lunedì 30 marzo 2009

Io con un uomo mai capitolo 14 e 15



Capitolo 14




Booth sentì la gola chiudersi in una morsa paralizzante. Dove era finito? Possibile che Ian fosse di nuovo in pericolo? Cominciò a girare freneticamente nella stanza. Gridò il nome dell’amico. Era sul punto di uscire per chiedere rinforzi quando una voce dal tono scantonato lo bloccò: “Mi volevi?” la testa del Profiler fece capolino dal bagno
“Ian! Dio!”. Si rese conto di essere stato uno sciocco. Era stato talmente scosso dalla precedente scomparsa da non aver considerato la soluzione più ovvia!
“Mi hanno appena tolto il catetere e sto provando a fare nella maniera classica.”
“Scusa io... non volevo disturbarti, ma non vedendoti mi sono preoccupato.”
“Prelevato contro la sua volontà dal letto d’ospedale due volte di seguito? Nemmeno un pessimo sceneggiatore di soap lo riterrebbe possibile, stallone” senza badare a chiuder la porta proseguì la minzione. È sempre lo stesso! Costatò Booth. Si sentiva felice. Ian era vivo e lo aveva chiamato stallone, mai prima di allora gli aveva fatto tanto piacere sentirsi chiamare così. Una volta finito in bagno, tornò dall’ospite trascinandosi dietro l’ingombrante asta appendi flebo.
“E ora perché quella faccia?” gli accarezzò una guancia. Booth si tolse stizzito. Il gesto affettuoso però gli fece tornare alla mente Brennan. Gli stampò un bacio sulla fronte.
“O mio Dio.”
“Che c’è?”
“Questo è il bacio più asessuato di tutta la mia vita.”
“È da parte di Bones.”
“Ora si spiega, ho avuto paura.”
“Paura?”
“Sì, di dover ricominciare a sedurti da capo. Se non sbaglio l’ultima volta ci è scappata un po’ di lingua, giusto?”
Lo sguardo di Booth si fece serio,“Ian, non serve che tu finga che non sia cambiato niente.”
“Perché, cosa è cambiato?”
“Sai cosa intendo dire... ”
“Non avrai intenzione di interrogarmi pure te come gli altri psicologi, e tra un po’ inizierà a torchiarmi per bene qualche fottuto collega. Non riesco a pensare a qualcosa di altrettanto noioso. A parte la tua antropologa... ” provò a stemperare il clima con una frecciatina.
“Lo so che per te non sarà certo piacevole rivivere quello che ti è successo ma dobbiamo farlo” Ian tornò a sedersi sul letto. Appoggiò la schiena su due cuscini.
“Non voglio parlare di questo. Come sta Parker? E a proposito della dottoressa Brennan: ti sei fidanzato con lei durante la breve vedovanza?”
“Finiscila di scherzare” il tono di Booth si era fatto grave: “tu non hai idea di quanto sono stato male credendoti morto, soprattutto per mano del killer della centrifuga.”
“Ecco qualcosa di cui mi piacerebbe discutere. Di quello che hai provato.” Ian gli prese la mano tra le sue. Booth, malgrado fosse a disagio, doveva ammettere che il contatto era piacevole.
“Stavo impazzendo, chiunque te lo può confermare.”
“Ma io ti credo. E poi mi basta guardarti. Quando ti ho visto stentavo a riconoscerti, ho pensato: dov’è finito il mio maschione?”
Booth sogghignò, le mani erano ancora intrecciate. Ma non era il momento delle coccole quello. Per quanto Emmerich fingesse di essere in buona salute, le sue condizioni non erano ancora soddisfacenti. Era disidratato, sciupato, malandato, il collo e le braccia erano costellate di ecchimosi che confermavano quanto avesse lottato. Per non parlare dei lividi sui polsi, ricordo delle corde che lo avevano sorretto. Ma erano le condizioni psicologiche a preoccuparlo maggiormente. Poteva fare il duro quanto voleva ma non la dava a bere. Le torture inflittegli, e non meno l’ansia di trovarsi tra quelle spregevoli mani, dovevano aver lasciato tracce indelebili nell’animo. Gli faceva una pena immensa, ma doveva iniziare le indagini. I reperti trovati nell’ex palestra erano sì importanti, ma mai quanto i dettagli che Emmerich avrebbe rilevato.
“Mi dispiace essere il primo fottuto agente dell’FBI che te lo chiede ma... ”
“Booth... ”
“Devo. E tu devi dirmi quello che sai”.


Temperance dispiegò dal suo involucro la divisa scolastica con la quale era stato trovato Emmerich.
La dottoressa Saroyan domandò alla collega cosa ne pensasse.
“Dallo stato non mi sembra sia stato costretto ad indossarla, non ci sono segni che lasciano trasparire questo.”
“Sono d’accordo.”
“Dunque Emmerich è stato spogliato della sua camicia, ancora non rinvenuta, e intimato di indossare questa roba da liceale.”
“Un feticismo bello e buono.”
“Già Cam, anche perché evidentemente lui non ha più quindici anni ed è un uomo di stazza.”
“Avrebbe potuto scucirla prima invece ha lasciato che gli scoppiasse.”
“C’è una componente sessuale in tutto ciò” Temperance dondolò la testa aggiungendo: “che schifoso. Ricreare una casa, una cucina, un ragazzino seviziato.”
“E a lui piacciono le madri di famiglia. Pensi anche tu che si sia rivisto in quel ragazzino?”
“Esatto, il killer odiava la madre, e si vendica uccidendo delle madri. Poi trova Osbron, che avrà più o meno l’età di suo padre, e uccide pure lui. E poi Emmerich.”
“Che però è l’unico ad esserne uscito vivo.”
“Non ha fatto in tempo.”
“E il complice? Quello con il Modus Operandi diverso?”
“Non lo so Cam, mi auguro che Booth riesca a ricavarne qualcosa dalla terribile esperienza di Emmerich. In questo momento si possono fare mille ipotesi.”
Più frustrate di prima passarono la palla Hodgins che avrebbe studiato al microscopio ogni particella di quegli indumenti.
Era quasi notte quando, finalmente, Temperance si recò a casa. Innervosita dal fatto che non ci fosse un bel nulla che portasse da qualche parte. Tutta quella serata, compresa la cena con Booth, era andata all’aria per niente.


