venerdì 30 gennaio 2009

Un padre e un padre 2

Robert Pange e Padre Julian tornano in altri 3 importanti passaggi di questa storia.
Buona lettura!


Negazione


Padre Donald stava controllando quanto vino fosse rimasto nelle botti. Non era un vero e proprio rito serale ma poco ci mancava. La perpetua se n’era andata dopo aver lavato i piatti e, topi a parte, nella piccola cantina ricavata nel refettorio, non c’era nessuno. Non c’era nessuno in tutta la parrocchia. Se avesse temuto i morti seppelliti sotto la chiesa, con quei tuoni, avrebbe battuto i denti dalla paura. Ma l’unica cosa che temeva il londinese era la fine delle scorte di sigarette e, soprattutto, del whisky. Sentì rientrare il collega dopo il terzo bicchiere. Non era propriamente ubriaco ma non ci mancava poi molto.
“Ma non mi dire, avete di nuovo bevuto!” enunciò stizzito appena varcata la soglia
“Ce ne hai messo di tempo! I bambini di Penge non volevano farti venire via? Con me fanno sempre così”
“No, è che piove tanto. Abbiamo aspettato che spiovesse un po’, perdita di tempo” Padre Julian si andò ad asciugare i capelli con il phon. Si sentiva ancora un po’ scosso. Finito di preparare il pane, l’allegra brigata non ne aveva voluto sapere di lasciarlo andare. In particolare Robert. Avevano mangiato il pane, delle noci, le patate cotte al forno e le caramelle. A fine pasto Robert aveva immerso due mele nello zucchero fuso. Il prete fu sicuro di non aver in vita sua assaggiato qualcosa di altrettanto delizioso. Certo se avesse avuto un po’ più di senno, avrebbe evitato. I suoi denti si sarebbero cariati entro l’anno. Ma come negarsi quell’incanto? Quando l’uomo gli aveva avvicinato alla bocca lo stecchino sul quale era infilzato il pezzetto di mela zuccherosa, non aveva dovuto far altro che schiudere le labbra e lasciarsi andare ad un piacere mai provato.
“Davvero buona da leccarsi i baffi” aveva enunciato raccogliendo con le dita i rimasugli di zucchero ai lati della bocca. Era successo appena un’ora prima. Robert non smetteva di ridere e di sembrare così felice. Se il motivo di tanta felicità era lo zucchero e la farina, beh tanto valeva sacrificarne un po’ per i Penge più spesso. Donald con la sua presenza ingombrante venne a interrompere la processione dei ricordi.
“Hai una faccia buffa stasera e… e anche il modo in cui ti sei vestito è parecchio buffo. Questi pantaloni a coste e questa maglietta rossiccia da dove saltano fuori?” Desolato, Julian si rese conto che doveva rispondere per educazione, ma quanto imbarazzo doverlo ammettere.
“Hai accettato i vestiti di quel bifolco? Non è da te!”
“Non è affatto un bifolco, e mi stupisce che da uno come te esca un epiteto tale”
“Che sarebbe a dire -uno come me-?”
“Lo sai, un prete con idee riformiste”.
“Anticonvenzionali casomai. Sì, lo sono, anticonvenzionale, intendo. E tu invece?”
“Non parliamo di politica. Lo sai che non sono d’accordo praticamente su niente con te” e sotto sotto un pensiero –e poi sei ubriaco, potresti dirne di scemenze-.
“Hai un’aria strana con quella roba addosso. A parte che ti sta larga perché il boscaiolo è il doppio di te tanto d’altezza che di stazza. Ma è quell’aria da ragazzo con la testa tra le nuvole che ti rende diverso. Non te l’ho mai vista, anzi sì e proprio ultimamente, mentre ci guardavi che ci allenavamo”
“Non so di cosa stai parlando, o sparlando… “
“Ah… te no ma io si! Ricordo, dove ho visto quel tipo di ammirazione, e non era certo di fronte alla volta della cappella Sistina. Sì, eravamo a Roma, avevo ancora i capelli del mio colore naturale e andai a un teatro, l’Ambra Jovinelli mi sembra si chiamasse. Beh quei militari avevano la bava alla bocca e gli occhi fuori dalle orbite proprio come te, sembra proprio che il boscaiolo ti faccia lo stesso effetto!”
“Mai sentite tante sciocchezze tutte insieme. Queste accuse ignobili e sconce sono degne di te. Basta, vado a letto” scattò in piedi e sembrò, per qualche decimo di secondo, che dovesse cadere inciampando proprio sull’orlo, o sulla mancanza di tale, dei pantaloni di Robert.
Poteva esistere un essere più rozzo e inopportuno? Come poteva saltargli in mente una cosa simile?
Ma come osa affermare che io possa minimamente provare attrazione per un… per il signor Pange!? Si allontanò dal suo aguzzino tremando.
Arrivò nella sua stanza con il fiatone. E dopo aver riflettuto un attimo, tornò in sé. Donald era ubriaco, probabilmente avrebbe confuso il canto di un canarino con l’ululato di un lupo. E vedeva streghe là dove c’erano solo zucche.
Purtroppo però, mentre si spogliava, non poté trattenersi dall’annusare il maglione che gli aveva prestato il bel vedovo. Emanava un effluvio di boschi che sembrò spargersi in tutta l’angusta stanzetta. Julian fissò per qualche minuto il crocefisso sopra il suo letto e sospirò. Più cercava di non pensare alle scempiaggini del vecchio sacerdote e più gli tornava in mente il volto rilassato di Robert. E poi che aveva da guardarlo in quella maniera? Si conoscevano da tanto ormai, non aveva consacrato il suo matrimonio ma aveva battezzato due dei suoi figli. Era un caro amico, per quanto un uomo può arrivare a essere amico di un prete. Non gli aveva mai dato troppa confidenza. No, Julian non era un uomo che dava confidenza con facilità, tutt’altro.



