venerdì 29 maggio 2009

Bordeline, capitolo 7


Capitolo 7

William sgusciò fuori da un intricato intreccio di lenzuola. Heath era rimasto nel suo letto, dormiva dandogli le spalle. Si stirò osservando sorridente il suo ragazzo. Quella notte avevano fatto l’amore e ora si sentiva rilassato, pronto per intraprendere una nuova giornata.
Una volta completamente sveglio si diresse in bagno dove soggiornò per oltre mezz’ora. Decise di non mangiare nulla. Alle dieci aveva lezione di tai chi. Preferiva godersi un bel manicaretto dopo lo sport. Alle nove e mezzo si svegliò anche Heath. Sorprese il suo boyfriend sorseggiare un caffè lungo con aria assonnata.
“Dormito bene, amore?” domandò baciando la fronte con tenerezza.
“Ogni tanto scalci ma non mi posso lamentare” rispose il cantante sorridendo.
“Ecco uno dei motivi per il quale sono costretto a dormire da solo. Russo a volte, colpa del setto nasale deviato. E ho la pessima abitudine di muovermi di continuo.”
“Già.”
“È pur vero che i miei spostamenti notturni favoriscono il buon proseguimento della vita sessuale dei miei partner.”
“Uhm... questo non vuol dire nulla! Saresti eccitante anche se dormissi immobile come una statua” lo cinse per la vita e lo fece accomodare sulle sue ginocchia. Si staccarono dopo un lunghissimo bacio.
Granbaciatore... gran baciatore e gran scopatore.”
“Non vivrei senza di te” sussurrò Heath cambiando di netto il tono della conversazione.
Improvvisamente si sentì un gran bugiardo. Non che mentisse, era vero quello che provava! Una vita senza William non era degna di essere vissuta. Uno schifo, il fallimento completo. Ma era un traditore. I capelli che Will baciava erano stati baciati da Jake... la pelle tutta sulla quale posava le labbra era stata come consumata dall’altro. Ogni particella del suo essere era stata contaminata. Se ora non riusciva più a godersi appieno le pomiciate mattutine con il suo fantastico uomo vestito di tutto punto e pronto per uscire non era forse arrivato il momento di dare un taglio a tutta quella storia?
Un brivido lo percorse.
Perdere Jake... perdere Jake... non posso perdere Jake! Perché una perla rara non si butta. Un forziere con dentro un tesoro non lo si getta in balia delle onde. No! Avrebbe dovuto continuare la doppia vita, almeno per un po’.
Prima di uscire, William lesse un messaggio dal suo Blackberry. “Siamo invitati ad un grande festa danzante venerdì sera.”
“Che palle... ”
“Scherzi? È un galà di beneficenza. Ci sarà pure il sindaco. Dovrò comprarti un vestito adeguato Heath, l’ultima volta che sei uscito sembravi un figlio dei fiori.”
“In un certo senso è quello che sono.”
“Un bell’abito di Calvin Kline ti serve. Te lo comprerò io. Non baderò a spese.”
“Vuoi sfoggiarmi?”
“Forse” di rimando l’altro sorrise mentre lo vedeva sparire fuori dalla porta.


Dopo due parti cesarei e un raschiamento Jake uscì dalla sala operatoria. Era stanco e aveva bisogno di mandare giù un boccone. Accettò l’invito a pranzo di un collega. Ridacchiò con lui sparlando di diretto superiore. Il giovane uomo si complimentò per il suo aspetto.
“Ultimamente sembri rinvigorito. Cosa c’è di nuovo?”
Il bel ginecologo rispose sogghignando sensuale. Pensò a Heath. Intensamente. E tutto si tingeva di rosa quando pensava a lui.
“Sono innamorato perso... ”
“Caspita, tu e Liam siete ancora così... così attaccati! Coppie eterosessuali con figli non sono unite come voi due.”
“Magari è proprio colpa dei figli” ironizzò l’altra facendo l’occhiolino. Questo gli fece tornare alla mente il desiderio di paternità del suo compagno. A Jake piacevano i bambini ma non ne voleva. Nemmeno se fosse stato etero fino al midollo sarebbe diventato padre. Per lui allevare marmocchi era un impegno gravoso e basta. Le soddisfazioni, sicuramente ce n’erano, ma non supplivano la perdita di tempo. Proprio non ci si vedeva a cambiare pannolini e scaldare biberon. Era vero che ultimamente Liam aveva parlato di addottare un ragazzino in età scolare. C’era un’associazione che si occupava dell’affidamento di bambini sieropositivi infettati dalle madri. Sospirò. Quel pensiero gli aveva guastato l’umore. Era su di giri all’idea dell’appuntamento pomeridiano con Heath. Una scopatina al solito motel. Era diventato tutto così prosaico. Da una parte l’immagine di lui genuflesso sull’amante, dall’altra il suo ragazzo e le sue azioni umanitarie. Il dottor Humphrey si avvide del cambiamento.
“Ti ho intristito, occhi blu?”
“Amico, niente di imperdonabile” gli diede una pacca sulla coscia sotto il tavolino. Dan Humphrey era abituato agli slanci d’affetto e non ne era per niente turbato. Era un rapporto cameratesco il loro sebbene i gusti sessuali differenti. E poi non era il tipo d’uomo che attirava Jake. Troppo basso, troppo magrolino, e le mani così piccole... femminili. Se c’era una cosa che proprio non tollerava erano i polsi magri e le dita da pianista. Trovava eccitanti le mani grosse, le braccia ampie. Adorava Liam anche per questo. Quando lo stringevano, quelle braccia, lo facevano sentire in paradiso.
E le dita di Heath? Un dettaglio che in pochi avrebbero notato erano fonte per lui di grande coinvolgimento fisico. Il telefonino squillò in fondo al taschino del suo camice. A cercarlo era il proprietario delle sue dita preferite.
“Scusa un attimo... ”
“Fai pure.” Jake si allontanò per proferire senza essere udito.
“Amore... ”
“C’è un problema per oggi... ”
“Cazzo!”
“Brucia pure a me ma non mi è venuta la scusa pronta. Ora che sono di nuovo senza lavoro... ”
“Che devi fare?”
“William si è messo in testa di comprarmi un vestito nuovo per questa cavolo di festa all’Hermitage venerdì sera.”
“La festa danzante di beneficenza?”
“Ne eri al corrente?”
“Ci sarà pure Liam, io no. Questo venerdì faccio la notte.”
“Pensa te, comunque per oggi niente. Mi dispiace…”
“Oddio... e ora come faccio senza le tue dita?”
“Le mie dita?”
“Non farci caso. Fantasie...”
“Domani?”
“Domani non posso, ho già un cesareo programmato e devo assistere a una villo centesi. E poi i tirocinanti.”
“Venerdì c’è la festa e poi sabato te ne vai una settimana alle Barbados... ”
“Già. Liam vuole fare snorkeling. Dice che ultimamente l’ho un po’ trascurato. E tu ne sai il motivo, vero tesoro?”
“Ti prego... non me lo ricordare. Scommetto che nemmeno vi bagnerete l’alluce. Starete tutta la settimana chiusi in camera a fare l’amore. Almeno è quello che farei io...”
“Non ne avevo dubbi, maschione. Però chi mi dice che tu non farai lo stesso con Will?”
“Ma con la differenza che tu non ne sei geloso. Anzi lo trovi stimolante.” Jake sorrise deliziato. Heath stava imparando a conoscerlo così bene! Tra la magia della loro storia, la loro incredibile intesa sessuale, ora anche l’amicizia. Sarebbero riusciti a stare divisi per ben nove giorni?
“Mi dispiace davvero tanto” accarezzò il suo camice immaginando ti toccare le mani amate. Il suo sguardo assunse un aria sensuale.
Si salutarono con calore.
Humphrey lo guardò perplesso, era quasi sicuro che non stesse parlando con Liam.
“Non era il tuo ragazzo?”
“Certo che era il mio ragazzo” rispose sorridendo pieno di malizia. L’altro intuì quello che c’era da intuire e dondolò la testa.

