giovedì 30 luglio 2009

Ogni singolo respiro, capitolo 10



Booth divenne paonazzo.
Da quello sguardo severo era facile intuire che il suo superiore non stesse scherzando.
“Perché mi dice questo?”
“So come stanno le cose.”
“E allora?”.
La porta era rimasta aperta e alcune persone di passaggio si voltarono di scatto richiamate dal tono alto della sua voce.
“Ne devi restare fuori, ripeto. L’amichetto con il quale coglievi margheritine durante le gite fuori porta è in prigione. Il procuratore arriverà all’udienza preliminare con il coltello tra i denti. Non so chi diavolo abbia concesso la possibilità di fartelo vedere, fatto sta che ho abbastanza argomenti per convincerti a disertare l’incontro.”
Sentendo quelle parole, se anche ci fosse stata da parte sua qualche reticenza in proposito, Booth capì che voleva rivedere Emmerich.
Ad ogni costo.
“Mi sta minacciando?”
“Può giurarci!”
“E se la minacciassi io? So cosa pensa lei, cosa pensano tutti, per l’FBI sono un ridicolo finocchio che si è fatto abbindolare da un incantatore di serpenti assetato di sangue. Incontrerò Emmerich e, sicuramente, interrogherò Kelly.”
“Non sia ridicolo, Kelly è già stato interrogato, se non sbaglio proprio mentre lei era in vacanza.”
“La vacanza è finita, Capitano Ardich. E se non mi darà lei il permesso di interrogare quel bastardo, userò tutte le conoscenze che ho. Farò più rumore possibile. Io…”
“Non osi…”
“Quanto scalpore susciterebbe se si sapesse di un agente dell’FBI amante di un infiltrato assassino, i dettagli all’interno. Cosa ne pensa?”
“Non si renda ridicolo più di quando non sia stato fin ora. In ogni caso tutto questo le costerebbe un rapporto scritto per insubordinazione.”
“Mi sta bene.”
“Allora si prepari a consegnare il distintivo, Booth. Fintantoché non si sarà rassegnato a tornare nei ranghi non le darò tregua”.
Ardich non scherzava. Voleva la testa di Booth già da prima di quel dialogo. Emmerich era stato per mesi il suo partner: possibile che non si fosse avveduto dei suoi traffici? E andavano persino a letto insieme! Quel pensiero disgustoso gli faceva venire il voltastomaco.
Booth non rispose a quell’ennesimo attacco.
Si prepari a consegnare il distintivo, aveva detto senza mezzi termini. Quella frase riecheggiava ancora nella sua mente.
Ma anche lui non c’era andato morbido. Minacciare di svelare la relazione con il Profiler alla stampa era stata proprio una bella legnata per un uomo tutto d’un pezzo come Ardich. Un repubblicano, tutto famiglia, FBI e chiesa non poteva nemmeno concepire l’amore tra uomini. Figuriamoci tra suoi sottoposti!
Durante il tragitto in corridoio che lo conduceva al suo ufficio s’imbatté in Caroline.
“Procuratore, io…”
“Che mi combini, chèrie? In questi dannati corridoi non si fa che parlare di una tua storia a sfondo sessuale con Emmerich, che c’è di vero?”.
Booth si sentì lo sguardo della donna addosso. Non lo stava giudicando, ma pretendeva spiegazioni. Era anche comprensibile. Probabilmente sarebbe stata lei il pubblico ministero che avrebbe dato battaglia a Kelly e al suo socio infiltrato. I dettagli erano importanti.
“Questi corridoi hanno udito fin troppo. Parliamone nel mio ufficio.”
“Va bene, bellezza, finiamo pure questa conversazione in privato.”

Ian Emmerich passò l’ennesimo pomeriggio in infermeria. Lo stesso medico di guardia non seppe stilare un rapporto dei danni subiti dal detenuto.
“Ferite multiple in ogni parte del corpo provocate da un oggetto contundente.”
“Si chiama stuzzicadenti”, suggerì il detenuto, con voce soffocata, tenendosi la pancia in preda a fitte lancinanti, l’espressione che la diceva lunga su quanto soffrisse.
“Accusa dolori al basso ventre. Diarrea. Perdite ematiche anali.”
“Quei bastardi mi hanno infilato uno stecchino nel culo, scrivici questo!”
Il medico tirò su con il naso. “È già stato espulso?”
“Fottutamente, no.”
“In questo caso dobbiamo toglierlo.”
“Crede che non ci abbia provato da solo?”.
Il dottore fece per mettere i guanti in lattice ma Ian, prevedendo un’altra tortura, si alzò dalla lettiga per tornare nella sua stanza.
“Dove va? Torni qui!”
“Preferisco di no, sa com’è: il fisting* non è la mia pratica sessuale preferita”, lo informò mentre usciva.
Zoppicando, tornò nella sua cella. Scoprì che il suo compagno di stanza se n’era andato. Al suo posto c’era un ispanico tatuato dai piedi fino al mento.
“Piacere, Carlos”. Il nuovo venuto offrì la mano da stringere.
“Non te lo consiglio”, rispose Ian, sudante e tremante.
“Stai male, amico?”
“Secondo te?” si buttò sul materasso lercio. C’erano schizzi di sangue dappertutto, giaciglio compreso.
“Cos’è questo schifo?”, chiese l’altro riferendosi alle macchie ematiche.
“Non farci caso. Le guardie non sono tanto tenere con i presunti serial killer che ammazzano madri di famiglia.”
“Non lo sapevo. È questo che hai fatto?”
“E’ quello che ho fatto secondo l’accusa”. Una fitta gli tolse il respiro.“Devo andare al cesso! Se non torno entro dieci minuti dai l’allarme!”
Carlos attese che l’altro si fosse liberato. Questa volta ce l’aveva fatta.
“Uno stecchino? Ma è assurdo! E tu li lasci fare?”
“E che alternativa avrei? Se mi difendessi mi beccherei un’accusa per lesioni provocate a pubblico ufficiale. Non sarebbe un buon viatico in vista del processo.”
“Cristo santo, ma dove andrai a finire di questo passo? Oggi uno stecchino, domani una tenaglia di ferro arrugginita!”
Ian tornò a sdraiarsi nella sua posizione preferita. La testa e le spalle appoggiate al muro, le gambe leggermente divaricate, i piedi penzolanti. Ghignò: “A quel punto sarebbe complicato per loro far credere che mi sia infilata da solo una tenaglia!”
Anche l’altro sorrise di rimando.
Avrebbero dovuto dare inizio a un dialogo tra persone costrette a coabitare. Con il suo primo compagno non ce n’era stata possibilità, dato che si trattava di un saudita che non
spiccicava una parola d’inglese!
“Invece tu perché sei qui?”, domandò Ian senza autentico interesse.
“Narcotraffico.”
“Capito.” Ian chiuse gli occhi, provò a rilassarsi sul letto.
Le fitte delle ferite continuavano a farsi sentire, ma, quanto meno, non aveva più male alla pancia.

Caroline non aveva intenzione di dare una strigliata a Booth ma il dialogo risultò subito simile a un alterco. Per quanto provasse per lui affetto e stima incondizionata, aveva comunque un rospo in gola da tirare fuori.
“Quello che proprio non riesco a capire, chèrie, non è tanto il fatto che tu abbia provato attrazione per un uomo. In fin dei conti chi può dirsi veramente immune al fascino della trasgressione?”.
“Io, almeno finché non ho incontrato lui...”
“Esatto. Il problema è proprio lui. Voglio dire: potresti spiegarmi come ha fatto a plagiarti in quel modo? Uno in gamba come te che si fa fregare da un serial killer?”
L’agente ciondolò la testa contrariato: “È proprio questo che non torna. Procuratore, io non credo che Emmerich sia colpevole delle accuse che gli sono state mosse contro.”
“No?”
“E non sono l’unico.”
“A chi ti riferisci, bellezza?”
“Ad un altro Profiler...”.