Presepe e ricordi


Padre Julian passò la notte rigirandosi più volte nel letto. Dopo essersi alzato, si affacciò stancamente a guardare fuori dalla finestrella e controllare se avesse fatto giorno. Si accertò che la notte la faceva ancora da padrona, ma non doveva mancare molto all’alba. Aveva nevicato ininterrottamente dunque un manto di neve alta oltre il metro circondava la piccola cattedrale. Era sabato, e tanto per Julian quanto per Donald non contava più molto domandarsi quanti sarebbero stati coloro che avrebbero presenziato le funzioni. Anche perché l’unico a tenerci veramente era il prete più giovane. Alle sette in punto iniziò la messa. Donald dormiva ancora. Non essendo le stanze di due sacerdoti tanto distanti dalla basilica, era lecito domandarsi se, dato il silenzio, non si sarebbe udito il russare del vecchio ubriacone. Anche se a lamentarsene, sarebbero state solo le due sorelle Mcdowel, la vedova Eylem Sosbil, e due uomini che non aveva mai visto. Finita la prima funzione, si dedicò alle sue piante e gli animali da cortile. Fece colazione. Donald presenziò la messa del pomeriggio che si rivelò la più vivace poiché c’erano i bambini della prima comunione. Volevano mettere su il Presepe con quel poco che avevano. Julian, dal suo osservatorio speciale dietro la navata, notò subito i figli di Pange e si domandò se fossero venuti da soli o li avesse accompagnati il loro papà. E le accuse di Padre Donald tornarono a turbarlo. I bambini avevano in mano delle piccole statuette di legno sicuramente opera del lavoro artigianale del padre. Robert Pange non era solo un competente tagliaboschi, costruiva oggetti di legno che, qualche volta, riusciva a vendere o a barattare con vestiti o cibo.
Padre Julian attese la fine della funzione prima di osservare il lavoro dei ragazzi. Gli oggetti dei piccoli Pange erano deliziosi. Dai dettagli si evinceva la solerzia con la quale l’artista ci aveva lavorato. Erano quasi commoventi e l’emozione che travolse il sacerdote lo avrebbe fatto star male per le successive ore. Di fatti, quella sera Julian non toccò praticamente cibo e stette alla larga da suo collega. Lo implorò di non frequentare la botte come la sera precedente. Gli giunse come risposta uno sberleffo. Tra le quattro mura della sua stanza, dovette tornare a combattere contro i suoi demoni. Non sapeva che volto avessero, che voce avessero, ma ne sentiva la presenza ogni qual volta pensava a Pange. Ed era tremendo perché Julian voleva seriamente avere un amico, per quanto un prete può essere amico di un uomo. E Robert, durante quegli anni, era divenuto uno di quelli più vicini a lui. Perché lasciarsi influenzare da quei pettegolezzi? Da quelle maldicenze. No, probabilmente erano i libri che leggeva, la gente che aveva frequentato in giro per l’Europa, ad aver fatto diventare quel pretaccio ubriacone così malizioso, considerò sconfortato. In un gesto nervoso si aggiustò i capelli. Ripensò alle perle d’acqua che avevano colpito Robert. Era accanto a lui. Così vicino… troppo vicino? Qual era il limite nel quale due uomini dovevano muoversi? E come conoscere quel limite? Come accertarsi di averlo o meno superato? E poi Pange era decisamente attraente, per quanto un uomo non di mondo quale era Julian poteva considerare. Che ne sapeva un prete della vera bellezza? C’erano state delle ragazze, durante l’ultima parte dell’infanzia, che aveva trovato belle. I capelli lunghi raccolti, le labbra color delle pesche mature, i seni alti sotto magliette castigate. Quelle giovani donne gli avevano procurato delle emozioni. Ma non gli aveva dato alcun peso. Era più che normale. L’undicenne, per quanto votato alla vita ecclesiastica, aveva scoperto il sesso da sé come la maggior parte degli adolescenti, e provava attrazione per le giovani donne che vedeva in paese. Era finita la guerra da poco, e, stancamente, gli uomini tornavano a casa. Gli uomini… che buffe creature. Esotiche per di più. L’essere nato in pieno conflitto mondiale lo aveva costretto come la maggior parte dei suoi coetanei, ad ignorare l’aspetto dei maschi nella migliore delle età. Vecchi e ragazzini, erano gli unici del suo sesso che aveva avuto modo di frequentare, e ora, all’improvviso, le strade si ripopolavano di aitanti giovanotti, alcuni biondi altri con i cappelli più scuri, i baffi, la barba. Non ci volle molto che l’adolescente Julian scoprisse più stuzzicanti toraci villosi rispetto ai seni abbarbicati dietro complicati vestiari. Essere a quel punto in seminario fu una benedizione. Gli abiti talari nei quali gli uomini di chiesa celavano le virilità erano quanto di meno erotizzante ci fosse al mondo, almeno secondo i gusti di Julian. Ma troppo spesso capitava, magari durante una passeggiata a piedi, nel percorso tra la diocesi e la vecchia casa dei suoi genitori, di scorgere qualche operaio edile, o quale contadino, per non parlare poi dei tagliaboschi… erano sempre quelli che esponevamo più centimetri di epidermide. A quel ricordo un brivido gli trapassò la schiena. C’era già stato un giovane boscaiolo. Il ragazzotto, poco più grande di lui ma già sposato, veniva spesso a consegnare fascine e dispensare sorrisi, in particolare a lui. Julian era un bel ragazzo, giovane e pieno di fascino involontario, ed era normale che qualcuno puntasse lo sguardo su di lui. Capitava di continuo. E quel giovane sembrava proprio interessato ad -approfondire- la conoscenza. Una volta avevano pure fumato insieme. Per Julian fu la prima e l’ultima volta. Poi successe qualcosa. Una gravidanza interrotta, un’amante che aveva fatto delle dichiarazioni a sua moglie, insomma il ragazzo era stato sostituito da un altro, brutto logicamente. E l’anima di Julian era rimasta pura. Basta! Si disse, basta con i ricordi, con i ricordi di quelle sensazioni tutt’altro che spiacevoli ma, quanto mai, disdicevoli, che rivelavano quanto di vero ci fosse nelle arringhe ubriache di padre Donald. Non era più un ragazzetto di sedici anni, era un uomo, un prete per di più. Con ligi doveri morali da rispettare. E Robert era un parrocchiano come tanti, un padre di famiglia come tanti. Un boscaiolo… che contava se le sue braccia fossero così attraenti e le spalle ampie? Per non parlare poi del sorriso che si allargava sul suo volto, ogni qual volta incontrava il suo… Julian lasciò andare la testa sul cuscino. Di nuovo l’immagine di Pange dopo l’allenamento a torturarlo. Nonostante la temperatura fosse vicina allo zero, si era tolto la maglietta sudata dando sfoggio di una quantità di muscoli. Roba da far sbavare tutta la comunità femminile e una discreta di quella maschile. E la bocca di Julian era rimasta aperta e gli occhi altrettanto spalancati proprio come i commilitoni di Donald durante lo spogliarello nel teatro italiano.