“Ian, lo so che è dura, ma devi raccontarmi tutto. A partire da adesso.” Il degente si era lasciato andare, apparentemente rilassato. La testa affondava nel guanciale e i capelli biondi più folti di come erano usualmente, incorniciavano il viso pallido.
“Hai con te un registratore?” chiese apparentemente rassegnato.
“Sì.”
“Ok, ma non c’è molto da registrare, Booth, ti avviso.”
“Che intendi dire?”
“Quello che ho detto: non c’è molto. Non ricordo un fico secco di quello che mi è successo prima di finire attaccato sotto un tavolo.”
“Spiegati meglio.”
Rispose alzando le mani al cielo e imprecando silenziosamente.
“Ero nel box del pronto soccorso, sedato. Penso stessi dormendo quando sono stato trascinato via con la forza.”
“Vuoi dire che sei stato sedato ulteriormente? Dal killer?”
“Non lo so, quando mi sono svegliato ti ripeto, ero faccia in giù verso quel sudicio pavimento.”
“Ma sei pieno di lividi, hai preso un sacco di botte, si vede.”
“Se ho cercato di difendermi non me lo ricordo. So solo che lui non l’ho visto, non so che faccia ha, ok?” Booth si scusò con lui, non l’aveva mai visto così adirato. E gli dispiaceva tantissimo esserne il motivo.
“Scusami, hai ragione. Questo interrogatorio fa male a tutti e due. Lascerò questa parte a qualche collega.”
“Già, ma non lo hai fatto prima perché volevi dimostrarmi che vuoi fare di tutto per aiutarmi, giusto?” l’altro rispose con un cenno vago della testa. Diete una pacca sulla coscia stando attento a ponderare la forza. Non voleva fare ulteriori danni. Di rimando, Ian gli afferrò il polso saldamente. Si portò la mano alla bocca.
“Ora vattene, non vorrai restare qui a vegliarmi?”
“Non c’è bisogno di discussioni in proposito.”
“Ok, stallone” così dicendo Emmerich fece un po’ di spazio, “sdraiati accanto a me.”
“Sei pazzo? Ci può sorprendere qualcuno!”
“Che ti frega! Gli agenti non entreranno e le infermiere sono abituate a tutto.”
“Non penso che tu sia in grado di ragionare lucidamente ancora” il piglio dell’agente era ironico.
Ma, scartata la possibilità di ubbidire di primo acchito, la voglia di accoccolarsi vicino a lui, se non altro per confortarlo, ebbe la meglio. Si sistemò rannicchiandosi addosso al corpo. Il braccio di Emmerich circondò le spalle. Appoggiò la testa sulla fronte per lasciare dei baci leggeri assolutamente privi di malizia. Non si trattava della famigerata -tensione sessuale-, in quel momento, erano come fratelli divisi da un destino avverso e poi ritrovati.
“Tu non hai idea di quanto sono felice in questo momento, Booth.”
“Veramente questa battuta era mia” alzò la testa per perdersi nello scintillio degli occhi chiari. Per quanto celassero tutta la disperazione per i torti subiti nei giorni precedenti, erano comunque tanto belli.
“Sono felice che stai bene” aggiunge in un sussurro: “E sono felice di non averti perso, non me lo sarei perdonato.”
“Tu non hai colpe, piccolo.”
“Invece sì.”
“Cosa stai cercando di dirmi?”




Capitolo 15





Booth fece un lungo respiro preceduto da un altrettanto lungo silenzio. Ma appena aprì bocca per parlare, l’altro lo bloccò: “Non lo voglio sapere” il suo tono era fermo.
“Ma, Ian io... ”
“Forse ti farebbe stare meglio ma... ma se tu lo dici lo fai diventare vero. E se è vero è un problema, e noi di problemi ne abbiamo avuti già abbastanza, non trovi?”
Booth ne convenne. Rivelare di aver passato un’intera notte d’amore con Temperance Brennan mentre lui veniva rapito, era un fatto. Messo di fronte a quel fatto Ian avrebbe avuto tutto il diritto di crollare, e magari di intimargli di andarsene. E in quel momento non aveva nessuna intenzione di lasciarlo. Con il braccio destro si aggrappò più forte a lui cingendogli la vita.
“Quando tutti ti avranno fatto le domande del caso, cerchiamo di buttarci dietro questa brutta storia. Almeno quando siamo da soli. Sarà un bene per entrambi.”
“Sono d’accordo. Non ne parliamo più” concluse il Profiler.

Fu un timido raggio di sole passato attraverso le persiane a svegliare Booth poco prima che l’infermiera di turno arrivasse per sostituire la flebo. Era rimasto stretto a lui tutta la notte.
La posizione scomoda aveva favorito un dolore all’altezza dei reni veramente fastidioso. Una volta in piedi lo osservò per qualche minuto sperando si svegliasse. Controllò l’orario: erano quasi le sette, tanto valeva recarsi al Jeffersonian per sapere se ci fosse qualche nuovo indizio. Prima di andarsene lisciò la testa dell’amico come se si fosse trattato di un ragazzino. Continuò a dormire come se niente fosse.

Giunto al laboratorio scoprì che non c’era ancora nessun impiegato. Si mise seduto. Per scacciare la noia dell’attesa scarabocchiò un foglio. Temperance arrivò in perfetto orario.
“Sei già qui?”
“Sembra ti dispiaccia.”
“Se c’erano novità di rilievo te l’avrei fatto sapere” sembrava irritata. Gli si avvicinò e lo annusò un tantino schifata:“Odori d’ospedale... e di malato.”
Booth cambiò discorso per non rivelare di aver passato la notte con Ian.
“Bones, mi dispiace per la cena. Una di queste sere mi rifaccio” lei sorrise amara. Pensò ad alta voce: “E così sono diventata -una di queste sere-.”
L’agente federale si sentì offeso. A lei ci teneva davvero, ed era reduce da un periodo troppo duro per ponderare bene il linguaggio.
“Perché fai così? Credevo fossi rinfrancata del fatto che Emmerich stesse bene.”
“Lo sai che lo sono.”
“E allora cosa? Vuoi farmi sentire in colpa perché sono felice? Ieri sera mi sembravi... ”
“Non fare caso a me, ho lavorato a questo caso fino a notte inoltrata senza ricavarne niente. E ultimamente il mio umore è spesso altalenante. In ogni caso, riguardo i tuoi sentimenti per quell’uomo, mi sembra chiaro che non sono affari miei. O vuoi ancora ribadirmi che ci tieni a me e che vuoi che io sia gelosa di te?” Booth non si aspettava quel sermone mattiniero e se ne sentì minacciato.
“Perché non mi lasci il tempo di raccapezzarmi? Pensi che sia facile? Quello che provo... è così nuovo per me.”
“Si chiama amore, Booth, l’amore non è nuovo per te. Molto presto, probabilmente sta già succedendo, ti dimenticherai che è un uomo. Il fatto che è un maschio sarà una caratteristica qualsiasi come il fatto che cammina in posizione eretta e introduce aria nei polmoni” Booth scoppiò a ridere.
“Che ho detto che ti mette tanta allegria?”
“Tu, Bones... tu mi hai ricordato perché ti trovo fantastica.”
“Dunque ora sei a posto? Non ti preoccupi più del suo aspetto, giusto?”
“In questo momento vorrei parlare con te delle indagini” deviò il discorso imbarazzato. Quel riferimento all’aspetto di Emmerich nascondeva un sotto riferimento al sesso.
“Dovrebbe essere l’FBI a ragguagliare me non viceversa.”
“Chiaro, ma per conoscere ogni cavillo che ci manca il testimone dovrebbe rivelare ogni cosa. Anche se quello che ha detto a me non è molto, purtroppo. Non ha ricordi precisi.”
“Questo significa che è stato drogato?”
“Sì, e non solo. È ancora scosso. Non riesce nemmeno a parlare di lui. E preferisco che qualcuno più competente di me, lo interroghi.”
“Immagino quello che vuoi dire” lo stomaco di Booth rumoreggiò. Si ricordò in quel momento che non aveva ancora fatto colazione. “Se allora non ci sono grosse novità io andrei... ”
“Appena abbiamo qualcosa di concreto sarai avvisato” quel modo di parlargli deferente lo mise in agitazione. Perché la sua Bones prendeva le distanze da lui? Era quello il prezzo da pagare? Non era sicuro che sarebbe riuscito a sopportarlo. Le voleva bene, l’amava, l’aveva sempre amata, e sperava che non le avrebbe voltato le spalle in quel momento così delicato. Ma doveva riconoscere che la situazione era dura anche per lei. Quale donna si sarebbe sentita a suo agio sapendo che il suo amante prova attrazione per un uomo?
Formulando questi pensieri si recò al Royal Diner e ordinò un’abbondante colazione.


