lunedì 28 settembre 2009

Ogni singolo respiro, capitolo 15


Ian era veramente in ansia a causa del suo avvocato. Finché c’era stata Wendy ad assisterlo tutto gli era sembrato lineare, a tratti addirittura divertente! Invece Bower, divenuta Carol Miller per quel millennio, era la sua spina nel fianco. Dopo che l’incontro fu terminato, alcuni ricordi per niente piacevoli si affacciarono alla sua mente in maniera disarmonica. Non voleva ricordare di nuovo il suo passato, in particolare le torture subite da lui, Kelly e Bower-Carol. Erano solo dei ragazzini piccoli e spaventati. E, come aveva giustamente sottolineato l’avvocato, lui, ad un certo punto, ce l’aveva fatta a tirarsi fuori da quell’inferno. Dai sei anni in poi aveva avuto una famiglia che l’aveva amato al di sopra di tutto. E quando, intorno ai diciotto anni, Kelly lo aveva cercato, gli era sembrato scontato accettare l’amicizia di un quasi fratello. Dopo sei mesi di frequentazione nella quale parlavano, e spesso sparlavano, dei loro problemi compulsivi vari, Kelly lo pregò di accompagnarlo in Europa. Dopo le prime titubanze aveva accettato. E tutto era filato liscio. Ma come poteva esistere una normalità di qualsiasi genere dopo quello che avevano subito? Davvero si erano illusi di aver trovato un loro, magari precario, equilibrio? Eppure gli era stato grato a lungo. Era stato lui a fargli scoprire il corso di P.N.L. e, di conseguenza, restare così affascinato dalla mente umana da tornare sui libri, al college, e studiare psicologia. Da lì a poco, entrare nell’F.B.I.; raggiungere certi livelli si rivelò un’impresa tutt’altro che semplice. Addentrarsi in quei complicati meccanismi mentali era stata dura. Conoscendo gli altri aveva scoperto cose di se stesso che probabilmente non avrebbe voluto sapere. Scontrarsi con i fantasmi del passato. Iniziare a capire le cose, ad esempio il perché fosse un fissato della pulizia. Rivedersi legato sotto quel tavolo, le corde a fare male, a squarciare la pelle! Un bambino indifeso che non sa di essere brutalizzato ma che vede il tutto come una equa punizione. Dopo tutto ho sporcato, è giusto che io venga punito e stia tra i rifiuti. Quello doveva essere più o meno il pensiero del cinquenne Edward Ian Emmerich. Una tortura nella tortura.

Dopo aver fatto l’amore, Temperance e Booth si ritrovarono abbracciati e pensosi. Ad essere inquieta era soprattutto la donna.
“Ti hanno detto cos’ha?” chiese riferendosi al ricovero di Emmerich.
“Una banale infezione. Ma temo ci sia di più. Le sue braccia erano costellate da strane ferite.”
“In che senso strane?” il piglio dell’antropologa si era fatto curioso.
“Come se fosse stato colpito più volte con un punteruolo e da ogni coltellata fosse sgorgato un po’ di sangue.”
“Non mi sorprenderebbe se fossero state le guardie. È nella natura umana far rispettare l’equilibro delle cose con giustizia sommaria e autarchica.”
“Sì, ci ho pensato anch’io” come colto da raptus scese dal letto.
“Dove stai andando?”
“Mi sento colpa a stare qui senza batter ciglio.”
“Ci risiamo... ”
“Bones, scusa.”
“Possibile che non sono ancora passati dieci minuti dall’ultima volta che sei venuto con me e già ti senti in colpa per quel...!” La rabbia le impedì di trovare l’aggettivo più adatto. Brennan stava per soccombere ad uno sbalzo ormonale piuttosto serio. In parte aveva ragione. Booth sembrava non rendersi conto con quanta facilità passasse da un eccesso all’altro. Troppo protettiva nei riguardi della futura madre. Troppo preoccupato per il recluso in attesa di giudizio.
“Non si scappa da un letto ancora caldo. Non così.”
“Non sto scappando! Voglio solo fare un paio di telefonate. Appurare se quei secondini sono davvero dei torturatori. Non c’è niente di strano.”
“Sì che c’è! Tu sei troppo preoccupato per il tuo ex collega per i miei gusti. Dovesti pensare solo a me, a nient’altri che me! Te ne rendi conto?” le accuse di Bones arrivavano precise al cuore di Booth. Se c’era qualcosa che faceva male, dannatamente male, era proprio sentirsi dire che non si occupava a sufficienza di lei, pensando invece all’ex amante, ‘maschio’, in carcere! Era o non era imperdonabile la sua condotta?
“Mi dispiace...” si accostò a lei accarezzandole il braccio. Era ancora nuda e umida. Mentre la guardava non gli riusciva di pensare a qualcosa di altrettanto attraente. Ma come socchiudeva gli occhi, l’immagine del torturato tornava a ‘torturare’ la sua anima.
“Io ti amo sul serio.”
“Basta smancerie, Booth! Non giriamoci intorno: finché questa storia di Emmerich non sarà in qualche modo conclusa non è una buona idea andare a letto insieme.”
“Ne sei sicura?”
“No! Certo che non voglio smettere di fare sesso con te! Ma tu non devi pensare a lui quando siamo insieme.”
“Ti giuro che questo è solo un caso. Ma hai ragione, sono imperdonabile.” Per una manciata di minuti restarono in silenzio. Brennan era rigida con la schiena attaccata alla spalliera del letto. Quando fu troppo dall’ultima volta che erano stati abbracciati, Booth decise di riappacificarsi con o senza l’ausilio di lei. Si piegò e le catturò le spalle. Rimasero stretti per diverso tempo.
“Proviamo a fare le cose con calma” propose la donna.
“In che senso?”
Si staccò prima di rispondere: “Se vuoi occuparti anche di Emmerich, e non sto dicendo che mi sta bene, devi pensare a quello.”
“Bones, non esiste, tu e il nostro bambino venite prima di tutto.”
“Non finché la tua testa è al carcere federale” la suoneria disarmonica di Booth s’inserì sfacciata.
Afferrò l’aggeggio: “Booth.”
“Carol Miller.”
“Mi scusi...”
“L’avvocato di Ian Emmerich. Il suo amico.”
“Conosco Wendy.”
“Sì, ma stamani mi sono recata io da lui. Che ne pensa di vederci domani a colazione?”
“Un consulto?”
“Qualcosa del genere.” Booth accettò per le dodici. Prima c’era l’incontro con Sweets. Mancavano tre giorni all’udienza preliminare. E, alla fine del processo, qualcosa sarebbe cambiato per sempre. Con Emmerich dentro a vita, magari ingiustamente, oppure fuori e dichiarato innocente. In qualsiasi dei casi, la sua vita avrebbe virato da un’altra parte.


“Ma anche no dipende da te.” Lo psicoterapeuta sottolineò la frase con un sorriso mellifluo che infastidì il suo assistito.
“Stai scherzando? È così, non vedo come potrebbe essere altrimenti, Sweets!”
“Lei afferma che, qualsiasi sia la sentenza, colpevolezza o innocenza la sua vita cambierà definitivamente, nonostante questo progetta di metter su famiglia con la dottoressa Brennan.”
“Hai afferrato il concetto. Sono un incoerente, per questo mi trovo qui!” Lo guardò aggressivo: “E tu devi aiutarmi! Voglio tornare l’uomo che ero prima. Il mondo non sa che farsene di questo Booth senza spina dorsale!”
“Non sia duro con se stesso e faccia quello che le chiedo di fare da quando siamo qui, accettarsi semplicemente. Accetti la sua incoerenza, i suoi dubbi. Accetti tutto quello che non è perfetto di lei. E anche la persona che la ama lo farà.”
“Quando dice la persona che mi ama intende Bones, giusto?”
“Da chi preferisce sentirsi amato?”
“Non fare questi giochetti, non mi sembra il caso!”
“Non sono giochetti. Sono costatazioni. Sa che Brennan la ama ma sente anche nitida la forza dell’amore di Emmerich, anche per questo sta lottando per lui.”
“Già, ma è proprio questo che mette a repentaglio il mio rapporto con la donna che amo.”
“Non credo. Sono certo che lei capirà” Booth lo guardò perplesso. Quest’ultima frase sembra uscita dall’amico e non dallo psicoterapeuta. Si rilassò sulla poltrona. Avevano parlato per oltre un’ora. Si era fatto tardi. Carol Miller, l’avvocatessa di Ian, lo stava aspettando.


