lunedì 27 aprile 2009

Bordeline, quattro è il numero perfetto. Aggiornamento.


Borderline ha subito qualche modifica... oltre ai cambiamenti "ispirativi" c'è pure la questione dei nomi. Un po' spangel un po RPS (slash tra persone esistenti) insomma spero che lo appreziate! Se vi va ecco i primi tre capitoli restaurati :)


Capitolo 1

William McCarthy sapeva farsi rispettare, almeno il più delle volte. Se al ristorante qualcuno veniva servito prima di lui, alzava il sopracciglio destro e adocchiava il cameriere in segno di sfida. Ma il più delle volte stava zitto. Sapeva farsi rispettare durante le file al cinema o ai vari spettacoli teatrali. In qualsiasi occasione nella quale la sua supremazia fosse messa in discussione.
Ma a letto non c’era supremazia né rivalità. Tra le lenzuola preferiva stare sotto.

Heath Burton e William McCarthy, il giorno che la loro amica Stacy mise al mondo la sua bambina, a cui ebbe l’infelice idea di metter nome Vanilla, stavano insieme da tre anni, sette mesi e undici giorni.
Un bel record per una coppia perennemente accerchiata da predatori.
Musicisti, compositori, faccendieri, impresari, agenti vari, giornalisti vari, e, naturalmente, spettatori vari. Più specificatamente fans. Sì, perché William di mestiere faceva il direttore d’orchestra, uno dei più in voga a New York e Heath era un cantante e, all’occorrenza, sapeva anche ballare.
Malgrado questo erano sempre stati fedeli l’uno all’altro. Non erano una coppia aperta, anche se erano mentalmente aperti e non giudicavano quelli che preferivano far sesso in giro giustificandosi che, per l’appunto, si trattava solo di sesso e nessun coinvolgimento emotivo. Ecco perché quando Heath incontrò lo sguardo birichino di Jake Keane, un ginecologo fortunatamente nello stesso vagone della metropolitana il giorno che Stacy diede alla luce Vanilla, quando incontrò il suo sguardo dicevamo, beh non parliamo di scintille, né di chimica sessuale, né tanto meno voglia di trasgressione: fu subito amore.


La metropolitana brulicava di gente come ogni giorno. Heath si era svegliato di cattivo umore quella mattina, la continua frequentazione con Stacy lo stava stremando. Era come se gli ormoni in subbuglio della gravida fossero contagiosi e stessero insidiando il suo equilibrio. Ma voleva bene alla sua collega, e da quando lei aveva deciso di tenere il bambino, il risultato di un condom tanto trascurato da rompersi sul più bello, lui e William non le avevano mai fatto mancare nulla. La viziavano, la incoraggiavano, la accompagnavano alle varie visite, ecografie, a comprare culla e tutto l’occorrente per la sua piccolina. Di fatti, quel giorno si stavano recando in clinica per controllare il battito fetale.
Alla data presunta mancavano una manciata di settimane.
“Non puoi capire quanto odio dover salire sulla metro!” esordì in un sospiro, “ci fosse stato almeno un cane che mi avesse offerto il posto”.
“Da qui nemmeno si vedono i posti, Stacy. Porta pazienza”.
“Ma quale pazienza! Ho i piedi gonfi, devo pisciare e questa piccola peste non la smette più di giocare a calcio con il mio fegato” non fece in tempo a pronunciare la parola fegato che una frenata improvvisa e inattesa scaraventò tutti in avanti. Non fu panico ma qualcosa del genere. Tutti iniziarono a vociferare. Bomba, attacco terroristico furono le opzioni più gettonate. Niente di così grave, per fortuna. Ma nemmeno c’era da stare allegri. Il mezzo sul quale viaggiavano aveva problemi. Almeno fu quello che specificò scusandosi il conduttore del mezzo attraverso la radio di bordo.
E fu in quel preciso momento, in quel preciso istante, che Vanilla decise di venire al mondo. Così. Senza preavviso, una mezza secchiata d’acqua cadde tra le gambe della ragazza e sulle Hogan del ragazzo.
“Cosa è stato? Si sta allagando la metro?”.
“Oddio, Heath, no no no!”.
“Cosa?”.
“Mi si sono rotte le acque”.
“Stai scherzando, vero?”.
“Vaffanculo, Heath, secondo te scherzerei su questo?” infatti, non scherzava. Di lì a poco l’attenzione fu tutta per loro due. Le porte si aprirono e miracolosamente la gente cominciò a defluire fuori.
“Stai calma Stacy, ora possiamo scendere e tu presto sarai in clinica dove una brava equipe farà nascere la tua bambina”.
“Ma cazzo, come? Dico: hai visto quanta distanza c’è tra il muro e la metro? Mi dici come cazzo ci passo io?” un sospiro di solidarietà delle poche persone rimaste fece intendere che altre donne e uomini avevano lo stesso suo problema. Non erano incinti, solo obesi. Tutti tranne uno. L’unico uomo in forma si avvicinò alla donna con fare cordiale.
“Ora si stenda”.
“Perché mi dai ordini?”.
“Sono un medico, un ginecologo per sua fortuna”.
“Ah sì? E chi me lo dice che non sei un depravato che vuole frugarmi tra le gambe?”.
“Tranquilla. Sono davvero un ginecologo e sono pure gay” sorrise esibendo il tesserino della Columbia hospital oltre ad un sorriso degno di Hollywood.
La ragazza fu fatta stendere.
“Gli uomini si voltino!” gridò deciso il medico. Sapeva il fatto suo, pensarono.
“Mio Dio... ” enunciò.
“Mio Dio? Perché mio dio?” chiese ansioso Heath.
“Non si preoccupi suo figlio è in buone mani”.
“Perché dice questo?”
“Non è suo figlio” corresse Stacy. L’interesse dei presenti stava diventando palpabile.
“Si sente la testa. Sta uscendo”.
“Ma non è possibile! Cazzo, cazzo, cazzo!” sbraitò Stacy.
“Non si preoccupi, non è il primo bimbo che faccio nascere. Ok, è il primo che tiro fuori dentro una metropolitana ma non è così grave. Deve solo respirare a fondo e quando sente di dover spingere, spinga”.
“Ma non sarà pericoloso?” chiese Heath
“Tranquillo” ammiccò. Era gay, era bello, era un dottore. Heath era già innamorato perso.
E lo fu ancora di più quando lo vide sporco di sangue dalla testa ai piedi, tenere tra le mani un frugoletto poco più grande di un bambolotto.
“Complimenti signora, proprio una bella bambina” tutta la metro si congratulò tanto con Stacy, tanto con l’intrepido dottore. Nell’ora successiva furono condotti fuori.

La nascita di Vanilla fu un vero evento. Ogni emittente televisiva, radiofonica, giornale e qualsiasi altro mezzo di comunicazione ne parlò. Finì persino nella home di Yahoo!
“Donna di ventisette anni partorisce dentro alla metropolitana in avaria” annunciò a gran voce Liam Spencer. “E sapete chi ha permesso questo miracolo? Niente di meno che il mio meraviglioso boyfriend” Jake Keane si ritrovò la bocca tappata da un bacio. Un lungo bacio che significava congratulazioni.
Il direttore della Emilton Life era su di giri. E non era da lui trattandosi di un tipo taciturno, pure un po’ orso. E non gli piaceva mostrare simili manifestazioni d’affetto davanti a chicchessia. Ma gli era piaciuta l’idea di festeggiare il suo ginecologo eroe. Aveva organizzato un piccolo party nel suo attico a Park Avenue.
Non amava pavoneggiarsi quando portava a termine un grosso affare come ad esempio tre mesi prima quando era riuscito nell’impresa di acquistare a prezzo stracciato un’altra industria farmaceutica caduta in disgrazia. Era un asso negli affari Mr. Spancer. Ed era per merito dalla sua passione che gli riusciva facile qualsiasi impresa. Ma quel giorno era Jake al centro dell’attenzione, per un motivo di gran lunga più nobile. Aveva salvato due vite.
Prima della nascita di Vanilla avvenuta in 5 Marzo del 2008 in metropolitana, Jake e Liam stavano insieme da dodici anni, 4 mesi e ventuno giorni. Era, come si usa dire, una coppia consolidata. Tra loro c’era una certa differenza di età quantificabile in diciotto anni anche se, ufficialmente, erano solo tredici. Questo perché quando si erano fidanzati Liam era il suo professore di chimica e Jake uno studentello quindicenne. Jake era talmente abituato a dire che aveva trentadue anni da aver dimenticato la sua vera età. Avrebbe finito per invecchiare prima, temeva, ma il risultato era che tutti gli dicevano che se li portava alla grande.
Dopo essersi congratulati con lui gli impiegati della Hemilton e amici vari tornarono ai loro drink e alle loro chiacchiere.
“Sei contento?”.
“Sono un po’ stufo”.
“Dovresti goderti tutta questa notorietà, hai lo studio sempre pieno zeppo ultimamente, no?”.
“Già, fantastico, ormai non ho più nemmeno il tempo di dormire”.
“Sei un eroe, quelle donne si fidano di te”.
“Chiunque lo avrebbe fatto al mio posto”.
“Scherzi? Non fare il modesto” E diede una forte pacca sulla spalla al suo fidanzato. Dopo di ché tornò a parlare con Patricia Weber, il suo vicedirettore.


William baciò teneramente la spalla del suo uomo. “Ti aspetto a letto” enunciò. Heath annuì con disinteresse. Fingendo di controllare la posta, attendeva che la luce con il nickname Victim for love comparisse su msg. Sbuffò. Decise di chiamarlo. Non poteva continuare ad aspettare. Avevano chattato solo una volta e a lui era sembrato meglio di fare l’amore. Pensò che fosse proprio un comportamento da deficienti. Il suo ragazzo lo esortava a venire a dormire con sensualità, e lui che faceva? Invece di ingranare la quarta e buttarsi tra le sue braccia aspettava una luce in fondo allo schermo? Era furioso con se stesso ma non fu capace di evitarlo. Prese il cellulare e scrisse l’sms.
Ti aspetto su msg, vieni?
Sono occupato ora, se resti, sveglio magari dopo, ti chiamo…
Non posso, il mio ragazzo mi vuole. Allora ci si vede domani?
Certo, a domani.