Prima di lasciarsi andare al sole delle magnifiche Barbados, Liam Spancer doveva partecipare a quella cavolo di festa. Non ne aveva voglia, aveva già troppi impegni mondani ai quali doveva presiedere per obblighi riguardanti la sua società. Quel genere di associazioni umanitarie gli faceva accapponare la pelle. Un orgia tra i più ricchi della città che facevano a gara per mostrarsi altruisti quando in realtà il loro unico interesse era tirarsi la faccia e impalmare nuovi amanti. Scelse un abito scuro che faceva pan dam con il suo sguardo ottenebrante. Tutto sommato, giacché era prevista un’altra sera a casa senza Jake tanto vale uscire. Pensò mentre si infilava un le scarpe firmate Prada. La sua amica Leasly sarebbe venuta a prenderlo il limousine a momenti.
Lei adorava questo tipo di party. Era la classica gossip-girl. Fascion victim armata di tacchi vertiginosi e borse dal prezzo stratosferico. Con in mano l’immancabile Kelly l’attendeva dentro l’auto di lusso.
“Mio dio Liam, stasera sei da togliere il fiato” affermò mentre prendeva posto al suo fianco.
“Non esagerare. Dici così perché è da un po’ troppo tempo che non ti sbatte nessuno.”
“Subito chiaro e coinciso. Il mio finocchio preferito non si smentisce mai.” Si salutarono con un leggero bacio sulle labbra. Il rossetto di lei si trasferì sulle labbra maschili.
“Aspetta, ti do una pulita. Con quelle labbra fosforescenti penseranno tutti che ti vuoi drag queenizzare! E non sarebbe giusto, sei il gay più maschile che conosco! Anche Jake lo è...”
“Mi mancherà stasera...”
“Mancherà anche a me. È così divertente quando prende in giro le persone. Oppure quando indica le donne che ha visitato dicendo: ‘quella ha la passera rifatta’ ” si piegarono entrambi dal risate.
“Sì, il mio ragazzo è proprio uno spasso. Oggi lavora purtroppo.”
“Ci divertiremo lo stesso. E io ho venti minuti di tempo per farti diventare eterosessuale” giocosamente appoggiò la sua mano femminile sui genitali.
“Non penso ci sia speranza. Sono maschile è vero ma le beltà femminili preferisco farle godere agli altri.”
“Prova a toccarmi le tette. Magari qualcosa si smuove” prese la grossa mano e se la portò su un seno. Subito il capezzolo si inturgidì. Anche la fisionomia maschile di colpo cambiò.
“Ci avrei giurato, ti è diventato duro! Senti che roba... Jake non mi ha mai detto che sei superdotato!”
“Finiscila è solo un riflesso. Tu continui a tastarmi e non sono mica di legno!”
“Sei di marmo” proferì con tono sensuale. “Lo sai che mi hai fatto bagnare?”
“Piccola, ti credo sulla parola... e ora smettila per piacere” così dicendo tolse la mano dai suoi gioielli.
“Ti faccio un pompino.”
“E il rossetto?”
“Me lo rimetto, che problema c’è” si guardarono fissi negli occhi per poi scoppiare di nuovo in una fragorosa risata.
“Meno male che scherzavi. Già mi figuravo l’imbarazzo delle scena: io che ti prendo per i capelli e ti butto fuori dalla limousine!”
“Dio che ridere. Cazzo mi sto rovinando il trucco sul serio.” Lesley si asciugò le lacrime che gli incorniciavano gli occhi.
“Sappi che però un bel pompino te lo farei volentieri. Questo puoi dirlo anche a Jake.”
“E scommetto che ti sei bagnata sul serio.”
“Scommetto che ti sei bagnato pure tu” replicò leccandosi il labbro superiore. “Dio se sei sexy Liam, toccandolo me lo sono proprio immaginata bene il tuo grosso uccello. Devi essere una roba pazzesca! Ma perché ho sempre amanti mini dotati?” sospirò sconfortata.
“Prova ad andare in quei siti...”
“Internet? Per carità, ci ho rinunciato. Dicono tutti di avercelo ventitré centimetri e poi... un bluff.” Nel frattempo erano giunti di fronte all’hotel.
“Arrivati.”
“La tua virtù è salva! Ora chiamo Jake e gli faccio i complimenti per il tuo bisteccone.”
“Inutile, quando opera ha il telefono staccato.” Sospirò. Attese che il portiere aprisse la portiera della sua dama e la prese sotto braccio.
“Le donne mi odieranno vedendomi accanto a te.”
“Sono gay dichiarato. Non credo che ci cascherà nessuna.”
“Peccato. Quando sei piccola di statura, bionda finta e Ebrea il tuo più grande sogno è quello di far crepare d’invidia le altre camminando accanto ad un uomo come te.”
Entrarono. Camminarono lungo il corridoio che conduceva all’ampia sala da pranzo. Grandissima e illuminata da lampadari arzigogolati che sembravano cadere sulle teste della gente. I numerosi invitati si muovevano a scatti come formiche in un formicaio. Liam perse quasi subito la sua compagna di viaggio che si fece rapire da alcune signore sulla trentina. Di sicuro anche loro alla ricerca di qualche preda. Sembrava che le donne di New York avessero di quei tempi difficoltà oggettive a trovare un partner. Problema che assillava Lesley da sempre, almeno da quando la conosceva lui.
Dopo un’oretta circa fu lei ad andarlo a cercare.”
“Hai rimorchiato?”
“Che mi prendi per i fondelli? Tutti dannatamente gay o occupati!”
“Cerca di essere ottimista. Magari qualcuno a cui piace brucare c’è.”
“Intendi una lesbica? Ho provato anche quello... e mi è andata di schifo.”
“Intendo un maschio etero. Guarda quel biondino, sembra proprio bello.”
“Frocio. Si vede lontano un miglio.” Il bell’uomo a cui alludeva Liam era in piedi accanto alle libagioni. La pista da ballo era ancora vuota ma attorno ai tavoli del buffet si era formata una discreta folla.
Liam non riusciva a smettere di osservarlo. Il modo in cui attirava il bicchiere alle labbra, come sorrideva al suo compagno di bevuta. E le mani, dita lunghe e fine. Mani che dovevano essere nobili, così curate e belle. Per non parlare del sorriso. E quell’angolo tra la bocca e la guancia. Sembrava crearsi una piccola infossatura. Il suo corpo era magro ma del genere che nasconde morbidezze inaspettate. Le sue natiche... dovevano essere da sogno. Liam si rese conto di avere l’acquolina in bocca oltre a sentirsi i pantaloni improvvisamente stretti. Quello sconosciuto gli faceva sentire ancor di più la mancanza di Jake. Provò a pensare alle Barbados... il sole, il mare. La spiaggia. Tanto tanto tanto sesso... quasi fino a farsi del male.
“Ma lo stai fissando di brutto! Lo vedi? È gay... e ha pure un compagno... quello, sì quel biondino con i capelli lunghi accanto a lui. Che spreco... sono entrambi bellissimi.”
“Vado a prenderti da bere?”
“Cosa vuoi fare ora, andarlo a rimorchiare con il suo bello accanto?” Liam non la sentiva più. Doveva conoscere l’uomo del mistero. O, quanto meno, sentire la sua voce.

martedì 26 maggio 2009

Ogni singolo respiro. Prologo e capitolo 1


AUTORE: giusy
GENERE: Noir, B&B, comedy, slash, romance, NC17
TIMELINE: conseguente a "Io con un uomo, mai" cioè dopo l'arresto di Emmerich
WARNING: PG/13 sempre e alcune volte NC 17 ma sarà specificato. Slash quando occorre.
SPOLIER: Nessuno
PAIRING: B&B e I&B e non solo.
DISCLAIMER: Questo è un sequel de "Io con un uomo, mai". Alcuni personaggi sono di Bones altri di mia invenzione.
Il Crossover con "Criminal Minds" s'intende la partecipazione di uno dei personaggi principali della serie senza approfondimenti particolari alla serie stessa.



Prologo

Ogni
singolo
respiro
da qui alla fine di tutti i miei respiri.
Io ti proteggerò da ogni male.
Per sempre se lo vorrai...


Così le aveva confessato Booth pochi prima che l’infermiera la andasse a chiamare per condurla in sala operatoria. Era stato tutto piuttosto eclatante e malinconico. Gli si era lanciato addosso, in ginocchio. Le persone presenti nella struttura si erano girate verso di loro per capire cosa stesse succedendo. Qualcuno si domandò se si trattasse di una candid camera o qualcosa del genere.
Temperance aveva inciso quella parole nella sua mente e nel suo cuore.
Era passato un mese oramai dalla cattura del killer e del suo complice. L’assassino della centrifuga e Ian Emmerich erano reclusi in un carcere federale di massima sicurezza. Questo avrebbe dovuto contribuire a far stare tutti meglio.
Perché allora continuo a sentirmi uno schifo? Rifletté, girando nervosamente il cucchiaio nella minestra.
Aveva anche la febbre. Il seno le faceva un male cane. E da tre giorni non aveva notizie di Booth.
Ufficialmente era partito. Non si sa di preciso dove, avevano fatto sapere quelli dell’FBI. A lei aveva lasciato un malinconico biglietto.
Cercami solo se strettamente necessario.
Vi amo.

Amore, certo. Amava anche lui o lei, o quello che era o, meglio, che sarebbe stato. Quella creatura indesiderata. Il mostro, il cancro, come l’aveva definito più volte tra i fastidi, le nausee, e tutto il resto.
Sbuffò. La minestra finì dentro il cestino della spazzatura.
Considerò se fosse il caso di provare a scrivere, o finire, come sempre, tra le lenzuola a schiacciare un pisolino.
Da quando era incinta Temperance Brennan non faceva altro che dormire.
E sognare.
A volte incubi. Altre, sogni indicibilmente belli. Ma quando si svegliava, spesso in un cuscino bagnato di sudore, il ricordo di quello che stava passando il suo amico, amante, collega, giungeva a schiacciarla.
Se almeno avesse creduto nella terapia psicologica forse... ma non si illudeva. Booth era spacciato. Come lei, come il figlio che portava in grembo. Come Ian Emmerich.
Si sdraiò nel suo letto. Abbassò le tapparelle con il pulsante posto accanto al comodino.
Ben presto arrivò il sonno e, con esso, gli incubi.








Capitolo uno


Poco meno di un mese prima.