L’incontro con il nuovo avvocato di per sé non rivelò niente di straordinario, tranne forse il fatto che lei flirtò un po’ troppo spudoratamente. Booth doveva ammettere che fosse una bella donna. Appena la vide si rammentò di averla già incontrata sotto lo studio. E anche in quell’occasione era stato colpito dal suo fascino. Più sexy che bella, in verità. Vicino ai quaranta piuttosto che i trenta, tra l’altro portati benissimo. Aveva spalle così magre da esibire le ossa. I folti capelli scuri erano legati da uno chignon. Il sorriso e il volto tutto avevano qualcosa di artefatto. L’agente aveva intuito che il risultato di tanta sensualità era frutto di diversi interventi chirurgici anche se da quando stava con Bones non guardava più le altre donne. E trovava davvero inadeguate le confidenze che la Miller fece con tanta facilità. Da come si piegava su di lui mostrando il decolté mozzafiato. Alle risatine finto ingenue. Per non parlare dell’accavallamento di gambe stile Basic Instincts. Ma lei non era Sharon Stone né tanto meno Booth era Michael Douglas! Per questo, alla fine di quel pranzo, fu per lui difficile separarsi da lei senza sentirsi imbarazzato.
Una volta fuori il locale, Carol Miller chiese senza fare preamboli: “Ho parlato con Wendy. Pensa anche lei che sarebbe una buona idea se venisse a deporre.”
Booth restò di sasso. Era una di quelle cose che sperava non le chiedessero. “Non so, io...”
“Non si preoccupi. Abbiamo il benestare del giudice e anche il suo capo non farà obiezioni.”
“Lei crede sia una buona idea?”
“Assolutamente, Wendy farà le domande giuste. L’importante è far apparire Ian Emmerich un uomo giusto. Un bravo poliziotto, insomma qualcosa di lontano da un fuori di testa come Kelly.”
“A questo proposito: è da tempo che voglio interrogarlo. Come faccio a smuovere le acque?”
“Vorrebbe incontrare Kelly?”
“Sì.”
“È uno stolto. Non è una buona idea.”
“Già, appunto! Tutti non fanno altro che ripetere che è uno stolto, però, a causa delle accuse di uno stolto, Ian è stato accusato e tutti credono sia suo complice.” Quelle parole di autentico affetto colpirono molto il legale. Booth aveva dimostrato di tenerci parecchio al suo assistito. Impacciata, fece un sorriso di circostanza.
“Farò in modo di aiutarla anche in questo. Sono propensa ad assecondare ogni suo desiderio” disse con tono malizioso. Si avvicinò a lui un po’ troppo. L’uomo restò rigido. Ma Carol sentì il fuoco divampare dentro sé.

giovedì 24 settembre 2009

Borderline capitolo 19





La camera matrimoniale di Liam sembrava la dimora della lussuria. Probabilmente per l’odore di incensi da poco spenti, o l’ampio letto sul quale erano stati disseminati cuscini a forma di cuore. Per i quadri alle pareti tra cui dipinti che mostravano fanciulli poco più che adolescenti in pose lascive. William si soffermò ad osservarli, rapito.
“Un altro drink?” propose il padrone di casa. Cercava di tenersi alla larga. Già la prossimità durante il viaggio in taxi era stata logorante per i suoi ormoni. Se si accostava un po’ troppo non ce l’avrebbe più fatta a resistere. Gli sarebbe saltato addosso. Gli avrebbe fatto male. Voleva trattenersi. Voleva che la loro prima volta fosse indimenticabile. Sul serio.
“No grazie, non voglio partire stasera.” Sorrise. “Questi quadri sono veramente belli, chi li ha fatti?”
“Che tu ci creda o no, Liam da giovane.”
“Sono tuoi?” l’ospite era sorpreso. Ma quante doti aveva questo ragazzone di quarant’anni? C’era da scommettere che prima dell’alba ne avrebbe scoperte almeno un’altra dozzina!
“Un tempo avevo il pallino dell’arte. Mi piaceva dipingere. Tutt’ora abbozzo qualcosa, quando ho tempo da perdere.”
“Che bello. Io sono sempre stato negato.”
“Ognuno ha le sue doti.” Osò avvicinarsi. Le labbra di William da troppo tempo stavano gridando baciami. E ora era in piedi, davanti a quelle discrete oscenità. Il suo corpo sembrava non chiedere altro. Altro che essere amato.
“Liam” sussurrò quando le dita dell’uomo pigiarono sulla sua guancia.
“Sei un sogno Will.” Senza fretta i visi si lambirono. Pochi attimi e le labbra si trovarono.
Un bacio.
Due baci.
Tre... quattro. Le bocche si schiusero. Le lingue s’incontrano, scontrano, così anche i denti. E le braccia di Liam circondarono la vita.
A William venne naturale piegare la testa e lasciarsi andare sulla spalla possente. Accogliere l’irruenza di quel bacio, la passione. L’abbraccio totale. Accogliere il suo angelo. Già, il suo angelo. S’interruppe all’improvviso.
“Tu c’eri quella sera.”
“Quale sera?”
“Al party di beneficenza. All’Ermitage, ricordi?”
“Sì, me lo ricordo bene quel party. È li che ti ho visto la prima volta!” e che poi sono successe altre cosette. Pensò. Anche se la scoperta del tradimento di Jake sembrava anni luce in quel momento.
William sorrise come uno stolto.
“Che c’è?”
“Anch’io ti ho conosciuto quella sera.”
“Che intendi dire? Non sono riuscito a presentarmi.”
“Sì, Liam, io ti ho sentito. Anche se non sapevo come eri fatto io ti ho sentito vicino a me. Liam tu sei il mio angelo.” Rivelò. L’altro non capì. Ma un ricordo subitaneo lo colpì. Anche Hot spot lo chiamava Angel! Ma l’avvicinarsi di William lo fece desistere dal continuare a parlare. C’erano le labbra già gonfie di baci. C’era il corpo da svelare. C’era la tensione da appianare.
Il letto esercitava sui due un’attrazione incredibile. E, ben presto, vi si trovano riversi.
William si accoccolò tra i cuscini. L’altro si soffermò a guardarlo.
“Ora ti spoglierò. Ma tu sta pronto a chiamare il nove-uno-uno. Non so se il mio cuore reggerà a tanta grazia.”
“Finiscila” sorrise l’altro.
Colmo di desiderio, Liam prese a sbottonargli la camicia. Sotto c’era la pelle, calda, bianca, liscia.
“Sei perfetto. Sei un magnifico, perfetto. Incantevole, ragazzo incantevole.” William arrossì mentre gli venivano slacciati i pantaloni. I boxer scesero insieme ad essi. Una volta che fu completamente nudo, il padrone di casa lo contemplò.
“Sei una favola. Un incanto per gli occhi, una sofferenza per questo mio cuore. Mai vista tanta bellezza, piccolo mio” non gli lasciò possibilità di replica. Si abbassò per baciarlo. William lo accolse con calore. L’eccitazione si stava facendo sempre più pressante.
“Ora spogliati tu” suggerì l’altro.
“Sono d’accordo, questi jeans sono decisamente troppo stretti, ormai.”
“Allora lascia che ti dia una mano.” Liam si tolse la maglietta. Il profumo di oli da bagno si propagò per tutta la stanza.
“Sai di buono.”
“Sono stato ad un centro benessere per un massaggio.”
“Anch’io amo i massaggi.”
“Prendo nota.” Mentre finiva la frase William sbottò il jeans. L’erezione spuntò fuori puntando su di lui come un fucile spianato. Non c’era nessun indumento intimo a dividere il tessuto dalla pelle.
“O mio dio” si lasciò sfuggire il biondo. Non credeva ai suoi occhi.
Forse è un sogno. Oppure mi sto facendo una sega. Pensò. William era incredulo. Totalmente incredulo. Nemmeno nelle sue fantasie più audaci avrebbe immaginato che Liam-Angel, fosse così dotato.
Lo fissò per qualche attimo basito.
“Che c’è?”
“Sono senza parole.”
“Perché?”
“È è... è favoloso.” Liam sorrise fiero. Dopo tutto non gli dispiaceva essere superdotato soprattutto quando trovava chi lo apprezzava con tanto genuino entusiasmo.
William stava letteralmente sbavando. Il pene turgido di Liam era persino troppo.
Troppo largo.
Troppo lungo.
Troppo venoso.
Troppo scuro.
Troppo bello.
“Dio, questo è il fallo dei miei sogni adolescenziali!” arrossì per quello che aveva appena ammesso.“Ora non penserai che...”
“Amo la spontaneità.”
“Ok. Allora non è un problema se ti dico che avresti ragione se mi ritenessi uno di quei gay a cui piace da impazzire...”
“Il cazzo? Mi preoccuperebbe il contrario.”
“D’ora in avanti mi guarderai come una baldracca?”
Liam sorrise. “La baldracca più deliziosa del mondo.”
“Meno male.”
William smise di preoccuparsi di apparire poco serio. Doveva toccare, baciare, succhiare l’uccello di Liam, subito!
“Ora ti faccio un pompino e poi facciamo l’amore.”
“Mi sembra un bel programma” la voce di Liam tradì un brivido. E poi, finalmente, la bocca di William si poggiò sul punto più sensibile del suo corpo. Le labbra scelsero la parte centrale. Risalirono l’asta fino all’attaccatura dando leggeri baci e morsetti. Poi tornarono alla punta.
Scelse di non succhiare ma baciò infiammando il beneficiario.
“Succhialo ora.”
“Assolutamente si” e così fece. William iniziò a pompare. Era in estasi. Da quando un sesso non gli riempiva così bene la bocca?.
Liam accompagnò il su e giù della testa dondolando i fianchi e ghermendo i riccioli biondi. I gemiti rochi e gli ansiti e il risucchio, rimbombarono nella grande stanza.
“Sei molto bravo ma ora basta. Non voglio venire così” Liam lo scansò con dolcezza e decisione allo stesso tempo. Lo prese in braccio per spostarlo. Non pesava molto. Lo posò al centro del letto. Pose un cuscino sotto i glutei.
“Allarga le gambe, prima di iniziare voglio guardarti.”
“Ok” con naturalezza Will obbedì. Divaricò bene le cosce mostrando la sua parte più segreta. Liam sospirò. È incantevole anche là, pensò. Il suo spacco era come la bocca di un fiore. La carne intorno all’entrata era un po’ più scura. Questo tradiva la propensione a farne uso. William non lo negava. Amava essere preso dagli uomini. Succhiare e farsi fottere erano le sue attività sessuali favorite.
“Hai un culetto stupendo.”
“Vuoi farmi di nuovo arrossire?”
“Forse, sei così eccitante quando arrossisci” Liam lo disse sorridendo. Ma suo sguardo era accecato dalla lussuria. Accarezzò l’oggetto del desiderio. Come mosso da un istinto innato, il passivo si protese in avanti sospirando. Il dito medio formò dei leggeri cerchi intorno al foro esasperandolo.
“Sei cattivo se fai così.”
“Scusami ma è delizioso guardarti. Guardare la tua magnifica fessura desiderare così ardentemente le mie attenzioni. Sembra parlarmi malgrado non abbia voce” William avrebbe voluto dire: ‘ti sta gridando soddisfami, riempimi, che aspetti?!’ ma restò in silenzio. Attendendo con doloroso piacere.
“Il muscolo attorno al tuo organo sessuale primario è gonfio e ben allenato. Questo vuol dire due cose. La prima è che sei abituato a farti amare così. La seconda è che ne trai un piacere enorme. Tanto che il tuo corpo si è sviluppato maggiormente in questa zona.”
“Verissimo, Liam, per questo non ce la faccio più. La natura ti ha dato dono di un aggeggio pronto a sviluppare anche maggiormente questo muscolo, usalo!” implorò accarezzandosi tra le gambe. Improvvisamente, Liam riconobbe le mani e, soprattutto, il culo di Hot spot. Oddio, non ci posso credere, è proprio il segaiolo con il quale facevo sesso virtuale, ne sono certo! Restò senza fiato e immobile.
“Che succede, mio caro? Perché te ne stai fermo impalato? Vieni tra le mie gambe. Facciamo l’amore, dai.” Spronò. Allungò la mano per afferrare il sesso. Restò deluso quando si avvide che aveva perso gran parte del suo vigore. Era sempre un pene di dimensioni notevoli ma moscio.
“Ti è passata la voglia?”
“No, cioè... sono un po’ agitato. Ti va se prima parliamo un po’?”
“Parlare?” Will non capiva. Erano ad un passo dall’unirsi per la prima volta, e sarebbe stato magnifico, ne era certo, e Liam voleva chiacchierare?
“Ok, parliamo... ma dopo mi lascerai impegnare affinché tutto ritorni come prima. Mi riferisco alla tua magnifica erezione...”
“Certo piccolo, non chiedo di meglio.”
“Dimmi tutto.”
“Sì, ecco. Volevo domandarti se... insomma: fai sesso virtuale?”
William lo guardò sbigottito:“Perché questa domanda?”
“Preciso: io non ci trovo niente di male, solo che... rispondi.” Will era sulle spine. Come faceva a saperlo? Si era fatto vedere da lui in cam e ora era stato riconosciuto? Quello sì sarebbe stato imbarazzate! Anche se a parte Victim non c’erano tanti altri uomini con il quale aveva chattato più di una volta.
“È capitato, soprattutto dopo la rottura con il mio ragazzo. Sì, faccio sesso virtuale, anzi facevo... perché mi fai questa domanda?”.
“Credo di averti riconosciuto. Quando ti sei accarezzato tra le cosce. Ho riconosciuto il tuo magnifico sedere e le tue belle dita. Sei Hot spot, vero?”
“Sì sono io.” William era atterrito. Ma chi era Liam Spancer? Che ne sapeva della sua doppia vita?