Capitolo due


Heath voleva aspettare per chiamarla tresca, per darsi dell’infedele. Ma era successo e c’era poco da fare. Curò molto il look quella mattina e non soltanto perché stava per partecipare ad una puntata di In the morning, una trasmissione televisiva tra le più seguite. Cercava di dare il meglio di sé principalmente perché, dopo tre settimane, avrebbe rivisto lui: Jake Keane, l’eroe che aveva aiutato Stacy e Vanilla quel giorno in metro.
Con il cuore in tumulto salì i gradini che lo conducevano dentro gli studi dell’emittente televisiva. Stacy sarebbe venuta in taxi.
“Era ora!”
“Ho fatto tardi?”
“No ma speravo venissi prima. Ho le tette che mi scoppiano. Devo tirarmi il latte, questa birichina non ne vuole sapere di svuotarle per bene” così dicendo gli appioppò la poppante
“Va bene vai” Heath sperò che non rigurgitasse sulla sua bella giacca blu. Aveva scelto quel colore per essere in tono con le iridi di Jake.
La presentatrice televisiva, Marcia Norton, avvicinò l’unico presente dei suoi ospiti.
“Dove sono gli altri?”
“Stacy è in bagno a tirarsi il latte e credo che il dottor Keane... ” non fece in tempo a terminare la frase che il bel ginecologo fu tra loro.
“Scusate il ritardo.”
“Bene bene, quanta gente telegenica! Bambina bella, amico affascinante, dottore che sembra appena uscito da una puntata di Grace Anatomy.”
“Troppo gentile.”
“Dico sul serio, hai mai pensato di fare televisione?” questa vecchia vacca troia sta flirtando con lui? Pensò avvampando. Stava tremando dall’emozione, e una stronza con le tette rifatte faceva la scema con... ma non aveva diritto di farci un pensierino. In ogni caso nemmeno lei, è gay! Sorrise. Di corsa arrivò anche Stacy.
“Bene, ora che siete tutti posso andare a farmi l’impalcatura per la ristrutturazione” Nessuno dei due maschi disse: ‘lei non ne ha affatto bisogno’ e la donna, delusa, si accommiatò.
Jake coccolò la bambina. Lei fece dei leggeri schiamazzi durante i vezzeggiamenti.
“Spiegami perché i bonazzi sono tutti froci.”
“Stacy...”
“Mentre spingevo con i reni a pezzi non ci ho fatto caso. Ora però, Dio, saranno questi cazzo di ormoni ma il dottor Keane è proprio un figo della miseria”
“Stay, ti consiglio di essere meno sboccata durante l’intervista.”
“Come fosse la prima che faccio. So parlare bene se mi ci metto. Non mi hai visto l’altra sera telegiornale delle diciassette?”
“No,anche perché a quell’ora io provo di solito” le chiacchiere furono interrotte dal pannolino da cambiare di Vanilla e, a seguire, dalla diretta televisiva.


Era andata bene. In un clima scanzonato e dissacratorio tutti e tre avevano raccontato il loro punto di vista. Heath voleva essere sicuro che non lo avesse sognato. Che Jake , durante la pausa pubblicitaria non si fosse avvicinato a lui e gli avesse accarezzato la spalla sussurrando: “Un giorno mi spiegherai perché hai scelto hot spot 69 come nikname. Soprattutto a cosa si riferisce sessantanove.”
“Ehm”
“Facciamo stasera a cena?”
Un appuntamento? Jake Keane gli aveva chiesto un appuntamento in piena diretta televisiva! E se qualcuno avesse udito? Se avessero mandato il dialogo in diretta tv? William avrebbe sentito, era rimasto a casa appositamente. Anche il ragazzo di Jake , il misterioso ragazzo di Jake , avrebbe sentito. Per fortuna nessuno se n’era accorto, e, inevitabilmente, Heath aveva accettato.


A William disse che andava da sua madre. Non gliene venne una migliore. Lei si lamentava sempre delle scarsità delle sue visite. A sentire lei il New Jersey era per suo figlio distante quanto Parigi.
“Farò presto.”
“Lo credo. Non vorrai fare le ore piccole da tua madre spero” Heath si chinò su di lui, gli baciò le labbra senza evitare di mordere quello inferiore che era rosso e pieno. Volarono scintille. Era inevitabile.
“Perché prima...”
“Dai...” perché no, pensò Heath. Era così eccitato che se anche Jake si fosse messo a parlare di colli dell’utero dilatati e fibromi tutto il tempo, la sua erezione non avrebbe in ogni caso smesso di fargli male nei jeans. Molto più probabilmente Jake avrebbe fatto quello che gli riusciva meglio, vale a dire: sbattere le ciglia in maniera sincronizzata alla lingua che umidificava le labbra ... Pieno come sono rischio di bagnarmi. William intuì l’assenso e avvicinò la bocca al collo. Lo baciò attirandolo verso di sé. In una manciata di secondi il direttore d’orchestra fu nudo dalla cintola in giù. Heath si abbassò per passargli la lingua tra le cosce. Quando fu saturo di urli e incitamenti, lo prese in bocca. Durò una dozzina di minuti.
“Non sapevo fosse così eccitante la prospettiva di cenare con la propria madre” enunciò mentre si riassestava.
“Non è questo. Tu sei così sexy...” lo era. William McCarthy era uno degli uomini più belli e più sensuali in circolazione almeno secondo la maggior parte delle persone che lo conoscevano. Prima che si fidanzasse ‘per bene’ c’era la fila per venire a letto con lui e Will non trovava disdicevole ammettere che si era divertito. Prima dei trenta almeno. Poi, una volta troppo vicino ai quaranta, aveva provato una relazione con una donna, una suonatrice di Oboe che parlava cinque lingue. Poliglotta e multi orgasmica. Nonostante a letto facessero faville, lui si ritrovò insoddisfatto e annoiato in qualche gay bar nel giro di pochi mesi. Ma fu durante le prove della Turandot che la sua vita subì una svolta decisiva. Heath gli era subito piaciuto, con i suoi capelli lunghi e biondi che si arricciavano ribelli alla fine. Sembrava un cantante pop. Che ci faceva in un coro del genere? Lo aveva sedotto lui, anche se, in un certo senso, si erano sedotti a vicenda. A Will piaceva da impazzire condurre il gioco. Il fatto che fosse prevalentemente passivo non significava che fosse poco -attivo- tra le lenzuola. Adorava far impazzire i suoi partner. E fin a quel momento aveva sempre avuto amanti esperti. Non era stato mai con qualcuno che faceva sesso con un uomo per la prima volta. Trovava così eccitante ogni esclamazione di Heath, che fosse di sorpresa, di gioia, o di eccitazione, era lo stesso. La prima volta che lo avevano fatto erano rimasti chiusi in casa per due giorni e mezzo. Heath non aveva mai provato nulla del genere. E decretò che il sesso gay fosse il migliore possibile. Aveva ventisei anni. E dopo tre anni l’attrazione tra i due era sempre a mille. Malgrado i rispettivi impegni, riuscivano a tenere una media discreta tra le lenzuola, incontri che avvenivano nei rispettivi letti, sì perché fin dai primi giorni di convivenza William aveva messo le cose in chiaro: a ciascuno la propria camera. E il sesso si può fare dappertutto, aveva precisato.
Prima di uscire di casa Heath sospirò. Osservò incerto per l’ultima volta la schiena nuda del suo ragazzo intento a leggere uno spartito e decise che se non avesse chiamato l’ascensore entro un secondo, sarebbe restato con lui.

Il futuro fedifrago giunse davanti al luogo dell’appuntamento con il cuore in gola, la gola in fiamme e le ascelle madide di sudore. Aveva sete. Pensò di ordinare un drink al bancone del ristorante.
“Se si accomoda lo porto direttamente al tavolo” avvisò il barista. Era in leggerò anticipo. Costatò che le sue papille gustative non erano in grado di distinguere i sapori, si scolò il martini con ghiaccio lo stesso.
Il bellissimo ginecologo fece il suo ingresso. A Heath sembrò che il locale intero lo avesse accolto con un’accorata esclamazione. Era semplicemente perfetto. Giacca grigia, camicia a righe blu e bianche, gel sui capelli e occhi talmente blu da sembrare ritoccati da fotoshop. Cercò di dissimulare l’emozione ma, alzandosi per accogliere il suo eroe, intruppò con le ginocchia sul tavolino e per poco il vaso di fiori posto al centro non cadde rischiando di frantumarsi.
“Molto che aspetti?”
“Sono in anticipo.”
“Sorry... ho sempre lo studio pieno. Questa improvvisa popolarità ha i suoi lati negativi” Heath sorrise. Presero posto. Ordinò Heath per entrambi. Jake disse che era talmente affamano da non essere interessato a qual che avrebbe mandato giù. Parlarono del più e del meno fino a quando Heath introdusse un tema particolare.
“Te lo posso chiedere?”
“Ok, spara.”
“Come fai?”
“Come fai cosa?”
“A far nascere i bambini a... a infilare le mani nelle passere di vecchie, o di donne brutte. Per di più sei gay.”
Jake ridacchiò.
“Non è poi così male far nascere i bambini e la passera, come la chiami tu, è il mio strumento di lavoro quando la ventosa e il dilatatore cervicale.”
“Basta così. Non so cosa sia ma solo il termine dilatatore cervicale mi ha fatto chiudere lo stomaco.”
“E tu invece? Parlami del tuo di lavoro” Jake stava civettando un po’ questo mise a dura prova l’erezione di Heath, fu come se la goccia nel cervello avesse cominciato la sua lenta tortura.
“Non c’è molto da dire. Da piccolo cantavo in un coro gospel. Ero l’unico ragazzo bianco, poi qualcuno mi ha notato e non ho fatto altro. Siccome all’occorrenza so anche ballare riesco ad entrare in qualche musical ma solo ruoli minori. Qualsiasi cosa mi consenta di raggranellare i soldi dell’affitto.”
“E poi è arrivato il famoso direttore d’orchestra... ”
“No... no, se intendi che ho fatto carriera grazie a lui ti sbagli, ero già un discreto corista.”
“Non avrei mai affermato una cosa simile.”
“Lo so. Tu no. Ma la gente lo pensa. Lui è ricco, affascinante, famoso. Io sono solo un corista di dubbio talento.”
“E questo fa ben sperare per il proseguo della serata.”
“Vale a dire?”
“Se un direttore d’orchestra ricco e famoso sposa un corista squattrinato... qualche dote particolare ce l’ha.”
“Ehm...Cristo Jake.”
“Cosa?”
“Non fare così. Io...”
“Dimmi pure.”
“Lo sai...”
“Eh?”
“Lo sai nel senso...sei talmente provocante, e bello che... ”
“Intendi dar sfoggio di queste misteriose doti?”
“Non parlare difficile. Io sono uno terra terra. Voglio... !”
“Ho capito benissimo cosa vuoi... ” sorseggiò il suo vino bianco, "ti do tre opzioni.”
“Opzioni?”
“Una cosetta veloce in macchina. La toilette del ristorante, sì un po’ pericoloso o, ancora più audace, a casa mia e di Liam... ”
“Ma”
“Starà già dormendo. È un tipo molto produttivo, quando non è in giro per il mondo si sveglia la mattina presto e se non ci sono io che gli faccio fare le ore piccole... ”
“No, no. Non scherziamo. A casa con il tuo ragazzo non esiste, e al bagno nemmeno, non mi sentirei a mio agio.”
“Dunque.”
“Vada per la cosetta in macchina”.