Temperance Brennan si sentiva meglio.
Il giorno dopo il mancato aborto si svegliò rigenerata. Non le girava la testa, non sentiva l’acidità, non le veniva da rimettere. Possibile che quel miracolo fosse legato all’aver accettato, anche se ancora parzialmente, il fatto di essere incinta? Oppure le aveva semplicemente fatto tanto bene il sesso? Il sesso è sempre un toccasana meraviglioso. Se poi è con Booth lo è ancora di più, pensò sentendosi impudica ma felice.
Mangiò delle cialde con sciroppo d’acero e caffè lungo.
Tutto il resto, sembrava lontano anni luce.
Arrivò al Jeffersonian in perfetto orario. Poco dopo giunse anche Angela.
“Piccola, credevo ti prendessi un giorno di pausa, almeno per oggi.”
“Non ci crederai ma sto bene, ho smesso di odiare il mondo e non mi sento male da non stare in piedi!”
“Il fattore psicologico conta molto in questo caso. Ciò che ti faceva star male principalmente era il segreto. Tenerlo nascosto a Booth.”
“Il fattore psicologico ma anche il fatto che sono entrata ufficialmente nel secondo trimestre di gravidanza. In questa fase i fastidi si attenuano e, in qualche caso, spariscono del tutto.”
“Non vorrei fare la guastafeste ma non pensare che da qui in avanti saranno rose e fiori. La figlia delle mia vicina di casa durante gli ultimi mesi aveva i piedi così gonfi da essere costretta ad uscire in ciabatte”
“Di che parlate, di gravidanza?”, chiese Hodgins raggiungendole.
Immediatamente le due complici si fecero guardinghe e deviarono il discorso da tutt’altra parte. Proprio in quel momento Angela si ricordò che il Jeffersonian era anche un posto di lavoro.
“Tesoro, sono riuscita a ricostruire il volto dello scheletro nel muro.”
“Bene. Era ora che tornassimo a lavorare!”.
Si recarono di fronte all’Angelator, il computer tridimensionale brevettato da Angela.
Il volto dell’uomo, di quarant’anni circa, venne ricostruito attraverso mille e mille pixel partendo dall’alto verso il basso. Più i caratteri venivano svelati, più il colorito di Brennan si faceva cadaverico.
“Oddio, non ci posso credere!”, esalò ad un passo da un mancamento.
“Che succede? Lo conosci?”. La Montenegro era sorpresa da quella reazione.
“È lui!”
“Chi?”
“L’anestesista. L’uomo che mi ha convinto a non abortire!”

*Il fisting, dall'inglese "fist", pugno è una pratica sessuale estrema che consiste nell'introduzione dell'intera mano all'interno del retto

mercoledì 22 luglio 2009

Ogni singolo respiro, capitolo 9


Dopo l’ennesimo orgasmo i due amanti sembrarono placarsi un po’.
“Non farà male al bambino?”, chiese l’uomo preoccupato. Che se ne ricordasse un po’ tardi?
“Ma fa tanto bene alla sua mamma”, rispose lei ancora scossa dal fiatone.
“Intendo: queste contrazioni non potrebbero favorire le contrazioni vere?”
“Vedo che sei informato.”
“Sono padre.”
“Non tutti i padri si preoccupano di questo.”
“Io sì. È tuo figlio, Bones, ma è anche mio. È nostro figlio.”
“Non parliamo di lui in questi termini.” Si fece seria.
“Perché? Godiamoci questo momento, no? Dopo tutto ce lo meritiamo!”
“Già. E magari possiamo anche fingere che tu non stia più pensando a Emmerich, giusto?”. Booth si tirò su a sedere. Cercò con gli occhi qualcosa con cui coprirsi.
“Sto facendo di tutto per mettere in chiaro la mia posizione. Ce la sto davvero mettendo tutta.”
“Ma non è detto che tu ci riesca. Se c’è una cosa che ho capito dell’amore è che non si può imbavagliare, non è una scelta.”
“Certo, ma si può scegliere di essere felici e di non complicarsi la vita”, rispose lui.
“Complicarsi la vita temo sia insito nell’innamoramento stesso, non trovi?”, chiese lei, tentando di alleggerire i toni. Ma il volto dell’agente continuava ad essere troppo serio.
“Che c’è?”
“Domani incontrerò Ian.”
“Ah” doccia fredda. Quasi gelata. Quasi…
“L’avvocato che si sta occupando di lui ha fatto esplicita richiesta. Questo non piacerà ad Ardich.”
“E a te?”
“Bones, cosa ne pensi? Sono terrorizzato, di più: atterrito! Ma non posso tirarmi indietro. E nemmeno lo voglio... Ian ha bisogno di me.”
“Lo capisco.”
“No, Bones. Aspetta un attimo: non ti farò credere che lo sto facendo per la sete di giustizia o perché voglio dare la possibilità ad un amico di potersi difendere. No. Sarebbe facile per me ma non è così.”
“Lo fai perché provi ancora tanto per lui.” Lo vide chiudere gli occhi. Era dolorosissimo ammetterlo. Ma, nonostante tutto, non lo odiava. Non l’aveva dimenticato. Lui era lì, incastrato da qualche parte, come un proiettile tra lo sterno e il cuore. Diagnosi: inoperabile.
“Un tempo pensavo che non si potessero amare due persone contemporaneamente e nella mia testa è ancora così. Ma nel mio cuore… nel mio cuore... e anche se voglio più che mai una relazione stabile con te non posso mentirti.”
“Il tuo cuore è così grande da avere spazio per due persone?”
“No, è questo il problema. Non lo è. Perciò sto tanto male.”
Balle. Avrebbe voluto gridare lei. Avrebbe voluto avere la forza della Brennan soldato Jane che era un tempo e che il bambino sembrava avere assorbito completamente. Magari ne aveva bisogno per crescere. La vecchia Temperance Brennan l’avrebbe buttato fuori di casa con tutta la gioielleria al vento. Ma quella attuale si sentiva inerte di fronte a quel Booth in difficoltà. E la sincerità con la quale le aveva confessato come stavano le cose la spiazzava ulteriormente.
“Prima o poi sarai in grado di gestire tutto quanto. Ma io non sarò qui ad aspettarti, lo sai?”
“Non te lo chiederei mai!”
“Però in questo momento ci sono e ti dico: ok. Tutto è successo all’improvviso: l’inizio della nostra storia, l’attrazione per Emmerich. Ma arriverà un momento nel quale dovrai fare i conti con ogni cosa. Lo sai?”
“Come sei saggia Bones…”. Booth era genuinamente stupito.
“A forza di ascoltare i sermoni di Angela qualcosa sto imparando anch’io.”
“E pure piuttosto bene.” Guardò con interesse un angolo del suo collo. Era rischiarato dalla poca luce di una lampada posta al lato del divano. Decise che non poteva trattenersi dal baciarlo.
“Oggi è stato bellissimo”, le confessò mentre la sua bocca risaliva verso l’orecchio destro.
“Dì la verità: temevi di non riuscirci.”
“Negativo. Mai avuto dubbi in proposito.”
“Forse hai ragione, forse temevo di non essere io all’altezza.”
La guardò meravigliato: “Ma di che diavolo stai parlando? Di chi non dovresti essere all’altezza?”
“Di un amante maschio. Magari lui sa fare cose che io nemmeno mi sogno.”
Booth era imbarazzato. Malauguratamente, la processione di immagini erotiche che sperava prima o poi di rimuovere, ritornarono. Tra le braccia di Ian era stato bene, magari fosse stato il contrario!
“Non si possono fare paragoni, comunque non mi sembra il caso di tirare in ballo questa storia.”
“Mettiti nei miei panni, Booth. Se io avessi fatto l’amore con una donna tu ora non ti sentiresti un po’ impacciato?”.
“No, sono assolutamente certo di avere i mezzi necessari per farti godere più di qualsiasi femmina al mondo.”
“A sì? Questo cosa significa esattamente: che gli uomini, a tuo parere, sono più bravi a letto o che io dovrei ostentare più qualità di qualsiasi altro uomo al mondo?”.
“Ma che cosa stai dicendo? Io non ci capisco più niente!”. Booth era confuso.
Il primo bisticcio puerile dopo tanto tempo. Avrebbe dovuto esserne felice. Ma continuava a sentirsi minacciato da quell’argomento.
“Quello che intendo dire è che forse, proprio perché ‘uomo’, lui ha le potenzialità fisiche per farti provare maggior piacere.”
“Perché ti sei messa in testa questa cosa? Tu sei assolutamente all’altezza di darmi tutto il piacere di cui ho bisogno.”
“Non girarci intorno, devi dirmelo!”
“Bones, smetti di fare la bambina. Stai per diventare madre, non comportarti da immatura.”
“E tu non tergiversare”. Lei puntò l’indice contro la spalla nuda di lui. “Adesso mi dici chi ti ha fatto godere di più a letto: io o Ian?”.
Spaventato da quella domanda, l’uomo, l’agente e il maschio alfa che c’erano in lui restarono letteralmente di sasso.
A soccorrere Booth fu il trillo del telefono.
“Ora non vorrai scappare, spero!”
“È il lavoro, non sto scappando”. Con la mano destra aprì il telefonino. “Booth”, rispose. Temperance continuava a guardarlo con tutta l’aria di chi pensava ‘ti sbagli di grosso se pensi che finisca qui’.
“Ho capito tutto, arrivo immediatamente.”
“Non ti lascio andare finché…”
“Bones, è importante. Il capitano vuole parlarmi.”
“Stai andando al lavoro? Pensavo che oggi avresti disertato l’ufficio.”
“Lo pensavo anch’io” ribatté infilandosi i pantaloni.
“Prima di andartene devi rispondere alla mia domanda.”
“Sei veramente…”. Si avvicinò a lei e l’abbracciò. “…una gran testarda.”
Lei rispose all’abbraccio. “Il tuo capitano aspetterà a lungo se non rispondi…”
“Ok te lo dico. Se Ian mi avesse fatto questa domanda, non avrei avuto esitazioni a dire che preferisco farlo con una donna. Con te in assoluto…”
“Dunque?”
“… perché lui ci avrebbe riso. Mentre per quanto ti riguarda è assolutamente importante che dica ‘si con te è più bello’ perché hai bisogno di sapere che il tuo uomo, nonostante tutto, è completamente uomo.”
“E allora? Vieni al punto. Io o lui?”
“Sono due sensazioni completamente differenti”, biascicò lui infilandosi il resto degli abiti a gran velocità.
“Non penserai di cavartela con questa rispostaccia diplomatica, spero?”
“No, non è una risposta diplomatica. Tu sei in assoluto la migliore tra tutte le donne con cui sono stato. Mentre Ian è l’unico uomo a cui abbia permesso di toccarmi. Quindi…”
“Quindi…?” a quel punto l’agente era con un piede fuori dalla porta.
“Accontentati di questo.”
Sgattaiolò via per le scale sebbene lei continuasse a gridargli dietro.