lunedì 21 settembre 2009

Bollori (parte prima e parte seconda)






Jan e Miguel stanno facendo un appostamento in macchina...
"Jan questa qui mi sta facendo scoppiare..."
"Finiscila Miguel, lo sai che non ha senso... non possiamo nemmeno pensarle le donne sulle quali indaghiamo e tu ci sbavi sopra?"
"Sì ma questa è talmente...!"
"Lo ammetto, è una bella ragazza. Ma calmati una buona volta. Possibile che tu non riesca a pensare ad altro?"
"E come faccio? Guarda Jan, guarda come accavalla le gambe, hai visto che gambe?" Miguel appoggia la mano sulla coscia del collega.
"Vuoi continuare così per tutta la serata Miguel?"
"No, ma è una dea. Sarà che ho un debole per le bellezze esotiche"
"Tu hai un debole per qualsiasi tipo di donna! Bionde, brune, rosse. Da quando ti conosco sei uscito con ogni tipo di femmina esistente sulla faccia della terra!"
"Però esageri ora. Con Ina non sono uscito..."
"Già, perché stranamente riesci a concepire il fatto che con una collega non sarebbe deontologico..."
"Deontologico! Che parolone. Allora noi due?"
"Noi due cosa?" piglio indagatore di Jan.
"Beh noi siamo più che colleghi, siamo amici."
"E chi discute l'amicizia? Anche io e Ina siamo amici."
"Non è la stessa cosa" Miguel tracanna un po' d'acqua dalla bottiglietta.
"Che vuoi dire?"
“Tra te e Ina non è amicizia nel vero senso della parola. Non avete mai approfondito.”
“Con te sì?” faccia ironica di Jan.
Miguel lo fulmina con lo sguardo.
“Jan, io per te sono importante, come tu lo sei per me. Non puoi mettermi sullo stesso livello di Ina!”
“Beh... non pensavo la vedessi così...”
L’argomento sembra chiuso ma Miguel è rabbuiato.
“Perché hai messo il broncio ora? Non fai più nessun apprezzamento sulle gambe e sul seno della Moreno?”
“Mi sono offeso.”
“Lo vedo, il tuo labbro inferiore sporge di tre quarti. Nemmeno Benny da piccolo metteva un broncio così.”
“Uffa, Jan. Non è giusto che tu giochi con i miei sentimenti!”
“Scherzi o dici sul serio?”
“Ho l’aria di uno che scherza?”
“Affatto.”
“Appunto.”
“Spigati, magari recuperiamo!”
“Arrivaci da solo.”
“No Miguel, devi proprio dirmelo cosa ti turba perché...”
“Mi turba che tu mi veda solo come un collega come un altro e non come... come un amico!”
Jan sgrana i suoi grandi occhi chiari mentre con aria incuriosita guarda Miguel. In particolare fissa le sue labbra...
“Lo sai che non è così...” la voce si fa più bassa.
“Lo pensavo anch’io, ma da quello che mi hai confessato prima..”
“Ma dai, ti prendevo in giro. Sei proprio un credulone! Certo che sei più importante di Ina. Da un certo punto di vista...” s’interrompe.
“Continua... cosa volevi dire...”
“Beh volevo dire che da un certo punto di vista tu sei la persona più importante per me dopo Benny. La persona che mi è più vicina.”
Gli occhi di Miguel cambiano colore o quasi. Il colorito del viso diviene acceso e tutto l’interesse si catapulta su Jan.
“Davvero, querido mio? Sono importante per te, così tanto?”
“Ma certo Miguel, perché ti sorprendi?”
Miguel sta zitto per qualche secondo. Poi guarda il collega di nuovo.
“Jan, voglio dirtelo... questo mi fa felice.”
“Bene...”
“Grazie...”
Qualche secondo di silenzio.
“Posso abbracciarti ora?” chiede Miguel.
“Sì, ma non esagerare perché ti ricordo che siamo in servizio.” Miguel gli si butta sopra schiacciandolo addosso al volante.
“Se mi stringi così mi fai male!” Jan cerca di divincolarsi ma poi si arrende al caloroso slancio d’affetto. Suona il telefono.
Si staccano. Jan guarda il telefono:
“Cavolo è Haio... pronto”
“Che diavolo sta succedendo?”
“A che ti riferisci?”
“La Moreno ha eluso un posto di blocco! Che facevate voi due?”
Jan e Miguel si guardano con aria desolata e colpevole.
E dicono in coro: “ce la siamo fatta scappare!”
(continua...)


Bollori parte seconda


Miguel propone a Jan una giornata in piscina. É caldo, e sole brilla alto nel cielo.
L’ispanico fa sapere che l’impianto sportivo pullula sempre di belle ragazze.
“Non ne avevo dubbi, Miguel...”
“Credimi Jan, una roba che tu in vita tua, amico, non hai mai visto!” confida mentre a velocità sostenuta sfreccia su di una via principale di Lipsia.
Una volta giunti nello stabile parcheggiano e si recano negli spogliatoi.
Pavoneggiandosi Miguel sfoggia un costume adamitico.
“Che ne pensi?”
Jan lo squadra contrariato. “No, Miguel, quel costume è scandaloso! Non va bene.”
“Dici che si vede un po’... troppo?”
“Ma certo, questa è una piscina di città. Non siamo mica a Copacabana.” Jan si fa pensieroso: “Ho un’idea, mettiti questo.” Dalla borsa tira fuori un costume bianco con una striscia blu da surfista. Semplice, carino, ordinato.
“Questo va bene.”
Miguel accetta il consiglio del collega ma, durante la vestizione, qualcosa non va.
“Jan, ho un problema.”
“Che ti succede.”
“Mi va stretto. Non riesco ad allacciarlo!”
“Ma come è possibile. Tu sei più magro di me. Ti sta stretto di vita?”
“No.”
“Di fianchi?”
“Nemmeno.”
“Miguel... non capisco...” La porta dello spogliatoio si apre. Imbarazzato Miguel fa sbirciare il ‘problema’.
“Caspita... ora capisco perché stringe.”
“Non so perché sto così ma... è davvero imbarazzante!”
“E ci credo.” Jan ironizza: “ti darei una mano ma non so proprio cosa fare...”
“Jan, smettila di prendermi in giro. Ti giuro che non me lo spiego. Forse sarà l’idea di tutte quelle ragazze mezze nude la fuori”
“Probabile che sia per quello.”
“E allora, come faccio?”
“Hai provato ad avere pensieri angoscianti?”
“Certo che sì! È la prima cosa che ho fatto.”
“Allora non so cosa dire...” il silenzio cade tra i due.
“Jan...”
“Che c’è?”
“Lasciami solo, cioè, tu vai avanti. Io... devo rimanere da solo.”
“Capisco” con un sorrisetto malizioso Jan si allontana da lui.