“Come ti senti, chèrie...?”
“Come vuoi che mi senta!”.
Il procuratore Caroline Julian era realmente preoccupata per lui. Una delle poche persone che avrebbe voluto con tutto il cuore aiutarlo. Ma l’umore dell’agente Seeley Booth non era dei migliori, come sempre, da qualche tempo a quella parte. E questo non gli consentiva di ricevere l’appoggio di qualcuno.
Appena tornato a Washington aveva provato a tenere duro. Ian Emmerich, l’uomo con il quale aveva trascorso una notte d’amore, era accusato di complicità con il killer della centrifuga. L’assassino di cui si occupavano entrambi da mesi.
Aveva cercato riparo tra le braccia di suo figlio. Ascoltando le parole di autentica ingenuità che provavano a difendere l’indifendibile.
Non può essere lui quello che fa male alle mamme, lui è buono papà. Ora vai dai poliziotti e digli di lascarlo andare,
aveva detto con la dolcezza disarmante dei suoi sette anni.
Ci sono prove che dicono il contrario. Ian non è buono, è cattivo. Almeno finché qualcuno non dimostra il contrario, rispose.
Lui stesso non ne era convinto affatto. Anche se in cuor suo sperava, contro ogni ragionevole speranza, che tutto l’impianto accusatorio nei confronti del profiler si sarebbe sgonfiato come un palloncino pieno d’aria.
Il ritorno alla normalità fu la tragedia peggiore. Booth non voleva dare spiegazioni. A Rebecca, ai colleghi, ai giornalisti! Da questi ultimi, soprattutto, era disgustato. Si sarebbero buttati su quella storia come gabbiani su sardine. Con la stessa rapacità. E non conoscono la parte più scabrosa... considerò cercando di buttare giù un plum-cake. Doveva farcela a risalire la china, o provarci almeno. Per suo figlio, per la sua carriera, per Bones.
La prima volta che la vide dopo la cattura di Emmerich fu molto toccante. Per loro due ma anche per tutti gli altri. Il Jeffersonian era immerso in un mutismo che rimbombava più di una deflagrazione.
Booth camminò con passo malfermo fino a raggiungerla. Gli occhi grandi di Brennan lo scrutarono senza giudicarlo, senza maltrattarlo, senza denigrarlo, come invece avevano fatto molti altri. Ma accogliendolo come solo due braccia spalancate sanno fare.
“Booth, mi dispiace tanto... ” pronunciò con la voce spezzata dall’emozione.
“Bones” si limitò a pronunciare lui mentre si arrendeva all’abbraccio.
Angela, poco distante dalla scena, si asciugò gli occhi. Intorno alla coppia ritrovata si formò un cordone umano fatto di indulgenza, sgomento, rabbia, pena.
Sarebbe passato in qualche maniera... Tutto quel dolore prima o poi sarebbe scomparso.
Per Brenann il problema non era solo vedere il suo amore soffrire come un cucciolo dietro le sbarre di un canile. Se fosse stata bene avrebbe, forte del suo temperamento, fatto di tutto affinché quel momento terribile passasse senza lasciar troppe tracce dietro di sé. Ma come faceva ad aiutarlo se non si teneva in piedi?
Devo prendere provvedimenti, decise. La sua salute non poteva continuare a vacillare. Mentre accarezzava i capelli scuri dell’agente a lei più caro giurò a se stessa che si sarebbe, finalmente, fatta vedere.


Booth, per quanto doloroso, scelse di essere presente durante l’interrogatorio di Ian Emmerich.
Il tempo sembrava essersi rimesso ma verso est alcuni fulmini in lontananza minacciavano di tornare a guastare il cielo sereno.
Una volta dentro gli uffici dell’FBI, il cuore cominciò a galoppare tumultuosamente. L’acquazzone era giunto prima del previsto. Una finestra rimasta aperta per sbagliò lasciò entrare un turbine che spazzò via alcuni fascicoli.
Sentì le gambe molli mentre si avviava verso il vetro. Giunto davanti, restò immobile a guardare un suo collega mentre torchiava l’accusato. Era giusto così, si disse. Il pluriomicida Elliot Kelly lo aveva accusato di complicità. Il DNA di una donna ridotta in poltiglia era stata rinvenuta nella sua divisa ospedaliera. E, quello che era più mostruoso, ad agevolare gli omicidi era stato un agente speciale dell’FBI, qualcuno che avrebbe dovuto proteggere la società dalla feccia.
Emmerich non ammise le sue colpe, sembrava confuso e tanto, tanto stanco. I suoi carcerieri dovevano esserci andati giù pesanti, considerò Booth, sentendosi sempre più smarrito. Il volto era costellato da ecchimosi recenti. Serrò le mani a pugni cercando di non pensare alla gioia che l’uomo oltre lo specchio gli aveva procurato solo una manciata di ore prima. Faceva male, troppo male.
“Se non ce la fai perché ti torturi così?”. La voce di Bones giunse direttamente al suo cuore, malinconica e intrisa da un dolore dal quale difficilmente entrambi si sarebbero liberati.
“Pensavo fossi a casa”.
“Anch’io se è per questo”. Si guardarono a lungo. E quando le parole non furono più sufficienti per esprimere ciò che provavano, si strinsero l’uno all’altra.
“Bones, vai via da qui. Cerca di allontanarti da tutto questo schifo”.
“Sei tu che dovresti distanziartene”.
“Non ci riesco”, ammise, sentendosi dannatamente in colpa. Era di nuovo tra due fuochi. Da una parte l’amica, l’amante e collega. La sua donna ideale. La persona con la quale da tempo aveva deciso di invecchiare. Dall’altra... si girò verso il vetro che lo divideva da Ian Emmerich.
Dall’altra c’era colui che gli aveva fatto toccare il cielo e poi l’inferno. E le fiamme degli inferi ardevano ancora nel suo petto.
“Bones, io non sto bene” ammise senza osare guardarla.
“Me ne rendo conto.” Gli accarezzò il volto a pieno palmo: “Per quanto sia riluttante all’idea che la psicanalisi aiuti davvero le persone, ti consiglio di andare da un terapista.”
“Sì, penso che tu abbia ragione.”
“E ho deciso di vedere un dottore anch’io, proprio stamani mi sono recata a fare delle analisi.”
“Buon Dio, ti sei decisa finalmente”. Tornò ad abbracciarla. Sussurrò ad un soffio dall’orecchio parole di conforto:“Ne possiamo uscire, Bones, entrambi. Se siamo uniti possiamo farcela.”
“Vieni via con me, ora”. Accettò.
Booth l’accompagnò a casa. Una volta dentro si sentirono entrambi più protetti. Potevano fingere che esistesse solo quel luogo? Un microcosmo dove lasciare fuori tutti i drammi della loro esistenza. Un’isola felice. Per qualche attimo, Booth s’illuse che fosse davvero così. Che al mondo non ci fossero che loro.
Temperance uscì dal bagno con indosso una vestaglia color ciliegia con dei fiori stampati stile giapponese, vagamente retrò. Il pallore del suo volto confermava quanto lo stato della sua salute fosse instabile.
“Non hai mangiato niente”. Le ricordò, premuroso, accarezzandole un braccio con affetto.
“Se è per questo, nemmeno tu”. Nessuno di due si era ricordato che esisteva un rito chiamato cena. Fortunatamente, la domestica di Brennan aveva fatto scorta di preparati per pasta e insalate variopinte.
“Rilassati, ci penso io!”, le propose Booth, rendendosi subito operoso.
“Non devi cucinare per me”.
“Certo che devo”. E così fu. Una volta concluso il pasto si sentirono entrambi un pochino meglio, fosse altro per il Chianti rosso d’annata che circolava in corpo.
“Non devi per forza restare qui”, le disse la donna, toccandosi la gola come soleva fare ogni volta che accusava un nuovo attacco di acidità.
“Mi stai cacciando via?”.
“No di certo”. Non voleva affatto che lui se ne andasse... anzi. Più lo guardava e più aveva voglia di farlo restare. Magari nel mio letto. E di certo non per dormire! Capì che quegli istinti non erano razionali. Il desiderio stesso era sbagliato. Proveniva da una Temperance che non conosceva. O, meglio, che aveva conosciuto di recente. Ma sarebbe stato un errore, un grave errore, si ricordò.
Booth aveva passato l'inferno. Soffriva visibilmente per quanto successo a Ian. Di certo non morirà dalla voglia di fare sesso con una malaticcia e mezza brilla!, considerò, sentendosi all’improvviso insicura. E poi sorsero i dubbi di quell’altro genere. Quelli che la vedevano di nuovo rivale di un uomo. E se non l’avesse più voluta? Se il fatto di aver oltrepassato la barricata avesse per sempre diviso le loro strade? C’era un solo modo per saperlo... ma non era certa di volerlo sapere...
Sorseggiò un goccetto di vino per poi sbottare senza preavviso e chiedere: “Vuoi fare l’amore?”.
Booth per poco non cadde dalla sedia. La salivazione si azzerò completamente. E, malgrado tutto, l’eccitazione lo travolse.
“Certo... ma... ”.
“Ma?”.
“Sei sicura?”.
“Dovrei farla io questa domanda, Booth!”.
“Perché?”.
“Perché magari ora sei gay, solo gay”.
“No, Bones, in questo momento sono mille, anzi un milione di cose. Ma non gay. E se ci fossero dubbi in proposito sappi che ti trovo dannatamente attraente” sospirò, “Dio lo sa se ho voglia di fare l’amore con te”.
“Ma non te la senti di tradire Ian, giusto?”.
“Tradire Ian?”. Booth divenne paonazzo. “Secondo l’accusa se ne andava ad adescare povere madri di famiglia alle mie spalle e io tradisco lui?”.
“Ok, allora si può fare.” Senza preavviso si alzò dalla sedia piuttosto barcollante e lasciò scivolare la vestaglia che svelò il bel corpo nudo. Booth restò a bocca aperta.