Bocche cucite non fanno danno


Robert Pange non apparteneva a una famiglia di tagliaboschi. Aveva addirittura origini borghesi. I suoi genitori se l’erano vista brutta dopo la guerra, probabilmente a causa delle compagnie sbagliate di suo padre. E c’era stato pure un certo parente che aveva perso dei soldi, parecchio denaro, scommettendo ai cavalli. E così il papà di Robert, per aiutare suo cognato a fuggire dagli usurai, si era ritrovato a fare il macellaio in quel paese anonimo e a tirare la caretta. I figli si erano fatti grandicelli e i vecchi erano morti. Le sorelle di Robert erano tutte emigrate in America, ogni tanto mandavano delle cartoline dalla California oppure delle buste gonfie di foto che ritraevano ossuti ragazzini, bambine lentigginose e tracce del benessere che si erano assicurati. Anche se il giovane Pange, il benessere lo aveva dovuto sempre rincorrere, per un bel periodo lui e sua moglie non avevano tribolato troppo per arrivare a fine mese. Grazie al lavoro duro e al temperamento ostinato, Robert era riuscito a mettere da parte un bel gruzzoletto. Si era costruito da solo la sua casa, ed era riuscito pure ad accaparrarsi durante un’asta, un macchinario per costruire i suoi giocattoli di legno, e tanti altri oggetti. Era l’unico che si era salvato durante la malattia di sua moglie. Aveva venduto parecchi attrezzi ma quello, per miracolo, era stato risparmiato alla razzia. Da quando erano rimasti senza mamma, i bambini dormivano nel letto di loro padre, tranne Dean, ovviamente, che si sentiva già un adulto. I riccioli di Gina riempivano il guanciale un tempo di sua moglie. L’altro bambino stringeva un pupazzo di pezza respirando con difficoltà, era sempre raffreddato. Robert lo spostò di fianco per agevolare il suo sonno. Era ancora presto ma doveva alzarsi. E poi c’erano stati quei sogni a confonderlo, a rattristarlo. Denise, la sua adorata moglie, di nuovo con loro. E poi non più, di nuovo soli. Il profumo del pane. E lo sconosciuto che ogni tanto veniva a bussare alla sua porta… Si alzò per davvero. Accese il fuoco e preparò la colazione. Quando fu sicuro che non nevicasse troppo, uscì a lavorare. Prima di mettere un piede fuori dalla porta, una voce lo bloccò: “Vengo con te papà”
“No, Dean, preferisco che rimani con tuo fratello a casa. Non voglio che restino soli”
“Ma se lavoriamo insieme riusciremo a fare più legna e avremmo più soldi, no?”
“Sei troppo giovane per lavorare”
“Non è vero, nonno diceva sempre che tu a otto anni andavi in macelleria e tiravi su pesantissimi capi di bestiame” era una vecchia storia. Dei tre figli era l’unico ad aver conosciuto il vecchio Pange e considerava il nonno un idolo.
“Non insistere, è troppo freddo. Resterai in casa a badare ai tuoi fratelli. E mi raccomando, prepara a Brian una bella tazza di latte con il miele se ce n’è rimasto , intesi?” il ragazzino fece sì con la testa, deluso. Robert lavorò fino a quando la luce del giorno glielo concesse. Tornò a casa e cenò con i suoi figli. Il giorno appresso fu più o meno identico con la differenza che, verso mezzogiorno, ricevette una visita. La neve sulle piante si scioglieva a stento per merito di un fioco sole.
“Padre Donald, qual buon vento?”
“Qual buon vento? Signor Pange, noi l’aspettavamo per il consueto allenamento. Mancano pochi giorni alla partita”
“Mi dispiace padre, ma io devo lavorare se voglio mettere insieme il pranzo e la cena per i miei figli”.
“Ma lei deve nutrire anche la sua generosità. Io e padre Julian ci teniamo tantissimo che lei tenga alto l’umore della nostra squadra, e poi dove lo troviamo un attaccante di sfondamento come lei? E i suoi geniali colpi di testa”
Robert fece una risata che assomigliava più a una smorfia malinconica.
“A Padre Julian non importa nulla della partita, e non ne fa mistero”
“Perché non si sente coinvolto” a quella frase lo sguardo del tagliaboschi si fece interessato
“Sarebbe a dire?”
“Alla fin fine, per quanto atteggi ad integerrimo uomo di chiesa, è un ragazzo padre Julian, un ragazzo quanto lei. Avete la stessa età se non sbaglio”.
“Mi pare di sì, ma che c’entra questo?”
“Intendo dire che ha voglia di giocare!” uno sghignazzo canzonatorio seguì a ruota l’affermazione di padre Donald. Per quanto avesse da sempre amato il gentil sesso, nonostante la veste che portava, Donald cominciava a intuire il perché quelli come Robert piacessero a -quelli- come Padre Julian e sorrise tra sé malizioso.
“Niente affatto, Padre, Julian non vuole giocare. A lui non interessa. Gli piace dire messa. Pregare e aiutare il prossimo, questo sì. Ma di battere calci d’angolo e segnare goal, no, non gliene importa un fico secco” concluse.
“Ma glielo avete mai chiesto? Avete mai provato ad andare oltre le apparenze?”
“No, in effetti, non glielo ho mai chiesto. Non glielo ho mai chiesto perché credo di intuire già la risposta”
“Ma se glielo chiedete voi, la risposta può essere imprevedibile” Donald si abbassò per controllare se quello che avesse pestato fosse una castagna. Accertato che si trattava solo di un sasso, lo raccolse sorridendo.
“La ringrazia per i fantocci del presepe. È rimasto talmente impressionato”
“Ma è solo dovere”
“No, nient’altro. Non ci dovete niente Mr. Pange”
“Padre Julian è sempre così generoso con la mia famiglia”
Il sacerdote terminò quel dialogo con una frase maliziosa: “E lo sarebbe molto di più se gliene deste la possibilità, credetemi.” Se ne andò inciampando nel fogliame.


Padre Julian aveva da poco terminato l’ultima funzione quando si recò in refettorio. Rose non c’era, anche Donald sembra essersi volatilizzato. Non lo aveva visto per l’intero giorno. Pregò che non si fosse andato a cacciare in qualche storia strana. Era insolitamente affamato. Mangiava poco. Il suo corpo magro non aveva bisogno di troppe calorie per andare avanti. Non fece in tempo ad addentare una mela che fu interrotto.
“Signor… Robert! Che ci fai qui?”
“Mi dispiace essermi introdotto così. Avrei voluto esserci per la funzione ma non ho fatto in tempo”
“Non ha importanza” Julian era imbarazzato. Anche di più del solito. Era solo con Robert, in refettorio. E trovava quella visita così inappropriata, anche se lo rendeva entusiasta. Non è buffo come le cose che ci rendono felici possono essere le più sconvenienti?
“Sono venuto perché avrei necessità di parlarti… ” Julian restò in silenzio.
Se sto zitto non combinerò nessun guaio irrimediabile. Considerò. Pregò che Donald o la signora Rose giungessero all’improvviso. Il corpo dell’uomo era così vicino al suo che poteva sentire l’odore dei suoi capelli…