Jan è sdraiato supino. Occhiali da sole a specchio e abbronzatura dorata. Le donne più carine se lo mangiano con gli occhi.
Finalmente vede scorgere Miguel. Il costume che gli ha prestato gli sta un incanto.
“Era ora. Tutto bene?”
“Sì, tutto bene. Ci ho messo molto perché, beh, devo precisare: non sono più tanto abituato.” Jan ride di gusto e poi gli fa segno di sdraiarsi al lettino accanto a lui.
“Ti ho preso il posto, hai visto che bravo sono stato.”
“Ti ho portato nel paradiso della gnocca e ci mancherebbe che non sei grato al tuo amico.”
“Già. Talmente grato che ho detto che era occupato almeno a sei ragazze.”
“Per la miseria. Il fascino nordico e il fascino latino confluiscono per la conquista totale della razza femminile.”
Mentre si sdraia però Miguel si sente di nuovo a disagio.
“Jan...”
“Che c’è ora?”
“A proposito di confluire...”
“...”
“Il mio sangue sta di nuovo confluendo verso le parti basse.”
“Di nuovo? Ma che sei malato?”
Una giovane mora dalle curve prorompenti si avvicina ai due poliziotti.
“Posso chiedervi una cosa?” si appoggia dinnanzi a Miguel in maniera provocante.
“Ma certo” ribatte galante Jan.
“Le mie amiche ed io ci stavamo domandando se siete due calciatori, o comunque se siete famosi.” Jan e Miguel si guardano divertiti anche se il moro è ancora visibilmente turbato.
“Diciamo che preferiamo non dirlo” ribatte nonostante tutto. La sua posizione è strategicamente distesa e rigorosamente a pancia in sotto.
“Ah, capisco...” delusa si allontana.
“Hai visto che carina Miguel?”
“Sì che ho visto... è peggio del previsto.”
“Perché?”
“Perché mi fa male Jan. Ma che lo devo spiegare ad un uomo come ci si sente?”
Jan ironizza facendo gli occhi da cucciolo: “Poverino... fa tanto male?”
“Finiscila...”
“Quanto male?” gli accarezza il braccio con un dito in maniera sensuale.
“No, Jan, non farlo. Così mi uccidi.”
“Ma dai, una carezza da un collega ti fa quest’effetto? È quanto meno curioso.”
“Anche molto meno di questo.” Jan vuole proprio divertirsi alle spalle di Miguel. E, a proposito di spalle...
“Non hai messo la protezione.”
“E allora?” risponde caustico.
“E allora è pericoloso. Mai sentito parlare del buco dell’ozono?”
“Jan...” il tedesco purosangue prende dalla borsa un flacone di crema. La sparge uniformemente sulla schiena dell’amico.
“Jan, giuro che questa me la paghi...”
“Perché? Perché son carino con te mi dici questo?”
“Tu non devi essere così carino con me... quanto meno non in questo momento” l’altro ridendo si appoggia sul suo lettino attaccandosi al suo fianco.
Miguel cerca di rilassarsi anche se gli ormoni non gli danno tregua.
“Sei bravo. Dove hai imparato?”
“Ho anche tante altre doti, sai...”
“Accidenti a te. vuoi farmi proprio scoppiare?”
“Ma no dai...” e poi maliziosamente aggiunge: “se volessi farti scoppiare farei dell’altro...”
“Non voglio sapere cosa.” Le mani di Jan si spostano dalle spalle ai fianchi. Piano risalgono per poi scendere all’altezza delle ascelle.
“Potrei toccarti i capezzoli.”
“NO! No Jan, lo sai che i capezzoli sono il mio punto debole. Se lo fai mi costringi a buttarti dentro la piscina come minimo”
“Nemmeno una strizzatina?”
“Jan finiscila... lo sai che sta succedendo?”
“Stai soffrendo?”
“Il tuo costume...”
Jan si fa serio. “Cosa ha il mio costume?”
“Beh diciamo che... il gattone Miguel ha marcato il territorio.”
“Cioè vorresti dire che...”
Miguel volta la testa sorridendo. “a questo punto non mi resta che andarmi a fare il bagno...”
“Mio dio, non vorrai...” Miguel si alza. Da un leggero schiaffo all’amico.
“Ma ci hai creduto? Sei proprio ingenuo.”
“Cretino.”
“Cretino tu a provocarmi in quel modo. Ma te l’ho promesso, te la faccio pagare...”
“Come no...”
“Vedremo...”

(continua)....

mercoledì 16 settembre 2009

Borderline, capitolo 18




Capitolo 18


Liam Spancer era, ufficiosamente, di nuovo innamorato. Non che Jake, il bel giovane con il quale era stato insieme per quasi tredici anni fosse finito nel dimenticatoio, è ovvio. Ma qualcosa era cambiato. La mattina seguente l’appuntamento non aveva fatto altro che zampettare e canticchiare note stonate di canzoni della sua infanzia. Belinda, la sua segretaria personale, aveva mangiato la foglia.
“Hai esteso il tuo sguardo su chiappe nuove, giusto?” l’espressione gongolante del suo superiore tradiva lo stato di grazia.
“Scommetto che è un bocconcino coi fiocchi.”
“Indovinato.” A Liam non piaceva parlare con tutti dei suoi affari ma Belinda valeva un’eccezione!
Quella sera si rifugiò in internet. Guardò stancamente msg. Ormai del suo Hot spot 69 non c’era più traccia.
Sicuramente sarà arrabbiato con me per il bidone che gli ho tirato. Pensò. Malgrado tutto, un po’ gli mancava. Gli mancavano soprattutto le sue peripezie erotiche. Trovare qualcuno altrettanto bravo ad infilarsi giochi e ortaggi nel di dietro non sarebbe stato facile! Ma aveva il suoi dannato direttore d’orchestra a cui pensare, e prospettiva di serata migliore non ce n’era.


William se ne stava paciosamente assorto davanti alla scrivania. Il pc spento. Gli sparititi disseminati in maniera approssimata tutt’intorno. Era pensoso. La serata con Heath l’aveva turbato un bel po’. Gli mancava tantissimo il suo ex tra l’altro, averlo trovato così in forma non migliorava le cose. Cristo sembra ancora più sexy di prima. Pensò quella sera. Decise che doveva farla finita di rimuginare. Tra poche ore avrebbe rivisto Liam. Sorrise deliziato. Quell’uomo gli piaceva da morire. Lo voleva, e non si trattava di una curiosità sessuale, di uno sfogo come era stato con le sue ultime prede e, in alcuni casi, carnefici. Liam doveva dargli tutto quello che Heath gli aveva tolto. Quest’ultimo tornò dal suo nuovo ragazzo che era tardi ma proprio tardi.
“Tesoro sono quasi le tre del mattino, che è successo?” chiese rivedendolo.
Si guardarono intensamente. Heath rivelò di aver rivisto William e di averci parlato a lungo.
“Scommetto che c’è scappato un bacio o qualcos’altro, vero amore?” sorrise malizioso avvicinandosi a lui che nel frattempo si era spogliato.
“Non voglio essere maligno ma non siamo tutti come te e Liam.”
“Va bene, me lo merito, uno a zero per te. Insomma niente, proprio niente?”
“Tanta nostalgia, tanto desiderio trattenuto. No, piccolo, non ci ho fatto sesso non l’ho neanche baciato, ma non posso dire di non averlo desiderato immensamente.” Ammise vergognandosene un po’. William era sempre così attraente. E fare l’amore sarebbe stato così scontato. Forse troppo scontato.
“Non ti avrei sbattuto fuori di casa se lo avessi fatto. Se avessi fatto sesso con lui.”
“Sarebbe stato amore non sesso.” Jake sorrise felice. Il suo uomo aveva resistito alla tentazione di fare l’amore con il suo adorato e adorabile ex. Aveva diritto a qualcuno di così perfetto? No, forse era davvero troppo per lui.
“Heath, ti giuro che sono felice di questo ma non voglio ti tu ti senta male per stare alla larga da Will.”
“Non starò più alla larga da lui, abbiamo deciso di tentare una tregua. Poi, tra l’altro, credo che abbia una cotta o qualcosa del genere.”
“Te l’ha detto lui?”
“No, in realtà non mi ha detto niente. Ma l’ho intuito.”
Jake gli baciò una spalla. “Il mio magnifico ragazzo legge pure nel pensiero. Che ne dici se ora ci mettiamo a dormire? Domani sono pieno di cesarei programmati”
Heath avvicinò di molto la bocca a quella di lui: “Farà nascere tanti marmocchi il mio amore?”
“Sì.” Si baciarono teneramente per poi cadere nel sonno restando abbracciati.