martedì 19 maggio 2009

Bordeline, capitolo 6




Capitolo 6


“Perché proprio la stanza di Will, non possiamo andare nella mia?” Heath si stava leggermente irritando, quella situazione lo metteva a disagio.
“Mi piace di più, mi piace immaginare quando vai da lui, di notte, magari lo sorprendi nel sonno, e te lo scopi di santa ragione.”
“No, ti sbagli, di solito succede il contrario, lui viene da me.”
“Non fingere di non essere un ragazzo caldo, lo so che va pure a te” lo prese per mano e lo trascinò nella stanza proibita.
“Sì ci provi gusto, ci provi un gran gusto a mettermi in difficoltà” mentre parlava l’altro si era già comodamente posizionato tra i cuscini
“Ora mi dirai che dobbiamo stare attenti a non sporcare questo fantastico copriletto.”
“Jake, non fare il ragazzino capriccioso, non posso farlo qui” il suo tono era perentorio.
“Ho armi di seduzione per convincerti” si passò la lingua tra le labbra, e, per quanto Heath facesse di tutto per mantenersi distaccato, l’eccitazione cominciava a prendere il sopravvento.
“Mettiamoci sotto però, almeno le lenzuola le posso lavare comodamente in lavatrice.”
“Non avete una domestica?”
“Sì ma non viene tutti i giorni” Heath prese posto accanto a lui. Le labbra si trovarono e ben presto volarono scintille.
“E così questo è il letto in cui lo fate più spesso.”
“Ma chi te l’ha detto?”
“Non negarlo, sono certo che è così.”
“Che importanza ha, davvero Jake non ti capisco” nel frattempo le mani del ginecologo liberarono l’erezione
“Lo ammetto, ragazzo, sono un po’ perverso, ma queste cose mi intrippano troppo. Sei talmente devoto al tuo Will, e portare nel suo letto il tuo amante” appena terminata l’ultima sillaba imprigionò il sesso tra le mani, scostò la punta dal prepuzio e iniziò con baci leggere che via via divennero più appassionati.
“Per l’amore di Dio, Jake , succhialo” la sua non era una richiesta, niente affatto: era una supplica. Il moretto alzò la testa guardandolo con sfida:
“Pensi che io non muoia dalla voglia di succhiartelo? Ti sbattermi la punta fino alle tonsille?”
“E quindi?”
“Sono un po’ sadico e anche un tantino masochista.”
“Perverso, sadico, masochista... ma non sarai un po’ troppe cose? Vorrà dire che prima di possederti lascerò passare qualche minuto di troppo.”
“Bastardo” senza attendere altrimenti Jake finalmente iniziò. Nel giro di pochi secondi si ritrovò nudo. Heath lo sormontò e lo fece suo.
Durò molto. Durò quanto l’ospitato non si sarebbe immaginato. Durò abbastanza da fargli raggiungere il culmine due volte.
Estenuati dal piacere si divisero finendo ai lati opposti del letto.
“Certo che... sicuro che non ti fai di viagra?”
“Credo di secernere qualcosa di simile.”
“Pure il tuo ragazzo lo fai impazzire così? No, non è una domanda, lo immagino. Sarà innamorato perso.”
Heath si ripulì dalle tracce di sperma con un fazzoletto raccattato sul comodino.
“Ultimamente parli sempre di Will, di me e Will, non lo capisco.”
“Ma ti da fastidio?”
“Abbastanza sì, non puoi farne a meno?”
Jake si voltò dalla sua parte sdraiandosi di fianco. Gli occhi cerulei scintillarono.
“A me non darebbe affatto fastidio se mi chiedessi di Liam. Se facessi domande su noi due, su quello che combiniamo a letto.”
“Non è che ne fai mistero, perché dovrei chiedertelo quando ogni due minuti fai paragoni... ”
“No, scusa, io faccio paragoni?” nolente o dolente, stavano iniziando il loro primo battibecco.
Da quel momento erano ufficialmente una coppia.


Jake rincasò alle tre. Dopo la discussione su quanto fossero inopportuni i continui riferimenti al suo rapporto con Will, Heath aveva proposto uno spuntino a base di vino d’annata e salmone. Manco a dirlo Jake aveva chiesto se l’altro padrone di casa avrebbe fatto caso alla bottiglia mancante. Heath aveva sorriso esasperato con l’aria di chi sta pensando ‘mi arrendo’.
Liam era perfettamente sveglio. L’espressione di Jake tradiva colpa.
“Tesoro, mi dispiace... ”
“In amore non si dice mai mi dispiace, questa frase è famosa. In un vecchio film mi pare si chiamasse... ”
“Love story.”
“Già. Ho detto una banalità.”
“Proverò a lavorare meno ore, te l’assicuro, dipendesse da me!” si tolse gli abiti. Liam fu sicuro di percepire odore di sesso ma non vi badò.
Dopo che ebbe concluso la lunga toletta lo accolse a braccia spalancate.
A Jake fece enorme piacere lasciarsi andare sul possente torace. Era più robusto di Heath ma non era per niente grasso. Depositò baci asessuati attorno al capezzolo.
“Il problema è che mi manchi. Un tempo venivi a farmi delle meravigliose improvvisate in ufficio. Perché non più?”
“Tutto è cambiato da quando ho fatto nascere quella bambina in metro, è il prezzo che si deve pagare alla popolarità.”
“So quanta passione metti nel tuo lavoro, ma non serve che ti ricordi che la nostra situazione economica... ”
“Lo so benissimo che sei pieno di grana e potrei fare il mantenuto. Beh, non è quella l’idea. Mi hai fatto studiare perché diventassi un dottore. È quello che sono. No, Liam, chiedimi tutto ma non di mettere in discussione la mia carriera.”
“Cristo santo, non lo farei mai. Ma la tua professione non deve andare ad intaccare il nostro rapporto.”
“Non lo farà più, vedrai” diede un ultimo bacio sulla bocca per poi dare la definitiva buona notte.

Non erano proprio sensi di colpa quelli che provava Jake nei confronti del suo uomo. In realtà la gelosia e l’idea di mettergli le corna erano un carburante eccezionale che lo coinvolgevano sempre più verso Heath.
Quella notte però gli era davvero dispiaciuto vederlo così inquieto.
Se avesse sbraitato, se avesse lanciato accuse, si sarebbe rinchiuso a riccio chiudendo là il discorso.
Ma era proprio quella tranquillità a disarmarlo maggiormente. Stavano insieme da talmente tanto oramai che Liam si fidava ciecamente di lui. Non aveva proprio sospetti. Così smise di fare tardi tutte le sere e tornò a fare l’amore con il suo ragazzo con regolarità. Almeno fino al ritorno di William.
Evento che metteva la neo coppia in agitazione.
Heath andò a prendere il direttore d’orchestra per riportarlo all’ovile. L’aeroporto brulicava di gente di ogni razza e dall’aspetto variegato.
Guardò il tabellone con scritto l’orario d’arrivo sperando in un ritardo anche minimo. Rivedere William lo preoccupava tanto, aveva il timore sentito che quella confusione gliela avrebbe letta negli occhi e di conseguenza avrebbe dovuto concedere spiegazioni.
Il volo da Los Angeles giunse in perfetto orario.
Heath lo vide arrivare da lontano. Indossava un cappello con la visiera, una camicia a fiori celata sotto un giubbetto di jeans, e un paio di pantaloni corti fino alle ginocchia. Era abbronzato. Gli si azzerò la salivazione. Dio quanto è bello, pensò sentendosi un verme. Si abbracciarono incuranti degli sguardi estranei.
“WOW, che accoglienza.”
“Ti amo Will.”
“Ti amo anch’io dolcezza, deduco che ti sono mancato.”
“Da impazzire.”
“Il sesso via internet è divertente ma il contatto fisico è meglio” Heath prese il trolley e volle per forza afferrare anche la sacca che pendeva dal suo collo. Nonostante i suoi trentanove anni Will sembrava uno studente tornato al college dopo le vacanze.
“Sei in macchina?”
“Sì, non è lontana” improvvisamente non avevano più molto da dirsi. Un giovane dai capelli scuri e lo sguardo affascinante colpì la fantasia di Heath. Assomigliava al suo dannato ginecologo, ma, naturalmente, non era bello come lui.
“Hai già mangiato?”
“Se lo chiami mangiare, sì. Ora anche la prima classe non è più il massimo, quello sformato con patate era davvero qualcosa di inguardabile.”
“Forse per questo si chiama sformato.”
“Già” William sorrise facendo di nuovo piombare il morale di Heath ai minimi storici.
Perché è così bello? Perché è dannatamente così bello e sexy? Si chiese di nuovo. Aveva la fortuna di essere fidanzato con uno degli uomini più affascinanti d’America, e, in più, aveva come amante un essere umano talmente avvenente che di ‘umano’ non aveva nemmeno tanto. Ok, la natura era stata benevola nei suoi confronti elargendogli un bel fisico, e un ottimo carattere. Dunque piaceva a parecchie persone. Ma riservargli due gioielli di rara bellezza come William e Jake, non era troppo? E avere troppo non era come non avere nulla? Come avrebbe dovuto gestire la situazione? Da lì a poco tenere il piede in due scarpe si sarebbe rivelato un compito troppo arduo per lui e, per forza di cose, sarebbe stato costretto a mollare. Già, mollare. Ma a chi rinuncio? Si chiese sentendosi un inetto totale. William era la sua vita, la sua felicità, tutto! Ma Jake... Dio Jake è un sogno! In quei centottoantatre centimetri per ottanta chilogrammi la natura aveva concentrato tanta di quella bellezza e sensualità. Per non parlare della passione.
Jake metteva passione in tutto ciò che faceva, che salvasse una tuba dalla sterilità o mentre si tendeva per accoglierlo. Ogni gesto, da quello più imbarazzante al più elegante, era contraddistinto da passione e abnegazione. Si poteva rinunciare ad uno così? Evidentemente, no.
William si fece una lunga doccia prima di andare a cena. Heath aveva cucinato della pasta per lui.
“Spaghetti al tartufo, i tuoi preferiti.”
“Sei proprio un amore” esalò pieno di gratitudine. Fece spallucce nel suo accappatoio. Mangiarono in silenzio. Gli spaghetti erano squisiti ma la voglia di far l’amore travolse entrambi prima che avessero vuotato la scodella.
Scosso dal fiatone dopo l’orgasmo selvaggio, William soffiò parole d’amore nell’orecchio dell’amante
“Ti ringrazio” Heath non sapeva cosa dire.
“Tu mi ringrazi? Dio Will, sei stato semplicemente stupendo.”
“Per l’appunto. Pensavo che in mia assenza avessi trovato qualche diversivo” rivelò con malizia
“Magari l’ho fatto” rispose imprudente l’altro.
William sorrise disarmandolo. I volti erano a meno di un centimetro.
“Allora perché mi scopi con tanta passione? No, se ci fosse un ragazzetto a distrarti non saresti così voglioso.”
“Magari non è un ragazzetto. È un vecchio. Sì, me la faccio con il costumista di Hairspray, Luc Smith, sessantacinque anni e gran succhiatore” William lo prese scherzosamente a cazzotti sulla schiena.
“Sarà sicuramente una gran checca!”
“Anche il mio ragazzo è una checca. Io adoro le checche!”
“Fanculo, bastardo” scherzarono finché un senso di paciosa noia mista a gioia non li avvinse. William guardò il soffitto con interesse mentre accarezzava il suo amato.
“Sai, ti accorgi quanto la vita sarebbe invivibile senza una persona solo nel momento stesso che non ce l’hai accanto.”
“Già” Heath s’incupì e, con la coda di paglia che gli strozzava il collo provò a dirigere gli argomenti a qualcosa di buffo e leggero.