venerdì 23 gennaio 2009

Un padre e un padre 1

Preti sconvenienti


La luce fioca di quel cielo inglese sembrava immergersi tra le pieghe della modesta parrocchia di Saint Luis come le gambe di un bambino in un metro di neve. In maniera pudica illuminava i posti a sedere dove sedevano alcune vecchie con il rosario in mano. Un po’ di polvere le sormontava. Il tabernacolo, posto al centro dell’altare, anche se modesto e privo di valore artistico, faceva la sua figura.
Padre Donald cincischiò con le chiavi della porta come sempre prima di poter entrare. Quel luogo gli aveva sempre messo soggezione. Veniva da Londra lui, -uno moderno-, lo aveva definito la signora Rose Hemilton, perpetua dei due sacerdoti della Saint Luis. Ma anche le altre donne di Denton, piccolo villaggio dalle parti di Manchester, la pensavano come lei. Era un uomo sulla cinquantina, e se non fosse stato per l’aspetto disordinato e i capelli troppo lunghi, sarebbe potuto apparire anonimo. Aveva la pessima abitudine di leggere qualcosa di diverso dal nuovo e vecchio testamento. Ah, quel vizio di frequentare i libri, anche quelli che si potevano trovare da Parrinton, il vecchio bottegaio dalle parti della stazione. La bottega Parrinton vendeva di tutto: sigari importati, cibi in scatola (una quantità), piccoli e grandi elettrodomestici, e anche le riviste sconce. Qualche donnina succinta in copertina, non la vera pornografia. Dopo tutto siamo negli anni sessanta! Aveva blaterato Parrinton junior per giustificare l’infelice condotta del suo vecchio che le acquistava piuttosto per sé e per gli altri concittadini più prosaici. Quella di debellare certe abitudini come l’uso della pornografia sarebbe stata una battaglia da sposare. Ma per il giovane parroco di Saint Luis, fare battaglie era sconveniente. Un uomo di chiesa ligio come lui, doveva solo occuparsi dell’abito talare, consacrare ostie e celebrare matrimoni e con uguale entusiasmo funerali e battesimi e, con l’avvicinarsi del santo Natale, cercare di recuperare le pecorelle smarrite. Sì, perché da quando era arrivato padre Donald con il suo atteggiamento da scapestrato, e la sua condotta immorale, molti fedeli avevano cambiato parrocchia. Padre Julian ne era addolorato, a dir poco addolorato. Come detto si avvicinava il Natale, il quinto Natale da quando era giunto a Denton.


Padre Donald riuscì finalmente ad aprire la porta. Giunto che fu davanti al refettorio, l’odore di abbacchio lo colpì come lo schiaffo del suo povero padre. Rose aveva di nuovo cucinato lo stufato di agnello che lui detestava. Sembrava farlo di proposito, per provocarlo. Padre Julian, compostamente, attendeva di iniziare. In piedi, accanto al lungo tavolo, aspettava che l’altro prete prendesse posto. “Potevate cominciare senza di me. Miss Hemilton sa che detesto l’abbacchio! Dobbiamo fare sempre tutte queste cerimonie prima di mangiare? Della semplice carne di manzo, o dei fagioli per cambiare. Magari del cavallo…”
“Mi dispiace, reverendo, ma l’abbacchio costa meno e da quando i fedeli più generosi non vengono più, il denaro non mi consente granché.”
“E da quando mettere a morte quei poveri agnellini, è valso il risparmio?”
“Le ripeto: è tutto quello che ho trovato”.
“Ah, non costava di meno. Giacché i soldi che le sono stati dati per fare la spesa sono miei e di Padre Julian potrebbe preservarci dal compare di nuovo l’abbacchio se non è troppo chiedere?” Tetra in volto, la perpetua non rispose. Fuggì in cucina oscillando la testa nervosamente.
Iniziarono il pasto. Di lì a poco a discutere.
“Sono proprio iniziative come la partita a mettere in fuga i parrocchiani. Almeno quelli più restii a certi modernismi.”
“Non vedo cosa c’è di sconveniente in un gruppo di uomini che tirano calci ad un pallone, a Londra ne facevamo una alla settimana”.
“Ma qui non siamo a Londra! Quante volte te l’ho già ripetuto? Denton è un piccolo borgo, è la periferia, è… siamo all’antica!”.
“Mi spieghi cosa c’è di moderno nel giocare a calcio. E poi non faccia finta che non le piaccia. L’ho vista come ci guardava mentre ci allenavamo, moriva dalla voglia di entrare in campo”.
A quella il sacerdote più giovane avvampò, il rossore mise in evidenza gli occhi celesti e la carnagione delicata. “ E su, Julian mio, ammettetelo che vi divertirebbe dare quattro calci ad un pallone. Siete giovane, avete la metà dei miei anni e le vostre labbra non hanno mai toccato una sigaretta, e tante tante altre cose… potreste dare la pista a tanti di quei nostri uomini”.
“Una partita contro quelli della parrocchia di Saint Michel, mi sembra fuori luogo”.
“State dicendo che la beneficenza è fuori luogo?”
“Beneficenza?” Julian apparve sorpreso. Il suo volto non era più rosso ma le mani continuavano a torturare l’abito talare come uno studente durante un difficile esame. Era nervoso, molto nervoso.
“Useremo il campo della High school e faremo una colletta a favore degli orfani di guerra”.
“Padre Donald: la guerra è finita oltre vent’anni fa”, a quella frase fece seguire un sospiro di sconforto.
“Ma gli orfani sono sempre più poveri, c’è poco lavoro e qualcuno dovrà pensare a quei poveri bambini… intendo i figli degli orfani”.
“I nipoti degli orfani di guerra. No, no. No! Non è una buona idea. E sapete perché non lo è? Per via della vostra condotta. I nostri parrocchiani, quei pochi che ci restano, penseranno che coi loro soldi andrete a bere whisky, comprerete libri osceni, o, peggio, li userete per andare con le prostitute”.
“Ancora con quella storia? Quella poveretta aveva bisogno di un pasto caldo e di un letto dove dormire, il suo magnaccia l’aveva picchiata e a noi non restava che…”.
“Ma una prostituta in una diocesi! Ma vi rendete conto? E poi ci lamentiamo che tutti pensano male di noi?”.
“Di me, casomai, di te che hanno da lamentarsi? Siete il più ligio servo di Dio dell’Inghilterra tutta”.
“Io faccio solo il prete, ” a queste parole, sul suo volto calò un velo di sconforto. Come gli sembravano lontani i bei tempi in cui c’era il vecchio Padre Andrew ed era tutto tranquillo. Lo sfacelo era cominciato dopo l’arrivo di padre Donald. Libri sul comunismo, riviste straniere, prostitute, sbronze libere. E fumo. Dove sarebbero andati a finire?
“Pensavo che se la raccolta fondi riesce bene si potrebbe dare una mano pure a qualche parrocchiano. Pensavo a quel povero tagliaboschi, rimasto vedovo con tre bocche da sfamare e nessun penny in tasca. Il vostro amico.”
“Il signor Pange”.
“Sì, Robert Pange. È una brava persona. Si fa in quattro per i suoi marmocchi. Siete d’accordo almeno in questo” il giovane prete fece di sì con la testa. Era stato appena il giorno prima a trovare quel ragazzone sfortunato e buono. Povero Robert. Con l’arrivo dell’inverno, le sue mani erano consumate a forza di spaccare legna. La gente aveva bisogno di combustibile per il camino ma gli affari non erano buoni. Perché molti non avevano di ché pagare e Robert, che era un uomo di poche pretese, faceva credito a tutti, con il rischio di non riuscire a dar da mangiare ai propri figli.
“Ieri era davvero giù, ricorreva l’anniversario della morte della moglie” si pentì per quella rivelazione. Padre Donald faceva sempre battute di pessimo gusto sul fatto che, alla fine, tutte le settimane, facesse visita ai Pange. E in quel momento non voleva sentire chiacchiere. Quello di Julian era un interesse dettato dalla sua professione e, naturalmente, dal suo credo. Dopotutto era scontato che un sacerdote si occupasse dei parrocchiani più in difficoltà. Ma nella testa di Julian si insinuò il dubbio fin troppo radicato che ci fosse dell’altro. Ripensò all’allenamento, al volto dell’uomo finalmente rilassato. Sorridente, addirittura. Se la partita di beneficenza aveva quegli effetti nel parrocchiano che risultava il più delle volte taciturno e discreto, beh bastava quello per dare ragione a padre Donald. Un –quasi- sorriso, fece la comparsa sul volto del giovane prelato.
“Wow Padre Julian sta sorridendo! Che mi venga un colpo! Sono le conseguenze dell’abbacchio o forse vi state abituando all’idea di avermi qui?”.
“Nell’una nell’altra ipotesi. Piuttosto, fai tu messa oggi pomeriggio. Farò delle visite ai parrocchiani”, fece sapere senza ammettere che andava da Pange.
“Vai da Pange chiaro! Fai bene. Quando ci vado io non è tanto contento come quando vede te. E quando ci vado io mi chiede sempre -perché non è venuto Julian?-sta forse male?- Si preoccupa per te, parecchio dico. Si vede che ci tiene, dunque conviene che ci vada tu, no?” aggiunse ironico: “solo per lui sei miglio di me, i suoi ragazzi mi adorano!”
“Bambini, creature innocenti” Julian provò a smorzare l’imbarazzo dell’essere stato preso in castagna con una battuta. Si rattristò e si sentì patetico. Gli tornò alla mente Denise, a quando le aveva dato l’estrema unzione. E Robert si era attaccato al suo braccio piangendo. A quel punto, Julian non aveva potuto fare a meno di farsi abbracciare. Era inusuale per lui, così poco portato ai contatti fisici. Avevano pianto insieme, per Denise e per quelle tre creature che dovevano dire addio per sempre alla loro madre. Era successo un anno e un giorno prima, a Julian non sembrava così tanto. E non era un mistero che Robert Penge fosse tra i parrocchiani al quale era maggiormente legato.