Liam trascorse nervoso le ultime ore che lo dividevano da un altro, il secondo, appuntamento con William. Fece mezz’ora di tapiroulant. Una lunga doccia. Rispose a diverse email di lavoro. Indette una riunione speciale nel pomeriggio e partecipò ad una videoconferenza con Taiwan. Alle sette di sera si sentiva ancora in perfetta forma.
Per scongiurare l’arrivo improvviso di Jake, eccitato com’era non ce l’avrebbe fatta a non cedere alle sue provocazioni, uscì per recarsi nel centro benessere dove lavorava Jing. Una volta giunto alla reception scoprì che la sua massaggiatrice di fiducia era occupata. Al suo posto una tailandese di bassa statura lo accolse nella sua cabina. Liam fu subito accolto dalle essenze e l’incenso che si andavano diffondendo nell’aria. Si spogliò. Appoggiò ordinatamente pantaloni, camicia e giacca nell’apposti guardaroba. I boxer, calzini e scarpe finirono in uno box posto nel cassetto più basso. Con attorno un semplice asciugamano bianco che gli copriva a malapena i gioielli si recò sul lettino. La nuova massaggiatrice si presentò.
“Il mio nome è Tania. So che Jing conosce tutte i suoi chakra. Io purtroppo potrò limitarmi ad un massaggio rilassante ma le assicuro che sarà il migliore della sua vita.” Liam sorrise grato. Intuì che l’asiatica non era solo asiatica. Gli occhi scuri e le labbra carnose suggerivano una mistura di razze. Aveva anche seni alti e sodi. Ultimamente era un particolare che notava. In particolare parchè le massaggiatrici di quel centro benessere indossavano soltanto un miniabito stretto che lasciava in bella vista ogni curva.
Il massaggiò iniziò. Le piccole mani si occuparono prima dei piedi poi dei polpacci rilassandolo in una maniera sublime.
“Sei davvero brava.”
“Ve l’avevo detto. Non sono presuntuosa. Ci so fare e basta” rivelò in tono confidenziale. Dopo le gambe passò direttamente alla testa. Le dita massaggiarono tra i capelli come se volessero carezzare le meningi. Si abbassò su di lui. Liam aprì gli occhi. La vista delle tette a distanza ravvicinata gli procurò un erezione. Fatto di poco conto in una qualsiasi altra occasione, ma quando si ha un telo microscopico la cosa cambia!
Tania se ne avvide, ridacchiò soddisfatta.
“A questo punto passerei un po’ di crema rigenerante per il viso.”
“Come vuoi” rispose il cliente indeciso tra l’abbandonarsi al piacere o cercare di trattenersi. Provò con i pensieri angosciosi. Di solito gli bastava pensare alla morte dei proprio genitori. Non servì. Il sesso continuava a spingere il triangolino di stoffa verso l’altro. La ragazza risolse in pochi minuti la questione della rigenerazione. Optò per le spalle. Finalmente la mente e il corpo di rilassarono. E durante un breve sonno, fu libero di sognare il suo direttore d’orchestra.
Fuori dal centro benessere Liam si accorse di essere in ritardo. Erano quasi le otto. Teoricamente doveva tornare a casa, rifarsi la doccia, vestirsi e correre al Rockefeller Center. Decise che tanto valeva andare in jeans. William si sarebbe accorto dell’odore di creme al ginseng e mandarino? Si sarebbe scandalizzato per il look casual? Non lo sapeva, ma non poteva fare tardi. Non riusciva a concepire l’idea del suo piccolo e delizioso William che sbuffava guardando nervosamente l’orologio. Di conseguenza arrivò lui per primo.
Quando lo vide scendere dal taxi il suo cuore fece un tonfo. Arrivò alla gola manco fosse una pallina di un flipper! È adorabile, semplicemente adorabile. Notò che sotto i pantaloni scuri aveva due belle cosce sode. Aveva scelto di infilare la camicia a righe bianche e blu dentro i calzoni. Niente giacca. Il sorriso si allargò sul suo volto vedendolo.
“Ciao.” Lo squadrò dalla testa ai piedi.
“Mi dispiace essere venuto così ma...”
“Stai scherzando, sei uno schianto.” Ammise William. Si domandò subito se non fosse stato un po’ troppo audace come complimento.
“Se qui c’è qualcuno che è uno schianto questo sei tu” e lo disse scrutando direttamente i suoi occhi blu.
A quel punto i dubbi di Will sparirono. Quella frase così diretta e sensuale lo aveva elettrizzato. La voglia di saltargli addosso e dargli un bacio mozzafiato era tanta, ma si trattenne. Non voleva sembrare affamato. Un affamato d’amore. Eppure la sera prima aveva rivisto il suo ex. Era stato bello, ma ora c’era Liam che sembrava la risposta a tutti i suoi desideri reconditi. Prima di Heath c’erano stati tanti uomini, anche una donna ma contava poco. Prima di Heath aveva sognato un uomo così. Alto, muscoloso, ben piazzato. Dal magnifico sorriso, la voce roca e sexy, i modi virili. E magari un uccello talmente grosso da risultare quasi ingombrante. Pensò maliziosamente. Questo non lo sapeva ancora. Ma era lecito augurarsi di scoprirlo quanto prima. Lo avrebbero fatto quella sera stessa? Will non ne aveva idea, ma, in caso contrario, avrebbero dovuto attendere il suo rientro dall’Italia.
Seduti nell’angolo più appartato del Dinner’s, un locale elegante ma non pretenzioso, sorseggiarono un drink parlando del futuro.
“E così dopodomani parti.”
“Già.”
“Sono contento per te...”
“Ma?” chiese con audacia William fissandolo con i suoi occhi intensamente chiari.
“Ma chiaramente vorrei che restassi. Vorrei non interrompere la nostra sequenza di uscite.”
“Ci sarebbe ancora domani sera.”
“Pensavo fossi stra-impegnato con le valige e tutto il resto.”
“Questo è vero, tra l’altro il volo è alle otto e mezza. Dovrò essere in aeroporto già un ora prima.”
“Tu non sei più fidanzato, vero Will?” chiese a bruciapelo. Lo doveva sapere. Se c’era da combattere con un altro per ottenere il suo cuore era giusto arrivato il momento di affilare i coltelli.
“Beh...” arrossì un poco guardando il proprio bicchiere. “No. Mi ha lasciato qualche mese fa.”
“Anch’io sono stato mollato da qualche tempo.”
“Ah, pensa un po’” Will fu silenzioso, sembrava volesse trovare le parole giuste per spiegare ciò che provava: “Ho sofferto molto ma, ora ne sono fuori.”
“Per me è lo stesso. Solo che mi sembra incredibile che un uomo del tuo fascino sia su piazza.”
“Proprio quello che avevo in mente io. E se posso: da quanto tempo eri fuori piazza?”
Liam sorrise bello come un attore di soap e anche più. “Stavamo insieme da quasi tredici anni.”
“Cazzo” l’esclamazione colorita di Will rivelava la sua sorpresa. “Una storia con tutti i crismi.”
“Sì, c’è ancora molta attrazione in effetti.” Will si fece serio, era un tasto dolente. Ma era giusto essere sinceri riguardo l’argomento.
“Anche nel mio caso, il fuoco arde ancora.”
“Ah....”
“Se proprio devo dirla tutta, ieri sera mi è venuto a trovare e... c’è desiderio reciproco, ma non è successo niente.”
“Capisco.”
“Sei deluso?”
“Perché dovrei. Io non sono per te...”
“Sei molto importante per me Liam” s’intromise Will con dolcezza, coraggio e determinazione.
“No, non lo sono ancora, ma ti assicuro che sto facendo di tutto per diventarlo.” William deglutì per l’eccitazione e la felicità. Quelle parole facevano un effetto pazzesco. Da sotto il tavolino il magnate d’industria trovò la mano. Era morbida calda e setosa. La strinse.
“Mi piaci da impazzire William Mc cartery. Sappi che d’ora in avanti farti felice sarà la mia ragione di vita.”
“Ne sono onorato, caro Liam. E sappi che per me è lo stesso.”
“Tu lo stai già facendo.”
“Voglio fare di più.” Non c’era malizia nella sua voce ma dal modo in cui si era passato la lingua sulle labbra...
“Chiedo il conto?”
“Mi sembra una magnifica idea.”

lunedì 14 settembre 2009

Ongi singolo respiro, capitolo 14






Temperance gli aveva chiesto, senza mezzi termini di parlare di lui e Emmerich. Del sentimento che Booth non negava di provare per il recluso. E dopo un silenzio che di solito preannunciava battaglia, Booth rispose: “È un periodo durissimo per me... e vederlo in quel letto ridotto il quel modo mi ha fatto male. Ma ho bisogno di te se voglio superare tutto questo” le rivelò accarezzandole la guancia.
“Lo sai che io non credo nella sua innocenza, e tu mi riempi d’attenzioni e d’amore nonostante sia tra quelli che lo hanno inchiodato. Sono confusa.”
“Non lo hai inchiodato tu, sono state le prove.”
“Allora perché pensi che sia innocente?”
“Perché lo conosco, Bones. Dopo averci riflettuto sopra, sono certo che non sarebbe mai in grado di fare le cose di cui è accusato.”
“Ci sono mille cose che sarebbe capace di fare quell’uomo che non ti saltano per la testa. A parte quelle che ha fatto a te che non le voglio sapere.”
“Finiscila.”
“Sì, la finisco anche perché non voglio rovinare questa atmosfera. In ogni caso ti ricordo che ti ha nascosto di avere un amico come Kelly.”
“Non mi ha detto un mucchio di altre cose, ma Ian non è il tipo che ama spiattellare tutto.”
“Già, lui punta molto sul fattore mistero.”
“Bones, basta ti prego” lei seguì il suo sguardo. Per qualche attimo regnò il silenzio. Poi entrambi furono sopraffatti da nuove emozioni. Ormonali e carnali per quanto concerneva la donna. Più razionali per quanto riguardava Booth. Aveva bisogno di lei, ma quello di cui aveva principalmente bisogno era ritrovare il proprio equilibrio. Rivedere Ian, soprattutto ridotto in quel modo, l’aveva scosso parecchio. E ora, lei lo guardava con desiderio. Ma non stavano litigando?
“Bones, che fai?” chiese quando si accostò così tanto, così troppo.
“Cerco le tue labbra, non si capisce?” e le trovò.
Con la bocca occupata a baciarsi, scivolarono fino alla camera da letto.
“Che stiamo facendo, Bones?”
“Stiamo dando libero sfogo ai feromoni” rispose tra uno schiocco e l’altro.
“È sano? Non dovremmo dar retta al cervello?”
“Per le donne, l'intero processo sessuale inizia nel cervello, che in poche parole è l'organo sessuale più importante...”
Maglietta di Booth gettata in terra...
“L'ipotalamo secerne gli ormoni in risposta a questi stimoli. Mentre il sistema nervoso trasmette gli impulsi alla zona pelvica rendendola più sensibile e inducendo le ghiandole surrenali a secernere l'adrenalina, che fa aumentare il battito cardiaco e la respirazione al fine di assumere più ossigeno...”
Jeans slacciati.
“Dando così il via alla produzione di ormoni sessuali. Il cervello libera le endorfine al fine di ottenere il...”
“Stai parlando troppo” fu interrotta dalla voce calda e virile. A quel punto era completamente nudo.
“Piacere... ottenere il piacere, sì” concluse con voce affannata guardandolo con desiderio. Poi fu lui a prenderla come ogni donna vorrebbe voluto essere presa almeno una volta nella vita. Brutalmente e dolcemente. In un attimo l’abbrancò facendola salire sul suo corpo. Prontamente lei artigliò con le gambe la vita gemendo un po’. Si ritrovò riversa sul letto. Le sue mutandine finirono oltre i piccoli piedi.
“Fai in fretta, ti prego” implorò. Non era sua abitudine implorare, anche se sessualmente era assolutamente eccitante e per niente indecoroso. E Booth non aveva nessun motivo per aspettare. Per non accontentarla. E l’accontentò a lungo. Tra un orgasmo e l’altro, per almeno due ore.