Fuori non aveva ancora smesso di piovere. Booth continuava a ridacchiare riflettendo su come fosse riuscito a cavarsela senza rispondere davvero. Bones starà perdendo la testa, ne sono sicuro! Pensò. Non avrebbe mai potuto, nemmeno sotto tortura, ammettere che con Emmerich il piacere sessuale era stato qualcosa di impensabile! Paragonabile a niente. Ma da un certo punto di vista aveva ragione a non poterlo comparare. A letto con il profiler non c’era stato il vero Booth ma un uomo diverso, completamente diverso. Un uomo capace di rompere tutti gli schemi, di abbattere le barriere che aveva issato per anni. Stranamente, si era sentito a suo agio con lui fin dai primi istanti. Il desiderio che Ian aveva di possederlo sembrava così genuino e dolce. E quando lo aveva toccato proprio là, proprio nel punto dove nessun altro si era permesso prima (persino con le donne si era mostrato restio a quel genere di confidenze), gli era sembrato così naturale. Emmerich, tra il serio e il faceto, aveva più volte rimarcato la voglia di farlo suo. Per Booth, etero dalla testa ai piedi e anche oltre, era talmente fuori discussione da apparire ridicolo! Invece era accaduto l’impossibile.
Booth ricordava il dolore lancinante. Ma la costanza di Ian, d’interrompere e poi riprovare, senza mai calcare la mano e usando tutto il tatto possibile, avevano reso l’unione più di una concreta possibilità, permettendogli di scoprire un nuovo modo di definire il termine ‘insieme’. E l’intesa era sbocciata di conseguenza. Quei ricordi avrebbero dovuto spaventarlo a morte, invece provava una sorta di tenerezza assoluta, come quando si avverte un odore del passato. Conservava immagini poco nitide di quei momenti d’intimità, come se si fosse trattato di un film d’epoca. Poco chiare ma di rara bellezza. Forse Ian prova quello che sto provando io tutte le volte che ripensa alla nostra ultima notte. Strinse i pugni. Ma se sei uno spietato killer di madri di famiglia e stavi con me nonostante tutto... Doveva sforzarsi di non considerare nemmeno quell’ipotesi. Per adesso preferiva seguire il consiglio di Sweets. Non pensare a Ian l’assassino, pensa a lui come alla persona che ti ha fatto innamorare, così gli aveva consigliato durante la loro prima seduta. Tra una riflessione e l’altra giunse davanti all’ufficio del capitano. La porta era aperta. Bussò per palesare la sua presenza.
“Eccomi qua”, disse incrociando lo sguardo del suo superiore
“Cerca di restarne fuori, Booth. Oppure ti faccio pentire di essere nato.”

venerdì 3 luglio 2009

Borderline, capitolo 14




Il concerto di Primavera era l’evento mondano per eccellenza a New York almeno per quanto concerneva la musica classica.
William ci mise tutto se stesso per apparire decente. Il giorno prima andò a far visita al suo coiffeur di fiducia. Ben Logan lavorava in un vero e proprio centro benessere. Si conoscevano da quando entrambi studenti alla Columbia si spuntavano i capelli a vicenda. Per l’uno rimase un poco costruttivo hobby, per l’altro divenne una professione. L’accompagnò Stacy, che poteva finalmente usufruire d’un giorno di riposo.
“Come va con Victim? Continuate a menarvelo a chilometri di distanza?”
William rispose sorridendo estasiato. “Se lui fosse vero Stacy, credimi, sarebbe il mio uomo ideale!”
“Ma lui è vero” rispose fermandosi di colpo. Spingeva il passeggino attraversando una Park Avenue scoppiettante di persone e di colori. In primavera New York tornava quella di sempre. Gente di fretta verso i posti di lavoro, turisti, barboni e venditori ambulanti. Tutto come qualche anno prima; come se l’attacco alle torri fosse parte di una leggenda metropolitana.
“Lui esiste, Will, che tu ci creda o no qualcuno dall’altra parte, c’è!”
“Non vuole farsi vedere, non mi chiede il numero di telefono, né un appuntamento.”
“Timidezza.”
“Timidezza? I timidi sono brutti. È brutto.”
“Heath è timido. E lui non è brutto.” Il cuore di William per un attimo si arrestò. Stacy aveva nominato l’innominabile.
“Scusami, non avrei dovuto tirarlo in ballo con tanta leggerezza.”
“Non fa niente” ma era diventato triste e mentre lo diceva i suoi occhi tornarono a luccicare come quattro mesi prima.
“A volte mi manca un casino. E ringrazio Dio del fatto che non dormissimo sempre insieme.”
“Puoi avere tutti gli uomini che vuoi, perché pensare a quella checca schifosa?”
“Poi mi chiedo: è felice ora? Con il suo nuovo ragazzo. Oppure: che starò facendo? Avrà mangiato in uno di quei postacci tipo Sbarro?” prese un fazzolettino dalla tasca e si asciugò l’unico occhio bagnato.
“È un pezzo di merda, non merita le tue lacrime.”
“Lo so, ma il mio cuore non ne è ancora convinto. E poi l’ho trattato male. Avremmo dovuto lasciarci più civilmente mentre, per colpa mia, è finita tipo tragedia greca.”
Ripresero a camminare speditamente, Vanilla aveva iniziato a rumoreggiare in direzione del biberon pieno d’acqua.
Giunsero di fronte al centro benessere.
“Io mi faccio un giro. Quando hai finito mi telefoni.”
“Ok” rispose cercando di tornare sereno. L’attendeva un evento mondano al quale si stava preparando da settimane, gli restava solo di curare il look e poi tutto sarebbe stato perfetto.
L’ex compagno di scuola lo accolse abbracciandolo. “Will, sei in forma come non mai, che ci fai qui?”
“Guardami meglio: non vedi che colorito spento che ho? E i capelli? Lunghi così sono ingovernabili!”
“Il riccio su di te sta benone. Conosco uomini che si farebbero prendere a calci i gioielli pur di avere capelli come questi.”
“Patetici pelati” rispose sarcastico.
“Lascia fare a me. Per quanto riguarda la pulizia del viso se ne occuperà Gabriel” una ragazza dalle chiare origini ispaniche sorridendo fece accomodare William nel suo cubicolo. Indicò la poltrona dove sdraiarsi.
Il trattamento durò un ora circa dopo di ché fu invitato a fare un lampada sebbene il parere contrario di Ben. A lui il colorito pallido sembrava addirittura sexy! Una volta che fu il suo turno si diede da fare spettinandolo e andando a togliere solo le doppie punte. Quando Stacy lo vide rimase ad occhi sbarrati.
“Mio Dio, oh mio Dio, sei uno schianto! Dimmi quanto costa, devo assolutamente fare quello che hai fatto tu!”
“Non saranno troppo lunghi i capelli?”
“Sono favolosi. Sei favoloso!” camminarono per diversi isolati fino all’ora di pranzo


