogno c’erano Heath e Liam seminudi. Heath abbassava le mutande del suo ex liberandolo da una gravosa erezione. Jake riusciva a percepire l’eccitazione di entrambi senza che essi pronunciassero la benché minima parola.
“Prendilo” lo esortava Heath afferrando il sesso tra le dita e il palmo e avvicinandolo alla sua bocca. Nel momento stesso che Jake si apprestava a succhiarlo di gusto, si scoprì sveglio.
“Cazzo, no! Era una sogno bellissimo” biascicò una volta che fu del tutto sveglio. Doveva finirlo,assolutamente! Chiuse gli occhi. L’eccitazione fisica gli impediva di riprender sonno. Probabilmente la causa del risveglio stesso. Decise di farsi una sega. Non era sua abitudine, anzi... nemmeno ricordava l’ultima volta che aveva praticato l’autoerotismo. Ma ne aveva bisogno, un fottuto bisogno. Con il pene in mano proseguì il sogno.
Jake succhiava ardentemente il sesso di Liam e Heath, a pochi centimetri dal suo volto, guardava colmo di libidine. “Sei bravissimo amore mio, sul serio” Jake s’interrompeva solo per chiedere di essere accarezzato tra le cosce. Heath accettò. Si spalmò del lubrificante sulle dita per cercare la prostata. Fuori dal sogno Jake cercò del lubrificante nel cassetto accanto. A quel punto non aveva senso tornare di sotto, alla sua poltrona prediletta. Si sdraiò sul giaciglio. Usò le dita dentro di sé. Esalò nel raptus dell’eccitazione. “Basta dita, voglio il tuo cazzo” nella fantasia valutò che tanto valeva usarli entrambi. Era davvero la cosa più audace che aveva sperimentato. Conosceva quella sensazione, essere preso da due uomini contemporaneamente. Era successo alcuni anni prima. Due studenti fuori corso l’avevano attirato nella loro stanza fuori dal campus e convinto (non c’era stato molto da insistere) a fare sesso a tre. Con qualche impedimento, alla fine Jake si era adattato. Aveva amato soprattutto la possibilità di soddisfare due maschi nello stesso momento. Soprattutto con la bocca. Specialmente quando avevano iniziato a schizzare all’unisono e si era adoprato per leccare gli umori di entrambi. Anche il momento della doppia penetrazione era stata eccitante. Con Liam e Heath sarebbe stato inconcepibile essendo entrambi superdotati. Ma, se non altro, era possibile nella sua mente. Nell’attimo stesso nel quale diede voce a quella fantasia raggiunse l’orgasmo. Alcune stille di seme lo colpirono sul mento e appena sotto il labbro inferiore. Istintivamente se lo leccò.
Heath rincasò dopo la mezzanotte. Scoprirlo nudo e stravaccato sul letto non lo sorprese. Era sua abitudine dormire senza niente. Ma la crema lubrificante gli suggerì qualcosa. Si chinò per baciargli la clavicola, “Bellezza, hai giocato da solo o sbaglio?” chiese. Jake si mosse un poco. Stava ancora cercando di prendere sonno.
“Indovinato” rispose aprendo gli occhi. Il suo pene era ancora semieretto, “mi sei mancato.”
“Anche tu, sexy” così dicendo il cantante si piegò per catturare le labbra. Riconobbe l’odore e il sapore di sperma. Per qualche secondo ebbe il dubbio che si trattasse di quello di Liam. Un brivido gli percorse la schiena.
“Sei stato a letto con Liam?”
“Perché mi fai questa domanda?”
“Sai di sbobba.”
“Non è di Liam. È il mio, mi sono schizzato in faccia.”
“Volutamente?”
“No ma... non è che mi dispiaccia” sorrise sornione. “Siediti, devo raccontarti il sogno che ho fatto.” Heath obbedì. Alla fine del resoconto restò incredulo fissandolo inquieto.
“Ti sei arrapato, ammettilo.”
“Finiscila, è solo un sogno!”
“Non mi hai risposto...”
“Se anche fosse non ci sarebbe niente di male. Le tue fantasie in proposito sono interessanti ma,
in concrete.”
“Non credo siano così in concrete” affermò pieno di malizia. Gli afferrò l’erezione attraverso i jeans. “Senti qui come sei duro, scoppi! E tu dici che non c’è nulla di concreto?”
“Alt, stai uscendo dal seminato, Jake. Come sempre! Una cosa sono i porno che ti fai con la testa, altro è la realtà.”
“Ammetti però che l’idea di scoparmi con Liam ti eccita?”
“Se si tratta di fantasticarti alle prese con due grossi aggeggi... ok, lo ammetto, mi piace. Mi piace un casino. Ma la realtà è ben altra cosa.”
“Confessalo, non si tratta solo di questo.”
“Che vuoi dire?” Heath stava perdendo il controllo della situazione con Jake che, nel frattempo, aveva preso il mano il suo sesso e giocherellava con la pelle intorno al glande.
“Voglio dire che tu ti sforzi di non ammetterlo ma l’immagine di me con Liam ti prende di brutto. Ti fa arrapare.”
Heath era frastornato. Cosa doveva fare? Provare ad essere sincero? Aveva delle fantasie in proposito e quanto detto dal suo boyfriend era parecchio vicino alla realtà. Per quanto geloso marcio, l’idea di lui fra le braccia del suo ex glielo faceva venire duro seduta stante.
“Un po’ sì, ok, un po’...”
“Un po’ cosa?”
“Non sono masochista, ma è chiaro che... insomma è normale, no?”
“Ecco, ci risiamo: di nuovo con la normalità!”
“Intendo dire che tu sei così sexy e lui è stato il tuo uomo per anni. E c’è tanta affinità tra di voi. Insomma...”