Jake era preoccupato della visita che avrebbe dovuto effettuare a momenti. Quando l’aveva trovata nel suo taccuino ci aveva badato poco. Poi aveva ricollegato il nome Stacy Whitman e aveva deglutito. Il suo amante gli aveva raccontato con dovizia di particolari quanto la donna trovasse sconveniente la loro relazione. Sbuffò.
Non voleva filippiche.
Non voleva sardoniche raccomandazioni.
Non voleva semplicemente leggere nell’espressione dell’amica di Heath tutto il suo risentimento. Il medico voleva solo godersi la sua relazione extraconiugale senza che grilli parlanti inopportuni venissero a ricordargli quanto fosse sconveniente il suo comportamento. Tradiva Liam, particolare non da poco ma anche irrilevante o quasi per Stacy. Induceva al tradimento Heath, e qui la cosa per lei cominciava a farsi interessante. E, dulci sin fundo, faceva cornuto William, il fantastico William McCarthy, il direttore d’orchestra blasonato che tutti amavano, che soprattutto amava lei. A rompere quella catena di considerazioni arrivò la segretaria.
“La signorina Whitman è arrivata.”
“La faccia accomodare” certo non poteva dire: ‘di a lei e al suo flaccido culone di andarsene’ .
“Salve” esalò lei entrando. Un saluto che racchiudeva in sé tutto il suo risentimento.
Jake la salutò altrettanto freddamente. Non doveva darle spiegazioni, decise. Lei pagava per essere visitata non certo per sentirsi in diritto di mettere il naso su cose che non la riguardavano. Non la riguardavano?
“Si può spogliare.”
“Pensa che le andrà sempre bene?”
“Cosa?”
“Pensa che il suo boyfriend rimarrà per sempre all’oscuro di tutto? E anche William... ”
“Signorina... ”
“Non parlarmi con quel tono, bastardello dal faccino sexy. Tu non devi parlarmi con quel tono” il suo, di tono, non lasciava spazio a dubbi. Aveva proprio intensione di attaccar briga!
“Sono venuta qui per dirti quello che penso e lo farò.”
“Se non c’è proprio altra soluzione... ”
“Penso che sei un essere viscido. Uno che non si fa scrupolo di nulla, dell’amore innanzitutto. Forse c’è una cosa che non ti è chiara che, dalla tua posizione appecorata nell’attesa di essere infilzato, non riesci a vedere che William e Heath si amano!!! Tanto. Sono la coppia perfetta. Il mio mito. E tu, con la tua ingombrante sudicia presenza, ti sei messo in mezzo.”
“Se hai finito posso replicare?”
“Non capisco che cazzo ci sia da replicare.”
“Tu dici che io me ne frego dell’amore perché a detta tua starei con Heath solo per farmi scopare. Beh, non è così! E se tu e lui foste tanto amici come dici, lo sapresti. Heath mi ama.” A quella Stacy raggelò. C’era il pericolo che fosse vero, tremendamente vero. Dopo tutto solo guardandolo come si faceva a non amarlo? Se poi oltre ad essere affascinante e sensuale era pure un dio del sesso come sembrava...
“Magari al tuo ganzo non frega una mazza di dove appoggi il culo ma per William non è così. Se sapesse che il suo ragazzo si sollazza i gioielli tra le tue chiappe monterebbe su un casino colossale, epico.”
“Forse, ma non mi è ancora chiaro il tuo interessamento... ”
“Non ti è chiaro, puttana? Per me loro sono importanti, è come se fossero di genitori di Vanilla, in un certo senso e se si lasciassero... ” Un velo pesante di tristezza calò sul volto della donna.
“Dunque quello che sembrava un intervento del tutto disinteressato è in realtà una difesa del territorio. Non toccate i genitori di mia figlia, la coppia ideale! Vedi Stacy, tu sei una bella persona secondo me, lo sei perché ti piace parlare chiaro e non usi mezzi termini. Ma se vuoi saperla tutta so parlare chiaro anch’io. E vuoi sapere cosa penso di te? Ok non ti piacerà ma è giusto che qualcuno ti apra gli occhi.” Prese un profondo respiro prima di iniziare ad insultarla: “Sei solo una grossa, lurida, cicciona piena di merda. Arida e senza spina dorsale. Sei un parassita che vive nutrendosi dell’amore di due uomini gay perché sa che nessun uomo etero la sfiorerebbe. Di certo non quelli a cui ambisce lei.” Un lungo silenzio seguì quell’arringa. Jake pensò se fosse il caso di filarsela o meno. Stacy, fuori di sé avrebbe potuto aggredirlo procurandogli parecchie lesioni. Invece, restò ferma lì, immobile, sembrava persino incapace di respirare.
“Hai finito?”
“Stacy... ”
“Se hai finito ti ricordo che un figlio l’ho concepito con un uomo etero. Il fatto che abbia scelto di crescere la mia bambina da sola non fa di me una frociarola indegna di un amore normale e maturo.”
“In effetti...”
“Mentre tu, caro dottore dei miei stivali, andando a mettere a repentaglio il tuo rapporto se non sbaglio consolidato non fai altro che avallare i vari pregiudizi sui gay. O vero: che sono tutte puttane assatanate di sperma né più né meno di vampiri assetati di sangue!” Manco lei ci era andata leggera...
A quel punto battere la ritirata fu d’obbligo. Nessuna visita e nessuna parcella. La segretaria del dottor Keane entrò nello studio con il volto preoccupato.
“Tutto bene? Le grida di quella donna si sentivano fin... "
“Tutto ok cara, faccia pure entrare la prossima paziente” con fare preoccupato si accarezzò il mento riflettendo sul discorso dell’amica più cara di Heath.

giovedì 14 maggio 2009

Gioco di concentrazione (House/Wilson)


Ora di pranzo. Ufficio del Dottor House. La squadra è impegnata e il loro mentore si prende una pausa. Mani di Wilson nelle sue.
-Mi spieghi cosa stiamo facendo?
-Silenzio altrimenti non riesce.
-Non riesce che cosa?
-È un fatto di concentrazione.
-È uno stupido gioco, House.
-Stai scherzando? Lo fanno fare ai servizi segreti per testare il grado di concentrazione degli agenti.
-E tu come lo sai?
-Ma ce la fai a chiudere la bocca? Se parli, se ti muovi, se ridi, il punto è mio.
Wilson sospira.
Da cinque minuti esatti House gli tiene strette le mani.
Sono seduti uno di fronte all’altro.
E si guardano negli occhi.
-Ricordati: il primo che ride ha perso.
-House, le tue scempiaggini hanno smesso da tempo di farmi ridere.
-Ok, allora non hai nulla da temere, vincerai tu.
I minuti scorrono. Wilson fissa impassibile, o quasi, gli occhi azzurri dell’amico. Ad un certo punto House corruga il viso in un’espressione involontariamente faceta. Wilson ci prova a trattenere uno sbuffo di riso ma gli angoli della sua bocca si tendono irrimediabilmente in su.
-Ok ho riso, uno a zero per te.
-Beh non era proprio una risata, direi piuttosto un sorrisetto smorzato.
-Allora siamo ancora in parità?
-Sì.
Silenzio e di nuovo gli occhi tornano a scrutarsi. Dopo una manciata di minuti è House a trattenere un risolino. Per poi lasciarsi andare ad un vero sorriso.
-Punto a me, House. Uno a zero.
-Non esiste, uno pari.
- Avevamo detto che non era valido quello di prima! Tu hai riso ora, io prima ho fatto un accenno smorzato, lo hai detto tu.
-Ma non parlo di quello, intendo per le mani sudate.
-Le mani sudate?
-Certo! L’altro sentore di nervosismo dopo il sorriso è il sudore, e le tue mani sono sudate.
-Ma questo non è stato detto. Non è valido.
-E se anche te lo avessi detto saresti riuscito a non sudare?
Wilson abbassa lo sguardo prima di lasciare con un gesto secco le mani del collega. Si asciuga i palmi sui pantaloni.
-Lo sapevo che era una stupidaggine.
-Siamo uno a uno, spareggio!
-Sono stanco di queste bambinate e poi è tardi devo andare.
-E poi parli di bambinate! Sono i mocciosi che se la danno a gambe quando non gliela sì dà vinta.
Wilson si passa la mano nervosamente tra i capelli. House incalza
-Sei solo arrabbiato perché a te hanno sudato le mani e a me no.
-Ok, finiamo questa scemenza se mi dici la verità.
-Come la verità?
-A cosa serve questa… questa “cosa” oltre a farmi perdere tempo?
-Te lo dirò se vinci.
-Se ti faccio ridere?
-O sudare le mani.
-Ok ci sto.
I due contendenti tornano nella posizione iniziale. I minuti passano piuttosto velocemente. Wilson sa che ora a sudargli non sono solo le mani. La camicia gli si è attaccata alla schiena letteralmente.
All’improvviso House si tende più vicino.
I nasi arrivano a sfiorarsi.
Wilson dilata le pupille in un moto di stupore, ma non parla, ne muove un solo muscolo.
La stretta decisa di House non cede di un passo mentre, senza distogliere lo sguardo, accarezza con le labbra quelle leggermente schiuse di Wilson. Come imbambolato si lascia accarezzare dall’ispida peluria: la barba di House. Incapace di riflettere, rispondendo ad un istinto che non può né reprime né debellare: Wilson schiude del tutto la bocca e si abbandona ad un lungo bacio.
Intimo, lento e pieno di saliva.
Dopo un po’ House scoppia a ridere.
-E ora?
-Hai vinto tu, sei riuscito a farmi ridere…
-Mah…House!?
-Ok, lo ammetto: quella dei servizi segreti era una balla. Questo gioco è un trucchetto che uso con le ragazze per farmi baciare. Funziona sempre.