Capitolo 3


La macchina di Jake Keane era una fuoriserie tedesca sportiva.
“Cristo è allucinante quanto è bella questa BMW! Sedili in pelle, cambio automatico, per non parlare dell’elettronica, sembra un computer! Frugare vagine è proprio ben pagato.”
“No, è un regalo di Liam” così dicendo si avvicinò a lui e gli baciò il collo.
“Heath, tu stai tremando. Nervoso?".
“Un po’. Non è che qui ci vede qualcuno?”
“Secondo te perché avrei dato quella mancia esagerata al posteggiatore?”
“Capito” provò a rilassarsi sul sedile mentre le mani esperte del ginecologo gli aprivano la patta liberando l’erezione.
“Questa auto ha anche un ottimo sedile ribaltabile” aggiunse sorridendo malizioso. Allungò una mano e l’altro si ritrovò con il viso rivolto verso il tettuccio.
“Così mi piaci piccolo” gli leccò le labbra come se gustasse un delizioso frutto. L’altro catturò la testa e lo strinse a sé. Quando le bocche si staccarono, quella di Jake si spostò sul collo. Di lì a poco mappò il torace. Era liscio e muscoloso. Il gioco erotico volse alla fine nel momento che, esasperato, Heath non diresse ìl sesso turgido tra i denti. Jake ci si dedicò finché il ‘lavoro’ non fu portato a termine.
“Ne avevo proprio bisogno” asserì tirandosi su a sedere. La sua erezione era ben visibile attraverso la stoffa dei pantaloni. Divenne serio.
“Vuoi un fazzolettino?” chiese Heath riferendosi alla bocca che aveva appena insudiciato.
“Non importa” Chiuse gli occhi. Sembrava triste, pensieroso. Forse si è pentito e sta pensando al suo uomo a casa da solo che dorme. Rifletté il biondino. Tra poco anche lui si sarebbe sentito in colpa, ma la fellatio di Jake era stata talmente straordinaria da sentirsi ancora tra le nuvole. Era in paradiso e non voleva scendere a nessuno costo sulla terra.
“Ti rendo il favore?”
“Grazie, sei un tesoro. Ma è tardi e non voglio che Liam pensi che me ne vado a ciucciare cazzi a destra e manca” Heath sbottò in una risata amara.
“Ad ogni modo... mi è piaciuto un sacco.”
“Anche a me Jake... ”
“Non intendo l’atto. In realtà volevo dire che... sei tu che mi piaci un sacco” si chinò per catturare le labbra ma l’altro si scansò un tantino schifato.
“Che c’è?”
“E per via dello... ” timidamente Heath indicò i lati della bocca.
“Ti da fastidio!?”
“Beh... in effetti.”
“Vuoi dire che tu non vieni in bocca al tuo ragazzo e poi lui bacia?”
“Beh sì, ma dopo che si è lavato i denti.”
“Oddio, come è antierotico il dentifricio in tutto questo discorso. Io e Liam potremmo scrivere un saggio su i vari usi e consumi dello sperma!”
“Un saggio o un libro di ricette? Cristo è disgustoso, non verrei mai a cena da voi, giuro” il tono si era fatto ironico e Jake sorrise costatando che avevano lo stesso senso dell’umorismo.
“Non l’abbiamo mai cotto, se è questo che vuoi dire, però è da prendere in considerazione. Tuttavia mi stupisco che tu non ricambi il favore al tuo ragazzo. È fantastico.”
“A me fa impressione. Ma capisco il tuo punto di vista. Will dice che senza ingoio un pompino non è un pompino.”
“Perfettamente d’accordo con Will. Anche a me piace mandare giù; non sono affatto schizzinoso.”
“Lo sai che stai parlando troppo? Il tempo di tutte queste chiacchiere avrei potuto farti venire.”
Jake si pulì la bocca accettando finalmente il fazzoletto. Si avvicinò a lui.
“Voglio venire, voglio venire con te, sì. Ma con te dentro” Heath deglutì imbarazzato. Ne aveva una voglia matta e, sentirselo confermare dal suo ‘adone’ gli procurava un’emozione senza precedenti. Si baciarono. Heath percepì il sapore di sperma. Il suo sperma. E non ne fu affatto disgustato.

Liam si tirò in piedi di scatto. Il rumore della porta lo aveva svegliato. Era certo di aver sentito rientrare Jake da oltre un’ora. Capì di essersi sbagliato. Indossava soltanto un paio di boxer neri aderenti. Nonostante avesse superato i quaranta da poco, aveva un fisico da fare invidia a un ventenne. Si teneva in forma con la palestra, curando l’alimentazione e sì, era ricorso pure alla chirurgia estetica per togliere dei microscopici rotoletti sui fianchi.
“Jake. ”
“Amore, sei ancora sveglio?” affermò mentre si toglieva il vestito per poi appoggiare tutto distrattamente sul divano. L’indomani Soraya, la loro fidata domestica cubana, avrebbe riassettato tutto.
“Stavo dormendo quando ti ho sentito rientrare. È quasi l’una, dove sei stato?”
“Niente di ché, ho visto dei vecchi amici e poi, tra una chiacchiera e l’altra.. ” Liam lo prese tra le braccia. Gli scarmigliò i capelli scuri per poi cercare le sue labbra ancora gonfie di baci e di passione.
“Possibile che diventi ogni giorno più bello? Possibile che dopo dodici anni insieme mi piaci ogni giorno di più?”
"Per me è lo stesso Li.”
“Andiamo a letto” affermò. Lo prese per la vita e lo trascinò in camera. Si chinò su di lui e gli tolse lo slip. Notò la macchia che troneggiava sul tessuto dell’intimo.
“Serata eccitante.”
“Ho perso un po’ di lubrificante, in effetti.”
“Ora ci penso io a mettere le cose a posto, bellezza” accarezzò i testicoli e, di rimando, il beneficiario iniziò a mugugnare. Lo svuotò per bene aiutandosi con la bocca sul sesso e con le dita titillando il punto speciale. Jake ansimò per qualche secondo prima di riprendere il controllo di sé. Chissà se Heath sarebbe stato così bravo. Si domandò. Si sentì prosaico e confuso mentre Liam nettava con la bocca il torace.
“Piccolo ne avevi proprio bisogno, eri pieno.”
“Grazie amore... ”