Il biglietto del concerto attendava da tre settimane oramai. Era celato dietro un portaritratti raffigurante suo padre e sua madre il giorno delle nozze. Quella foto era stata scattata il diciassette maggio del millenovecentosessantasei. Liam era affezionato a quell’effige. Ogni volta che li guardava, così giovani e autenticamente innamorati, il suo cuore si scaldava.
Voleva William McCarthy, conoscerlo quanto meno. Sapeva che aveva un ragazzo, sapeva che si era preso una pausa a causa di un infortunio. Erano mesi che ci pensava, da quella maledetta sera della cena di beneficenza. Aveva perso Jake, ma aveva conosciuto William. Se fosse un segno del destino non lo sapeva, l’unica cosa di cui era certo che avrebbe fatto l’impossibile per avvicinarsi a lui. Magari solo per fargli i complimenti del caso. Sospirò. Mancavano oltre tre ore. Poteva anticipare. Magari avrebbe trovato il modo per assistere alle prove pagando una lauta mancia. Ci pensò. Decise che tanto valeva tentare.
Si fece una bella doccia, la barba. Curò molto il look scegliendo una camicia bianca a righe blu e un vestito di Yves Saint Laurent che aveva comprato a Parigi un anno prima. Gli stava un incanto soprattutto ora che aveva perso qualche chilo. Era con un piede fuori alla porta quando Jake gli si parò davanti.
“WOW, ripeto: MEGAWOW! Dove te ne vai tutto in ghingheri?”
“Jake... che ci fai qui?”
“Scusa se non ti ho avvisato ma Heath sta lavorando per uno spot. Ne avrà per molto così pensavo che avremmo potuto stare insieme stasera...”
“Non posso.”
“Mi mandi via?” fece il broncio. Un broncio irresistibile. La razionalità di Liam fece i salti mortali per tenere a bada tutti gli ormoni che impazzirono e impazzarono. Il testosterone superò i livelli di guardia. Stava soccombendo. Alla faccia dei buoni propositi. Sbatte le ciglia e io cedo come un pupazzo!“Solo un’ora. Non di più. Non voglio arrivare tardi.”
“Mi basta.” Entrarono. Jake lo abbracciò. Nel giro di due secondi le labbra si trovarono.
“Amore...” ansimò l’ospite inatteso.
“Jake... Cristo” la mano del ginecologo si aggrappò all’erezione.
“Quanto ben di Dio” enunciò sorridendo.
Si allontanarono dal corridoio allacciati per poi arrivare al divano, teatro negli ultimi tempi dei loro, sempre meno casti, approcci sessuali. Jake non sapeva quello che voleva da Liam ma il suo corpo sì. E non voleva smettere di baciarlo, non voleva smettere di vivere quel momento, di goderselo appieno. Come sempre se ne sarebbe fregato dei sensi di colpa, come quando tradiva Liam, come ora che faceva lo stesso a Heath.
Una volta fatto sedere sul sofà, Jake liberò la turgidità che da qualche minuto coccolava.
Fece scivolare i pantaloni fino ai polpacci. Si chinò per baciare la pancia. Baci brevi alternati a più lunghi, a succhiate vigorose.
“Doccia troppo recente. Mi piace quando sei un po’ sudato, il tuo sapore è più autentico” rivelò prima di spostare la bocca sul pube.
“Oddio” ansimò Liam mentre la punta del suo sesso lambiva le labbra carnose.
Fu uno dei pompini più brevi della loro storia. In una manciata di minuti gli riempì la bocca di caldo liquido.
“Forse avrei dovuto metterci meno ardore” confidò Jake pulendosi le labbra con le dita.
“No, è stato perfetto. Anche perché come sai non ho molto tempo.”
“Ma che concerto è? Non mi dirai che è musica classica! A te non è mai piaciuta la musica classica!”
“Si cambia, piccolo.” Si allacciò i pantaloni. Per tutta risposta Jake iniziò a togliersi i suoi.
“Jake...”
“Questa volta non mi basta solo dare, baby” gli fu addosso. Non passò molto tempo che l’eccitazione di Liam tornasse a far defluire il sangue verso sud.
Lo scopò a lungo. Con veemenza. Con passione. Gli ricordò che l’amava. Che gli mancava. L’altro confermò che lo amava pure lui, specificando però che amava anche Heath e con lui era tutto fantastico.
Per un paio d’ore almeno Liam non pensò a niente oltre a dare piacere a Jake, a farlo gemere di quel piacere, a goderne a suo volta. Il suo corpo, la sua anima, le sue ciglia umide, le sue grida estatiche. Che bello sentire di nuovo la sua casa riempirsi di quella gioia! E tornare a sentirlo fremere attorno al suo corpo.
Entrambi persero il numero degli orgasmi raggiunti. Non era il loro record ma, dopo quattro mesi di astinenza colmata solo da baci e sublimazioni varie, c’era da aspettarselo un ritorno di fiamma del genere.
Mentre si leccavano a vicenda i reciprochi umori simili a felini, Liam fu scosso da un ricordo: “Mio Dio Jake, il concerto. Cazzo!” si ricordò all’improvviso che quella sera doveva fare qualcosa che non fosse propriamente sesso selvaggio con il suo ex! Jake si voltò dall’altra parte insonnolito. Nel giro di mezz’ora, Liam Spancer era di fronte al Metropolitan Opera.
Un valletto lo bloccò: “Mi dispiace, l’ultima pausa è finita cinque minuti fa, non si può entrare durante il concerto.”
“La prego...”
“Sono davvero spiacente,” il ragazzo con un buffo cappello rosso, era irremovibile. Il ritardatario provò a corromperlo con una generosa mancia. Alla fine il giovane si sbloccò.
“Se vuole seguire i minuti che restano passi dal retro. Ma non da qui. Non voglio guai.” Intascò i soldi e indicò come imbucarsi.
Liam superò una serie di barriere prima di riuscire a sentire la musica. Più avanzava più la sentiva vicina. Finchè non divenne un frastuono di violini e clarinetti vari. Dedusse che la soffiata del valletto era giusta. Non aveva buttato cinquecento dollari! Scostò un sipario pesante e riuscì a scorgere l’intera orchestra. Allungò il collo per arrivare a guardare anche il resto. Il motivo per il quale era là, in mezzo alla polvere, al baccano. Con il cuore in gola lo trovò. Il direttore d’orchestra più bello e più carismatico che si potesse trovare sulla faccia della terra. I suoi occhi brillarono. “Will...” sussurrò in preda ad un’emozione violenta. La parentesi di poco prima con Jake sembrava così prosaica al confronto di quello che provava in quel momento. E per un attimo si sentì bene, bene come da un po’ di tempo si sentiva solo con... hot spot 69. C’era davvero un filo invisibile che legava quei due. Il concertista biondo, elegante e bellissimo, l’esibizionista dal corpo asciutto e scultoreo. Non sapeva che fossero la stessa persona ma c’era qualcosa di chimico, di alchemico, di poco razionale che gli suggeriva qualcosa.