Ian Emmerich poté lasciare l’ospedale solo dopo quattro giorni. Nonostante la degenza forzata gli interrogatori che lo vedevano unico testimone dell’odioso rapimento, si susseguirono fittamente. Tutto questo creava in lui una grande agitazione.
Nell’ufficio dell’FBI fu preparato un piccolo party non proprio a sorpresa per lui.
“Temevo di essere già stato rimpiazzato” confidò al suo superiore una volta soli nel suo ufficio.
“Sono felice di non essermi sbagliato” così dicendo Ardich controllò che la sua cravatta non avesse macchie di caffè o quant’altro, “sapevo che non eri morto. L’erba cattiva non muore mai.”
“Felice di averle dato ragione.”
“Profiler, cosa significa se un uomo teme di avere la cravatta sporca?”
“Uhm. Figli piccoli che fanno colazione lanciandosi cialde spalmate di marmellata?”
“Mogli gelose di amanti inesistenti?”
“No, non credo” rispose sorridendo sfacciato. Era un’impertinenza bella e buona.
“Lo so da me di non essere un uomo affascinante. Sì, ho due figli piccoli. Magari lo sapevi già. Facciamo che mi fido e penso che sei ancora in grado di servire alle indagini: fai il profilo di quel bastardo che ti ha rapito.”
“Ci sto già lavorando” rivelò caustico.
“Non ne avevo dubbi. Oggi alle quattro. Vi voglio tutti. Compresa la dottoressa Brennan.”
“Per il profilo.”
“Non solo. Ho una lista di sospettati. Pazzi con un’infanzia disturbata. Gli elementi nuovi ci porteranno da qualche parte. Adesso vai e rimettiti subito al lavoro.” Emmerich si alzò di scatto facendo la pantomima di un soldato che si mette sull’attenti.
“Non ti è bastato quello che hai subito? Hai ancora voglia di fare il buffone?”
L’altro si limitò a fare spallucce. Per poi guardarlo con rinnovato interesse.
“Ora che c’è?”
“Capitano la sua cravatta è... ”
“Sporca?”
“Decisamente di cattivo gusto.”
“Vattene.”


La riunione del pomeriggio fu inizialmente abbastanza tranquilla per poi accendersi con la descrizione del profilo dell’assassino. La lista dei sospettati era sotto gli occhi di tutti.
Temperance era seduta accanto a Booth.
“Perché ha voluto pure me, non lo capisco” continuava a torturarsi il colletto della camicia come se le desse fastidio.
“Perché il capitano si fida di te, Bones.” Improvvisamente lei sentì lo stomaco contrarsi e un improvviso senso di acidità invadere il cavo orale.
“Devo vomita... ” non fece in tempo a dirlo che, voltandosi in direzione del compagno, rimettesse sulla su giacca. Una pioggia di schiamazzi commentò l’accaduto.
“Dottoressa Brennan, si sente poco bene?” domandò Ardich incredulo. Emmerich, accanto a lui, dilatò le pupille.
“Scusate, scusami Booth” quest’ultimo aveva una faccia a dir poco sorpresa.
“Ti accompagno in bagno” le disse.
“Non occorre.”
“Tanto devo pulirmi.”
Una volta nella toilette della signore, Temperance si industriò con un fazzoletto a nettare il danno da lei combinato.
“Non so cosa mi sia preso. Odio sentirmi così.”
“Come ti senti esattamente, Bones?”
“Come se fossi sempre su una nave. Mi gira la testa e spesso ho la sensazione di dover rimettere. In questo caso è accaduto.”
“Hai sentito un dottore?”
“Booth finiscila, la mia salute non ha niente di anomalo. Almeno spero” finì la frase toccandosi di nuovo lo stomaco.
“Ecco ancora devo... ” corse verso il gabinetto. E come sempre Booth fu a sostenerla. Quando sembrò stare un po’ meglio, l’abbracciò con tenerezza.
“Il mio alito sarà pestilenziale e tu te ne stai qui nel bagno delle donne a coccolarmi.”
“Non essere sciocca.”
“Il problema è... è che mi sento sciocca” e come se niente fosse iniziò a piagnucolare.
“Bones... ma tu stai piangendo?” lei si asciugò le lacrime cercando di ricomporsi.
“Lo capisci ora perché mi sento stupida? E non è la prima volta. Cosa mi sta succedendo Booth?”
“Non ne ho la più pallida idea! Ma faremo qualcosa. Devi sentire un medico, per forza.” La prese di nuovo tra le braccia. Restarono stretti per parecchi secondi. Una donna sulla sessantina entrò nel bagno. Dopo aver messo a fuoco la scena li squadrò meravigliata.
“Io stavo uscendo” esalò imbarazzato l’agente.
“Ti seguo” e, un po’ stortiti, tornarono alla riunione.


“Ci siamo persi qualcosa?” domandò l’agente Booth rivolgendosi al suo superiore ma guardando Ian.
“Direi proprio di sì, si sente meglio dottoressa Brennan?”
“Un pochino meglio grazie.”
“Booth, lei può tornare a casa a cambiarsi la giacca.”
“Se permette prima vorrei essere ragguagliato.”
“Te lo dico io, seguimi” intervenne Emmerich che lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dalla stanza.
“Che sta succedendo?”
“Abbiamo un sospettato. E un bel mandato... ”