Heath cominciò a sentirsi in colpa a partire dalle sette del mattino. William aveva scaldato le brioche e spremuto quattro arance. L’aspetto del succo era magnifico.
“Grazie per la colazione.”
“Figurati, per così poco” si salutarono con un bacio a fior di labbra.
“Stai scappando o sbaglio?”
“Devo arrivare dall’altra parte delle città entro le otto” disse infilandosi un paio di scarpe nere lucide, “Come sta tua madre?”
“Bene, ti saluta” rispose cercando di essere naturale. Addentò una pasta. Era squisita.
“Dovremmo invitarla a cena una di queste sere.”
“Perché no” il sorriso di Heath divenne preoccupato. E se uscisse fuori questa mancata visita? Cominciò a dubitare di essere portato per l’infedeltà. Ma quando si ritrovò solo con i suoi pensieri, il ricordo di Jake , il bellissimo dottor Jake Keane, cominciò a prendere forma. Gli piaceva da impazzire e, da quanto aveva affermato, anche lui era parecchio preso. Gli piaccio, a detto che gli piaccio. Pensò, sono o non sono l’uomo più felice di New York? Iniziò a riordinare la casa sentendosi come Samantha di Vita da strega. A lei però bastava strofinare il naso, a Heath costò un bel po’ di sudore. Quando fu convinto di essersi guadagnato il diritto di un sano bagno caldo, suonarono alla porta.
“Stacy, qual buon vento?”
“Devo drogarmi, e di droghe buone.”
“Ma che stai dicendo?”
“Vanilla ha cominciato a tirare bene e mi sta succhiando anche l’anima.”
“Non sei contenta? Ora le tue tette non scoppieranno più.”
“Già ma scoppierò io; stanotte quattro volte. Mi sento come una mucca!”
“Passa all’allattamento artificiale?”
“Heath, ma che cazzo dici? Si vede che qui ci abitano due finocchi guarda un po’ che casa ordinata” sbottò ispezionando l’ambiente. Vanilla cominciò ad urlare, nel suo linguaggio, che aveva fame.
“Ecco ci risiamo” Stacy si tirò fuori un seno. “Niente latte artificiale. Quelle del corso mi farebbero alla griglia. Preferirebbero lasciare che un bimbo muoia di fame piuttosto che dargli un goccetto di quello in polvere.”
“Però in effetti... ”
“Cazzo, lo so, è più sano. Ma io sono una mamma single,per di più disoccupata. Lo sai che stanno facendo le audizioni per Hairspray no?”
“Certo lo sentito. In ogni caso non mi illudo. Per la parte di Zac Efron avranno pensato a... Zac Efron”
“No, figurati se quella checca viene a farsi il culo a Broadway. E John Travolta? Ti piacerebbe quel ruolo? Non staresti male con un po’ di ciccia.”
“Falla tu, non avresti bisogno nemmeno del trucco.”
“Balle, mi mancano tredici chili e sono quella di prima.”
“E ti sembrano pochi?”
“Le cantanti non devono per forza essere magre.”
“Dolcezza, tu non hai mai avuto questo problema.”
“Ok, e allora? Agli uomini veri, un po’ di ciccia piace.”
“Il dottor Keane mi ha fatto un pompino”
“EH?”
“Hai capito bene, ieri sera” Stacy per poco non scivolò dalla poltrona rischiando di trascinare dietro sé la poppante.
“Mi prendi per il culo?”
“Siamo stati a cena da Frank’s e poi, nel parcheggio... ”
“Cristo Heath! Hai fatto sesso con il mio ginecologo!” Stacy stava per dire qualcosa di spiacevole
“È stato inevitabile, ma tu a questo punto non dovresti accusarmi per aver tradito Will? Che problema è se si tratta del tuo ginecologo o di un altro?”
“Sei una puttana, te ne rendi conto?”
“Lo so.”
“Va bene, se proprio ci tieni parliamo di William.”
“Lui... non lo sa, chiaro. Si ucciderebbe se sapesse, e poi ucciderebbe me.”
“Magari il contrario, oppure lui si ucciderebbe e poi io verrei ad uccidere te. Oddio questa notizia potrebbe mandarmi indietro il latte, lo sai?”
“Mi dispiace” era depresso sul serio, “non è solo il pompino, che tra l’altro è stato fantastico.”
“William non te ne fa abbastanza? Mi hai sempre detto che a letto fate faville.”
“Infatti è così, se mi fai finire di parlare, Cristo! Non è solo il sesso, insomma credo di avere una spettacolare cotta. Lui mi piace, mi piace tanto.”
“Vuoi avere una storia con lui?”
“No cara, non hai capito. Io ce l’ho già una storia con lui” Vanilla fece un rutto esagerato. Per poi crollare in uno sonno catartico tra le braccia della madre. Stacy la trasferì sul passeggino.
“Ho voglia di vomitare.”
“Anch’io.”
“Perché me lo hai detto? Ora non mi sentirei così se una volta ogni tanto tenessi la tua bocca fetida chiusa.”
“Sei la mia migliore amica, no?”
“Sì, la tua e di William.”
“Non mi fai stare meglio. Se tu fossi veramente mia amica, a questo punto... non so, dovresti dire qualcosa di saggio. Qualcosa che mi faccia stare meglio.”
“Ecco cosa non va in voi gay. Tre anni e mezzo di idillio amoroso, stai con il maschio finocchio più bello e ambito dello stato di New York e tu che fai? Infili l’uccello nella bocca del primo che passa?”
“Non intendevo questo quando parlavo di qualcosa che mi faccia stare meglio.”
“Perché non voglio farti stare meglio, Cristo! E ora ho bisogno di dolce! Hai del gelato?”
“No, non mi pare.”
“Allora tienimi la bambina, per colpa tua mi toccherà andare da Mcdonald’s e abbuffarmi di Apple pie” . Stacy non scherzava. E se ne andò sbattendo la porta.

giovedì 23 aprile 2009

Io con un uomo mai l'epilogo


Epilogo


Per trascorrere quei due giorni e mezzo di vacanza con suo figlio, Booth aveva scelto Culpeper, una tranquilla località di montagna vicina al lago Pelham.
La giornata era magnifica.
Intorno a loro una combinazione di boschi innevati e spazi aperti si aprivano in pendenza lungo le sponde.
Emmerich pensò che quel luogo aveva un fascino che la gente abituata alla città non sapeva più godersi. Considerò di condividere il pensiero con l’amico intento a capire cosa avesse il suo cellulare che non andava
“Non si accede più, non da segno di vita.”
“Quando torniamo a casa te ne compro uno nuovo. Quel modello è obsoleto.”
“Non mi importa, io e la tecnologia non siamo compatibili e questo mi piaceva. Semplice è la caratteristica primaria che deve avere il mio telefonino ideale” Ian sorrise dando una pacca sulla spalla.
Un uomo sulla cinquantina vestito da ranger indicò ai villeggianti dove accostare.
Una volta scesi dalla macchina Parker cominciò a darsi da fare con la neve che circondava lo Chalet a loro destinato.
Prese via una battaglia a palle di neve in piena regola. Quando furono tutti e tre stanchi ed affamati cercarono il ristorante.
La giornata trascorse allegramente protraendosi fino alla sera.
Booth e suo figlio accesero il fuoco mentre Ian cercava di capire cosa non andasse nel telefono dell’amico.
“Posso restare sveglio fino a tardi, papà?” chiese il ragazzino seduto di fronte al camino.
Sebbene ciondolasse la testa da una parte all’altra e sbadigliasse a più riprese, il bambino, sovraeccitato non voleva saperne di andare a letto.
“Parker, domani sarà una giornata piena. Pescheremo, faremo delle lunghe passeggiate tra i boschi, pensi di farcela ad affrontare tutto questo se non dormi a sufficienza?” il bambino cercò un suggerimento nello sguardo dell’amico di papà. Fino a quel momento lo aveva viziato prendendo sempre le sue parti. Questa volta spalleggiò l’adulto.
“Tuo padre ha ragione campione, fossi in te mi metterei subito in posizione orizzontale.”
Malgrado non fosse del tutto convinto, enunciò “Ok” e si avviò nella sua stanza.
Il mattino seguente Booth si svegliò più tardi del solito.
Allungò la mano alla ricerca del compagno e, non trovandolo, si mise a sedere.
Si stropicciò gli occhi. Le persiane erano aperte.
Un vivace sole penetrava dandogli il buon giorno. Si stirò. Cercò i suoi vestiti con lo sguardo. Una volta sceso si guardò intorno. Costatò che la porta della stanza di Parker era aperta. Probabilmente sono andati a fare colazione senza di me. Ho dormito troppo. Meditò mentre si infilava una felpa verde scuro che lo faceva assomigliare ad un boscaiolo .
Uscì dal cottage e subito si ritrovò con i piedi infilati in un metro di neve.
“Cavolo deve aver nevicato tutta la notte” disse ad alta voce. Si recò nel bar-ristorante dove si aspettava di trovare figlio e collega. Non li trovò, in compenso scorse l’auto delle sceriffo. Gli venne in contro con fare piuttosto agitato.
“Mi scusi, è lei l’agente speciale Seeley Booth, giusto?”
“Sì, sono io, perché?”
“Credo che al suo dipartimento la stiano cercando con urgenza.”
“Cosa?” sbuffò. Dannato telefono! E ora non aveva nemmeno quello di Ian a disposizione perché, quella mattina, lui e suo figlio sembravano essersi volatilizzati.
“Mi scusi sceriffo, posso chiederle di usare il suo apparecchio? Il mio purtroppo ha dei problemi.”
“Certamente, mi segua nel mio ufficio,” a mo di ripensamento, l’uomo si voltò e offrì il proprio. “Prego.”
“Molto gentile.”
“Si figuri, non capita tutti i giorni di avere tra noi un agente dell’FBI” rispose. Era sinceramente impressionato.
Booth fu sul punto di chiamare il suo ufficio ma, come attratto da una forza misteriosa, chiamò Bones.
Se c’era qualcosa che riguardava il killer della centrifuga lei ne sarebbe stata al corrente, e poi aveva voglia di sentirla.
“Bones, come stai?”
“Booth sei tu? Finalmente!”
“Ho problemi con il cellulare. Scusami.”
“Mio Dio... ma... ma... sei ancora fuori? Dov’è Emmerich?”
“In questo momento? Beh in questo momento non lo so, perché? Cosa è successo?”
“Ti prego Booth, dimmi che Parker è vicino a te, ti prego, dimmelo!”
“Ma che sta succedendo? Bones, dimmi che cosa sta succedendo!”.


La voce di Bones si ridusse ad un sussurro. “Booth ti prego, rispondi: Parker è con te?”
“Non capisco perché è così importante?”
Nonostante fosse ancora perfettamente tranquillo e razionale, cominciò a guardarsi intorno sperando di scorgere Parker o Ian.
“Io... ” la voce della donna s’incrinò, fu Hotgins a prendere in mano il telefono.
“Booth forse è meglio che ti metta seduto... ”
“Cosa è successo dannazione, insomma volete spiegarmi cosa c’è che non va?” il suo tono si era fatto ragionevolmente stizzito.
“È stata rinvenuta la divisa ospedaliera di Emmerich.”
“E allora?”
“E allora c’era il DNA di Ellen Hunter; l’ultima vittima.”
“Il DNA della donna uccisa mentre Ian era in mano al killer?”
“Booth, ancora non hai capito?”
“Cosa?” i modi dell’agente erano finalmente agitati. Decisamente agitati.
Lo sceriffo provò con qualche gesto a calmarlo. A peggiorare la situazione, la linea cadde improvvisamente.
“Che diavolo ha questo telefono?” gridò fuori di sé.
“Mi dispiace ma non siamo in città, non ci sono abbastanza ripetitori. In questa stagione poi è rischioso, una piccola frana e salta tutto. Se mi segue nel mio ufficio parlerà direttamente con il telefono della centrale.”
“Ma non posso allontanarmi, se mio figlio e il mio amico mi cercano... ” non fece in tempo a finire la frase che furono interrotti dal Nokia Tune dello sceriffo.
“Pronto.”
“Booth, sono io, stai calmo” era Bones. “Ci sono sospetti, fondati che Emmerich sia il complice del killer. Che abbia ucciso quella donna, probabilmente ha fatto in modo che morissero anche le altre.”
“Ma di che state complottando? Questa è una grandissima scemenza!”
“Mi dispiace” la voce della donna tremò, sembrava stesse sul punto di piangere, o stesse già piangendo, “lo so che in questo momento ti sembrerà di vivere in un incubo ma abbiamo ricostruito i fatti e tutto coincide. Kally ed Emmerich si conoscono da tanto tempo. È stato era nello staff durante il periodo in cui è stato collaboratore di Richard Bandler. E di nuovo in Europa... ”
“È stato arrestato?”
“Sì, stava cercando di uscire dal paese.” Certo se non avesse passato due giorni e mezzo a casa di Emmerich con il telefono in coma magari lo avrebbe saputo. Magari avessero avuto un televisore...
“Sei ancora in linea Booth?” sentì solo un suo sospiro e proseguì: “avevo già dubbi sul suo passato, soprattutto su quello che combinava in quello pseudo gruppo di adepti. E Kelly ha confermato tutto.”
“Ha tirato dentro Ian?”
“Sì. Emmerich è il suo complice. Booth ti abbiamo cercato per ore, siamo riusciti a sapere dov’eri solo grazie a Rebecca.”
Di nuovo la comunicazione cadde. Il labbro inferiore di Booth tremò.
Allora era quella la verità?
Si era innamorato di un assassino?
Aveva passato la notte tra le braccia di un sociopatico assetato di sangue? O, nella migliore delle ipotesi: del complice di uno spietato serial killer? Se quella era la realtà con la quale avrebbe dovuto imparare a convivere nel suo futuro, tanto valeva affogare direttamente nel lago, no?
Ma era un problema assolutamente secondario in confronto a quello di scoprire dove fosse suo figlio e, soprattutto, se stesse ancora bene.
Nel giro di pochi minuti nel piccolo villaggio si scatenò l’inferno.
Decide di uomini in divisa e non, si addentrarono tra i boschi alla ricerca dell’uomo e del bambino.