Una pioggia d’imbarazzo


I ragazzi entrarono in casa correndo e ridendo come sempre. La più piccolina, Gina, la principessa di casa, teneva in mano un misero mazzetto di fiori di campo scovati chissà dove sotto la neve ancora non alta ma che cominciava a farsi sentire. Erano già tre giorni che, tra una bufera e un vigliacco raggio di sole, nevicava. “Dove le hai prese, sono bellissime” suo padre le venne incontro con dolcezza. La prese in braccio.
“Le ho trovate sotto quell’albero grande grande davanti alla casa dei Wolf”.
“Fino a laggiù siete stati. Dean, quante volte te lo devo dire che non dovete allontanarvi da casa?”.
Dean era il maggiore dei figli di Penge. Aveva solo nove anni. Poi c’era Brian, e per ultima la piccola Gina, che era identica alla madre, se si escludevano gli occhi scuri. Dean ignorò il rimprovero e ricominciò a lagnarsi per la fame. Erano mesi che Robert Pange non riusciva a raccapezzare un pasto decente. Eppure lavora come un matto. I muscoli delle braccia scoppiavano sotto la maglietta. Era affamato pure lui. “Domani andremo a caccia di lepri e cercheremo le castagne”.
“Facciamo il pane, papino?” implorò la ragazzina mentre rovistava sotto la maglietta del padre
“Stasera non ho la farina tesoro mio, però possiamo fare un bel fuoco, la legna non manca. Ma senti che manine fredde ha la mia principessa. Brava tesoro, scaldale sotto il maglione di papà”.
“Lo so, me lo dici sempre!” rispose. L’altro figlio si mise a trafficare con i giocattoli di legno intagliato che gli aveva costruito suo padre. Niente a che vedere con quelli che avevano alcuni suoi coetanei. Giocattoli di plastica degni dell’epoca. Ma il loro padre non poteva permetterseli. Aveva trovato a malapena il denaro per acquistare delle scarpe per di più usate. Non erano mai stati ricchi ma erano state le lunghe e costose cure alla quale si era sottoposta la defunta moglie a prosciugare tutti i risparmi. E pensare che era stata proprio lei la prima a chiedere al marito di lasciar stare. La degenza a Londra, gli specialisti. Nessuno sapeva spiegarsi il perché, a una donna così bella e giovane, il destino avesse riservato una fine tanto triste, dolorosa e precoce. Ai Penge per giunta, cattolici fino al midollo. Ora a Robert rimaneva solo la fede, affidarsi a lei per trovare un po’ di pace, e, soprattutto, la forza di andare avanti.