mercoledì 13 maggio 2009

Bordeline, capitolo 5


Capitolo 5


Heath non aveva mai visto un uomo bello come Jake, o che gli piacesse tanto e, d’altro canto, non aveva mai conosciuto qualcuno che lo facesse sentire così felice mentre lo baciava.
Nel momento in cui la bocca dell’amante si spostava dal viso al pomo d’Adamo, si guardò in torno. Vide nell’ordine: quadri che mostravano interni dell’utero con tanto di feto, il separé dietro al quale le pazienti si cambiavano e, sulla destra, il lettino sul quale si sdraiavano per farsi visitare.
Lo avrebbero fatto là? Non era sicuro di riuscirci. Jake era il secondo uomo con il quale lo avrebbe fatto e si trovavano in uno studio di ginecologia. Nonostante tutti questi ‘intoppi’, era eccitato da morire.
“Scoppi di voglia qua sotto” enunciò il ginecologo sbottonando il jeans.
“Dove ci mettiamo?”
“In bagno, per terra, sul soffitto se credi. Dove ti pare. Basta che lo facciamo!”
“Entrano qui ho notato un divanetto.”
“In sala d’attesa? Ottima idea.”
“Sicuro che non arriverà nessuno?”
“Soltanto la donna delle pulizie ed io abbiamo le chiavi e a quest’ora lei sarà già a letto. Si sveglia alle quattro.”
“Maledizione.”
“Cosa c’è?”
“Non ho con me... ”
“Vuoi scherzare?”
“No di certo!”
“Intendo: vuoi scherzare sui preservativi? Qui ne ho almeno un migliaio.”
“Cosa?”
Jake sorrise bello come un attore di soap. “C’è uno strumento che si chiama ecografo vaginale. E per un uso correttamente igienico ci vuole un condom ogni volta” ne estrasse uno da dentro una scatola posta sopra la cassettiera. “Spero sia extralarge” enunciò pieno di malizia.
Si spostarono nella sala d’aspetto. Heath cercò di ignorare i poster di neonati e pance. Gli ricordavano Stacy e dunque William. Stacy e Will insieme a mangiare un frappé mentre lui riceveva il messaggio su msg di Jake che lo invitava ad uscire anche quella sera.
Prese posto sul sofà. Jake si inginocchiò ai suoi piedi. Gli baciò la pancia. A Heath scappò quasi un urlo quando iniziò a stantuffargli l’uccello per bene.
“Cristo, Jake , vai piano sennò non ci arrivo a riempire quel profilattico.”
“Scusami” così dicendo si alzò. Si tolse i pantaloni e i boxer. Rimasto nudo dall’ombelico in giù si sedette sul compagno dandogli le spalle. Lasciò che l’altro gli facesse l’amore anche, in un certo senso, era lui che stava facendo l’amore a Heath. Dondolando su di lui lentamente e poi dando maggior enfasi.
Era difficile per entrambi tollerare quello che stava succedendo.
Il piacere poteva essere insostenibile quanto il dolore. Jake lo sapeva bene. Jake aveva scoperto l’orgasmo prostatico grazie a Liam e lo sapeva bene. Ora stava sperimentando di nuovo quel piacere incredibile ma con un uomo diverso, e c’erano diverse sfumature. Era complicato catturarle tutte quelle emozioni, quelle indicibili emozioni che gli procurava Heath. La sua voce roca mentre gemeva, il suo odore maschile, le mani che gli accarezzavano il viso simile ad uno scultore che modella la sua opera.
Dopo essere entrambi venuti, si quietarono.
Jake crollò di spalle sul torace. La bocca di Heath mappò il suo collo.
“Dio, dove sei stato tutto questo tempo?” chiese il medico scosso da fiatone.
“Non so, non so dove sono stato fino adesso ma so dove voglio continuare ad essere.”
Bingo. Jake non avrebbe potuto ascoltare risposta migliore e si commosse. Gli aveva appena regalato uno degli orgasmi più intensi della sua vita e ora gli stava promettendo l’amore.
“Credo di amarti Heath.”
“Sì. Anch’io.”
“Cosa?”
“Ho detto che ti amo anch’io” assicurò. L’altro si voltò per abbracciarlo. Si baciarono con passione. Erano infinitamente scomodi su quel piccolo sofà a due posti. Ma riuscirono lo stesso a sentirsi come se fossero su di una soffice nuvola persi nel cielo.


Liam era preoccupato. Da un po’ di tempo le pazienti di Jake partorivano sempre di notte.
“Possibile che non riusciamo più a dormire insieme?”affermò più ansioso che arrabbiato.
“Mi dispiace, ma se tutto procede torno per l’una.”
“L’una?” sbuffò prima di salutarlo e riattaccare. Da quando William era volato a Los Angeles per una serie di concerti e Heath non aveva potuto essere con lui perché occupato con Hairspray, Jake faceva partorire praticamente ogni sera, solo che all’ospedale non ci andava per niente. Sapeva fin troppo bene che Liam si fidava al punto che mai e poi mai avrebbe dubitato delle sua sincerità. Al massimo avrebbe chiamato in ospedale e, la sua segretaria, istruita per bene, avrebbe fatto sapere che stava effettuando un cesareo e dunque, per ovvi motivi, impossibilitato a rispondere. A Liam mancava il suo Jake , gli mancava soprattutto dormire con lui. Avevano fatto l’amore qualche volta di mattina ma Jake sembrava un po’ distratto. Non era appassionato come sempre. Cominciava a prender corpo l’idea che ci fosse qualcuno. Tra una riunione e l’altra si concesse una sigaretta, non fumava dal millenovecentonovantasette. Era nervoso, voleva capire cosa c’era che occupava tanto la mente e il resto di Jake .


Heath era felice. Scoppiava letteralmente di felicità. Sarebbe stato un bugiardo se non avesse ammesso che l’assenza forzata di Will era una mano santa per la relazione con Jake . Ma, nonostante ne avesse la possibilità, non aveva osato chiedere all’amante di salire nella casa, che da oltre tre anni abitava con William McCarthy. Usciva dalle prove e si precipitava nello studio del ginecologo. Ora che ci aveva fatto il callo non si sentiva più turbato dalle foto, dall’ecografo e tutto il resto. Anzi trovava divertente farlo nei posti più strani di quei duecento trenta metri quadri. Divertente ed eccitante. Ma Jake cominciava a stancarsi dello studio.
“Quando torna il tuo boyfriend?” chiese mentre si ripuliva la pancia con la carta con la quale le donne si toglievano il gel post ecografo.
“Tra due settimane.”
“Dunque ci restano due settimane e basta per vederci?”
“Certo che no, ci inventeremo qualcosa.”
“Ma non potremmo andare a casa tua... ”
“Cosa?”
“Non fare finta di non capire, scopare qui è divertente, fantastico. Ma quanto staremmo più comodi in un letto, o nella tua vasca da bagno?” si avvicinò a lui per baciargli la clavicola,
“Tesoro non lo so, mi mette soggezione farlo a casa nostra, capisci?”
“Ci provo a capirti, a me ecciterebbe da morire farlo nel letto in cui dormo con Li.”
“Non ne fai mistero.”
Jake sorrise malizioso. “Domani sera andiamo da te. Vedrai, all’inizio ti sentirai a disagio ma dopo ti piacerà. Non sarà male per niente.”
“Lo so” Heath ci stava pensando. Cosa avrebbe detto Stacy? No, non c’era nemmeno da pensarci per scherzo. Il secondo caso di donna che evira un uomo dopo quello di Lorena Bobbitt.
Tutte le volte che si vedevano, quasi sempre perché gli chiedeva di tenerle Vanilla, faceva pessime battute su lui e Jake e sull’assenza prolungata di William. Tutto quello che usciva dalla bocca della sua amica lo faceva stare male.
Ma Jake stava diventando ogni giorno più importante. I sensi di colpa non scalfivano più di tanto la gioia di essere tra le sue braccia.

William chiamò Heath quella mattina. Era tardi e aveva fatto male i calcoli, così lo svegliò. Al cantante sembrò di essere ancora immerso nel sonno quando aprì il telefono e la voce del suo ragazzo saturò l’aria. “Amore ti ho svegliato?”
“Non lo nego.”
“Scusami.”
“Non importa” si mise a sedere strofinandosi gli occhi vigorosamente.
“Mi andava di vederti, puoi venire su skype?”
Accettò. Chiacchierarono per oltre un ora. A Will piaceva raccontargli ogni dettaglio dello spettacolo, anche di quello che succedeva dopo. I pettegolezzi losangelini erano divertenti e rise ad ogni battuta. Ma c’era sempre Jake ad occupare gran parte della mente, Jake che avrebbe passato la notte da lui.