Cattivo.


Finalmente lo vide, probabilmente non fu lui il primo.
In mezzo ad una barca quasi al centro del lago, Emmerich e Parker guardarono la folla vociante che si era addossata vicino alla riva.
“Guarda zio, c’è papà laggiù.”
“Dove?”
“Là, in mezzo a tutta quella gente” il bambino indicò con il suo dito indice. Ian strizzò le palpebre infastidito dal riverbero che la luce del fulgido sole creava scontrandosi con il chiarore delle acque.
“Già e non è nemmeno solo” replicò.
Cattivo
Cattivo
Cattivo

Ian Emmerich non è buono è cattivo.
Booth era straziato: non riusciva a credere a quello che stava vivendo.
Ian è un assassino, una persona spregevole, e io mi sono lasciato manipolare fino al punto da mettergli in mano la vita di mio figlio.
Lo vide salutare con la mano come se niente fosse.
Tipico di Emmerich, pensò. E, come in un miraggio, rivide ogni cosa.
La prima volta che gli erano stati presentati non ci aveva badato. Non era solo, c’erano altri due Profiler. Tra loro una donna, pure carina. Poi gli altri risultarono superflui, sembrava proprio che questo qui ci sapesse fare. E le donne morte erano ancora tre. Soltanto tre.
Quando ha iniziato, allora? Già da prima o solo quando è stato parte delle indagini?
Il giorno dopo lo aveva incrociato di fronte al corridoio. Indossava un giubbotto do pelle e una bandana attorno al collo. Sembrava si sentisse a un raduno di motociclisti.
Lo salutò come se fossero vecchi amici.


Cattivo


E pensare che si era sentito attratto da lui in un momento totalmente inopportuno. Il capitano Osbron (il capitano Osbron?!) li aveva fatti richiamare per una scempiaggine. Dovevano tornare ad interrogare i famigliari della quinta vittima perché il documento nel quale erano state riportate le testimonianze era sparito. Emmerich aveva sbuffato soffocando un’imprecazione. Aveva detto ‘fottiti’ a denti stretti. Il burbero aveva sentito eccome.
“Alla prossima insubordinazione te ne torni in Virginia” aveva minacciato. Osbron non aveva dei modi simpatici ed erano in molti ad aver desiderato almeno una volta di mandarlo a quel paese. E, incredibilmente, l’ultimo arrivato si era permesso o quasi. Erano usciti dall’ufficio scazzati per il supplemento d’indagine imprevisto ma anche divertiti. Complici.
Booth lo aveva guardato in faccia ancora incredulo.
“Tu... tu sei fuori” gli aveva detto.
“E non sai fino a che punto... ma te ne renderai conto quando staremo insieme, stallone” gli aveva risposto.
E così era stato!


Cattivo


Anche quando non gli era sembrato affatto cattivo. Anche dopo il primo bacio. Anche dopo quella notte, soprattutto dopo quella. Anche...
Tornò in sé.
Possibile che fosse proprio lui il complice dell’assassino?
Nel suo mestiere di cose assurde ne succedevano. Aveva conosciuto politici corrotti, agenti dell’FBI corrotti, ma mai e poi mai avrebbe creduto possibile che un essere del genere potesse insinuarsi tra loro.
Una serpe in seno capace di mettere a soqquadro non solo le indagini ma, soprattutto, la sua anche intera esistenza.


La barchetta si accostò lentamente. Più si avvicinava alla riva e più il volto sbigottito di Ian si profilava sotto lo sguardo freddo di Booth.
“Ma che succede?” disse mentre scendeva dalla piccola imbarcazione. Gli assaltatori, armati fino al collo con tanto di giubbotto antiproiettile, lo bloccarono.
Booth abbracciò suo figlio.
“Ma papà cosa sta succedendo? Perché quegli uomini in divisa portano zio Ian?”
“Non... non è zio Ian. Lui è cattivo... è molto cattivo.”
“No, non è vero. Voleva solo portarmi a vedere il pesce gatto, me lo aveva promesso.”
“Lo so piccolo mio, ci andremo insieme... in un giorno migliore di questo.”
“Papà, perché stai piangendo?”
“Niente Parker, è solo che a papà fa tanto male la testa” si giustificò asciugandosi le guancie. Il bambino iniziò a piangere a sua volta.
“È colpa mia! Non avrei dovuto chiedere a Ian di accompagnarmi!” protestò.
“Assolutamente no lo è” e glielo disse guardandolo negli occhi. “Non lo è” ribadì.
Strinse suo figlio più che poté sperando che la gratitudine a Dio per lo scampato pericolo riuscisse a supplire almeno un pochino l’enorme dolore per quello che stava succedendo.
Ian era cattivo sì, sicuramente era cattivo. Era colpevole? Lo era, fino a prova contraria.
Ciononostante non riusciva ancora a volergli male.
Come riuscire ad odiare qualcuno di cui si conservava ancora l’odore?





FINE

lunedì 20 aprile 2009

Io con un uomo mai capitolo 18


Capitolo 18



“Ti fa schifo il mio corpo?” enunciò improvvisamente insicuro.
“Non è questo il punto, vorrei capire... ”
“Non ti piacerebbe” affermò sicuro, un sorriso birichino si allargò sul tuo volto, “e soprattutto rovinerebbe questa bella atmosfera erotica.”
“No Ian, me lo devi dire. Qualsiasi cosa significhi.”
“Lo sapevo che non te la saresti bevuta la faccenda dell’atmosfera erotica. Va bene, che vuoi sapere? A sì, nel tempo libero mi sbronzo e faccio a botte, il più possibile. Ispanici, cinesi, ubriaconi, rappers incazzati, chiunque abbia voglia di attaccar briga.”
“Sono scemenze queste, un soggetto del genere non entrerebbe mai nell’FBI.”
“Esatto. Sono un ex giocatore di Football.”
“Eh?”
“Mi sono rotto due volte il naso. Durante il college. Che c’è ti sorprende? Non lo avresti immaginato che sono un’atleta, con il mio fisico asciutto e scultoreo... ” Booth era dubbioso. Vedendolo ancora titubante Emmerich gli prese la mano. Se la portò su ogni cicatrice raccontando di ogni osso rotto, spalla lussata, facendoci entrare anche le cadute in bicicletta da bambino. Infortuni sul lavoro (una marea). Qualche scazzottata autentica questa volta. Tutto. Andò avanti quasi un’ora. L’interlocutore restò attento ad ascoltare con reale interesse.
“Ora che hai letto tutta la mappa di questa mia sfortunata vita, vogliamo riprendere da capo?” lo fissò interdetto “perché quella faccia, stallone?”
“Ti rendi conto che è la prima volta che mi parli del tuo passato?”
“Probabile, è così importante?”
“Stiamo qui, a letto insieme, nudi... e mi chiedi se è importante?” scoppiarono entrambi a ridere.
“E i tatuaggi invece? Tutti quei nomi femminili... sono tutte ex ragazze?” Booth si riferiva alle braccia sulle quali erano stati impresse le diciture.
“Dio, non ho abbastanza epidermide per scriverci i nomi di tutte le mie ex.”
“Che pezzo di... ”
“Va bene, non è un mistero. Sono i nomi di tutte le donne che ho salvato e quelle che non ho potuto salvare ma che ho reso loro giustizia facendo arrestare gli assassini.”
“WOW... non ti facevo così... impavido. Saccente, presuntuoso e gaglioffo. Sì magari.”
“Noioso... ”
“Anche, quando ti dai l’aria da superuomo.”
“Intendevo dire: tu che sei noioso” tornarono a stuzzicarsi e, ridendo, si ritrovarono abbracciati. Booth chiuse gli occhi appoggiando le labbra sulle labbra e non pensò più a niente, di certo non pensò alle cicatrici.


Il loro diretto superiore era entrato nella stanza come un proiettile. Non riuscivano a ricordare l’ultima volta che l’avevano vista così arrabbiata.
“Cam, scusaci, lo so che può sembrarti assurdo ma c’è davvero la possibilità che Emmerich sia coinvolto in prima persona.”
“E perché simulare uno svenimento?”
“Magari per farsi rapire.”
“Farsi rapire?” risposero in coro gli altri due.
“Sì, pensateci. Ian simula lo svenimento per dare la possibilità al suo complice di inscenare il suo massacro. Fa stare Booth in ansia di modo che non sia più servibile alle indagini. Poi lo chiama, e lo fa sentire in colpa.”
“Ma era davvero legato sotto quel tavolino, in quella specie di casa. Era ferito, torturato... ”
“Ma solo per due giorni. Cam, cosa ha fatto il resto della settimana?”
“Non so che dirti Brennan. So solo che non possiamo permetterci di fare congetture contro Emmerich se non abbiamo qualcosa di concreto in mano” concluse la donna con sguardo cupo. Anche Temperance era triste. Aveva tanta voglia di gridare a Booth ti tenersi alla larga Emmerich, per quanto una minuscola parte di sé continuava a sperare in una cantonata clamorosa.