Julian salì sul sellino della sua bici e subito una folata di vento gelido lo colpì. La sacca che pendeva da una parte conteneva della farina, un po’ di zucchero e delle caramelle. Aveva rinunciato all’abito in favore di un pantalone di flanella. Alcuni prelati trovavano semplice andare in bicicletta con il vestito, a lui non piaceva. Aveva più volte la sensazione che gli angoli del vestito finissero tra i raggi. Il pantalone, durante le passeggiate in bicicletta, era l’unica trasgressione che si consentiva, almeno era quello il pensiero di Padre Donald. Un altro motivo di riserbo era la bellezza. Già, così fuori luogo che un sacerdote fosse tanto attraente. E questo li rendeva ancora più diversi poiché il londinese, oltre a non essere più un giovanotto, non era affatto bello. Affascinate, forse, per chi ha simpatia per gli uomini con la pancia, il vizio del bere e i capelli arruffati tagliati male. I capelli di Julian invece erano corti e biondi come il grano avvizzito. Le palpebre, sulle quali spiccavano le ciglia chiare, coprivano e svelavano occhi semplicemente magnifici. Julian per primo diffidava del suo aspetto fisico. Non bastava che le sue parrocchiane facessero gli occhi dolci, anche molti uomini davano per scontate -certe faccende-, soprattutto se si trattava di sacerdoti. Situazioni compromettenti che Julian smorzava all’istante come un pompiere avrebbe fatto con un incendio.
Pedalò più veloce sperando di precedere la bufera. I nuvoloni scuri si avvicinavano minacciosi a Danton verso Est. Ecco, l’ultima salita e ci sono. Considerò ingenuamente. Appena un minuto prima che casa Pange fosse a favore di visuale, iniziò a piovere che Dio la manda.
Il bussare insistente mise tutti sull’attenti. Robert stava cercando qualcosa di commestibile tra le patate ammuffite.
“Padre Julian lei è… è annaffiatissimo!” strillò Gina che si era precipitata ad aprire sperando che fosse quel mattacchione di Padre Donald. Lui la faceva sempre ridere e fare vola vola meglio di suo padre. La faceva volare per davvero.
“Sì, si può dire che l’ho presa tutta quella che c’era da prendere” Robert lo guardò con calore
“Padre Julian io… ”
“Posso avvicinarmi al fuoco?”
“Scaldati pure, ci mancherebbe” così dicendo lo raggiunse. Gli tolse il soprabito
“Ma stai tremando!”.
L’altro si strinse le braccia al petto, “Lo so, mi beccherò un bel raffreddore, ci mancava pure questo” sospirò. Con un gesto rapido mosse la testa. Alcune gocce di pioggia colpirono il padrone di casa
“Scusami” iabbassò il capo timidamente.
“Non fa niente, sei bagnato di brutto”
“Già”.
“Sarebbe meglio te li togliessi, o l’umidità ti marcirà le ossa”.
“No, no, sarebbe sconveniente” era tornato ad arrossire come una quindicenne al suo primo ballo
“Non ci sono donne qui, salvo che i tuoi timori siano per Gina”. Ma Julian aveva un pudore che gli impediva di spogliarsi mal volentieri persino quando era da solo!
“Un po’ di umidità non mi ucciderà” Robert non volle sentire altre scuse. Gli strappò letteralmente la camicia seguita dal maglione facendolo passare attraverso la testa. I bambini trovarono divertenti i tentativi del sacerdote di sottrarsi al trattamento e, per una volta, furono felici che ci fosse lui e non Padre Donald. Robert porse un paio di pantaloni da caccia e un maglione il cui colore gli ricordò le more selvatiche. Per rompere l’imbarazzo ancora persistente, sebbene fosse di nuovo presentabile, Julian prese la sacca e tirò fuori il contenuto.
“Caspita, ti sei beccato l’acquazzone per farci la carità. Non c’è che dire prete, ti sono in debito!”.
“Non mi chiamare prete, ti fa sembrare così rozzo.” Julian sorrise guardandolo di sottecchi. Gli piaceva stuzzicarlo di tanto in tanto, ma il più delle volte era così intimidito da lui che era difficile anche la minima conversazione.
“Padre Julian, meglio?”
“Molto meglio”
“Ti fermi a mangiare con noi? Anche se dubito che ti sazierai, vecchie patate a parte, non ho un accidente”
A quella Gina tornò all’attacco: “Facciamo il pane! Padre Julian ha portato la farina, ora possiamo fare il pane!” anche il resto della ciurma sembrò pensarla come lei. I bambini avevano fame, e voglia di pasticciare.
Si misero al lavoro sotto l’occhio vigile di Julian che fece un sospiro ogni qual volta, sorprendeva il padrone di casa guardarlo. Sospirò parecchio.

Io con un uomo mai, Capitoli 1-2


AUTORE: giusipoo
STORYLINE: ambientato in una stagione futura
SPOILERS: nessuno
PROTAGONISTI E PAIRING: Booth, Ian Emmerich, Bones
INTERPRETI: quelli della serie originale
RATING: adulti per i temi trattati
Nei capitoli futuri sarà specificato quando è NC17 o contenuti slash (situazioni erotiche tra persone dello stesso sesso adulte e consenzienti)
DISCLAIMER: I personaggi citati in questa fanfic non sono frutto della mia fantasia (tranne alcuni) ma dei bravi autori che ci regalano la serie "Bones"


Capitolo uno


I rami degli abeti si muovevano sospinti dal vento. Sembrava che da un momento all’altro sarebbero piovuti sulle teste della persone stipate attorno al feretro. Il rumoreggiare insistente annunciò l’arrivo della moglie del defunto pronta per esprimere a parole tutta la rabbia che teneva racchiusa.
Suo marito, il capitano Brian Osbron, era stato ucciso, fatto a fette e poi centrifugato. L’assassino o gli assassini, non si era ancora sicuri del numero, e di tante altre cosette, avevano assicurato stessa sorte a resto del dipartimento che indagava su di lui. Sul temibile killer della centrifuga, soprannome che si era guadagnato per come riduceva le sue vittime. Nessuno doveva frapporsi tra lui e il suo disegno, tra lui e le future vittime, per lo più madri di famiglia che compievano più volte al giorno il tragitto casa-scuola-lavoro.
La neve, fregandosene, cadeva leggera e regolare.
La donna sospirò pesantemente, prima di avvicinare le labbra al microfono e ringraziare i presenti. L’appello che fece fu accalorato, commosso, sentito. I fazzoletti si sprecavano come i commenti: aveva solo quarantasei anni, è un eroe, poteva stare più attento.
Solo l’agente speciale Seeley Booth pensava ad altro. Tutt’altro.
Io con un uomo, mai…
Io con un uomo, mai…
Io con un uomo, mai…
Lo sguardo celato dietro gli occhiali da sole, viso corrucciato e le labbra increspate in un moto di incredulo stupore, lasciavano intuire quanto fosse dispiaciuto per la sorte toccata al suo capitano. E lo era davvero, ovvio. Ma non si poteva negare che tra le sue priorità, oltre a catturare lo spietato serial killer, c’era pure dell’altro… tutti i suoi dubbi si fecero carne e vestiti chiedendo spazio tra la folla. In ritardo, come sempre, il Profiler prese posto una fila dietro a quella di Booth. L’agente federale lo fulminò con gli occhi. La causa dei suoi dissapori interiori gli sorrise manco si trovassero ad un concerto pop. Era già tanto.
Ian Emmerich, matto com’era, poteva pure allungare platealmente la mano e farsi scappare un
-ciao- ad alta voce. È matto come un cavallo. Pensò Booth… sì che lo era, o forse no, era solo un cordiale e simpatico buontempone, o uno psicopatico asociale, come lo aveva definito Temperance Brennan. Era gelosa di lui, per quanto una donna immagine di compostezza e raziocinio possa essere gelosa di qualcuno. E se c’era una cosa che Booth non poteva tollerare di quella situazione, era che lei, Bones, sapesse.
S’udì un uccello sollevarsi in volo. Il piumaggio brillò colpito dal luccicore dei fiocchi di neve. Emmerich ne fu affascinato.
Finito il sermone della vedova, giunsero i commenti del capo della polizia.
La bara di un pesante legno scuro, fu calata nella buca preposta tra il saluto dei partecipanti.
Alla spicciolata la gente prese posto nelle rispettive auto. Da prassi, Emmerich avvicinò il suo collega preferito,“Non trovi sia ridicolo sotterrare una bara vuota?” Temperance, poco distante, rispose al posto dell’uomo. “Sei peggio dei bambini, non capisci mai quando è il momento di stare zitto?”
“Ho solo detto la mia, zucchero”
“Non chiamarmi così, e poi ti sei accorto che hai la camicia macchiata?” no, non se n’era accorto, era la risposta. Aveva fatto colazione di fretta, dopo una notte passata al computer, si era addormentato, e quando si era svegliato era già tanto tardi. Ma aveva fame e così prima si era vestito (scelta infelice) poi si era preparato due uova al prosciutto.
Intervenne Booth,“Non essere severa Bones. Quella macchia non si vede neppure, io non me ne ero accorto” la donna sbuffò. La solita storia, fa finta di detestarlo e poi lo difende sempre.
“Te ne rendi almeno conto?” gli sbuffò una volta che furono soli nell’auto del poliziotto. Booth l’era passata a prendere quella mattina.
“Di che cosa?”
“Che lo difendi sempre! Sembri quasi contento che ci abbiano affibbiato uno studente sociopatico affinché ci aiutasse a stanare il killer della centrifuga”
“Me lo hanno affibbiato casomai”
“Il tuo partner” sibilò irritata.
“E già, volevi restare sempre e per sempre tu la mia unica partner, vero? Bones, tu sei gelosa, sì sei proprio gelosa marcia!” Booth non conosceva questo lato di lei. Da quando c’era Ian Emmerich, quel bel bocconcino di Ian Emmerich, così lo avrebbe definito Angela Montenegro, tra l’inossidabile coppia, qualcosa era cambiato. La donna era cambiata. Era diventata una donna, per l’appunto, piena di alti e bassi e di dubbi. A Booth non dispiaceva la nuova Bones, un po’ meno interessata alle sue dannate ossa, un po’ più all’indagine, a come tenersi stretto il suo Booth in un certo senso. Era ammirabile che si preoccupasse di lui. L’agente le voleva bene, indubbiamente era attratto da lei. Ma da un po’ di tempo a questa parte… no no no.
Io con un uomo, mai…
Io con un uomo, mai…
Io con un uomo, mai…
Di nuovo quella litania a farla da padrona.