lunedì 23 marzo 2009

Io con un uomo mai capitolo 13


Capitolo 13



Le auto della polizia raggiunsero il caseggiato, dove era sito l’ex istituto. I numerosi graffiti preannunciavano un luogo sinistro. La scuola femminile Bernadette aveva chiuso i battenti da oltre vent’anni.
Brennan e Booth parcheggiarono accanto alle numerose auto della polizia. Il clima di tensione era acutizzato dall’atteggiamento di lui. Aveva scelto di non indossare il giubbotto antiproiettile mandando su tutte le furie la compagna di viaggio.
“Non ti serve a niente fare in Kamikaze.”
“Se vuole pure me, deve spararmi. Non riuscirà a infilarmi nella centrifuga.”
“Ti rendi conto che è una follia?”
“Basta con questa storia del giubbotto, piuttosto cerca di restarne fuori, ti prego. Non sopporterei se dovessi... ”
“Non mi perderai” appoggiò la sua mano su quella forte e maschile. Era tesa e sudata.
“Io mi occuperò di te questa volta. Non lascerò che nessuno ti faccia del male. Se sopravvivrò a tutto questo mi occuperò di te” promise.
Temperance avrebbe voluto domandare: come amica o qualcos’altro? Ma non c’era tempo per i sentimentalismi.
Nella palestra della scuola da tempo nessuno si allenava più. Non si udiva più il fischietto del coach, né le ragazzine che si esercitavano sul trapezio. Desolazione e tenebre la facevano da padrona oltre all’odore agghiacciante.
Booth, capitanando la squadra d’assalto, si addentrò nei meandri di quel territorio ostile.
Immediatamente capirono che c’era qualcosa…qualcosa a cui non erano preparati. Una piccola casa prefabbricata, probabilmente la scena del crimine, occupava per intero lo spogliatoio, e lì, qualcosa di umano.
L’agente Seeley Booth parlò tramite il microfono con i colleghi. Avvicinò la bocca al polso e disse: “C’è qualcuno dentro, siate pronti a sparare se necessario.”
Con un calcio sfondò la -pseudo- porta. Quello che vide era la grottesca rappresentazione di una sala da pranzo abitata da una famiglia. Una becera riproduzione di quello che avrebbe dovuto essere un luogo dove genitori e figli consumano i loro pasti. Il malato di mente si era preoccupato pure di appuntare delle tendine fiorate ad improbabili finestre. La cucina, una cucina vera, con degli elettrodomestici perfettamente funzionanti, era posta a ferro di cavallo, e, in mezzo ad esso il tavolino di marmo dove molto probabilmente il killer scannava le sue vittime.
Booth non riusciva a credere a ciò che gli occhi rivelavano. E nemmeno il resto della squadra.
Sotto il tavolo, legato dalla vita, con le mani penzolanti, c’era Ian Emmerich. Indossava quella che avrebbe dovuto essere una divisa scolastica. Sotto di lui il vomito di qualche giorno, sangue e altri maleodoranti escrementi.
Si chinò per soccorrerlo “Ian, è finita, è tutto a posto” assicurò togliendogli dalla bocca un fazzoletto conficcato quassi fino alla gola.
“Booth, aiutami, il dolore mi sta uccidendo” esalò esprimendosi con difficoltà. Le prima parole articolate dopo chissà quante vessazioni.
“Ti libero subito, aspetta” si alzò richiamando a sé l’attenzione degli altri agenti: “tagliate le corde, svelti” tutti furono intorno al tavolino nel quale erano state fatte a pezzi sei donne e il capitano Osbron.
Booth fece da scudo con il corpo per impedire a Emmerich di cadere nei propri escrementi.
Temperance aiutò il collega a tirarsi fuori da quella posizione impropria. Era felice. Ian Emmerich era vivo. Malandato ma dannatamente vivo. E la vista del suo -quasi fidanzato- sporco di sangue e altre schifezze, la colpì immensamente.
Booth spostò il redivivo da sotto il tavolino sostenendolo. Trascinava a malapena le gambe. Si formò un cordone umano in mezzo al quale, l’unico sopravvissuto al killer della centrifuga, fu fatto passare.


Tutti i telegiornali d’America e non solo, trattarono il caso. La vicenda con esito finale positivo che riguardava l’agente speciale dell’FBI. Persino Rebecca sentì il bisogno di chiamare il padre di suo figlio. Lo trovò piuttosto indaffarato: “Ti richiamo appena ho un minuto di tempo. Tra giornalisti e tutte queste nuove prove che abbiamo sarò molto indaffarato nei prossimi giorni.”
“Sento che questo ti rende felice.”
“Lo sarei se li avessimo presi. Ci sono due killer da acciuffare, questo purtroppo è un fatto.”
“Bentornato Seeley, tutto cuore e distintivo” l’uomo rispose sospirando pesantemente,
“Lo so dove vuoi arrivare. Avevo giurato a Parker che avrei avuto più tempo per lui. E cercherò in tutti i modi di mantenere la promessa”.
Dopo aver chiuso la chiamata si fermò a riflettere, avrebbe preteso un orario più umano che gli consentisse di stare di più con suo figlio. Ma prima doveva acciuffare gli assassini.
Il capitano Ardich lo raggiunse, “Che ci fai qui Booth? Non dovresti essere a casa a riposarti, come ti ho ordinato?”
“Non ce la faccio. Vedere quel posto schifoso ed Emmerich in quelle condizioni mi ha messo addosso tanta di quella adrenalina… ”
“Lo vedo, sembri in trance agonistica.”
“Esatto. È sempre mio il caso?”
“Solo se torni a mangiare qualcosa. Come fai a darci una mano se non si tiene in piedi?” Booth annuì. Da quando era stato ritrovato Ian gli sembrava di respirare di nuovo. Stava uscendo dalla stasi. Ora finalmente l’orizzonte si schiariva. E tornare a sentire l’odore delle cose, il sapore, lo avrebbe reso euforico se solo non ci fosse stato nel suo futuro, l’oscura ombra del killer a minacciare la sua ritrovata tranquillità.


Brennan e la sua squadra visitarono la scena del crimine. Avrebbero studiato gli elementi gentilmente concessi dall’assassino della centrifuga. Hotgins si leccava già i baffi.
Saroyan si raccomandò con i suoi:“Ragazzi fate attenzione, non facciamoli pentire di averci concesso di studiare queste prove.”
Alla fine di una giornata estremamente faticosa, Temperance passò al laboratorio. Ci trovò Booth che l’aspettava.
“Che ci fai qui?”
“Andiamo a cena fuori”
“Festeggiamo il ritorno in vita di Emmerich?”
“Se ti va, principalmente ci vado per mangiare. Voglio uccidermi di colesterolo.”
“Perché questo masochismo?”
“Dicono che sia dimagrito troppo e pure tu non scherzi. Questo look alla Kate Moss non ti dona.”
“Chi è Kate Moss?”
“Una ex modella anoressica ma se preferisci Victoria Adams”
“Sono amiche tue?”
“Esatto. Sono uscito con loro” lei lo squadrò di sottecchi. Dal piglio sornione capì che si stava prendendo gioco di lei.
“Lavoro da undici ore, non ho mangiato praticamente niente di commestibile e mi vieni a dire che sembro una modella anoressica? Se voleva essere un complimento puoi fare di meglio.”
“Ti accompagno a casa così ti metti quel vestito trasparente che usasti per sedurmi, ricordi?”
“Non è mio, è di Angela.”
A quella lui esultò:“Lo sapevo, ti faceva sembrare una prostituta.”
“Lo so, ma Angela diceva che se non mi vestivo così tu non avresti capito il sottinteso.”
“Che volevi essere… amata?”
“Amata” ripeté. Tendendo gli angoli della bocca mise in evidenza le fossette. Booth trovava le sue fossette adorabili e ebbe voglia di baciarla. Di baciarla e altro...
“Va bene, lasciamo stare il vestito trasparente che è meglio. Metti un jeans, metti quello che ti pare ma muoviamoci.”
“Quello nello spogliatoio andrà benissimo. Andiamo in uno di quei postacci per dopolavoristi e nessuno farà caso se non profumo come se fossi appena uscita dalla doccia.”
“Così mi piaci Bones” le diede una pacca sulla spalla che la fece barcollare.