Solitamente era Wendy a ragguagliare il suo assistito, Ian Emmerich, detenuto in attesa di giudizio, sul quale pendevano accuse tra le più infamanti.
Solitamente.
La mattina seguente alla dimissione dalla clinica però fu la stessa Carol Miller a raggiungere il carcere federale per parlare con il recluso.
Il processo sarebbe iniziato a giorni. Si preparava una battaglia giudiziaria ostica anche perché, c’era da aspettarselo, Booth avrebbe fatto di tutto per dimostrare l’estraneità ai fatti del suo pupillo in difficoltà. Proprio quello che temeva Carol.
Vestita firmata dalla testa ai piedi, camminò verso la stanza dei colloqui come se attraversasse la passerella di una sfilata. Furono in molti a lasciare gli occhi sulle morbide curve dei fianchi. Sulla scollatura ben esposta. Sulla gambe toniche e slanciate.
“Cazzo che pezzo di gnocca, quella me l’ha fatto venire duro” si sentì cianciare tra le guardie. Gli schiamazzi divennero ininterrotti. Almeno finché la porta di ferro si spalancò ponendo Carol Miller di fronte al suo assistito.
“Benvenuta all’inferno, signora avvocatessa” strizzò l’occhio.
“Ma bravo, vedo che il ricovero non ti ha tolto il buon umore.”
“Il ricovero mi ha rigenerato, piuttosto. Finalmente ho potuto dormire in un letto normale, e nessuno è venuto ad infilarmi qualcosa su per il culo” blaterò sprezzante. A quel punto lei si tolse i guanti di pelle nera. Li posò sul tavolino. Lo guardò da dietro spessi occhiali da sole.
“Non c’è niente da fare Edward, sei sempre la stessa testa di cazzo di sempre.”
“Invece di dire stronzate perché non fai il tuo lavoro e mi tirami fuori da qui?”
“Per correre tra le braccia del tuo caro amichetto ‘agente speciale’? Credevo ci pensasse lui. A questo proposito so che lo hai incontrato. Che vi siete detti?”
“Non sono affari tuoi” Ian non aveva voglia di parlare con lei. Un tempo Carol, quando non si chiamava Carol quantomeno, gli piaceva. Ora la trovava irritante.
“Sai, avevo intenzione di chiedergli di andare alla sbarra. Che ne dici?”
“Che non è una buona idea” affermò lanciandole uno sguardo di sfida. A quel punto la donna si tolse gli occhiali.
“Ma non mi dire! Ci tiene tanto a te. Però, effettivamente, pensa che figura farebbe quando il pubblico ministero chiederà: ‘e mi dica, signor Booth, da quando andava avanti la relazione sessuale con il complice del killer della centrifuga?’”
“Finiscila!”
“E chi era dei due che raccoglieva la saponetta? Tutti lo vorranno sapere. I giurati hanno il diritto di conoscere anche i dettagli più scabrosi.”
“Posso spezzarti, lo sai” ad Emmerich mancavano una manciata di secondi per superare il tavolo, prenderla per i capelli e sbatterla in terra.
“Già, spezzarmi e infilarmi dentro una lavatrice per resti umani? Scommetto che eri tu a fare la femmina. Seeley Booth è così virile. Ti manca?”
“Non cederò alle sue provocazioni, signorina Bower.”
Odiava sentirsi chiamare con il suo vero nome e subito il suo piglio della donna mutò. L’ironia era sparita.
“Marcirai qui dentro. Se non ti daranno l’iniezione letale, marcirai qui dentro. Sicuro. E togliti pure il tuo pseudo fidanzato dalla mente ...” s’interruppe per sogghignare piena di mistero.
“Lo devi lasciare fuori dai tuoi sporchi traffici!”
“E perché? È talmente sexy. Vuoi avere l’esclusiva? L’unico ad esserti divertito con lui tra le lenzuola? Conosco certi trucchi che il signor Booth non riuscirebbe a pronunciare nemmeno con il pensiero.”
“Lui non è come te.”
“Già, ma nemmeno tu sei come lui e, soprattutto, non sei come me.” Il suo sguardo si fece cupo. “Facile la vita dei nati belli. Vero, Edward? Te lo ricordi quando eravamo bambini? E tu ti sei ritrovato fuori da quell’inferno perché avevi gli occhi azzurri e i capelli biondi?” fissò il suo assistito piena di rabbia. Proseguì l’arringa: “Tu non sai niente di quello che provano le persone brutte. Le persone grasse. Chi non ha mai potuto contare sull’aspetto fisico.”
“A me sembra che tu punti molto sull’aspetto fisico, ora” ribatté scrutandola con circospezione.
“Tu continui a trovarmi brutta, però. Tu continui a guardarmi e vedi sempre la bambina che ero, grassoccia, con il naso storto e i capelli intrattabili. Tu vedi Bower. Io non sono più Bower!”
“Me ne frego” in realtà nello sfogo della donna, il Profiler cominciava a trovare spunti interessanti.
“Lo so che te ne freghi. Per questo sono ben felice di fartela pagare. E dimmi: com’è avere una mamma buona che si occupa di te. Che ti chiama piccolino mio. Che ti da il bacio della buona notte prima di andare a letto. Io sono rimasta con Mandy altri cinque anni dopo che tu sei stato preso.”
“Ma io...”
“Cinque anni, Edward. Altri cinque anni di torture, di merda. Di castighi indicibili. Mentre tu ti godevi la tua mammina e il tuo paparino con la giardinetta, il labrador e le altre cazzate!”
Come faceva a sapere tutto quello? L’ex agente dell’FBI era impressionato. Doveva liberarsi di quell’avvocato. Subito! Ma come?

martedì 8 settembre 2009

Ogni singolo respiro doppia puntata






Temperance era davvero contenta di avere un’amica fidata come Angela.
Dopo il malessere accusato, avevano trascorso buona parte della mattina al bar. L’antropologa si era confidata con lei. Aveva anche pianto. Certo, gli ormoni della gravidanza contribuivano alla sua emotività ma non era solo quella la causa.
Era anche la consapevolezza di aver vissuto un evento paranormale.
“Capisci? Quello che sembrava uno stupido sogno si sta rivelando molto di più. Se almeno conoscessimo l’identità di quell’uomo!”
“Fidati piccola, ce la faremo. Questa cosa passerà ai federali e anche Booth ci darà una grossa mano.”
“Booth è troppo preso dalla questione Emmerich”. Temperance si accigliò come se un pensiero la cogliesse impreparata. “Stamattina c’è l’incontro!”
“Cristo, poverino, sarà davvero penoso!”
“Esatto. E dopo un momento così triste, ecco che arrivo io con i miei fantasmi.”
“Lui ti crederà perché concepisce l’idea degli angeli. Sì, sono certa che si tratta di quello. Di un angelo.” Le strinse la mano.
Brennan la guardò con diffidenza, uno sguardo che intendeva qualcosa tipo: ‘davvero credi che mi berrò la sciocchezza dell’angelo?’.
La stessa Montenegro, comunque, non ambiva a essere creduta. Se Temperance si fosse messa a parlare seriamente di spiriti e creature celesti allora sì che le sue certezze sarebbero vacillate di colpo. In quegli ultimi sei mesi aveva appreso che un uomo dagli spiccati istinti eterosessuali e dall’indubbia virilità poteva amare e farsi amare da un maschio altrettanto virile. La sua migliore amica era incinta e scopriva di poter intercedere con gli spiriti. Ci mancava solo che Hodgins le proponesse di sposarsi e di stabilirsi nella villa dei suoi e vivere da ricchi a sbafo di suo padre, e il quadro sarebbe stato completo!