William fu brillante. Dopo tutto gli era mancato il palco, la musica, il brivido del concerto! Felice come non mai si ritrovò nel suo camerino circondato dai fiori. Si rilassò su divanetto tra un cesto colmo di rose e uno mazzetto di camelie. Ripensò al concerto: non aveva sbagliato nulla nonostante la paura. Era stato una specie di debutto. Poi, verso la fine era successo qualcosa che non aveva compreso. Di nuovo la sensazione che ‘Angel’ fosse vicino. Era un mondo onirico che si faceva carne e sangue o il suo inconscio si sforzava di percepire la misteriosa presenza per stare meglio? Cercò di non pensarci. Bussarono alla porta. Un valletto fece capolino con la testa.
“Ci sono visite per le Signor McCarthy.”
Si riassestò un attimo prima di dire: “Ma certo.”
Erika e Stacy lo abbracciarono con calore. Prima la donna di colore poi quella più paffuta.
“Ragazze, non fatemi montare la testa! Ho fatto solo il mio sporco dovere.”
“Pure alla grande, direi!” Concluse Stacy genuflessa su di lui. Aveva lasciato Vanilla ad un nuovo amico gay. Qualcuno che, mai e poi mai avrebbe sostituito Heath nel suo cuore ma tanto valeva darci un taglio e andare avanti.
“La mia piccolina è in buone mani?”
“Brent se la starà spupazzando alla grande anche se è probabile che a quest’ora sia crollata.” Tutti e tre uscirono per recarsi a cena. Era una bella serata di maggio. L’inverno era passato ormai. William pensò se anche la cattiva stagione del suo cuore prima o poi avrebbe cessato i tuoni e i fulmini. Voleva che il calore estivo tornasse a scaldargli il cuore come un tempo. Heath non c’era più. L’uomo con cui chattava sembrava provenire da un mondo immaginario. Pazienza, se non altro ho smesso di bazzicare saune e postacci di quella risma. Considerò sentendosi saggio.
Mentre camminava verso l’auto assieme alla due amiche, una voce calda e maschile lo fece voltare.
“William!” Aveva gridato la voce. Subito dopo una sagoma da lontano. E un’altra voce, questa volta minacciosa.
“Finalmente ti ho beccato, ora ti faccio vedere io!” diceva.
Liam cercò di dibattersi. Ma il bodyguard era nervoso e propenso alla lotta. L’aveva trovato dietro il palco e redarguito con insulti e male parole. Liam era riuscito a svignarsela sperando di recuperare il suo idolo in tempo per quando avrebbe lasciato i camerini. Aveva atteso in disparte davanti all’uscita principale ma niente, il suo William non era con gli altri artisti. Verso mezzanotte finalmente l’aveva trovato. Ma la guardia del corpo voleva guastargli la festa assicurandogli una lezione che gli facesse passare la voglia per sempre di intrufolarsi!
William non capiva. Anche le due donne erano interdette. Gli uomini, a una decina di metri da loro, se le davano di santa ragione.
“Però, sempre sexy vedere maschi tutto testosterone che se le danno” disse Erika. L’altra non commentò. William era turbato. Di nuovo la presenza di Angel. Ma questa volta era talmente vicino da forviarlo.
Sto diventando davvero pazzo? Eppure è una vita che non mi drogo! Angel, io ti sento... sento che sei qui.Mai prima di allora, se si escludeva la festa nella quale l’aveva ‘incontrato’ la prima volta, l’aveva sentito così vicino.
“Ragazze voi andate, vi raggiungo dopo.”
“E vedi di non tornare da queste parti, capito?” bercio l’omaccione prima di assestare un altro calcio.
Liam era conciato maluccio. Da una narice perdeva sangue, sentiva ogni osso anchilosato. E gli doleva anche la testa.
“Tutto ok amico?” Liam fece sì con la testa . Si sollevò da terra pulendosi i pantaloni dalla polvere. Alzò lo sguardo e lo vide... era William. Il suo cuore cominciò a galoppare. Deglutì. Da quando non si sentiva così? Probabilmente da quando era ragazzino e si era trovato solo con un uomo.
Dio come è bello, da vicino lo è ancora di più... non sembra nemmeno umano. Pensò vibrando.
Anche William dovette fare i conti con tutta una serie di emozioni sconvolgenti. Quell’estraneo era letteralmente l’uomo più sexy che avesse mai visto in tutta la sua vita. Entrambi i ritmi cardiaci erano degni di una corsa in ospedale per tachicardia. Si guardarono a lungo. Tanto, per minuti che trascorsero lentamente.
Finalmente il silenzio si ruppe.
“Perché quell’uomo ti ha malmenato?”
“Ehm... ho fatto tardi. E così ho pensato bene di infilarmi attraverso le quinte.”
“Ti sei imbucato e avevi il biglietto?” che tipo buffo, considerò. Accennò un sorriso. Liam si chiese se non fosse il caso di presentarsi.
“Liam Spancer” e porse la grande mano.
“William...”
“So come ti chiami. In verità sono qui per te” ammise timidamente. Abbassò lo sguardo.
“Addirittura!” il direttore d’orchestra arrossì. Forse stava sognando. Un sogno che lo avrebbe di certo portato ad una polluzione notturna. Perché un uomo tanto sexy gli faceva la corte? Certe cose succedono solo nei sogni erotici, Will. E poi è un estraneo, magari un pazzo sadico che vuole tagliarti le dita! Considerò. Dopo le ultime disavventure doveva cominciare a temere il peggio. Sempre.
Mai abbassare la guardia.“Delle amiche mi attendono per cena.”
“Vai pure. E scusa.”
“Ma figurati. È stato un piacere, Liam giusto?”
“Sì. Spero che ricapiti.”
“Prendere dei cazzottoni in faccia?”
“Vederti.” William rabbrividì. Era lui, ne era certo.
“Grazie...”
“A te...”.

mercoledì 1 luglio 2009

Borderline, capitolo 13



WARRING! NC17 situazioni di violenza dettagliate. Erotismo.

Jake passò a casa di Liam per prendere alcune sue cose. Non tutte però. Aveva deciso strategicamente di non liberare la sua parte nella stanza degli armadi. Voleva in un certo senso lasciare una traccia di sé, magari per chi sarebbe venuto dopo. Oppure voleva mantenere la possibilità di un ritorno? Aveva considerato che il suo ex fosse in ufficio. Lo trovò invece nella piccola stanza del computer. Nudo dalla cintola in giù e con il pene in mano. Se non fosse stato per il fatto che il loro rapporto fosse ancora sufficientemente vivo sarebbe stata una situazione decisamente imbarazzante.
“Preferisco non farti vedere il mio viso. Che tu ci creda o no, sono una star” aveva scritto William.
“Lo sapevo che eri una star” ironizzò, “fammi vedere tutto il resto” pretese senza mezzi termini Victim. Il biondino sistemò la telecamera verso il basso. La mise in funzione. Si sbottonò i pantaloni e si preparò per lo show. Era abbastanza esibizionista da sentirsi lusingato. I complimenti non tardarono ad arrivare.
“Sei uno schianto, che altro dire...” la salivazione di Liam si era azzerata. Quegli addominali scolpiti apparivano nitidi nonostante il collegamento non fosse dei migliori. La leggera peluria bionda sormontava i genitali. Un pene eretto e ben tornito troneggiava sotto la lanugine. Stava letteralmente sbavando di fronte ad Hot spot 69. Non fu più in grado di trattenersi. Dopo tutto Jake, il suo compagno da una vita, stava prendendo casa con un altro, perché diavolo avrebbe dovuto trattenersi? Si prese il sesso in mano. Ci giocò un po’ prima di iniziare a pompare sul serio. Dall’altra parte dello schermo appariva una scena simile. Poco dopo apparve Jake.
“Buona idea, molto meglio di lavorare” commentò sogghignando. Liam smise svogliatamente di fare quello che stava facendo. Scrisse: “Perdonami, devo staccare.”
Deluso dall’altra parte dello schermo Will sbuffò. Era eccitato, terribilmente eccitato, il suo angelo volava via. Pazienza. Lo avrebbe ribeccato presto. Per la prima volta dopo dell’uscita di scena di Heath si sentiva... se non propriamente felice, rasserenato. La fame giunse improvvisamente. Decise che piatti pronti nel surgelatore potevano aspettare. E il vampiro che era in lui rischiare il contatto con il fulgido sole. Chiamò Bella napoli e pretese un tavolino sebbene l’orario.