La coppia si recò nella pizzeria preferita dall’agente. Non fecero in tempo ad ordinare che il telefonino di lei squillò.
“Accidenti, è il laboratorio” confessò sconsolata.
“Niente da fare signorina, il suo orario di lavoro è terminato.”
“Fammi rispondere almeno” e così fece. A piè telefonata si alzò con aria delusa.
“Dove pensi di andare?”
“Credo sia importante Booth. Vogliono i risultati prima di domani.”
“Non capisco, le antropologhe forensi non mangiano e non dormono come i comuni mortali?”
“Hanno appena ricevuto l’abbigliamento che indossava Ian quando è stato trovato.”
“Mio Dio. Quell’orribile divisa scolastica” dopo averci pensato pochi secondi, esalò: “Vengo con te.”
“Non occorre.”
“Voglio essere di aiuto.”
“No, devi mangiare e poi devi andare da lui.”
Quell’affermazione fece calare un velo sul suo umore brillante: “Lo so, starai pensando che lo sto evitando.”
“Posso capirlo. Sei stato talmente provato da questa storia che ora sarebbe comprensibile che volessi tirartene fuori.”
“Proprio tu ti metti ad analizzarmi?”
“Non volevo analizzarti scusa. Quello che intendo farti capire è che non ha senso che tu venga ad assistere mentre esaminiamo quei reperti.”
“Ma io... ”
“Riflettici bene, dove preferisci essere nelle prossime ore, Booth: al Jeffersonian con me e gli altri che controlliamo cosa ci dice dell’assassino la divisa o al capezzale del tuo amico?”
Lo sguardo di lui si fece serio.
“Hai ragione, Bones, come sempre”.
Prima di lasciargli ordinare la sua pizza gli posò un bacio sulla fronte.
“Porta questo a Ian da parte mia” lui le sorrise e quando la vide al di là della vetrata, le lanciò un bacio teatrale.


Booth non era sicuro di essere sazio ma, via via che i minuti passavano, i sensi di colpa per non aver ancora raggiunto Ian in ospedale superarono tutto il resto. Rinunciò al dolce e si affrettò a pagare il conto.
Arrivato davanti al Policlinico visse un deja vu. Tornò a quella maledetta sera nella quale l’amico era stato ricoverato per un mancamento.
Camminò fino a raggiungere l’ascensore.
Se non avessi cenato nemmeno questa sera avrebbero dovuto farmi una flebo, rifletté.
“Non è orario di visite” intimò la Caposala quando lo vide entrare diretto nella stanza di Emmerich.
Rispose mostrando il distintivo. Lei annuì.
“Ce ne mancava un altro” spiattellò ad una collega non curandosi di essere udita o meno.
Una volta davanti alla porta, fu salutato dai colleghi che sorvegliavano l’accesso:
“Ragazzi, fate una pausa, sto io non lui”
“Ci andiamo a prendere da bere John?”
“Cazzo Matt, siamo in servizio” lo redarguì.
“Intendevo una Pepsi” bisticciando amichevolmente, si allontanarono da lui. Booth li seguì con lo sguardo sorridendo. Bussò per palesare la sua presenza.
“Emmerich, sono Booth. Ti sono venuto a trovare” entrò, “non ho trovato fiorai aperti dunque accontentati di me” osservò l’ambiente. L’unico letto della stanza era sfatto, ma del degente non c’era traccia.

mercoledì 18 marzo 2009

Un padre e un padre ultimi 3 capitoli


Un anno e mezzo dopo circa…


Gli uccellini appollaiati sul ramo intonarono il loro canto d’amore. La primavera sembrava spruzzare gioia da tutti i pori. In quell’angolo remoto d’Inghilterra il progresso sembrava non aver intaccato poi molto. La città era lontana. Il pericolo era lontano.
(questo romanzo potrebbe essere pubblicato, per questo la lettura viene sospesa)

lunedì 16 marzo 2009

Io con un uomo mai, capitolo 12




Capitolo 12


“Ti manca?”
“Pronto chi parla, pronto” la voce di Booth si era fatta grave.
“Ti manca il tuo amichetto?”dall’altro capo del ricevitore una voce resa metallica da uno strumento decriptante lo stava provocando.
“Ma chi sei, parla!”
“Non sai quanto è divertente con voi superuomini. Veramente divertente. Quando avete paura di morire siete peggio delle donnette. Aveva ragione il mio collega. E poi è stato un gioco da ragazzi prenderlo” Booth cominciò a sudare freddo. L’S.I. lo aveva chiamato, e lui non riusciva a spiccicare una sola parola sensata. Era completamente inerte, dalla sorpresa, dall’adrenalina che saliva.
“Le tue amiche si stanno divertendo a ricostruire il loro puzzle umano”
“Dimmi dove sei, subito!” certo non lo avrebbe detto mai, il killer della centrifuga, ma tanto valeva perdere tempo. Vedendolo così sconvolto, si formò un cerchio attorno a lui. Alcuni credevano stesse parlando con il Jeffersonian, nessuno poteva pensare ad un a realtà del genere.
“Sì, è stato un gioco da ragazzi tirarlo fuori da quel letto. Booth, gridava. Sì, gridava il tuo nome, ha perso la voce a forza di chiamarti, ci teneva tanto a te, peccato”
“Perché, perché parli al passato, maledetto che gli hai fatto, che gli hai fatto?” berciò. Booth era fuori di sé. Per qualche nanosecondo quella telefonata gli aveva riacceso una piccola speranza, ma il fatto che il killer non parlasse al presente faceva capire fin troppo.
“Che mammolette questi agenti dell’FBI, davvero delle mammolette” chiuse. Il capannello attorno a lui era diventato vociante. Tutti volevano sapere. Ma Seeley Booth non aveva voglia di parlare. Non c’era tempo di parlare. E la busta delle dimissioni che aveva tenuto fieramente in mano stava per divenire poltiglia. Ora che Ian Emmerich era una vittima del killer della centrifuga, l’FBI lo avrebbe cercato. Jasen Ardich, capitano fresco di nomina, uscì dal suo ufficio attirato dal baccano. Una volta che fu ragguagliato di quanto successo, raggiunse l’agente perno centrale di quel caos.
“Booth, stia tranquillo, questa volta lo prenderemo” fece sapere squadrandolo fieramente.