“Secondo te è gay?” le aveva chiesto Angela sbrigativamente.
“Non sono io la Profiler, non dovresti chiederlo a me”
“Ma tu lo hai notato che… insomma con Booth è un po’…”
“Pesante?”
“Ecco sì, pesante è la parola giusta. Oddio sarebbe davvero un gran spreco. È così carino…”
“Dio Angela, falla finita. Non è niente di speciale. Ha solo gli occhi celesti che… sì l’antropologia moderna definisce attraenti in quanto di un colore più raro rispetto alle possibili alternative. Ma da qui ad essere definito attraente ce ne passa” Temperance mise fine al dialogo per rispondere ad una telefonata di Booth.
“Che c’è?”
“Ne hanno fatto fuori un altra”
“Perché io?”
“Lo sai o no di chi stiamo parlando, dai” Booth le rispose con tono scocciato. Si trattava dell’ottava vittima del killer della centrifuga. E nessuna di quelle persone era stata riconoscibile dopo il trattamento subito da quell’essere abbietto. Se c’era qualche frammento di ossa da studiare era già molto. E più Brennan avrebbe voluto restarne fuori, più l’assassino la tirava dentro.
La scena del crimine era protetta dai picchetti. “Stessa procedura, prima le rapisce, poi le porta nel suo covo e quel che ne resta lo getta”
“Questa volta ha lasciato qualcosa… la donna era incinta” Temperance indicò la parte interessata. Booth non riuscì a trattenere un espressione di disgusto. Tra quei resti c’era un feto, o quel che ne restava.
“Per un padre deve essere difficile guardare uno scempio del genere” si udì la voce di Ian a pochi passi da loro.
“Ora anche la scena del crimine? Non dovresti essere in una stanza piena di criminologi a scrivere su di una lavagnetta?”
“E perdermi le sue dissertazioni, dottoressa Brennan, mai e poi mai” così dicendo appoggiò la mano sulla spalla di Seeley Booth. La donna non riuscì a trattenere lo sguardo incredulo. Un gesto tanto cameratesco? Che fa tanto buddy-buddy? Booth tossicchiò imbarazzato ma si vide bene dallo scansarsi.
“E dopo lo spettacolino splatter andate a bere una bella birra ghiacciata?”
“Tu che ne dici maschione? Si può fare?”
“Ehm io… cioè… ”
“E lei dottoressa, fa il puzzle con i suoi ossicini o si unisce a noi?”
“Scherziamo? Io rovinare la vostra seratina speciale tra uomini? Anzi tra agenti dell’FBI tutto succo?” ironia, ironia, ironia…
“Davvero Emmerich, non so se mi va” la mano passò dalla spalla al braccio con tutta l’intenzione di essere, brutale ma a tutti gli effetti, una carezza. Avvicinò il volto di parecchio a quello del collega
“Dai Booth, non farti pregare” come risposta abbassò lo sguardo che cadde di nuovo sul cadavere o su quello che ne restava.
“Però non parliamo di questo”
“E nemmeno della signorina Brennan” concluse Ian facendo adirare nuovamente la scienziata che li vide allontanarsi furtivamente.



Capitolo due


“È cotta di te”
“Finiscila”
“È assolutamente, ossessionatamente, stracotta di te”
“Ma non si era detto di non parlare né di lavoro né di Bones?” Il locale che avevano scelto era fumoso e pieno, non proprio il posto ideale dove scambiare quattro chiacchiere. Il sottofondo musicale dei Nirvana con Rape me, rendeva l’atmosfera vagamente erotica. Tutto era vagamente erotico quando c’era di mezzo Ian Emmerich. Da come piegava la testa da una parte quando pronunciava qualche amenità, al modo in cui si succhiava il labbro inferiore per poi lasciarlo andare con uno schiocco. Per non parlare di quando si leccava le dita imbrattate del burro dei popcorn… un dannato bel bocconcino, Angela Montenegro restava di quell’idea. E chissà che avrebbero dato, lei e altre cento impiegate del Jeffersonian per essere al suo posto in quel bar. Al posto di entrambi. Rape me fu sostituita dalla ancor più vecchia Flesh for fantasy, evidentemente quel pub prediligeva il vintage.
“Non è fantastica?
faccia a faccia
schiena a schiena
senti e vedi
il mio assalto sessuale
cantalo,
carne, carne per la fantasia
gridiamo” Ian canticchiò l’aria della canzone con lo sguardo fisso al suo interlocutore. Pieno di sottintesi nemmeno tanto sottintesi.
Io con un uomo, mai
Io con un uomo, ma
Io con un uomo, ma pezzo di cretino, hai capito? Tu con un uomo mai, ho detto!