Durante un intervallo di una noiosa riunione Liam ricevette la visita di Lesley Shepard. Si trattava di una sua vecchia amica. Vecchia nel senso che la conosceva da quasi vent’anni. Usciva da una storia all’altra insoddisfatta sognando, nonostante i trentotto anni compiuti, il principe azzurro. Era di famiglia ricca per questo sperperava danaro e ricorreva alla chirurgia plastica di tanto in tanto in maniera a volte sconsiderata. Era stata lei a convincerlo circa due anni prima a ritoccarsi l’addome.
“Sei uno splendore” enfatizzò lui per essere galante.
“Sei tu che sei sempre più figo.” Si diedero un bacio a fior di labbra. Nonostante fosse omosessuale il contatto con le tette siliconate lo turbò.
“Siediti pure e raccontami le ultime novità.”
“Mi sono ridotta il seno, la quinta non faceva per me. Vuoi vedere?”
“Non credo sia una buona idea, cara.” Lei non calcolò per niente la risposta. Si sbottonò la camicia firmata e diede sfoggio delle sue sinuosità. L’uomo dilatò le pupille. Erano davvero sexy.
“Mi sento sola, questa è la verità. Vorrei avercelo io un fidanzato ginecologo. Magari vorrei pure un figlio.”
“Ti capisco, anch’io lo vorrei.”
“Meno male, per un attimo ho pensato che ti stessi lamentando della solitudine. Tu non hai di questi problemi.”
“Lo so, io ho Jake e tu hai solo un vibratore.”
“Passare le serate a casa guardando porno amatoriali secondo te è vita?”
“Sei piena di soldi, pagati un escort!”
“Gli uomini pensano che il sesso pagato sia l’equivalente dell’altro, ci ho provato ma non ce la faccio proprio a farmi sbattere da uno che sta lavorando, penso di non essere ancora tanto brutta e sfatta da dover pagare l’affetto.”
“Se è di affetto che hai bisogno ci sono qua io.”
“Da te vorrei ben altro... ” confidò piena di malizia.
“E io non te lo posso dare” si fissarono negli occhi per qualche secondo per poi scoppiare a ridere come adolescenti scanzonati.
“Però quella volta in vacanza ad Aspen... "
“Ancora quella storia. Piccola, ero ubriaco perso, mi sarei messo a ballare nudo sotto la neve. C’è scappato un po’ di petting, che sarà mai!”
“Allora devo farti bere di nuovo.” Tutta sorridente si avvicinò a lui, superò la scrivania e si sedette sulle sue gambe.
“E ora che ti prende?”
“Ho visto come mi guardavi le tette, adesso mi stai fissando le cosce. Sappilo: non porto biancheria intima.”
“Non sono io il ginecologo, non ho intensione di rovistarti tra le gambe.”
“Porco. Lo sento che lo hai duro.”
“Solo perché ultimamente Jake lavora troppo.”
“L’improvvisa popolarità porta gente in studio... ”
“Ci mancava pure questa, gli ultimi due anni li ho praticamente passati in aereo. Ad un certo punto eravamo costretti a farlo nei cessi degli aeroporti. Forse dovrei prendermi qualche giorno di vacanza. Sì, ora che ci penso chiamo la mia segretaria e prendo una bella settimana per il mese prossimo. Dovrebbe essere meno denso di questo.”
“E dove ve ne andreste di bello?”
“Come tre anni fa, alle Barbados. L’ultima volta siamo stati da Dio...”
“E ci credo, sono invidiosa uffa.” Si alzò ricomponendosi. Si accorse di avere una calza smagliata. Si senti stupida e patetica.
“Tutte le volte che ti vedo sento che la mia vita è così vuota.”
“Basta buttarsi giù.” Liam si alzò e l’abbracciò da dietro.
“Sai che se hai bisogno di coccole ci sono io qui a viziarti per bene.”
“Ho bisogno di amore.” Lei si girò e lo guardò negli occhi con intensità.
“Ok, non vuoi scopare con me ma almeno un bacio come si deve, sì ok?” senza attendere replica gli infilò la lingua in bocca. Liam accolse titubante. Ma ci prese gusto. Le accarezzò i fianchi avvicinandola, era piccolina di statura, avrebbe potuto sbatterla al muro e farla sua. Tornò in sé.
“Sei tutta matta Lesley, ora vattene, prima che tu faccia di me un eterosessuale coi fiocchi!”
“Ti farebbe schifo l’eterosessualità? Se ti piacessero le donne potresti avere quel bambino che da tanto desideri.”
“Non me ne parlare.” Era una questione trita e ritrita. Più volte si era sfogato con lei di quanto le mancasse un figlio. Il desiderio di paternità era stato per un po’ sublimato dal fatto di avere un fidanzato adolescente. Ora che anche Jake era adulto la voglia di sentirsi chiamare papà era tornata prepotente.


Il Dott Keane aveva mantenuto il suo orario di lavoro inalterato per crederci davvero, convincersi che avrebbe fatto la notte. Jenny Le Mer, una sua collega, era in debito con lui. La chiamò un’ora prima che iniziasse il turno.
“Cristo Keane, sei pazzo? Ho già programmato una cena e... "
“Niente ma, se non mi sostituisci questa notte racconto a tutti che ti sei rifatta le tette”
“Non è mica un segreto”
“Il fatto che sei andata a giocare d’azzardo ad Atlantic city invece... ”
“Ora perché sei un mezzo divo devi per forza di cose fare il bastardo?”
“Ti prego... ”
“Ecco la parola magica, sicuro che non vai a fare qualcosa di cui io sarò complice?”
“Tranquilla, quello che andrò a fare non è reato federale” lei rise alla battuta, e si salutarono scanzonati.
Jake andò direttamente a casa di Heath, finalmente avrebbe visto il bell’appartamento del bel direttore d’orchestra e del suo fidanzato, che da qualche tempo era pure il suo amante.
Il padrone di casa lo ricevette in tuta a t-shirt di cotone bianca. Gli fece venire subito l’acquolina.
“Sei uno schianto di ragazzo te l’ho detto mai?” e gli si buttò addosso. Si baciarono con passione, rotolarono direttamente sul grande tappeto di lana tibetana incordato a mano.
“Scopami subito” sospirò mentre cercava di togliersi agevolmente i pantaloni. Heath si limitò ad abbassare i suoi. Lo prese senza niente. E non era nemmeno la prima volta.
“Fai il pieno” enunciò il ginecologo prima che l’altro venisse.
“Sei sicuro?”
“Come che un giorno morirò” rispose inarcando la schiena per agevolare ulteriormente la penetrazione. Un ultimo colpo di reni e fu colmato come voleva.
Restarono uniti per diversi secondi cercando di tornare ad un respiro normale.
“Scusa, avrei dovuto prima mostrarti la casa.”
“Ehm, spiritoso, lo sai che fottermi viene sempre prima del resto” rispose. Iniziò a guardarsi intorno in quel momento.
“Ha davvero buon gusto il tuo ragazzo.”
“E già, ora quando ti alzi fa attenzione, non vorrei che colasse fuori e sporcassimo il tappeto.”
“Di valore?”
“Sì, ma se anche non valesse nulla, beh sarei obbligato a dare spiegazioni!”
“In effetti” per non rischiare, Jake fece una specie di capriola orizzontale verso il pavimento. Si alzò tenendosi la mano tra le gambe.
“Se mi dici dove è il bagno mi do una bella lavata” il padrone di casa glielo mostrò. Dopo dieci minuti si ritrovarono affamati e mangiarono patatine seduti sul tavolo della cucina.
“Lo fate mai qui sopra?”
L’altro non rispose ma diventò rosso.
“Come no, ti si legge in faccia. Scommetto che anche poco prima che è partito... ”
“Non è tanto comodo, c’è di meglio.”
“E allora dimmi, dov’è il posto in cui piace di più a Will?”
“Perché invece non parliamo di qual è il posto preferito di Li?” lo sguardo del medico si fece finto pensieroso :“Fammi pensare, beh a lui piace soprattutto farlo nel suo ufficio in effetti.”
“Nel suo ufficio?”
“Che c’è di male? Rivisitiamo la vicenda Clinton-Flowers in tutte le salse. Mi piace proprio un sacco il ruolo di stagista” ammiccò con il solito atteggiamento Lolitoso.
“Già, ti si addice.”
“Cos’è? Un modo per dirmi che devo andare sotto il tavolino e farti il lavoretto di bocca più strepitoso che tu abbia mai ricevuto?”
“Se per te fosse la maggiore delle priorità.”
“Ehm, no.”
“Come no?
“Non è quella l’idea che avevo in mente.”
“Ok spara.”
“Nel letto di William.”

domenica 10 maggio 2009

Il sequel di "Io con un uomo mai"

Se il disco rigido del mio pc non se l'è portato con se nella tomba, ci sarà. Grazie ad ersien per la grafica fantastica!