Jake stava uscendo di scena, ma lo stava facendo con eleganza. Anche se qualcuno avrebbe potuto definirla furbizia. Appena riusciva a trovare un momento libero, tornava da Liam. La scusa era sempre la stessa: aveva dimenticato il passaporto. La canna da pesca (quando mai aveva pescato?) un Cd dei Verve. Qualsiasi cosa andava bene. Se il padrone di casa non c’era lo spettava seduto sulla sua poltrona preferita oppure faceva quattro passi sul tapirouland. Non infilava mai il naso nel p.c. che sapeva spento e protetto da password. Quasi di certo l’aveva cambiata per proteggere la sua privacy.
Sorprenderlo durante la masturbazione l’aveva lasciato a dir poco basito. Non era assolutamente da lui. Eppure era successo. Ci avevano scherzato un po’ sopra. Poi non se n’era più parlato. Quando erano insieme e non scherzavano e non parlavano, restavano abbracciati in silenzio. Spesso al buio. A volte Jake perdeva qualche lacrima. Liam la raccoglieva e se la portava in bocca.
“Ho una voglia di farti l’amore che non ti dico... ” confidò il più anziando durante un convivio del genere. Erano talmente stretti che non si capiva dove finisse il corpo dell’uno ed iniziasse quello dell’altro.
“Non è per questo che sono qui, lo sai... ”
“Già... vorrei tanto capire perché allora sei qui.”
“Sei il mio amore, Liam. Sei mio padre, mio fratello, mio figlio persino! Da quando ho memoria tu fai parte della mia vita. Sei essenza di me. Come potrei rinunciare a me?”
“Allora resta. Facciamolo fino all’alba. Come i primi tempi. Ricordi?” Jake sorrise nell’oscurità.
“I primi tempi erano eccezionali. Però eri anche molto più giovane. E ti divertiva insegnarmi.” Liam sorrise placido. Le immagini che passarono nella sua mente erano di pura gioia. Nonostante fossero incredibilmente erotiche (il culetto acerbo di Jake lo tormentava ancora nei sogni) serbavano piuttosto un amore, una devozione, un miracolo. La loro storia era un miracolo. Dopo tutto erano gli stessi. Se socchiudeva gli occhi tornava a vedere il professore e l’allievo intenti nelle loro peripezie sessuali. Jake era ancora bellissimo.
“Vado, ho promesso a Heath che mi sarei occupato della tinteggiatura dell’appartamento.”
“Tu dipingi?” Liam era stupito.
“Se trovo il tempo, sì.”
“Non pensi che prima o poi il tuo nuovo boyfriend troverà da ridire su queste visite quotidiane a tuo ex?”
“Spero di no” sgusciò dall’abbraccio sorridendo. Si risistemò l’erezione. Era dolorosa e piacevole allo stesso tempo.
Si salutarono dopo un lungo bacio. Un lungo bacio con lingua e saliva. Un lungo bacio per niente casto.


Da circa un mese e mezzo William non vedeva né Heath né uno spartito. Sentiva ogni giorno Stacy. Spesso s’incontravano nei loro bar preferiti oppure pranzavano da Mcdonad’s. I soli rapporti che aveva con il suo lavoro erano legati alle telefonate con Erika e le fugaci apparizioni nel blog a lui dedicato dove assicurava il suo ritorno alla grande durante il concerto di primavera. La scusa ufficiale per questa uscita di scena era stata la tendinite. La più gettonata quando lo strumento di lavoro sono le mani.
Di notte continuava a frequentare, non tutte le sere, non sempre arrivando al dunque, i retrobottega dei porno shop o i cessi delle gay disco. Ma da quando nella sua vita era entrato Angel, o meglio Victim for love, la sua era una ricerca. In quei luoghi cercava di corroborare l’immagine che lui si ostentava a nascondere. Il suo Angel non aveva acquistato nessuna cam. Invece lui continuava a dar sfoggio del suo bellissimo corpo, ma non del viso. Quello non l’avrebbe mostrato mai. Dopo tutto era davvero un personaggio pubblico. Cosa sarebbe successo se qualcuno avesse fatto impunemente circolare le immagini di lui intendo a titillarsi il suo punto speciale con quello o quell’altro oggetto del piacere?
Più il rapporto virtuale si faceva audace meno sentiva l’esigenza di rimorchiare altri uomini. Certo, quelle sere in cui la lucina che segnalava la presenza di Angel non si accendeva, William era per forza di cose costretto ad uscire per andare a caccia. Come un vampiro che si nutre di sangue per sopravvivere, la sua linfa vitale era nei testicoli di nerboruti sconosciuti.
La sera che Liam e Jake tornarono ad avere un approccio sessuale, niente di particolarmente spinto, un bacio troppo appassionato, un vigoroso strusciamento dei sessi attraverso i tessuti, Will uscì per trovare il suo Angel sotto le mutande di questo o quell’altro.
Quella sera scelse una sauna che gli piaceva particolarmente da giovane. Non ricordava neppure di avere ancora la tessera. L’uomo dalla chiare origini asiatiche lo esortò a rinnovarla.
“Mi deve scusare, non vengo qui dal millenovecentonovantatre!”
L’altro sorrise. Probabilmente non parlava troppo correttamente la sua lingua. Fu fatto passare attraverso un asta di metallo simile a quella della metro. Non ricordava che ci fosse niente del genere quindici anni prima. Il corridoio divideva sei cabine. I fumi della sauna uscivano da sotto la porta di vetri fumé. Nonostante fossero offuscati si intuiva cosa stesse succedendo. Lo si intuiva soprattutto dal sonoro. I gemiti di piacere erano uno stuzzicante benvenuto per Will.
Entrò nello spogliatoio, una volta nudo come un verme si diresse nella quarta stanza sulla sinistra. Era dannatamente caldo. Bagnò con dell’acqua il marmo sperando che oltre al fumo generasse un po’ di refrigerio. Si domandò se sarebbe stato in grado di scopare malgrado i settanta gradi! Quando ero giovane non me li ponevo tutti questi problemi, rifletté.
Dopo una decina di minuti ricevette una visita. Era un giovane uomo, addirittura belloccio e piuttosto in forma. Nonostante l’incipiente calvizie e i troppi tatuaggi Will decise che si trattava di un tipo attraente. Non si dissero niente per cinque minuti buoni. Poi lo sconosciuto cominciò a masturbarsi. Questo diede il via anche a William. Era come in cam con la differenza che, volendo, si potevano toccare. Ma non tutti si toccavano. Per molti quella di guardare e basta era la regola. Dopo tutto lo spauracchio AIDS non era di certo finito con le cure. Will sperava di non dover fare la prima mossa. Ma l’altro continuava a guardare e basta. Ci vorrà un incentivo. Pensò. Si alzò in piedi dando le spalle all’uomo. Si piegò a novanta gradi. Con le mani si divaricò un poco le natiche. Ondeggiò il bacino in una danza altamente erotica.
Prendimi, prendimi, prendimi Angel. Pensò. Poi, senza preavviso, un dolore lancinante alla testa. L’uomo lo prese per il collo e lo sbatté con veemenza sul muro. Per qualche attimo William perse conoscenza. Quando si svegliò l’altro lo stava scopando di santa ragione. Ma la cosa strana era che non provava niente. Era come se non fosse lì ma a casa sua, magari dormendo. Poi lentamente le cose presero forma.
“Finocchio, bastardo, rotto in culo. Ti piace la mia banana nel culo?” e via di questo andazzo. Con la guancia premuta alla parete Will cercò di ricostruire i fatti. Perché sentiva tanto dolore alla testa? Perché quel tizio continuava ad insultarlo? Una volta che fu uscito da lui, William, stordito, cadde riverso sulla panca. Non era venuto. Niente del genere. Sperò che l’uomo se ne andasse anche per riperdersi un po’ da quello che era accaduto. Purtroppo la disgraziata serata era solo all’inizio.
“Sei stato bravo, ora seguimi” impose con tono sicuro.
“Puoi dirmi almeno come ti chiami?”
“Billy”
“E dove vorresti portarmi Billy?”
“Non fare domande, puttana. Recupera i tuoi straccetti, ti aspetto fuori.”
La mattina dopo William sentiva dolori lancinanti dappertutto. Si era cacciato proprio in un bel guaio. Billy lo aveva trascinato di forza in un appartamento a pochi isolati dalla sauna. Ad attenderli tre amici. I quattro si erano divertiti ad abusare di lui fino all’alba non limitandosi ad infilare il loro sesso con veemenza in ogni suo orifizio. Fortunatamente con un l’ausilio del profilattico. Lo avevano coperto di insulti, sputi, calci, spinte, botte insomma. Senza arrivare a nuocere nel vero senso della parola. Ma qualche livido c’era e se non fosse bastata di per sé la ginnastica sessuale eccessiva a far dolere i suoi muscoli, le percosse subite facevano la loro parte. Una volta tornato nell’attico si liberò dei vestiti. Puzzavano incredibilmente. Sospirò guardandosi allo specchio. Aveva le braccia coperte di ecchimosi. Sulla fronte troneggiava un livido, probabilmente la botta addosso al muro in sauna. Gli faceva male anche l’ano. Riempì la vasca fino all’orlo. Si fece un bagno lungo che lo fece addormentare. Una volta fuori si mise della crema cicatrizzante tra le gambe. Gli doleva ancora. Ma in che guaio mi sono andato a cacciare? Si disse. Fosse stata almeno un’esperienza sessuale interessante! Era talmente annichilito dalla paura che quegli uomini gli facessero del male vero, magari fino ad ucciderlo, che non si era goduto affatto l’improvvisata orgia.
Deve farla finita con questo schifo! Giurò a se stesso. Certo non sarebbe stato facile, era come smettere di drogarsi. Aveva sostituito l’amore di Heath con il sesso occasionale. Ora cosa gli restava? Angel. Per fortuna lui c’era sempre. Almeno nei suoi pensieri.