Cam e Bones lavorarono ai resti fino alle due del pomeriggio. Di una cosa furono concordi fin dall’inizio: era opera del serial killer. Solo verso l’ora del tè furono concordi anche su altro.
Temperance Brennan presa la sua auto sportiva e spinse l’acceleratore a manetta. Era la prima volta che superava le settanta miglia e non gli importava se rischiava di prendere multe su multe, o peggio, di andare a sbattere. Ma non voleva chiamarlo. Avrebbe dovuto dirglielo guardandolo negli occhi.
Arrivò agli uffici dell’FBI come una furia. Si dimenticò di chiedere il pass ma ci pensarono gli agenti di guardia a richiamarla all’ordine. Si appiattì i capelli prima di precipitarsi nell’ufficio di Booth. Si stupì di tutto quel disordine. Chiese informazioni ad una giovane donna:
“Che sta succedendo?”
“Lei è la dottoressa Brennan?”
“Sì, sono io”
“Credo che abbiano cercato di contattarla” nell’ansia di parlare con Booth, Temperance si era dimenticata il telefonino al laboratorio.
“Che è successo?”
“Il killer ha telefonato all’agente Booth”
“Ecco perché... ”
“Credo che gli abbia fatto sapere che Ian Emmerich è… è andato”
Booth si fece largo tra le persone per parlare con Temperance.
“Booth io... ”
“Perché sei qui? Ti hanno trovato?”
“Booth mi dispiace, ero così felice”
“Felice?”
“Rinfrancata, quanto meno, sì dal fatto che non fosse Ian”
“Il cadavere? Siete riusciti a riconoscerlo?”
“Siamo riusciti a ricostruire una mandibola e da quella risalire al sesso. Era in pessime condizioni come puoi immaginare. Ma il fatto principale è che non è nella maniera più assoluta Ian Emmerich”
In quella intervenne il capitano:“Dottoressa Brennan, questo vuol dire che ci troviamo di fronte ad una nuova vittima del serial killer”
“Sì, proprio così. Si tratta di una donna, tra i trenata cinque e i quaranta”
“Allora sappiamo già chi è visto che negli ultimi giorni nel nostro distretto sono sparite solo due donne e una di loro ha chiamato proprio questa mattina per dire che è in Alaska”
“Ellen Hunter, dovremmo dare la notizia alla famiglia prima che ci pensino i media” esalò rassegnato Booth. Finalmente Temperance riuscì a restare sola con lui. La telefonata fu esposta in maniera dettagliata.
“Booth, credimi, io posso solo immaginare quello che stai provando, ma non abbiamo niente di concreto, per fortuna, per supporre che l’abbia fatto fuori”
“Grazie per quello che stai cercando di fare. Vuoi consolarmi, ma non funziona così. Una testa per pensare nonostante tutto la ho. Cristo, se tu sentissi con quale sufficienza parlava” un’espressione di disgusto sfigurò il bel volto.
“Quello che conta ora è che non abbiamo niente, nemmeno una sola cellula epiteliale di Emmerich. Fino a prova contraria potrebbe non avergli torto nemmeno un capello”
“Stiamo ancora parlando di quello spietato killer che ha triturato una povera madre di famiglia, anzi, rettifico: parecchie madri di famiglia?”
“Booth”
Dopo un lungo squadro carico di tensione, si abbracciarono. Il primo contatto fisico dopo giorni.
“Credi nell’empatia?”
“Vorrei crederci, ora”
“Se ci credi veramente Booth, sai che lui c’è ancora. Che è vivo. Se ci credi veramente forse lo troverai”
“Non avrei mai immaginato di sentirti parlare così” Booth era veramente sorpreso. Gli scappò un sorriso.
“Perché una scienziata razionale come me non crede a queste cose, vero?”
“Non solo, voglio dire: so che non avresti mai augurato del male a Ian, però... arrivare a temere per la sua sorte in questa maniera”
“E ti sei chiesto perché?”
“Probabilmente non ne ho avuto il tempo” sospirò avvicinando il volto a quello di lei “ti va di dirmelo?”
“Vuoi saperlo davvero?”
“Assolutamente, lo devo sapere Bones”.


Al Jeffersonian le ricerche si stavano facendo più scrupolose che mai. La polizia stava avvisando i famigliari di Ellen Hunter che la loro madre non avrebbe più cucinato frittelle a colazione. Come nel disegno del serial killer che uccide le madri per bearsi della loro assenza.
“Ma allora perché prendersela con il povero Ian?” domandò ad alta voce Angela Montenegro.
“Se il suo disegno iniziale è quello di fare fuori madri di famiglia, perché rapire un giovane agente FBI?”
Cam prese a cuore la sua domanda.
“Dalle parole che ha detto a Booth si evince che prova un gran piacere sadico nel sapere il poveretto così straziato”
“Come gode nel pensare ai poveri vedovi e ai loro figli”
“Già”
“Il nostro sexy Profiler sarebbe fiero di noi, Saroyan”
“Credo proprio di sì”
Hodgins irruppe nel dialogo.
“Cosa fa pensare che il nostro serial killer sia rinchiuso in una scuola, anzi, in un vecchio istituto abbandonato?”
“Jack, parla, che hai scoperto?”
“Le particelle di quella sostanza che forma il linoleum che pavimenta, anzi che pavimentava le palestre delle nostre vecchie scuole non si usa più da molto, è stato sostituito con materiali eco compatibili. Ne ho trovate delle tracce nelle unghie di Ellen. Probabilmente deve aver grattato il pavimento. Poiché quel linoleum è fuori mercato dal millenovecentonovantasette, tutto ciò ci porta ad una sola scuola: L’istituto femminile Bernardette, di Brighwood. Non è neanche tanto lontano da qui”
“Dobbiamo subito avvisare l’FBI; e Temperance” il volto di Angela era scarlatto.
“Niente da fare, il suo cellulare è rimasto qui. È tutto il santo giorno che squilla”
“Allora chiamiamo Booth. Sarà più che contento di sapere cosa ha scoperto Hodgins”
“Ci vorrà la squadra d’assalto”
“Sono certa che Temperance vorrà esserci” concluse Angela. Il pensiero della cara amica non l’abbandonava mai”.


Booth e Brennan erano faccia a faccia nell’ufficio dell’agente. Le pupille della donna si dilatarono “Il motivo per il quale vorrei con tutto il cuore che Ian fosse vivo è... chiaro”
“Cosa intendi?”
“Booth è chiaro, è chiaro che se lui è stato ucciso dal killer della centrifuga tu mi resterai distante. Non potrai più guardarmi con gli stessi occhi, niente potrà tornare come prima”
“Se lui fosse vivo... ”
“Chissà... ”
“Posso capire quello che provi ma non è così. Non sono io l’uomo con il quale hai avuto a che fare negli ultimi sette giorni”
“Non penso che tu sia stato cattivo o crudele miei confronti. Ma quello che ho pensato e che penso tutt’ora è che Ian Emmeirch è molto più temibile da morto che da vivo. Posso sembrarti cinica, me ne rendo conto. Non ho mai odiato nessuno al punto di pregare per la sua morte, nemmeno chi ha ucciso mia madre. Figuriamoci lui. Mi era persino simpatico a volte... ”
Tornarono ad abbracciarsi. La donna alzò il volto per guardarlo negli occhi, fece per aprire la bocca ma lui la frenò poggiando due dita morbidamente sulle labbra.
“Non parliamo più di lui, anzi non parliamo più e basta. È arrivato il momento di agire” furono interrotti dal telefono di Booth. Raggelò. Poteva essere di nuovo il killer.
“Pronto” il silenzio la fece da padrona per alcuni secondi per rompersi con una specie di ululato di vittoria.
“Che succede Booth, chi è?”
“I tuoi colleghi sanno dove potrebbe essere il killer. Dobbiamo allertare la squadra speciale”. I minuti a seguire fu una concitata corsa contro il tempo.