Trascorsero un buon quarto d’ora ad accarezzarsi, poi Emmerich si sdraiò su di lui.
Booth deglutì.
Stava succedendo davvero? Era confuso. Forse lo sto solo sognando. Pensò.
Non voleva soffrire, non voleva godere, non avrebbe voluto provare un bel niente.
Probabilmente era un buon amante Emmerich e di sicuro un buon Profiler.
Ma in quel momento, in quell’istante così essenziale e delicato, fallì su entrambi i fronti.
“Ti amo” confidò, chiaramente nel momento più sbagliato, vale a dire mentre l’amante lottava per non morire di dolore.
Grossolanamente asciugò con il palmo le lacrime che avevano rigato il bel viso.
“Dio come ti amo Booth” ribadì in un filo di voce. Non lo amava e basta, e lo sapeva, provava dell’altro, qualcosa che faceva male dentro, bene e male...
L’altro non disse niente. Seguì un lungo silenzio spezzato solo dal rumore dei due corpi.


“Ci sei? Io non ce la faccio più... ”
“Non importa” rispose Booth guardandolo negli occhi.
“Invece si, no non ce la faccio a venire se non lo fai anche tu” era una sfida? L’ex rapito avrebbe vinto anche quella battaglia?
E finalmente anche l’altro riuscì a superare il blocco. Quando l’ansito roco di Emmerich soffiò nel suo orecchio, non fu più in grado di trattenersi. Lo abbracciò aggrappandosi al suo collo.
“Sono proprio un uomo fortunato” enunciò baciando i capelli umidi.
Attorno a loro ogni cosa era umore e luccicore e odore di passione. Ben presto i respiri tornarono regolari. I toraci non si muovevano più come onde impazzite ma come tenui ondicelle mosse da una brezza lontana.


Senza averci badato troppo, e dopo aver rinviato decine di impegni, Seeley Booth non usciva dalla casa di Emmerich, in particolare, dal suo letto.
Un misto di tedio soporifero, svogliatezza e lussuria aveva caratterizzato le ore successive alla loro prima volta.
“Dovrei alzarmi, stupido Profiler... ”
“Figurati se ti lascio andare.” Ne sbocciò uno scontro. Con una mossa degna di un Wrestler, Booth lo sormontò bloccandogli le braccia dietro le spalle.
“Non hai più voglia di lottare, ora che sei sotto, eh?” intimò con tono finto minaccioso.
“Ok, questa volta hai vinto tu.”
“Lo hai detto.”
“Ma ricordati che sono un convalescente, ti stai approfittando di questo, oltre del fatto che sono spompato” aggiunse malizioso “mai fatto tanto sesso.”
“In effetti sembravi un po’ in astinenza” ribatté altrettanto ilare.
“E tu ne conosci il motivo.”
“Ti riferisci al rapimento?”
“No, non è questo. Non ricordo nemmeno che faccia avesse la persona con la quale l’ho fatto l’ultima volta.” Il suo piglio si fece pensieroso “sì, la ricordo invece, era carina... molto carina. La sua faccia e anche il resto... ”
“È stato bello?” il tono usato da Booth tradiva un pizzico se non propriamente di gelosia, di fastidio.
“Sì, inaspettatamente bello.”
“Finiscila. Hai parlato anche troppo” aumentò la stretta decisa sui polsi pur sapendo di nuocere.
“Va bene, lasciami, non dirò più niente.”
“Meglio. Mi sono proprio stancato delle tue stupide chiacchiere sulle donne. Secondo me tu non sei mai stato a letto con una donna. Non sei neanche andato vicino a farci sesso.”
“Ti sbagli alla grande, stallone” ribatté ridendo. Booth allentò la presa ma non troppo.
Tornò a sdraiarsi su di lui. Appoggiò la guancia sul petto tornando a godendosi le carezze dell’altro. Sentiva il nitido il battito cardiaco, quello stesso cuore che aveva dato per perso. Avrebbe dovuto sentirsi felice. Ma qualcosa lo turbava.
“Pensa se mi vedessero ora, i miei colleghi, gli amici, le mie ex, i superiori... ”
“Temperance Brennan... ”
“Lei aveva capito tutto fin dall’inizio.”
“Questo è vero, è molto intelligente quella donna e intuitiva, dovrebbe fare la Profiler.”
“No, lei non me la porterai via.”
“Non voglio portartela via” per qualche attimo stette zitto, poi, dopo un lungo rimuginare, sbottò:
“Cosa sarebbe che ti ho portato via?”
“Tanto per dirne una: la mia sanezza mentale.”
“Cavolo, pensavo ti riferissi alla tua verginità anale” Booth alzò il viso e lo guardò torvo. Artigliò la pelle del torace con la concreta intenzione di nuocere.
“No, non l’hai detto. Tu non hai detto una cosa tanto volgare e biasimabile.”
“E qual è la condanna per un uomo abituato a chiamare le cose con il proprio nome?” Ian ridacchiava sebbene le intenzioni dell’amico sembrassero tutt’altro che amichevoli.
“Credo che ci sia poco da scherzare su questo” strinse ancora più forte finché l’altro, malgrado l’euforia aleggiante, non gridò dal dolore.
Una volta convinto che aveva inteso la lezione, smise di pizzicare.
“La penitenza consisterà in una lunga doccia insieme, Padre Booth?”
“Ne abbiamo veramente bisogno, eh?” enunciò con la faccia finto disgustata, “prima però devo riaccendere il telefono. L’ultima volta che l’ho visto pullulava di messaggi e tu non mi hai dato nemmeno il tempo di leggerli.”
“Avevamo di meglio da fare.” Rassegnato, lasciò che uno spiraglio di mondo esterno invadesse il loro microcosmo.
“Sono tutte chiamate di Bones, tranne una.”
“Richiamala.”
“Non posso. Ho lasciato credere a tutti che sarei partito un giorno prima.”
“Solo questo?”
“No, in effetti. Non so perché ho idea che se solo sentisse la mia voce... ”
“Capirebbe? Ho detto che sarebbe una brava Profiler ok, ma adesso stai esagerando!”
“A proposito: devo sul serio tornare a casa e fare la valigia”.
“Prima la doccia” decretò l’altro agente risoluto. E così fu.


Dopo un lungo tira e molla telefonico, Emmerich decise di accettare la proposta di Booth. Pensò che tutto sommato un paio di giorni all’aria aperta, tra radure, natura e fiumiciattoli gli avrebbe fatto solo che bene.
Preparò meticolosamente il trolley cercando di non sottovalutare il clima montanaro in quel periodo. Prese parecchie felpe e maglioni, non voleva rischiare di tornare a casa con la febbre. Dopo essere passato dalle mani del killer a quelle di psicologi, dottori, poliziotti e giornalisti, aveva solo voglia di starsene da solo in santa pace con il suo ragazzo.
Sorrise deliziato pensando al suono che producevano quelle semplici due paroline:
“Il mio boyfriend, Seeley Booth è il mio ragazzo... il mio amante... il mio tutto. E lo amo da impazzire... e lui ama me... ” affermò ad alta voce e, sorridendo con lo sguardo da pazzo, accarezzò la canna della sua nove millimetri.

martedì 14 aprile 2009

Io con un uomo mai capitolo 17


Capitolo 17


Fu Angela a rispondere: “Pudore.”
“Pudore?”
“Sì, pudore. Un agente dell’FBI legato e pure nudo alla mercé di un pazzo. O mio Dio, povero Ian.”
“Questo si chiama ostacolare le indagini” concluse Cam.
“E questo non piacerà affatto a Booth.”
“Non significa niente” Brennan prese in mano dei fascicoli e li mise in ordine come gesto di nervoso, “non possono perseguirlo per questo. Lo stato confusionale potrebbe essere la causa” tutti la guardarono sorpresa. Lo stava difendendo?
Cam prese la parola: “In ogni caso ci sono varie possibilità e la nudità non è l’unica. Ad esempio: chi ha letto la cartella medica di Emmerich?” Temperance non l’aveva fatto, capì che era stato una superficialità voluta. Una cosa era ricostruire un delitto l’altra frugare nelle torture subite da un collega tanto vicino.
“Che ci dice?”
“Che ad esempio non sta messo male come avrebbe dovuto essere. Un uomo grande e forte e pesante appeso in quella maniera, i segni sulla pelle fanno pensare a un trattamento meno cruento.”
“Dunque non è stato sempre appeso?” domandò sorpresa.
“Già. Ma a questo punto sarebbe interessante sapere: Ian Emmerich è stato tutti e sette i giorni in quella palestra?” la provocazione della dottoressa Saroyan scosse tutti i presenti.


Ian si avvicinò lentamente al volto dell’amico, provò a rimpossessarsi delle labbra ma l’altro si voltò; come sempre quando situazione si faceva ‘calda’ lui si tirava in dietro.
In suo soccorso venne pure il telefonino che vibrò nella tasca della giacca.
“Ora scapperai, vero?” Emmerich enunciò quelle parole tristemente. Booth lo vide accigliarsi mentre si scostava da lui.
Sospirò.
Conta fino a dieci...
Conta fino a cento...
Conta fino a mille...
Che si fotta.

E smise di contare. Con un gesto repentino tirò fuori il cellulare. Lo esaminò un secondo per poi spengerlo e buttarlo via come fosse una cartaccia. Emmerich lo guardò sorpreso.
Una volta tanto il GPS posizionato nei pensieri degli altri aveva smarrito la strada.


A casa Temperance provò a tornare a letto, ma prendere sonno risultò immediatamente una chimera. Questa volta l’acidità non c’entrava. Si girò più volte sperando che la stanchezza l’avvincesse. Evitò di prendere dei tranquillanti perché voleva rimanere lucida.
Ne avevano viste tante i suoi occhi, proprio tante ma quella vicenda la stava toccando nel profondo. C’era Emmerich di mezzo, e, soprattutto, c’era Booth.
A turbarla maggiormente non era quello che sapeva, tra l’altro nemmeno tantissimo, riguardo al killer, erano i segreti celati dietro il rapimento dell’agente. C’erano degli elementi che non le quadravano proprio.
E la divisa era solo uno di questi. Perché non raccontare di averla tenuta solo due giorni? Era davvero solo pudicizia?
Possibile che un uomo navigato come lui, un Profiler dell’FBI, si lasciasse volutamente sfuggire un dettaglio tanto essenziale mettendo a rischio le indagini?
Perché non rivelava tutto ciò che sapeva? Pensò che sarebbe stato interessante parlarne con Booth.
C’è qualcosa di strano nel suo rapimento. Qualcosa che non ci vuole dire. Si sentì una sciocca, dubitava di Emmerich perché era tanto, forse troppo vicino al suo Booth o c’era davvero la possibilità che ne sapesse più di quanto lasciava credere?
E quel passato oscuro, tutti quei buchi neri che non trovavano risposta.
Pensò di essere impazzita quando un dubbio subitaneo la tramortì. Senza rendersene conto parlò ad alta voce: “E se il complice del killer fosse proprio lui?”