Le labbra si erano trovate per caso. Come sempre. Il bacio da lento a pressante, violento. Uno scontro di denti e saliva. “Jake, devi andare.”
“Lo so” di nuovo lingua, labbra, saliva. Erano aggrovigliati sul tappeto più costoso di tutta la casa di Liam. E non riuscivano a staccarsi nonostante entrambi avessero dei buoni motivi per farlo. Jake doveva uscire con Heath. Una cena per festeggiare il loro primo mese di convivenza. Liam temeva che se avesse lasciato passare le nove Hot spot non si sarebbe fatto vedere. Adorava quel dannato esibizionista. Da oltre un mese andava avanti quella storia. Ed era una delle storie d’amore migliori che avesse avuto, escludendo Jake ovviamente.
“Se fai aspettare Heath addio romanticismo da anniversario.”
“A te non sono mai piaciuto gli anniversari.”
“Io sono un orso.” I baci rendevano il linguaggio difficoltoso. I bacini si scontrarono creando scintille.
Rotolarono sul tappeto. Jake sormontò il suo ex. Lo guardò fisso negli occhi prima di tornare a cercare la bocca umida.
“Basta così, Jake! Devi crescere! Non hai rotto con me per fare di me il tuo amante. O sbaglio?”
“Non c’è niente di male. Sono solo cazzate.”
“Non lo sono e poi, se ci pensi bene, non è giusto nei miei confronti.” Il ginecologo ne convenne. Andarsi a strusciare su di lui e poi saltare sulla prima metro per raggiungere il suo nuovo ragazzo e andare a cena fuori con lui era una vera puttanata.
“Sono proprio immaturo, vero?”
“Non che io ti abbia aiutato a non esserlo. Ti ho viziato talmente tanto quando eri piccolo.” Liam sorrise, ogni tanto lo trattava proprio come fosse suo figlio.
“Padre incestuoso.”
“Vai da mio genero. E fatti scopare fino a che non ti fa tanto male al culetto, ok?”
“Non c’era bisogno che me lo dicessi, papà, avevamo in mente proprio questo” tornò a giocherellare con la sua lingua, “in verità scopiamo di continuo. Appena stacco dal lavoro mi salta addosso. Mi scopa di brutto.”
“Mi somiglia proprio questo qui.”
“Soprattutto sotto la cintola” sorridendo si tirò su. Era decisamente arrivata l’ora di lasciare il suo ex. Se ne andò attento a non sbattere la porta. Liam si precipitò al computer. Purtroppo di Hot spot nessuna traccia.

“Cazzo Jake, ti aspetto da un ora!” Heath era innervosito dall’attesa e dalla fame.
“Ti giuro che farò di tutto per essere più puntuale nei prossimi giorni, tesoro mio.”
“Tra l’altro sei stato tu che hai insistito per festeggiare... ”
“A te non fa piacere?”
“Pizza e birra a casa nostra sarebbe andato benissimo.”
“Il solito romanticone” ironizzò. La serata proseguì senza intoppi. Nonostante con Heath stesse davvero da Dio ogni tanto pensava a Liam e si suoi baci, tutto sommato doveva ammettere che era apposto così. Con Liam ci sarebbe stato sempre qualcosa. Essendo una colonna portante della sua vita non poteva finire così. Sarebbero continuati gli strusciamenti, i baci, probabilmente molto presto avrebbero di nuovo fatto l’amore. Ma per diritto costituzionale non per lussuria o per il gusto di cornificare Heath! E poi cosa ne sapeva di quello che Heath ne avrebbe pensato? Non era un tipo particolarmente geloso. Quando Jake gli aveva fatto sapere degli abbracci e dei baci a fior di labbra si era finto geloso e infastidito ma era lampante la sua comprensione. Non pretendeva che Liam uscisse di scena in un batter d’occhio. Era talmente innamorato del suo sensuale ginecologo che se anche per un periodo gli fosse costato dividerselo un po’ con il suo amante precedente era un prezzo che valeva la pena. Ne fu ancora più convinto dopo l’ennesimo orgasmo quella notte.
“Devi farti assolutamente vedere, tu non sei normale!” enfatizzò Jake scosso dal fiatone,
“Ho bisogno di fare tanto sesso per stare dietro alle esigenze del mio partner” ribatté prontamente.
“Questo è vero” si mise le mani dietro la nuca, proseguì il dialogo pensieroso: “Povero William.”
“Ora perché tiri fuori questa storia?”
“Scusa ma... immagino come possa odiarmi. Gli ho rubato la sua macchina del sesso. Ora sarà in panne.”
“E io ho fatto lo stesso con Liam, non mi sembra che mi odi, giusto?”
“Tutt’altro. Ti ammira.”
“Non lo capisco, voglio dire: so che è stato doloroso e tutto quanto ma la reazione di Will, cacciarmi di casa. Le botte e tutto il resto, quella è una reazione normale!”
“Il concetto di normalità è sempre discutibile. Sono pieno di colleghi che vorrebbero ricordarmi la sacralità dell’ano come organo esclusivamente espulsivo, non il contrario.”
“E poi si fanno chiamare dottori!”
“Già...” Jake si andò ad appollaiare sotto l’ascella del compagno.
“Perché non provi a chiamarlo? Sono passati due mesi quasi, forse si è ammansito.”
“No, mi mancano le palle. Scusa.” Si scansò irrigidendosi. Si alzò e si diresse in bagno per le pulizie di rito.
Jake ascoltò il rumore della doccia e si addormentò.