domenica 15 marzo 2009

Bordeline, quattro è il numero perfetto cap 3


Jason Bird


Capitolo 3


La macchina di Jake Keane era una fuoriserie tedesca.
“Cristo è allucinante quanto è bella questa BMW! Sedili in pelle, cambio automatico, per non parlare dell’elettronica, sembra un computer! Frugare vagine è proprio ben pagato.”
“No, è un regalo di Liam” così dicendo si avvicinò a lui e gli baciò il collo.
“Heath, tu stai tremando”
“Un po’. Non è che qui ci vede qualcuno?”
“Secondo te perché avrei dato quella mancia esagerata al posteggiatore?”
“Capito” Heath provò a rilassarsi sul sedile mentre le mani esperte del ginecologo gli aprivano la patta liberando l’erezione.
“Lo sai che questa auto ha anche un ottimo sedile ribaltabile” allungò una mano e l’altro si ritrovò con il viso rivolto verso il tettuccio.
“Così mi piaci piccolo” gli leccò le labbra come se gustasse un delizioso frutto. L’altro catturò la testa e lo strinse a sé. Quando le bocche si staccarono, quella di Jake si spostò sul collo. Di lì a poco mappò il torace. Era liscio e muscoloso. Il gioco erotico volse alla fine nel momento che, esasperato, Heath non diresse l’erezione tra i denti. Jake ci si dedicò finché il ‘lavoro’ non fu portato a termine.
“Ne avevo proprio bisogno” asserì tirandosi su a sedere. La sua erezione era ben visibile attraverso la stoffa dei pantaloni. Divenne serio.
“Vuoi un fazzolettino?” chiese Heath riferendosi alla bocca che aveva appena insudiciato.
“Non importa” Jake chiuse gli occhi. Sembrava triste, pensieroso. Forse si è pentito e sta pensando al suo uomo a casa da solo che dorme. Rifletté il biondino. Tra poco anche lui si sarebbe sentito in colpa, ma la fellatio di Jake era stata talmente straordinaria da sentirsi ancora tra le nuvole. Era in paradiso e non voleva scendere a nessuno costo sulla terra.
“Ti rendo il favore?”
“Grazie, sei un tesoro. Ma è tardi e non voglio che Liam pensi che me ne vado a ciucciare cazzi a destra e manca” Heath sbottò in una risata amara.
“Ad ogni modo... mi è piaciuto un sacco.”
“Anche a me Jake... ”
“Non intendo l’atto. In realtà volevo dire che… sei tu che mi piaci un sacco” si chinò per catturare le labbra ma l’altro si scansò un tantino schifato.
“Che c’è?”
“E per via dello... ” timidamente Heath indicò i lati della bocca.
“Ti da fastidio!?”
“Beh... in effetti.”
“Vuoi dire che tu non vieni in bocca al tuo ragazzo e poi lui bacia?”
“Beh sì, ma dopo che si è lavato i denti.”
“Oddio, come è antierotico il dentifricio in tutto questo discorso. Io e Liam potremmo scrivere un saggio su i vari usi e consumi dello sperma!”
“Un saggio o un libro di ricette? Cristo è disgustoso, non verrei mai a cena da voi, giuro” il tono si era fatto ironico e Jake sorrise costatando che avevano lo stesso senso dell’umorismo.
“Non l’abbiamo mai cotto, se è questo che vuoi dire, però è da prendere in considerazione. Tuttavia mi stupisco che tu non ricambi il favore al tuo ragazzo. È fantastico.”
“A me fa impressione. Ma capisco il tuo punto di vista. Will dice che senza ingoio un pompino non è un pompino.”
“Perfettamente d’accordo con Will. Anche a me piace mandare giù nonostante la mia professione non sono affatto schizzinoso.”
“Lo sai che stai parlando troppo? Il tempo di tutte queste chiacchiere avrei potuto farti venire.”
Jake si pulì la bocca accettando finalmente il fazzoletto. Si avvicinò a lui.
“Voglio venire, voglio venire con te, sì. Ma con te dentro” Heath deglutì imbarazzato. Ne aveva una voglia matta e, sentirselo confermare dal suo ‘adone’, gli procurava un’emozione senza precedenti. Si baciarono. Heath percepì il sapore di sperma. Il suo sperma. E non ne fu affatto disgustato.

Liam si tirò in piedi di scatto. Il rumore della porta lo aveva svegliato. Era certo di aver sentito rientrare Jake da oltre un’ora. Capì di essersi sbagliato. Indossava soltanto un paio di boxer neri aderenti. Nonostante avesse superato i quaranta da poco i quaranta, aveva un fisico da fare invidia a un ventenne. Si teneva in forma con la palestra, curando l’alimentazione e sì, era ricorso pure alla chirurgia estetica per togliere dei microscopici rotoletti sui fianchi.
“Jake. ”
“Amore, sei ancora sveglio?” affermò mentre si toglieva il vestito per poi appoggiare tutto distrattamente sul divano. L’indomani Soraya, la loro fidata domestica cubana, avrebbe riassettato tutto.
“Stavo dormendo quando ti ho sentito rientrare. È quasi l’una, dove sei stato?”
“Niente di ché, ho visto dei vecchi amici e poi, tra una chiacchiera e l’altra..” Liam lo prese tra le braccia. Gli scarmigliò i capelli scuri per poi cercare le sue labbra ancora gonfie di baci e di passione.
“Possibile che diventi ogni giorno più bello? Possibile che dopo dodici anni insieme mi piaci ogni giorno di più?”
“Per me è lo stesso Li.”
“Andiamo a letto” affermò. Lo prese per la vita e lo trascinò in camera. Si chinò su di lui e gli tolse lo slip. Notò la macchia che troneggiava sul tessuto dell’intimo.
“Serata eccitante.”
“Ho perso un po’ di lubrificante, in effetti.”
“Ora ci penso io a mettere le cose a posto, bellezza” accarezzò i testicoli e, di rimando, il beneficiario iniziò a mugugnare. Lo svuotò per bene aiutandosi con la bocca sul sesso e con le dita titillando il punto speciale. Jake ansimò per qualche secondo prima di riprendere il controllo di sé. Chissà se Heath sarebbe stato così bravo. Si domandò. Si sentì prosaico e confuso mentre Liam nettava con la bocca il torace.
“Piccolo ne avevi proprio bisogno, eri pieno.”
“Grazie amore... ”