Booth lo seppellì con il suo peso. Emmerich emise un gemito di dolore. Ogni ferita sembrò aprirsi all’improvviso.
“Ti ho fatto male?”
“Assolutamente no” minimizzò per quanto la sua espressione rivelasse altro.
“Scusami io... ”
“Ti dico che è tutto apposto.”
“Ok... ” Booth si chinò su di lui e lo baciò.
Tra un bacio e l’altro si trascinarono fino al letto.


Dopo la nottata completamente insonne, Brennan si spostò dal suo giaciglio. Provò a chiamare Booth ma il telefono risultava ancora irraggiungibile. Sapeva benissimo che confidargli i suoi sospetti su Ian sarebbe equivalso a farla giungere davanti al plotone d’esecuzione.
Le fascine erano già pronte per ardere la strega che osava sospettare di un eminentissimo agente dell’FBI, un Profiler per di più, stimato e apprezzato. Ma gli elementi contro di lui c’erano, quelli non se li era sognati. Ora doveva solo organizzarsi. Mettere insieme tutte le idee e cercare di far luce.
Camminò a grandi falcate fino a raggiungere il Jeffersonian, una volta entrata voltò in direzione del laboratorio. Aveva il fiatone. Sperò che l’unica persona in grado di crederle fosse presente. Per sua fortuna c’era.
“Hotgins, ti devo parlare.”
“Cosa c’è di tanto urgente?” era sorpreso nel vederla così turbata, “siediti e bevi un bicchiere d’acqua. Hai la faccia di chi ha fatto a botte con il cuscino stanotte!”
“Non ho dormito un granché ma non è questo il problema.”
“Capito, qual è allora il problema?” Temperance abbassò lo sguardo. Pregò un Dio nel quale non credeva affatto che Jack Hotgins non le sputasse in faccia.
“Ian Emmerich è... potrebbe essere il complice dell’assassino.”
La reazione di lui fu glaciale.


Booth si guardò intorno cercando di capire dove fosse e che ora fosse. Mise a fuoco per alcuni attimi l’ambiente circostante. Riconobbe i suoi abiti ammonticchiati sulla sedia. Scorse la radio sveglia e, accanto ad essa, il suo cellulare spento. Stretto alle sue spalle, Ian Emmerich si stiracchiò appiccicandosi ancora di più a lui. D’istinto gli accarezzò le mani.
“Pensavo stessi dormendo” la sua voce era impastata dal sonno.
“Anch’io... in realtà” si girò per guardarlo. Al contrario di lui, era vestito di tutto punto, scarponcini compresi.
“Scusami per stanotte... saranno quei maledetti antidolorifici.”
“Figurati, non devi giustificarti. È stata una giornata talmente carica di emozioni.”
Nel bel mezzo di uno scambio sessuale piuttosto acceso, lui completamente nudo, le mani di Emmerich che lo accarezzavano, all'improvviso aveva percepito il tocco farsi sempre meno pressante, inanimato. Aveva provato a capire cosa fosse successo ma appena compreso ‘l’imbarazzante’ debacle, Booth aveva sorriso e si era accoccolato a lui provando a dormire.
Ian, una volta completamente sveglio, stava prendendo coscienza dell’accaduto.
“Ti giuro io e... e tu sei talmente bello... sono proprio un imbecille” aveva una gran voglia di prendersi a schiaffi mentre si scusava.
“Falla finita, Emmerich. Non ho fatto altro che ripeterti che non stai ancora bene, e tu cocciuto come sei, mi hai dato forse retta?”
“Ora mi sento bene... sto bene... e tu sei sempre bellissimo” appoggiò le labbra morbidamente sulle sue e fuoco esplose.
Per quanto restio all’intimità una volta abbandonatosi all’istinto, Booth si rivelava l’uomo passionale che Emmerich aveva potuto conoscere solo nei suoi sogni.
Ma la scintilla fu contenuta sul nascere.
“E adesso dove vai?” per Ian fu una discreta impresa sgattaiolare dalle sue braccia.
“Tutta questa luce mi da fastidio” rispose alzandosi per andare ad abbassare le tapparelle.
Cercava l’atmosfera o era semplicemente timido?
“Come mai ho bisogno dei fari abbaglianti per vederti?” chiese Booth quando attorno a lui fu solo tenebre.
“Pensavo ti facesse piacere.”
“Non sono così inibito” sentì che Ian lo stava tirando verso di lui.
“Solitamente trovo eccitanti le ragazze inibite, nascondono sempre un potenziale inaspettato.”
“Sta zitto. Parli troppo come sempre” ribatté mentre lo spogliava.
Lo toccò lentamente come alla ricerca di quel dettaglio che gli avrebbe fatto venire voglia di fuggire a gambe levate.
Ma non lo trovò.
Né il pomo d’Adamo sotto i sui denti, né la peluria sul torace, i muscoli grandi, molto più grandi di quelli di una donna, almeno di quelle che aveva frequentato. Niente lo turbò.
Bones ha ragione, non c’entra che sia un uomo, una lampada o un calzino:
quando c’è di mezzo l’amore il sesso è solo un dettaglio.

Le mani raggiunsero il ventre e poi, lentamente, lambirono ciò che principalmente lo differenziava da tutte le amanti che aveva avuto tra le braccia. Il beneficiario delle carezze percepì quanta insicurezza e quanto desiderio contraddistinguessero quelle azioni.
Malgrado volesse con tutte le forze agevolarlo, lo lasciò in balia dei suoi demoni.
“Ian io... ”
“Non c’è problema, se vuoi lasciamo perdere.”
“Che diavolo... ”
“Sei ancora in tempo per andartene... ”
“Mi stai mandando via?”
“Voglio essere certo che tu sia sicuro di quello che stai facendo. Dopo non potrai tornare indietro, te ne rendi conto?”
L’altro sospirò. Quello che Ian diceva aveva un senso. Sicuramente con la ragione e il senno di poi sarebbe fuggito dal letto della colpa scusandosi dell’accaduto. Ma il raziocino, qualsiasi considerazione logica del caso, lo avevano da tempo abbandonato lasciandolo in balia del puro istinto. E l’istinto gli diceva, anzi, gli intimava di proseguire.
Gli accarezzò le labbra con la mano destra.
“Resto perché ho voglia di restare, ma... ”
“Ma?”
“Ma vorrei vedere quello che sto toccando” la rivelazione fu seguita da un imbarazzato silenzio.
“Fidati del tatto, è un senso sottovalutato, sai?”
“Questa cosa del buio è... so che stai facendo. Pensi che farlo con la luce mi creerebbe problemi, ma già che siamo fin qui, voglio fare le cose per bene.”
“Dio, sei noioso però... ”
“Non sto scherzando” a quel punto, conscio di non avere alternativa, cercò la presa del faretto sopra il comodino. Trattandosi di una lampadina a basso consumo ci mise qualche secondo per mettere a fuoco la situazione e rendere tutto meno decente.
Booth vide quello che c’era da vedere. Un biondo uomo nudo, piuttosto in forma, sdraiato su di un letto. E, a parte i soliti tatuaggi, non c’era davvero molto di speciale da vedere... o forse sì?
“Ian, che... che diavolo sono tutte quelle cicatrici?”
La domanda di Seeley Booth era lecita.
Ecco perché non voleva la luce
“È solo che... lo sai, ho subito un rapimento.”
“Non c’entrano le ferite recenti. Il tuo corpo è completamente segnato” piccole e grandi tracce rivelavano una vita di maltrattamenti.
“Ho fatto parte dei corpi speciali.”
“Sì, certo, nei Fight Club Corps?” in quel preciso istante a Booth rivenne in mente un dettaglio fino a quel momento trascurato. Mi hanno rifatto il naso già due volte, così aveva rivelato una sera dopo che erano usciti per bere una birra.

Jack Hotgins restò in silenzio. Poi il suo sguardo si fece severo.
“Allora non sono l’unico ad avere dei sospetti.”
“Meno male, ero terrorizzata che tu mi prendessi per pazza.”
“Magari lo siamo entrambi. Sospettare che un agente federale sia un serial killer, questa poi. E se lo sapesse Booth?”
“No, ora non lo deve sapere. Non riuscirebbe ad essere razionale. È troppo coinvolto.”
“Scusami Brennan, ma non capisco. Come ci sei arrivata?”
Temperance si mise a sedere. Doveva dare una spiegazione a Jack, l’unico che fortunatamente sembrava capirla.
“Ci ho pensato, ci ho pensato molto bene. È un manipolatore di professione, molto riservato. Ha tante facce, tante facciate, e troppi segreti. Ha fatto di tutto per portare Booth fuori strada tenendolo lontano dal caso ma quello che più conta, ha finto un attacco di panico durante la conferenza.”
“Vuoi dire che fingeva di essere affetto da Glossofobia?” a parlare fu la dottoressa Saroyan. Quanto aveva sentito di quel dialogo?
“Ragazzi, mi stupisco di voi. State facendo illazioni su Ian Emmerich?”