Ogni singolo respiro, capitolo 7


WARNING! NC 17 per situazioni particolarmente violente e crude


Angela camminò sul posto per qualche minuto per poi andarsi a sedere accanto a Booth. Era distrutto.
“Non so cosa dire... ” esalò lei, in un filo di voce.
“Lo so... ”.
“Mi dispiace.”
“Ci ho provato. Ma tu conosci Bones: quando si mette in testa qualcosa... ma doveva dirmelo” con le mani si coprì la fronte e gli occhi piegando la testa verso le ginocchia.
“Ultimamente non faceva che ripetere quanto sarebbe stato sbagliato parlarti di questa gravidanza. Mentre ora sono più che mai convinta del contrario.”
“Voleva proteggermi. Per tutto quello che è successo con Ian. Sa quanto sto male e non voleva darmi altri pensieri. Dimenticando quanto per me l’aborto sia abominevole. Nessuno può arrogarsi il diritto di decidere per la vita di un figlio di Dio.”
“Lo sai, io non la penso come te. Ma posso capire il tuo punto di vista.”
Il dottor Holden interruppe la conversazione.
“Il signor Booth?”
“Sono io.”
“La dottoressa Brennan le vorrebbe parlare.”
“Ma sta bene, l’intervento è già finito?”
“Mi segua”, rispose il medico.
Temperance se ne stava accovacciata in posizione fetale guardando un punto indefinito nel vuoto.
La trovò così: immersa nei suoi pensieri.
“Bones... ”.
Appena udì la sua voce lei si alzò di scatto. Si mise seduta, un po’ rigida. Era seria. Prima di parlare chiese al compagno di sederle vicino. Booth prese posto al suo fianco.
“Piccola, stai bene?”, le chiese, accarezzandole i capelli.
“Non ce l’ho fatta, sei contento?”.
Gli occhi dell’uomo si riempirono di gioia ed emozione.
“È meraviglioso”, rispose, e l’abbracciò forte.
Brennan appoggiò la testa sulla sua spalla. Chiuse gli occhi gustandosi l’odore maschile che si mischiava a quello asettico dell’ospedale.
Decisamente più piacevole il primo, considerò.
“Non mi chiedi perché ho cambiato idea?”. Si staccò per guardarlo fisso.
“Lo hai fatto per me, perché credi ancora nel nostro amore.”
“Sì, ci credo. E non sono sicura che mi farà bene crederci.”
“Ma di certo la cosa sbagliata sarebbe stata sbarazzarti del nostro bambino”. Per rafforzare il pensiero appena espresso Booth le accarezzò il ventre ancora piatto. I suoi fianchi erano così stretti e la sua vita talmente piccola... sembrava incredibile ma presto da lei sarebbe nata una creatura di tre chili o più!
“Booth...”. Lo guardò inquieta.
“E non venirmi a dire che non è mio. So che lo è.”
“E cosa ti darebbe questa certezza?”
“È un lottatore come suo padre.”
A quelle parole la donna sorrise commossa.
“Portami via da qui”, chiese.
“Non c’è cosa che desidero di più al mondo.”
La prese letteralmente in braccio.
“Comincio a sentirti più pesante, forse dovremmo metterci a dieta, che ne dici?”
“Ma se sono persino dimagrita! Dai Booth, non fare lo sciocco. Mettimi giù”.
Lui la fissò con amore. “Solo se mi giuri che questo è l’ultimo segreto tra di noi.”
“Non sono io che ho una doppia vita.”
“Ti consento di essere arrabbiata ancora per un po’, ma molto presto dovrà entrare dentro a quella testolina così piena di nozioni da scoppiare che ciò che è successo con Ian non è stato il frutto di un... ”
“Lo so. Non parliamone più.”
“Questa è la seconda cosa che desidero più al mondo.”
Prima di riappoggiarla sul letto la fissò intensamente: “Anche se non sto ancora bene… anche se non sono il migliore uomo del mondo... anche se non sono intelligente come te, bello come te, anche se non ti merito nemmeno per... ”
“Finiscila, tra l’altro non hai mai pensato di essere meno intelligente di me.”
“Mi sono ricreduto. In ogni modo, quello che volevo dire è: anche se non sono alla tua altezza, vuoi sposarmi?”

Nel silenzio di una giornata come tante, il cielo era grigio ma striato di viola per via del tramonto.
Un cielo che lui non poteva vedere.
Ma se chiudeva gli occhi, se non altro, riusciva a sognarlo.
E quando proprio non ce la faceva a sognare Booth e gli ultimi momenti con lui, i pensieri angosciosi tornavano ad assalirlo.
Ma c’era il ricordo di un altro cielo, tanti anni prima, a consolarlo, a placare le sue ansie.
Il piccolo Edward, per sfuggire alle angherie di Mandy, la donna che si sarebbe dovuta occupare di lui e di altri cinque minori, sgattaiolava nel punto più alto della collina. Si arrampicava in cima al roccione dietro casa.
Tanti anni prima, il padre di Mandy aveva scavato degli scalini nel fianco della collina e costruito una piccola piattaforma alla sommità.
Edward era l’unico dei bambini ad aver scovato quel posto. Lì poteva starsene seduto a contemplare la valle con i piedi penzolanti nel vuoto. Gli sembrava che le sue gambe potessero toccare il cielo. Spesso fantasticava di incominciare a camminare su di una linea che lo conducesse lontano, via da tutti i suoi guai.
E pensare che in fondo a quella linea aveva trovato Seeley Booth!
Fortunatamente, con il pensiero riusciva ancora a ricreare l’immagine dell’amato. Questo gli consentiva di sentirsi ancora vivo.
Troppo presto le immagini belle vennero offuscate dalla realtà.
“Eccoci qui, Emmerich. Sentivi nostalgia?”.
I suoi carcerieri erano tornati. Molto probabilmente per torturarlo. Andava avanti da oltre un mese. Si chiamavano Scott e Mark. Tutte le volte che c’erano loro, per Ian le molestie erano assicurate.
“Che volete? Andatevene via.” Si girò dalla parte del muro affondando il volto sul cuscino.
“Così si parla a due amici? Volevamo solo divertici un po’ con te. Fare compagnia ad un frocio. Perché è quello che sei, vero?”
Con la forza della disperazione Ian tentò di aggredire Mark.
Prontamente Scott lo prese per un braccio e lo fece voltare di schiena. L’altro lo guardò pieno di disprezzo e cupidigia.
“Che volevi fare, mettermi le tue manacce da frocio addosso?”. Gli sputò.
“Che stronzo. E pensare che noi abbiamo una sorpresa per te”.
Dalla tasca tirò fuori un minuscolo bastoncino di legno.
Ian li guardò con disgusto. “Che volete fare? Andatevene vi prego.” Iniziò a tremare visibilmente.
“Ma non mi dire... Grande e grosso come sei te la fai sotto per uno stecchino?”
“Già, Scott, questi agenti dell’FBI sono proprio delle mammolette.”
“Sì, però questo è anche uno schifoso assassino e noi gli faremo passare per sempre la voglia di disturbare le nostre donne, vero?”.
“Da qui non uscirà più... ma anche se uscisse, certo si ricorderà di noi”.
Risate odiose aleggiarono attorno a lui.
Una lacrima silenziosa solcò la sua guancia mentre con lo stecchino i due iniziavano una lenta e inesorabile tortura.


“Booth, ti prego, sai come la penso... ”.
“Lo so, sei contraria al matrimonio. Ma ti sei ricreduta sul fatto che i legami emozionali sono effimeri e inaffidabili, no?”.
La donna sorrise beffardamente. “Non fare l’affabulatore con me. Ho bisogno di riflettere anche su questo.”
Si guardarono negli occhi con complicità, poi furono interrotti dall’arrivo dell’infermiera.
“La preanestesia è passata. Ora può anche tornare a casa”, comunicò con tono indifferente.
“Prima vorrei parlare con l’anestesista.”
“La dottoressa Jackson?”, chiese l’infermiera.
“No, si tratta di un dottore. È un uomo.”
L’infermiera sembrò costernata. “Le assicuro che questa mattina non è di turno nessun anestesista di sesso maschile in questo reparto.”
“Si sbaglia, è stato un uomo a farmi la preanestesia: alto, rasato, sui quaranta”.
“La descrizione che mi ha fornito non mi ricorda nessuno, mi dispiace.” Così dicendo, la donna afferrò un mazzo di cartelle e si accommiatò.
“Non capisco”, sussurrò Brennan, inquieta.
“Che sta succedendo, Bones?”
“L’uomo che mi ha raccontato del bambino nato pre-termine, il bimbo che sarebbe morto di certo se non ci fosse stato l’incidente... ”
“Perché è così importante per te?”
“Perché se lui non mi avesse parlato in questo momento non sarei più incinta.”