Wendy Collehn era sempre più affascinata da Booth.
Quella che era iniziata come una semplice attrazione fisica e curiosità sessuale si stava trasformando in cotta bella e buona!
Le era sufficiente guardarlo due secondi per iniziare a sciogliersi in pensieri romantici, venati di erotismo.
Razionalmente sapeva che non era possibile. Tra l’altro non si erano affatto presi, empaticamente, e di questo si rammaricava.
Con Ian era stato diverso. Lui la trattava con rispetto e simpatia. Dopo tutto era la sua ancora di salvezza. L’unico appiglio con il mondo esterno.
Arrivarono davanti alla clinica.
“Non deve sentirsi in ansia. Ian ha la scorza dura, questo dovrebbe saperlo.”
“Lo so, ma non è solo quello...”
“E cosa, allora?”
Booth si pentì di aver dato il via a quel dialogo. Quella rivelazione era del tutto inappropriata. Si chiuse a riccio fino a quando arrivarono al pronto soccorso.
Ian Emmerich era disteso in un giaciglio provvisorio. Non era stato ricoverato.
Due agenti di picchetto sorvegliavano la sua eventuale fuga.
Booth e Wendy furono condotti al suo capezzale. Lo guardarono pieni di pena.
L’agente deglutì. Non riusciva nemmeno a riconoscerlo, e d’altronde era coperto fino al collo.
“Forse è meglio che aspetti fuori”, disse la giovane donna.
Booth fece un cenno vago con la testa. Si avvicinò alla lettiga e sporse la testa verso Ian.
Appariva talmente indifeso! L’esatto contrario del criminale assetato di sangue di cui parlavano i telegiornali.
Vederlo così gli fece venire alla mente il precedente ricovero.
Ma questa era un’altra storia. Non c’era nessun finto attacco di panico. Stavolta le tracce del malessere c’erano tutte.
Era dimagrito parecchio. Le ossa del viso erano talmente sporgenti palesavano una dieta povera di tutto.
“Ian, mi senti?”, sussurrò.
Non ricevendo risposta lo sfiorò. Tremò quando i polpastrelli entrarono in contatto con la guancia. Era caldo.
A quel tocco, il malato si mosse attraverso le coperte.
“Ho tanto freddo”, rispose, rabbrividendo.
“Lo so. Hai un infezione. E la febbre alta… scotti di brutto.”
Solo a quel punto Ian riconobbe la presenza dell’uomo che amava.
Spalancò gli occhi.
“Booth, sei tu? Non lo sto sognando, vero? Che ci fai qui?”
“No, non lo stai sognando”. Booth provò a sorridere. Era emozionato. Non aveva considerato di sentirsi così. Voleva abbracciarlo ma si trattenne.
La consapevolezza di desiderarlo tanto lo sconvolgeva.
“Sai almeno dove sei?”, chiese, sporgendosi sopra di lui ancora di più.
Sapeva di alcol etilico e sudore.
“Non proprio.”
“Al pronto soccorso. Dicono che ti sei beccato un’infezione.”
“Come no...”, rispose sarcastico.
Booth intuì subito che c’era qualcosa che non andava e decise che avrebbe appurato in seguito.
“Che sta succedendo?”, chiese con aria preoccupata.
“Booth, tu chiedi a me cosa sta succedendo?”
Quanti significati in una frase sola!
Anche se la voce era bassa e poco incisiva.
Anche se era ridotto pelle e ossa.
Anche se era tutto raggomitolato sotto le coperte e non sembrava lo stesso uomo con il quale era stato insieme.
Malgrado tutto questo Booth riconobbe il suo dannato Profiler!
E la nostalgia per quello che erano stati e per quello che avrebbero potuto essere abbatté tutte le sue forze.
Lo abbracciò.
Ian si sentì strano. Gli sembrava che qualcuno non lo coccolasse da anni. E l’ultimo che lo aveva fatto, con tanto amore, era stato proprio lui.
“Vorrei non essere qui, Booth. Vorrei non averti mai lasciato”, esalò, la bocca vicinissima all’orecchio di lui.
“Anch’io. Ma vorrei soprattutto che fossi tornato con me e Parker da. Culpeper ” rispose.
Ian gli baciò una guancia.
“Ti giuro che non penso ad altro. Non esiste giorno, ora, minuto maledetto che non pensi a questo!”. Sospirò continuando amaramente. “Magari potessi girare le lancette del tempo e tornare a prima di svegliarmi, quella mattina. Quando ero accanto a te...”. Mentre parlava si aggrappò ancora di più a lui. Forse così si sarebbe salvato. Forse Booth l’avrebbe portato via e si sarebbe occupato di lui. Era bello lasciarsi andare a quelle fantasie.
“Non parliamo di questo adesso. Quando starai meglio mi racconterai ogni cosa. Quello che mi preme sapere ora è il perché sei in ospedale. Qualcuno ti ha fatto del male?”
“E anche se fosse? Non è quello che merito? Non pensano tutti che io sia il killer della centrifuga o il suo aiutante?”
“Non occorre il sarcasmo ora. Dimmi come stanno le cose. Se posso aiutarti...”
“La sola cosa che mi aiuterebbe, stallone, è sapere che tu credi a me. Alla mia innocenza.”
“In realtà sto lottando per convincermi del contrario. Forse accettandoti per quello che sei riuscirei anche ad accettare il fatto che ti trovi rinchiuso in un carcere federale invece che...”. Si interruppe.
“Invece che tra le tue braccia? Volevi dire questo?”, chiese Ian.
Probabilmente era così, ma l’imbarazzo era totale.
Tra l’altro, non erano nemmeno soli. Una delle due guardie era rimasta dentro a vigilare che non combinassero nulla di anomalo. E li guardava disgustato.
“Booth, mi dispiace”, sussurrò Ian, come colto da un raptus improvviso di sensi di colpa.
“Che vuoi dire con ‘mi dispiace’?”
“Per quello che ti sto facendo passare… io… non avrei voluto.”
“Ian, per piacere, prova a spiegarmi cosa è successo... il motivo per il quale sei stato catturato”, chiese Booth, abbassando di parecchio il tono della voce.
“Io non ho ucciso quella donna. Non sapevo niente dei traffici di Kelly.”
“Ma sulla tua divisa ospedaliera c’è il suo DNA!”
“Non ha senso”, disse Ian, facendosi pensieroso.
“Allora cosa?”
“Non ha senso Booth, tutto non ha senso. Mi conosci, pensi che ucciderei povere madri di famiglia?”
“Il pubblico ministero ha elementi a sufficienza per condannare entrambi. Dunque non ha importanza quello che penso io, purtroppo.”
“Invece per me ce l’ha eccome! Se tu mi credi... se tu mi credi...”, incespicò nelle parole. Lo guardò fisso negli occhi: “Credi nella mia innocenza, Booth? Devi dirmelo!”.
Era una domanda fatale, che faceva capire come, al di là di tutto, fosse quella la questione per lui più importante.
“Possibile che intuitivo come sei tu non l’abbia capito? Se avessi davvero accettato la tua colpevolezza, ora non sarei qui”, ammise Booth, stringendogli la mano sudata e calda.
“Grazie, è molto importante per me”.
Ian si sentiva felice. Accennò un vago sorriso.
Booth fissò per qualche attimo la mano che stava stringendo. Subito lo sguardo focalizzò le ecchimosi lungo il braccio.“Che sono questi segni?”
Il malato restò in silenzio e sgranò gli occhi simile ad una volpe incappata nella tagliola.
“Non guardarmi così. Non ho mai voluto farti pena, Booth. È per questo che non ti ho parlato del... del mio passato oscuro.” Tirò su con il naso. “Mi è sempre piaciuto giocare a fare il superuomo, quello che non ha bisogno di niente. Con te era facile… non hai mai avuto il dubbio che fosse tutta una montatura.”
“Hai sbagliato, avresti dovuto fidarti di me. So della tua infanzia segnata dagli abusi. Pensi che sia cambiato qualcosa?”
“Che importanza ha a questo punto?”
“Tu continui a farlo, questo è il problema. Continui a non aprirti con me. Dimmi chi ti ha causato queste ferite!”
“Booth io...”
“Dimmelo!”. Alzò la voce.
Il secondino redarguì l’agente intimandogli di parlare piano.
“Vuoi sapere perché ti ho nascosto tutto? Bene, te lo dico: volevo farmi amare da te per quello che sono, non per pietà, non volevo che pensassi a me come a un disadattato, l’asociale che vedeva la tua collega.”
“Ora che c’entra Bones?”
“Lo sai, lei è più scaltra di te e me messi insieme. Aveva capito che in me c’era qualcosa che non andava e ora tutto torna. Io ho un amico fuori di testa con un’infanzia traumatica. Io lo aiuto a rapire le donne e ad inscenare le sue macabre famiglie. Tutti pensano questo di me, ora.”
“Lo penserà anche la giuria.”
“Me ne fotto della giuria. Se tu mi credi, non mi importa di quello che pensano gli altri.”
“Ma Cristo Ian! A chi vuoi che interessi il mio parere? Sono il tuo amante, loro vedranno solo questo, te ne rendi conto?”
“Se tu mi credi, mi tirerai fuori. Dimostrerai che sono innocente.”


Il colloquio con Ian Emmerich durò un’ora circa.
Il dottore venne a controllare le condizioni del malato speciale. Constatò che la febbre era lievemente diminuita.
Prima di tornare nel mondo dei sani e liberi, Booth lanciò un lungo sguardo a Ian.
Gli faceva una pena immensa. Ora come mai prima era convinto che qualcosa non andava. Ora più che mai voleva che fosse fatta giustizia! Ad interrompere quel pensiero giunse lo squillo del telefono.
“Booth sono io, dove sei?”
“Bones, Ian è stato ricoverato.”
“Ricoverato?”
“Già, pare che ultimamente debba frequentare per forza di cose gli ospedali!”
“Ma cosa è successo?”
“Ti spiego appena arrivo, sei al Jeffersonian giusto?”
“Sì, anch’io ti dovrei parlare...”
“Tranquilla. Sto arrivando.”
Si congedò da Wendy piuttosto sbrigativamente. Una volta giunto di fronte al laboratorio scoprì che lei lo stava aspettando.
“Come mai sei qui?”
“Là dentro l’aria si era fatta irrespirabile”. Lo abbracciò.
Lui la strinse a sé senza sentirsi sporco o aver paura di inquinarla.
Eppure pochi minuti prima era stato tra le braccia di un probabile assassino!
“Piccola, stai di nuovo male?”
“Booth, ho bisogno del tuo aiuto.”
“Lo sai che praticamente vivo per questo”, le disse, alzandole il mento con due dita.
Lei sorrise sciogliendosi un po’. Sembrava tutto più semplice quando lui le era vicino. Persino i fantasmi sembravano meno minacciosi.
“Ti ricordi l’anestesista con cui pensavo di aver parlato? Quello che te e Angela definite l’angelo?”
“Certo che mi ricordo.”
“Beh, l’angelo e il morto nel muro sono la stessa persona.”