venerdì 3 aprile 2009

Io con un uomo mai, capitolo 16




Capitolo 16




“Vuole che ci andiamo noi. Giusto per dare un’occhiata, magari non è chi cerchiamo.”
“Emmerich, non se ne parla proprio. Tu non sei ancora pronto per questo.”
“Secondo Ardich sì, fattene una ragione.”
Durante il viaggio in Suv, il Profiler spiegò dettagliatamente cosa aveva portato la squadra a sospettare di lui.
“Trentasei anni, solitario, fissato con l’ordine e la pulizia. Non esce mai di casa e, la cosa davvero interessante: si guadagna da vivere testando lavatrici.”
“E la fedina penale?”
“Ci stavo arrivando. Ha molestato tre donne negli ultimi sei anni. Tutte madri di famiglia.”
“Mi sembra perfetto.”
“Esatto, perfetto.”
I due giunsero di fronte al caseggiato dove viveva Elliot Kelly. Una volta per strada Booth si controllò la giacca.
“Sarei dovuto andare a casa a cambiarmi.”
“Cosa ha che non va la signorina Brennan?”
“Non lo so, vorrei saperlo anch’io” rispose con aria genuinamente preoccupata.
Booth bussò alla porta palesando la sua presenza. Appurato che il padrone di casa non fosse presente provarono ad aprire con diverse spallate. Emmerich si fece male. Evidentemente non era ancora in perfetta forma, come gli aveva ricordato di continuo il suo collega.
“Stai bene?” gli chiese paziente Booth aiutandolo a tirarsi su.
“Non potrei stare meglio” rispose ironico.
“Quando hai finito di farti male mi lasci sfondare questa porta?”
“È tutta tua, stallone” replicò sorridente. Booth riuscì nell’impresa.
Entrarono.
L’appartamento odorava di pulito. Il mobilio zen faceva pensare ad una persona abituata a liberarsi delle cianfrusaglie. Ogni cosa sembrava avere un posto ben preciso. Quegli oggetti non potevano essere scostati per alcuna ragione, sicuramente il loro proprietario sarebbe uscito dalle grazie di Dio.
“Ossessivo compulsivo.”
“Bravo Booth, vedo che stai diventando un attento osservatore del comportamento umano.”
“Non ci vuole una laurea in psicologica per capirlo. Qui è tutto talmente pulito e a posto.”
“Già.” Il piglio di Emmerich si fece pensieroso. Per poi sbottare: “Anch’io ero così” ammise.
“Tu?” Booth lo guardò come se avesse bestemmiato.
“Sì, ero ossessionato da microbi e batteri oltretutto e guardami ora. Sono un casinista. Non riesco a mettere ordine da nessuna parte.”
“Mi sembra strano, non ho mai conosciuto uno disordinato cronico come te!”
“Vero cavolo, persino la mia vita sessuale è incasinata.” Emmerich lo vide voltare la testa turbato. Come al solito era riuscito a metterlo in imbarazzo.
“Invece di chiacchierare, che ne dici di dare un’occhiata alla casa di questo viscido?”
“Assolutamente sì.”
Girarono per l’appartamento. L’unica stanza che sembrava interessante era quella dove venivano testate le lavatrici. Tre su sei erano in funzione.
Emmerich non aveva più voglia di cazzeggiare. Il colorito del suo viso era più pallido del solito. Booth si avvide subito del cambiamento.
“Ti senti male?”
“No, sto benissimo.”
“Lo sapevo che era una cattiva idea portarti qui. Sentendo il rumore di questi aggeggi ti è rivenuto in mente qualcosa?”
“Sì, forse. Credo sia lui, Booth.”
“Beh, siamo in due.” Lo scortò fuori dalla stanza circondandogli le spalle. Lo fece sedere.
“Vuoi un bicchiere d’acqua?”
“Chissà dove sarà adesso. Magari a pedinare una nuova vittima, una mamma che è andata a prendere sua figlia a danza,” il suo piglio era seriamente preoccupato.
“Chiamo i rinforzi. Quel bastardo si ritroverà la casa piena di germi stasera. Tu però hai finito di lavorare.”
“No, ora sta bene.”
“Non essere sciocco. Non dobbiamo essere qui tutti e due.”
“Non ci voglio tornare a casa, è tutto sottosopra, un vero schifo.”
“Lo posso capire.”
“No, non penso proprio.”
Booth lasciò perdere. Sapeva quanto era cocciuto e non voleva la pena insistere.
Chiamò i colleghi che li raggiunsero in brevissimo tempo.
Fu spiccato un mandato di cattura per Elliot Kally, uno dei più probabili sospettati di aver compiuto i massacri.
Una volta nel fuoristrada il telefono di Emmerich ricominciò a suonare. Riattaccò dopo poche frasi di circostanza.
“Sempre loro?”
“Non ce la faccio più. Credimi, sto diventando pazzo, rivoglio la mia vita, cazzo!” sbraitò. Si trattava dell’ennesima telefonata da parte dei suoi superiori. Booth oscillò la testa sconsolato.
Una volta giunti nel suo appartamento, anche lui dovette ammettere che era in uno stato pietoso. Il disordine regnava sovrano, neanche l’abitazione del Profiler era stata risparmiata alle indagini.
Da quando il killer lo seguiva? Da quando Ian Emmerich era entrato nelle sue mire?
L'FBI esigeva risposte.
Booth gli mise le mani sulle spalle cerando il suo sguardo.
“Passerà anche questo, cerca di non scoraggiarti.”
“Non lo so Booth, è tutto così deprimente. Indagano su di me, mi trattano come se fossi io il mostro.” Sembrava sul punto di piangere, non lo aveva mai visto così provato.
“Come no, siamo tutti convinti che sei tu il complice del killer.”
“Vorrei che tutto tornasse come prima.”
“Lo so, hai ragione. Deve essere uno stress senza precedenti.”
“Non sono solo le indagini, anche i giornalisti. Se tengo il telefonino acceso mi chiamano anche di notte. Oprah mi vuole nel suo salotto e tra poco mi chiederanno di consegnare l’Oscar.” L’altro apprezzò il tono finalmente leggero. Lo aveva turbato parecchio vederlo sull’orlo di una crisi di nervi.
“L’aria cambierà. Il killer farà meno gola quando sarà svelata ogni cosa. E Kally ci darà una bella mano, vedrai.”
“Sicuro, sempre se prima non ne fa fuori un’altra. E invece di stare addosso a quei due bastardi, cosa fanno? Rompono il cazzo a me” si abbandonò sulla poltrona. Guardò il soffitto massaggiandosi le palpebre con le nocche.
“Hai perfettamente ragione. Bisogna farla finita con le chiacchiere.”
“Sono in prima fila per quanto mi riguarda” Booth si sistemò sul poggia mano.
“Non sono d’accordo per niente, non dovresti lavorare ora, non sei ancora in condizione di farlo. Hai visto che effetto ti ha fatto sentire quelle lavatrici?”
“Non riuscirai a liberarti di me” rispose facendo l’occhiolino.
In un improvviso slancio di generosità, propose: “Occupiamoci di questo casino.”
“Sicuro.”
“Dico sul serio.”
Alla fine di uno scherzoso tira e molla, accettò,
Dopo un paio d’ore l’appartamento di Emmerich sembrò essere tornato decente.
“Mai stato tanto ordinato, Booth, grazie” si voltò verso di lui e lo guardò pieno di gratitudine. Erano entrambi parecchio provati. Era stata una giornata intensa. Piena a dir poco.
Booth vedendo la sua giacca appoggiata ad una sedia, si ricordò del malessere di Temperance. Divise quel turbamento con il compagno.
“Chiamala, senti come sta.”
“Bel pensiero. Ma è tardissimo, magari sta dormendo. Anche tu hai la faccia stanca, anzi distrutta.”
“Sì, hai ragione troppe emozioni, troppi pensieri.”
“Dovresti distrarti. Questo week-end porto Parker a pescare. Lo sai cosa ti propongo? Ti unisci a noi.”
L’altro rispose con uno sberleffo: “Grazie della proposta, ma come tu sai in questa cosa -famigliare- non c’entro molto. E poi cosa avresti intenzione di dire a sua madre, che alla simpatica gita ti porti dietro il tuo ragazzo?” l’ironia di Emmerich aveva posto una questione alla quale Booth non aveva dato peso. La verità era un’altra: non gli andava di lasciarlo solo per tre giorni consecutivi.
Ma sapeva che se glielo avesse detto si sarebbe stranito.
Il superuomo non ha bisogno della protezione di nessuno, chiaro! Pensò.
“Ian, tutti quelli che hanno subito una violenza simile devono darsi il tempo di riprendersi, perché vuoi ostinarti a farti del male?”
“Ma ci sei tu che mi proteggi, no? Per questo vuoi portarmi a pescare, per tenermi d’occhio” come al solito lo aveva colto in castagna.
“Scusa, dimenticavo che leggi nel pensiero” e ruminò -bastardo- facendolo adirare scherzosamente.
“Bastardo tu, figlio di puttana.”
“Ora siamo agli insulti belli e buoni?” quel piccolo diverbio era una palese scusa per fare a botte, il tipico modo maschile per avvicinarsi fisicamente. Di fatti, dopo essersi rotolati in terra per una manciata di minuti, si ritrovarono abbracciati. Fu Ian a pretendere le labbra. Solo in quel momento si rese conto di aver aspettato decisamente troppo.
“Cristo Booth, mi ero dimenticato di come baci bene.”


Hodgins, nonostante l’orario, chiamò Brennan. La divisa di Emmerich qualcosa di interessante da dire, l’aveva.
“Cosa c’è?”
“Puoi raggiungerci?”
“Niente che possiamo discutere al telefono immagino.”
“Qualcosa di piuttosto serio. Non saremmo qui a quest’ora se... se non fosse importante.”
“Va bene arrivo” mandò giù l’antiacido sperando che compisse il proprio dovere.
Una volta al Jeffersonian fu accerchiata dai colleghi.
“Cosa sta succedendo?”
“Le impronte della divisa... ”
“Ebbene?”
“Non collimano con i racconti di Emmerich né tanto meno con i tempi di prigionia. Ho analizzato scrupolosamente ogni cavillo per trovare qualche traccia del DNA di Kally e dunque so di che parlo.”
“Spiegati meglio.”
“Mi riferisco a sudore, umori. Non corrispondono ai quattro - sei giorni ipotizzati. La tenuta da scolaretto ci racconta un’altra storia.”
“Da quanto? Da quanto lo portava?”
“Al massimo due giorni.”
“E gli abiti che aveva al momento del rapimento?”
“Non si trattava di vestiti ma della camicia da notte dell’ospedale, quella non è stata rinvenuta.”
“Dunque, a quanto mi dici, Ian Emmerich non ha indossato la divisa dal primo giorno come ha voluto farci credere” lo sguardo di Tempercance si accese.
“Perché avrebbe dovuto farlo?” domandò la dottoressa Saroyan.