Dopo il terzo bicchiere le idee dell’agente Booth si fecero meno pesanti e più ardite,
“Dunque tu pensi che se ci provassi, intendo, chiedendole di uscire, lei ci starebbe?”
“Stiamo sempre parlando dell’antropologa forense nonché scrittrice di best seller?”
“E chi altro sennò?”
“Mmm”
“Che vuol dire: mmm?”
“Vuol dire… mmm, una buona scopata”
“Cosa te lo fa pensare?”
Ian sorrise malizioso,“Sono un Profiler, se te lo dicessi…”
“Ok, ok non lo voglio sapere, o meglio, lo scoprirò da me”
“Però poi non venirmi a raccontare come è andata” a quella il piglio del ragazzo si fece finto serio.
“Tranquillo, non sono uno stupido fanfarone. Però adesso me lo dici: perché pensi che sarà una bella scopata?”
“Siete attratti l’uno dall’altra. C’è una chimica speciale tra voi. Fortissima. Quando tra due esseri umani c’è una chimica così, è scontato che prima o poi qualcosa succede” stava ancora parlando di lui e Brennan?
“Scusa io… non avrei dovuto farti questa domanda…”
“Non ti preoccupare”
“No, è che non vorrei che pensassi…”
“Che vuoi farmi ingelosire?”
“No, no, no” invece era proprio si si si! “Volevo dire… che sono quel tipo di persona. Insomma che chiede consigli sul sesso, sull’amore ecc ecc”
“Dolcezza, non c’è niente di male a chiedere consigli”
“Infatti…”
“Tranquillo. Fattela pure, non sono geloso, magari un tantino invidioso ma è la vita. La prossima volta rinasco donna e io e te ci facciamo le scopate più memorabili della storia” a questo punto Booth, nonostante la leggera sbronza, era davvero troppo a disagio.
“Ti ho fatto arrossire, mi dispiace!”
“E perché questa volta ti dispiace? Non fai altro che mettermi in imbarazzo. Ci provi gusto”
“Hai ragione, non mi dispiace affatto. Anzi, con il colorito più acceso sei ancora più sexy, maschione”
“Finiscila” Ian fece gli occhi dolci. Poco dopo lasciarono il locale.
Camminarono fianco a fianco fino a giungere accanto alle rispettive auto. Booth non era tanto sicuro di farcela a guidare ma chiedere un passaggio a Emmerich era sconveniente, in quanto il suddetto non nascondeva affatto l’attrazione che provava per lui.
Ma che cazzo me ne frega? Io con un uomo, mai, giusto?
“Se lascio la macchina qui, e ti chiedo un passaggio, tu, da bravo Profiler penserai che è un modo implicito di provaci?” il biondino si avvicinò con fare minaccioso. Quando fu ad un soffio da lui parlò: “Hai fatto tutto da solo”
“Dico sul serio”
“Sta tranquillo. Mi hanno già rifatto il naso due volte, non credo che una terza mi gioverebbe”.
Per la prima volta Booth notò effettivamente una leggera cicatrice al centro del naso di Emmerich.
“Non ti picchierei”
“Allora cosa?”
“Solo che non voglio che tu usi quelle tecniche del cavolo. Sai di cosa parlo: ipnosi, manipolazione”
“Quello non me lo hanno insegnato all’FBI, lo facevo anche con mia nonna quando la volevo costringere a comprarmi un regalo”
“La casa di Barbie?”
“Veramente giocavo con le pistole” ebbe un ripensamento subitaneo e aggiunse: “Tu che ne sai della casa di Barbie?”
“Ecco lo vedi, lo stai facendo!”
“Cosa?”
“Insinuarmi una specie di dubbio. Io non lo sono, cazzo Ian, quante volte te lo devo ripetere: IO NON SONO GAY! Tutt’altro. Se cerchi qualcuno che ti fotta vai in quel tipo di bar, o in discoteca, insomma dove ci sono quelli come te”
“Prima di tutto non sono gay ma esteta. E indubbiamente tu sei un gran pezzo d’uomo. E poi casomai sto cercando qualcuno da fottere”
“Frena frena, piuttosto faccio colazione con i resti di quella povera donna”
“Piuttosto che congiungerti carnalmente con moi?”
“Mi accompagni o no?”
“Ma certo, stallone. Sali”.


Booth provava dei sentimenti profondi per Bones, la sua dottoressa degli orrori. Erano sempre stati attratti l’uno dell’altra, lo sentiva nel suo profondo che anche lei provava qualcosa per lui, qualcosa che tentava in tutti i modi di celare dietro la facciata della scienziata razionale e integerrima. Mille e più volte aveva dovuto usare tutto il suo autocontrollo per non baciarla, per non confessarle quello che gli suscitavano i suoi occhi chiari e espressivi, così simili a quelli di una bambina troppo intelligente ma ingenua. Era proprio la sua ingenuità, quel candore che la rendeva simile ad un’adolescente ancora troppo acerba per prendere decisioni da donna che contrastava nettamente con l’antropologa forense (un mestiere che mette paura solo a pensarlo) ad attirarlo di più e anche la possibilità di poter trovare un caldo cuoricino di donna dietro a quell’apparente cumolo di ghiaccio che pareva attanagliare il suo cuore. Ecco perché Booth aveva deciso di provarci con lei… almeno era quello che sperava. Eppure c’era un piccolo, minuscolo tarlo nel cervello che gli suggeriva di provarci con lei per contrastare qualcos’altro… Ian Emmerich. Come non sentirsi l’animo in disordine dopo una serata come quella? Forse esisteva una cura per quello che provava o che pensava di provare. Forse E poi era cattolico lui, conosceva i salmi a memoria, andava regolarmente in chiesa. Come poteva provare attrazione per un uomo? Ma dopo le decine di provocazioni che si erano perpetuate anche durante il tragitto a casa, l’agente non era riuscito a liberarsi dell’immagine di Ian. Era dannatamente difficile addormentarsi dopo una serata come quella… e Bones lo aveva capito, lo temeva o meglio: lo sapeva. Era questo aspetto che lo spaventava di più. No, non dovevano esserci dubbi. Se non avesse e alla svelta chiarito i sentimenti che l’attiravano verso di lei avrebbe perso per sempre la possibilità di farsi amare dalla donna che gli era stata più vicino. Che gli aveva toccato nel profondo le corde del cuore. La madre di suo figlio in confronto era una specie di avventura da bar!
Quella mattina si svegliò con la certezza che la sua decisione avrebbe confutato i suoi dubbi. I suoi e quelli di lei. Dopo tutto erano stati per anni una squadra, lo erano tutt’ora. Ma non c’era scritto da nessuna parte che non potessero provare ad amarsi. E se lei non ne avesse voluto sapere? Se si fosse trincerata dietro un atteggiamento cinico e sprezzante? Non era da lei ma… chissà forse me lo merito. Meditò, subito dopo un’altra considerazione. Sesso. Solo sesso. Una bella scopata. Una scopata grandiosa, come con il suo –mmm- aveva sottinteso il Profiler. Ed ecco che stava di nuovo pensando a lui. No, non doveva mettere i pensieri su Bones e sul sesso con Bones sulla stessa riga di Emmerich. Se lo giurò guardandosi allo specchio. Doveva farsi la barba. Una volta che le guance furono meno virili cercò di non pensare. Di non pensare a niente.