Capitolo 13


Astuto come sempre, Ian Emmerich era riuscito a deviare il discorso, evitando di dire la verità sul perché le sue braccia fossero ridotte a un colabrodo.
No, di certo non avrebbe permesso che Booth si mettesse a lottare per il suo benessere in prigione.
Se c’era una battaglia che avrebbe dovuto intraprendere era quella che lo conduceva alla scarcerazione.
Dimostrare la sua innocenza, dimostrare la sua estraneità agli omicidi compiuti dal killer e dal suo efferato complice.
Appena due ore dopo che Booth lo ebbe lasciato in balia delle sue emozioni, il dottore venne a decretare la sua ‘completa guarigione’.
In realtà non si sentiva ancora in perfetta forma ma era quello che succedeva ai detenuti.
Non importava che potessero avere eventuali complicazioni.
Una volta tornato in cella, Ian barcollò alla ricerca della sua branda. Carlos, vedendolo sul punto di svenire, lo sorresse per un braccio.
“Sei tornato, amico. Ma non mi sembri ancora...”.
“No, sto benone” lo interruppe.
Prese posto nella sua cuccetta. Sospirò a lungo.
Doveva metabolizzare l’incontro con Booth. Era ancora scosso.
Aveva da dirgli tante di quelle cose, non gliene era venuta in mente una. Ci avrebbe tenuto sopratutto a ricordargli che lo amava. Nemmeno di questo era stato capace.
Senza pensare a ciò che diceva, iniziò a parlare: “Carlos, sei mai stato innamorato?”
L’altro lo guardò perplesso. “Credo di non averne avuto il tempo. Ero troppo occupato a scappare da quelli della narcotici. Perché, tu si?”.
Era un po’ inconsueto come dialogo. Soprattutto tra detenuti. Mai prima di allora Ian si era mostrato così propenso a parlare di sé.
“Io sì. Sono innamorato da stare male. Non so se riesco a spiegare cosa significa.”
“Immagino! Tu sei qui in cella mentre lei è là fuori, magari con un altro”, ironizzò.
“In effetti è tutto giusto tranne che ‘lui’ starà tra le braccia di ‘un’altra’. Ma quello è il minore dei problemi.”
Il galeotto lo guardò stupito. Emmerich sembrava tante cose ma di certo non assomigliava a nessun omosessuale che aveva incontrato nella sua vita.
“Sei una checca? Non l’avrei mai detto.”
“Non so se devo ringraziarti o spaccarti il muso”, rispose, sogghignando. “Credo di non avere la forza di fare nessuna delle due cose.”
“E quale sarebbe il problema maggiore, appurato che non te ne frega un cazzo se lui si sbatte lei, a quanto ho capito.”
Ian sospirò guardando il soffitto: “Non so se ho più paura che non mi creda o che mi creda e provi pena per me. Sa dei maltrattamenti che ho subito da bambino. Non voglio che veda solo quello. Un moccioso impaurito e torturato.”
Il piglio di Carlos si fece serio. “Amico, mi dispiace. E non lo dico perché mi fai pena. Sono sincero.”
“Lo so, amico. Ma non è che mi freghi di fare pena a te. Se mi sono spiegato...”
“E lui è un tuo collega fottuto agente FBI?”
“Hai indovinato.”
“Diavolo, pensavo che queste storie di finocchi riguardassero solo il modo dello spettacolo. Invece...”
“Riguardano anche noi cazzuti agenti FBI”, ironizzò sorridendo.
Un sorriso vero.
Finalmente cominciava a metabolizzare i lati positivi dell’incontro con Booth.

Booth continuava a fissarla senza parlare.
Non capiva. O, meglio, quello che aveva compreso lo sconcertava a dir poco.
“Vorresti dire che avete scoperto a chi appartengono i resti rinvenuti nel muro?”
“Angela è riuscita a ricostruire l’immagine con l’ausilio dell’Angelator ma l’identità resta un mistero. Per arrivare anche a quella dovete darci una mano.”
“Bones, non voglio fare io la parte di quello razionale, ma vedrai che c’è una spiegazione a tutto questo”.
“E se non ci fosse? Se io continuassi a parlare con gli spiriti dei defunti? Che razza di madre sarei?” Booth la guardò sbigottito. Sorpreso ma felice.
“È la prima volta che accenni a questo! Bones, tu sarai madre! È semplicemente magnifico.”
“Dici?”, lo guardò incerta. “Pensi che sarò una buona madre?”
“La migliore! Di certo sei la migliore in tantissime cose. Non oso pensare, con la tua intelligenza e la mia bellezza, a che spettacolo verrà fuori.”
Lei sorrise accettando la provocazione. “O con la mia bellezza e la tua intelligenza. Una cheerleader scatenata o un coscienzioso scienziato?”
“Sei più tranquilla, ora?”, le chiese lui, serio.
“Sono spaventata da tutto questo. Dalle visioni, dalla gravidanza, da Emmerich!”, ammise. “Andiamo a casa e parleremo anche di lui.”.


Tutte le volte che Wendy andava a pranzo con la sua superiore, Carol Miller, si sentiva inadeguata. Non tanto perché fosse la socia di maggioranza della Miller&Casper, la società che le dava lavoro. Nemmeno per il fatto che fosse più affascinante di lei.
No, a spaventarla era la sua infinita cultura.
Conosceva ogni cavillo, ogni emendamento, tutto ciò che c’era da sapere per affrontare la giura e il giudice.
Impossibile non sentirsi inadeguata.
Il terrazzo dove si trovavano si affacciava su di un’elegante giardino.
Carol sceglieva sempre luoghi all’aperto dove mangiare anche se si nutriva pochissimo.
Era magra e pallida. Sembrava una carta velina con le unghie laccate!
Un felino pericoloso pronto ad avventarsi sulla sua preda.
Fumava, ma non sopportava l’odore del fumo, per questo sceglieva sempre luoghi all’aperto.
“Finalmente Wendy.”
“Mi perdoni. Emmerich è stato ricoverato, siamo stati costretti a raggiungerlo all’ospedale.”
“Ah sì?”, domandò con tono freddo. “E cosa ha avuto? Preso freddo al fresco?”
Wendy rise anche più del dovuto. Probabilmente era l’unica a trovare le battute ciniche dell’avvocato divertenti.
“Mi scusi, questa era proprio buona! No, si è beccato una specie d’infezione.”
Carol spense la sigaretta. “Ho ordinato anche per te.”
“Benissimo, io mangio tutto!”
“Dovresti metterti a dieta.”
“Non serve, tanto non ingrasso né dimagrisco. Da una parte è una fortuna sfacciata.”
“Se lo dici tu. Piuttosto dimmi: Booth come ha reagito? Ha pianto? Si è buttato tra le sue braccia?”
Wendy finì di sgranocchiare un cracker.
“Non ero con loro ma da quel che ho potuto sbirciare il suo comportamento è stato contenuto, oserei dire… un virile trattenersi.”
“Virile trattenersi? Tipico degli agenti FBI.”
“Non sembra affatto gay e poi è talmente affascinante!”
La donna più adulta sospirò, segno che stava per arrivare la ramanzina: “Wendy, sei fuori? Seeley Booth non è omosessuale. Il nostro assistito l’ha traviato. Gli ha fatto il lavaggio del cervello. È quello che dovrei fare io a te”, blaterò con voce annoiata fingendo di mangiare una patatina.
“Oh!” la sottoposta arrossì. Il suo volto aveva assunto una nuance più accesa del suo rossetto.
“Ora capisco. Ma si resta così machi anche dopo aver fatto sesso con un uomo?”
“E che vuoi che ne sappia?”.
Wendy era avvilita. Se Booth non era omosessuale e lei aveva dato per scontato che lo fosse, questo significava davvero molto.
Probabilmente i suoi problemi con gli uomini erano più gravi di quanto credesse.
Come ho fatto a non capirlo? Si disse.
E poi avrebbe potuto essere diversa con lui, più aperta. Magari avrebbe potuto attaccare bottone flirtando un po’.
“Non starai pensando di portartelo a letto?”.
La ragazza si sentì minacciata. Ma sono così scontata?
“Non è certamente un suo problema questo”, osò.
Un’impertinenza bella e buona.
Ma Carol amava chi aveva le palle e fu stupita dal peggiore elemento che aveva nella sua scuderia. Sì. Perché Wendy era stata scelta proprio per questo. Era inadeguata.
Emmerich sta bene dove sta. E se c’è qualcuno che può consolare Booth non sei certo tu, Wendy cara.
“Ascolta, sgualdrinella. Se vuoi sollazzarti il clitoride sono affari tuoi, ma se lo fai con l’amante di un mio cliente che quasi certamente sarà chiamato sul banco degli imputati, sono affari miei.”
“Ha ragione. Tra l’altro non è certo mia intenzione...”
“Metterti in una situazione ridicola”, finì la frase l’altra, sprezzante.
Prima di ultimare il pasto, urlò al cameriere: “Venga a togliere di mezzo questo schifo!”, e indicò i mozziconi di sigaretta ammonticchiati nel posacenere. Gli stessi da lei prodotti.

Un volta a casa, Booth si occupò di Brennan in modo esemplare. Le preparò il bagno con tanto di sali e candele profumate.
Dopo averla avvolta in un soffice accappatoio la trascinò in cucina.
Le fece trovare i suoi dolcetti preferiti che però lei evitò di mangiare per via dell’acidità.
Ordinò persino la cena da Mister Nicky, che negli ultimi tempi risultava in cima alla classifica dei ristoranti take-away preferiti dall’antropologa.
“Pensi di fare così fino alla fine?”, domandò la donna accucciandosi sul sofà.
“Ti massaggerò i piedi quando non ce la farai più. Farò tutto quello che occorre per la madre di mio figlio.”
“Ho capito. Pensavo lo facessi perché mi amavi.”
“Ma certo che ti amo, Bones. Non essere sciocca.”
“Ed Emmerich? Ami anche lui, no? È di questo che dobbiamo parlare.”
Booth la guardò serio restando in silenzio.