“Parla chiaro, piccolo. Non girarci intorno. Ti eccita l’idea di me con Liam e basta.” Heath non ci stava a far passare quel concetto. Ma era la verità. Una delle motivazione per il quale lo aveva perdonato di essere stato a letto con il suo ragazzo precedente era proprio questa.
“So solo che per me è... non so spiegarlo, insomma: tu e lui fate scintille. Tu sei assolutamente soddisfatto da me ma lo eri anche da lui. Lo sei ancora... insomma, è come se Liam fosse un’esenzione di te ma anche di me, in un certo senso.”
“Sono tutte fantastiche congetture. Ma non si tratta solo di questo” Jake smise di fare una sega a Heath. “Tu, io e Liam, insieme.”
“Cosa?”
“Sto parlando di farlo tutti e tre insieme. Come nella mia fantasia, nel mio sogno. Dio... sarebbe stupendo!”
“Adesso stai esagerando” scandalizzato e stizzito Heath si alzò dal letto.
“Dimmi cosa ne pensi.”
“Senza insultarti? No, questa volta hai passato il segno.”
“Non dirmi che non ti piacerebbe.”
“Puoi giurarci.”
“Che ti piacerebbe?”
“Che gli spaccherei il muso!” proseguì in tono più civile: “Jake, piccolo, forse tu mi trovi un tipo vecchio stampo, ma, fantasie a parte, io non ce la farei a dividerti con nessuno, con il tuo ex specialmente.”
“Perché?”
“Basta, non voglio discutere di questo!” Irritato prese la via della doccia. Jake contò fino a dieci per vincere la tentazione di infilarsi dentro al box con lui e fargli una fellatio coi fiocchi. Ma decise di trattenersi. Probabilmente, restando da solo, Heath avrebbe avuto modo di riflettere sulla questione.


William era incredulo. Come faceva a conoscere il suo nickname? O meglio: l’identità Messenger ereditata da Heath.
“Liam io...”
“Sono hot spot” ammise senza mezzi termini.
“Stai scherzando?”
“Nemmeno per idea.” Iniziò a ridere quasi istericamente. Il direttore d’orchestra lo guardava confuso.
“Ecco perché ti trovavi al Rockefeller center. Eri venuto all’appuntamento!”
“Già, anche tu! Non ci posso credere. È una coincidenza incredibile.”
“Vero.” Anche William rideva.
“C’è solo un problema Will.”
“Sarebbe a dire?”
“Io non credo nelle coincidenze” si alzò a cercare il pacchetto di sigarette nei suoi pantaloni. Un pensiero un po’ sinistro cominciava a farsi largo nella mente dell’affascinante industriale. Se prima di lui a chattare con il nik Victim c’era stato Jake, chi c’era dall’altra parte? William? Improbabile giacché egli aveva ammesso di aver iniziato a chattare dopo la rottura con il suo ex. Dunque dopo che Jake era uscito da casa sua.
Si toccò le meningi nervoso: “Ho la testa che mi sta esplodendo ma voglio capire.” William si mosse felino verso lui.
“Che ti importa? Hai un doppio sogno erotico tra le tue braccia e ti preoccupi? Sono Hot spot, sono William. Sono quello con cui volevi fare l’amore poco fa, ricordi?”
“Non avere dubbi in proposito. Muoio dalla voglia di farti l’amore...”
“Ma il tuo pene sembra pensarla differente.”
“Perché sono inquieto, perché non riesco a riprendere da dove eravamo rimasti se non risolvo la faccenda.”
“Secondo me non c’è molto da risolvere. Si chiama destino. Le nostre strade erano destinate ad incrociarsi e il destino, per essere sicuro che ciò accadesse, ci ha dato ben due possibilità.”
“Molto interessante quest’ipotesi e anche molto romantica. Ma, ti ripeto, sono un tipo razionale io e credo che le cose non succedano quasi mai per caso.”
“Magari questa è proprio l’occasione che ti farà ricredere.” Ma Liam era irrequieto. Continuava a fumare nervoso aspirando poco e buttando fuori corpose boccate.
“William, piccolo. Ti scoccia se ti faccio qualche altra domanda sull’argomento?”
“Se ci tieni tanto... che altro vuoi sapere, detective?”
“Beh, ad esempio: hai sempre chattato tu con quell’identità Messenger. Intendo con il nickname hotspot?”
“In realtà no. Ma non capisco cosa c’entri questo.”
“Credo di aver capito cosa è successo.”
“Sarebbe?”
“Era il tuo ragazzo che chattava con... con il mio ex.”
“Perché il tuo ex chattava con il nik...”
“Sì, Victim for love era una sua invenzione. Credo che si fosse ispirato ad un fumetto o qualcosa del genere. Penso avesse a fare con la sua infanzia. Ti assicuro che Jake, in amore, non è mai stato una vittima” sorrise amaramente.
“Jake... il tuo ex si chiama Jake?”
“Sì e il tuo?” Liam lo vide rabbuiarsi e sbiancare di colpo. “Che succede?”
“Il nuovo fidanzato del mio ex ha mollato il suo uomo per... per andare a vivere con lui. Anche se ci fa ancora sesso...”
“William, che stai biascicando?”
“Il ragazzo del mio ex si chiama Jake, e, soprattutto, cosa che non sembra affatto un caso di omonimia, il suo ex, intendo l’ex di Jake, si chiama Liam... come te.”
“Come si chiama il tuo ragazzo?” chiese nuovamente. Era solo una proforma in quanto Liam aveva bello e capito tutto. Il mosaico sembrava completo, mancava solo una tessera. La quarta tessera, e tutto sarebbe venuto alla luce.
“Heath. Io il mio ex si chiama Heath.”