sabato 9 maggio 2009

martedì 5 maggio 2009

Bordeline, cap 4


Capitolo 4


Jake restò a dormire accoccolato alle spalle del suo uomo.
Liam si alzò come sempre prima dell’alba. Lasciò sulla lavagnetta una frase sdolcinata per il suo adorato ragazzo e se ne andò in ufficio come ogni giorno. Svegliandosi il giovane annusò il cuscino del compagno che odorava ancora di lui.
Ti amo da impazzire Li. Ma quello che è successo con Heath, Cristo... conta. Mi piace un casino quel ragazzo. Rifletté in un improbabile dialogo con se stesso. Aveva già voglia di chiamarlo, aveva già voglia di rivederlo. Non era la prima volta che si concedeva una ‘trasgressione’ anche se, tutto sommato, gli era stato fedele. Una, massimo due volte all’anno, una scappatella. Per giustificare la sua condotta si raccontava che avrebbe fatto bene al loro rapporto. Di fatti era vero che, essendo stato Liam il suo primo uomo, non aveva avuto ex e dunque era anche lecito aspettarsi da lui l’esigenza di fare esperienze. Probabilmente l’altro era abbastanza intelligente da intuirlo. Non erano una coppia aperta, ma avevano le potenzialità per diventarlo. Liam confidava a Jake se c’era qualcuno che lo stuzzicava ma non l’aveva mai tradito davvero, almeno per quel che ne sapeva lui. Se contava anche il tradimento mentale allora erano entrambi dei grandi infedeli! Jake era andato oltre la fantasia. Lo aveva fatto in sauna. Una volta con il marito di una paziente che, con una scusa banale, era piombato nel suo studio.
Niente di serio. Sesso. Per combattere la noia, per ritrovare un pizzico di libertà. Per sentirsi vivo e giovane. E poi c’erano state le avventure durante il college. Valevano pure tutti i pompini che aveva elargito? Se è così sono proprio una gran vacca. Meditò. Liam si era offerto di pagargli il college e lui l’aveva ricambiato facendosi mezzo ateneo. Sbuffò. Non era il caso di sentirsi in colpa per quello. Di fatti, il lavoretto di bocca più grave di tutti era avvenuto poche ore prima. Una dozzina di ore prima, nel parcheggio di un elegante ristorante, Jake aveva fatto la fellatio più sentita da quando aveva quindici anni e il suo professore di chimica aveva fatto di lui un uomo. Un invisibile ponte univa le due esperienze. Il suo primo pompino e il suo ultimo pompino avevano un comune denominatore. L’amore. Sì, era quella la differenza con tutti gli altri. Amava Liam ogni volta che lo sentiva godere, aveva amato Heath mentre lo sentiva gemere di piacere. Tutti gli altri erano stati solo uno sfogo. Un atto liberatorio per rendere la sua vita così perfetta un po’ meno banale o forse il contrario. Un’alternativa alla masturbazione o, se vogliamo, carburante per la sua fantasia instancabile. La sua lussuria era probabilmente causata dal mestiere che faceva. Evidentemente rovistare tra le gambe delle donne gli faceva venire una gran voglia di fare sesso con gli uomini. Nessuna di quelle signore avrebbe sospettato che era gay. Non solo perché era tanto bello e affascinante. E per niente effeminato. A Jake piaceva flirtare con loro, farle sentire attraenti e importanti. E con le gravide era ancor più facile perché avendo gli ormoni su di giri, percepivano subito le adulazioni. Prima di decidersi per una salutare doccia, pensò intensamente a Heath e decise che avrebbero dovuto rivedersi al più presto.


William andò in palestra quella sera. Gli piaceva più che altro fare la sauna. Dopo un’intensa giornata trovava rilassante abbandonarsi al calore della pietra, e i fumi che salivano fin sopra il soffitto lo rigeneravano. Era anche un modo per mantenersi in forma. Era di costituzione magra sebbene amasse mangiare. Adorava mangiare, bere e, naturalmente, adorava fare sesso. Dopo il suo lavoro, l’attività che gli riusciva meglio. Adocchiò un paio di uomini con i quali avrebbe fatto volentieri le capriole, ce ne erano anche altri di scopabili, ma non erano esattamente il suo ideale di maschio. Gli piacevano quelli carini ma insicuri, preferibilmente biondi o biondastri, e non pelosi. Sui peli non transigeva. E anche il sorriso era importante, di fronte ad uno squadrone di candidi si scioglieva. Ma aveva da tempo smesso di saltare la cavallina. Il gioco di questo me lo farei era divertente con Stacy. Da solo non tanto. Ma da quando lei aveva la bambina era sempre più difficile passarci qualche ora insieme, soprattutto divertirsi con lei. Da gravida era sempre irritabile, ansiosa e piagnucolona. E dopo la nascita di Vanilla le cose non erano migliorate, anzi. Will si domandò quanto sarebbe andato avanti il baby blues. Rivoleva la sua Stacy. La sua ciccionissima amica del cuore. Come ogni gay aveva un’amica con la quale sfogarsi, con cui ridere anche dei propri difetti. Uscito dalla sauna decise di chiamarla.
“Stasera aperitivo, non si accettano rifiuti.”
“William... ”
“Niente William, ti vengo a prendere tra un ora.”
“E Vanilla?”
“Lasciamola a Heath.”
“Prende il mio latte. Dove va la mucca va il vitello.”
“Ok, allora portala con te. Ma voglio vederti, cazzo Stay. Da quando sei rimasta incinta passi più tempo con Heath che con me!”
“Non dire cazzate. Però non ti prometto niente, sono un po’ giù e... ”
“Uscire ti farà benone. Andiamo in quel locale pieno di checche a prendere per il culo oppure no, sai che facciamo? Andiamo al dopo lavoro, è pieno di camionisti e virgulti operai. Sarà uno spasso come sempre giocare a: questo me lo farei...”
“Non venirmi a parlare di sesso, checca egoista. Non lo faccio dal concepimento di Vanilla.”
“Magari rimorchi.”
“Un camionista ubriaco?”
“Oddio, come lo hai detto! Mi sto già divertendo!” stava quasi saltellando di gioia. Si infilò la camicia dentro i pantaloni. Uscì dallo spogliatoio sogghignando.


William individuò subito Stacy. L’unica donna con il marsupio più grande dietro la schiena che davanti.
“Cristo, il tuo culone si vede da Hoboken”
“Ehy, finocchio. È il modo di ringraziarmi?”
“Tu dovresti ringraziare me, che ti ho fatto alzare le chiappe da quel divano” si abbracciarono affettuosamente. Will baciò in testa la piccolina.
“Quant’è carina, è uno spettacolo.”
“Tu sei uno spettacolo” e quel finocchio del tuo ragazzo ti fa le corna. Dio lo ucciderei. Pensò. Si prospettava una serata piena di pensieri simili.


Stacy era convinta che William McCarthy fosse l’uomo più bello e sexy del mondo. Gli risultava pure bravo a letto, allora perché stava succhiando un frappé al cioccolato davanti a un cornuto?
“Come va con Heath?”
“Magnificamente, perché me lo chiedi?”
“No, niente. L’ho visto un po’ preoccupato.”
“Lo so, sono sei mesi che non lavora.”
“E allora io? Tra l’altro, a differenza sua, non ho un fantastico direttore d’orchestra che mi paga i conti.”
“Appunto per questo. Conosco Heath, non gli piace dipendere da me.”
“Sì ma il discorso non cambia. E vedrai, lui troverà una particina in Hairspray mentre io sarò qui a piangermi addosso.”
“Non devi farlo. Hai tutto quello che nessun maschio gay potrà mai sperare di avere. Senza pagare è ovvio.”
“Già, io devo ringraziare la Control per i suoi magnifici condom che si sbucciano come una banana.”
“Hai pensato di citarli in giudizio?”
“Come no, e porto la bambina come prova” ridacchiò. Aveva deciso di tenerla. Non poteva ogni tre per due accusarla di essere la sua rovina. Anche perché, nonostante tutto, l’amava da impazzire.
La serata giunse al termine dopo la telefonata di Heath. La linea cascò prima che avessero terminato di parlare.
“Bell’amico sei, il tuo vibratore di carne chiama e abbandoni la tua amica ragazza madre.”
“Ho solo voglia di stare un po’ solo con lui. Due sere fa le prove, ieri, prima di andare da sua madre mi sono accontentato di un pompino. Ebbene sì, Vostro Onore, colpevole! Voglio farmi una sacrosanta scopata di con il mio ragazzo, lo ammetto.”
“Ieri è andato da sua madre? E ti ha fatto un pompino prima?”
“Sì.”
“Bastardo.”
“Perché?”
“Beh perché... perché andare da sua madre con la sbobba ancora calda in bocca. Che puttana!”
William ridacchiò divertito. “Finiscila e poi sono io il tipo da sbobba in bocca, lui fa lo schifiltoso.”
“Senti senti... ”
Camminarono per due isolati fino ad arrivare davanti il portone della donna.
“Stacy.”
“Che c’è?”
“Secondo te è normale che dopo tre anni e mezzo io lo ami ancora così tanto?”
“Non lo so. Lui ti ama quanto lo ami te?”
“Tu che dici? Siete in confidenza mi sembra.”
“Credevo di sì.”
“Credevi?”
“No, nel senso, dimmelo tu. Sei tu ad avere dei dubbi.”
“No, non ci sono dubbi” gli occhi azzurri si fecero lucidi “Heath mi ama da impazzire. Lo so. Sono praticamente l’aria che respira. E anch’io lo amo nella stessa maniera. Guarda che non è facile di questi tempi trovare un’intesa così perfetta. Ho proprio vinto alla lotteria quando l’ho conosciuto.”
“Lui ha vinto alla lotteria.”
“Non essere materiale, intendevo dire... ”
“Lo so” Vanilla attaccò a piangere. Aveva di nuovo fame.
“Passate una magnifica scopata allora.”
“Sarà fatto”.
Quando William entrò in casa, scoprì che l’unico rumore era quello della lavastoviglie in funzione.
“Tesoro dove sei, giochiamo a nascondino?” appena terminata la frase il sorriso gli morì in volto.
Un biglietto troneggiava sopra il ripiano di marmo. -Torno il prima possibile, poi ti spiego-
Torno il prima possibile, poi ti spiego? Cosa cazzo vuol dire? Si domandò mettendosi a sedere. Sembrava che improvvisamente gli fosse mancata la terra sotto i piedi.