Heath cominciò a sentirsi in colpa a partire dalle sette del mattino. William aveva scaldato le brioche e spremuto quattro arance. L’aspetto del succo era magnifico.
“Grazie per la colazione.”
“Figurati, per così poco” si salutarono con un bacio a fior di labbra.
“Stai scappando o sbaglio?”
“Devo arrivare dall’altra parte delle città entro le otto” disse infilandosi un paio di scarpe nere lucide, “Come sta tua madre?”
“Bene, ti saluta” rispose cercando di essere naturale. Addentò una pasta. Era squisita.
“Dovremmo invitarla a cena una di queste sere.”
“Perché no” il sorriso di Heath divenne preoccupato. E se uscisse fuori questa mancata visita? Cominciò a dubitare di essere portato per l’infedeltà. Ma quando si ritrovò solo con i suoi pensieri, il ricordo di Jake , il bellissimo dottor Jake Keane, cominciò a prendere forma. Gli piaceva da impazzire e, da quanto aveva affermato, anche lui era parecchio preso. Gli piaccio, a detto che gli piaccio. Pensò, sono o non sono l’uomo più felice di New York? Iniziò a riordinare la casa sentendosi come Samantha di Vita da strega. A lei però bastava strofinare il naso, a Heath costò un bel po’ di sudore. Quando fu convinto di essersi guadagnato il diritto di un sano bagno caldo, suonarono alla porta.
“Stacy, qual buon vento?”
“Devo drogarmi, e di droghe buone.”
“Ma che stai dicendo?”
“Vanilla ha cominciato a tirare bene e mi sta succhiando anche l’anima.”
“Non sei contenta? Ora le tue tette non scoppieranno più.”
“Già ma scoppierò io; stanotte quattro volte. Mi sento come una mucca!”
“Passa all’allattamento artificiale?”
“Heath, ma che cazzo dici? Si vede che qui ci abitano due finocchi guarda un po’ che casa ordinata” sbottò ispezionando l’ambiente. Vanilla cominciò ad urlare, nel suo linguaggio, che aveva fame.
“Ecco ci risiamo” Stacy si tirò fuori un seno. “Niente latte artificiale. Quelle del corso mi farebbero alla griglia. Preferirebbero lasciare che un bimbo muoia di fame piuttosto che dargli un goccetto di quello in polvere.”
“Però in effetti... ”
“Cazzo, lo so, è più sano. Ma io sono una mamma single,per di più disoccupata. Lo sai che stanno facendo le audizioni per Hairspray no?”
“Certo lo sentito. In ogni caso non mi illudo. Per la parte di Zac Efron avranno pensato a... Zac Efron”
“No, figurati se quella checca viene a farsi il culo a Broadway. E John Travolta? Ti piacerebbe quel ruolo? Non staresti male con un po’ di ciccia.”
“Falla tu, non avresti bisogno nemmeno del trucco.”
“Balle, mi mancano tredici chili e sono quella di prima.”
“E ti sembrano pochi?”
“Le cantanti non devono per forza essere magre.”
“Dolcezza, tu non hai mai avuto questo problema.”
“Ok, e allora? Agli uomini veri, un po’ di ciccia piace.”
“Il dottor Keane mi ha fatto un pompino”
“EH?”
“Hai capito bene, ieri sera” Stacy per poco non scivolò dalla poltrona rischiando di trascinare dietro sé la poppante.
“Mi prendi per il culo?”
“Siamo stati a cena da Frank’s e poi, nel parcheggio... ”
“Cristo Heath! Hai fatto sesso con il mio ginecologo!” Stacy stava per dire qualcosa di spiacevole
“È stato inevitabile, ma tu a questo punto non dovresti accusarmi per aver tradito Will? Che problema è se si tratta del tuo ginecologo o di un altro?”
“Sei una puttana, te ne rendi conto?”
“Lo so.”
“Va bene, se proprio ci tieni parliamo di William.”
“Lui... non lo sa, chiaro. Si ucciderebbe se sapesse, e poi ucciderebbe me.”
“Magari il contrario, oppure lui si ucciderebbe e poi io verrei ad uccidere te. Oddio questa notizia potrebbe mandarmi indietro il latte, lo sai?”
“Mi dispiace” era depresso sul serio, “non è solo il pompino, che tra l’altro è stato fantastico.”
“William non te ne fa abbastanza? Mi hai sempre detto che a letto fate faville.”
“Infatti è così, se mi fai finire di parlare, Cristo! Non è solo il sesso, insomma credo di avere una spettacolare cotta. Lui mi piace, mi piace tanto.”
“Vuoi avere una storia con lui?”
“No cara, non hai capito. Io ce l’ho già una storia con lui” Vanilla fece un rutto esagerato. Per poi crollare in uno sonno catartico tra le braccia della madre. Stacy la trasferì sul passeggino.
“Ho voglia di vomitare.”
“Anch’io.”
“Perché me lo hai detto? Ora non mi sentirei così se una volta ogni tanto tenessi la tua bocca fetida chiusa.”
“Sei la mia migliore amica, no?”
“Sì, la tua e di William.”
“Non mi fai stare meglio. Se tu fossi veramente mia amica, a questo punto... non so, dovresti dire qualcosa di saggio. Qualcosa che mi faccia stare meglio.”
“Ecco cosa non va in voi gay. Tre anni e mezzo di idillio amoroso, stai con il maschio finocchio più bello e ambito dello stato di New York e tu che fai? Infili l’uccello nella bocca del primo che passa?”
“Non intendevo questo quando parlavo di qualcosa che mi faccia stare meglio.”
“Perché non voglio farti stare meglio, Cristo! E ora ho bisogno di dolce! Hai del gelato?”
“No, non mi pare.”
“Allora tienimi la bambina, per colpa tua mi toccherà andare da Mcdonald’s e abbuffarmi di Apple pie” . Stacy non scherzava. E se ne andò sbattendo la porta.

giovedì 12 marzo 2009

Un padre e un padre 6





L’ultimo giorno dell’anno


I giorni successivi al Natale furono tutti meravigliosi per Padre Julian, soprattutto le notti furono da ricordare. Ogni sera, ultimata la cena, Robert Pange si introduceva furtivamente nella camera del suo amante. Non potendo lasciare i bambini a lungo da soli, prima che fosse notte sul serio, se ne andava lasciando un
(questo racconto potrebbe diventare un romanzo, per questo la lettura è per ora sospesa)

mercoledì 11 marzo 2009

Io con un uomo mai capitolo 11


Capitolo 11



A tre giorni dalla sparizione dell’agente speciale Ian Emmerich anche il mass media avevano preso a cuore la vicenda.
Temperance fece per uscire dal locale ma desistette quando la speaker di colore che stava conducendo una trasmissione completamente dedicata al killer della centrifuga, annunciò:
“I sospetti che il rapimento dell’agente FBI Ian Emmerich, specializzato in analisi comportamentale, prelevato dal pronto soccorso due giorni fa, sia opera del mostro della centrifuga, stanno prepotentemente prendendo piede” inorridì. Quando Booth sentirà queste illazioni perderà di nuovo la testa. Da quando Ian era sparito non era più in sé. Aveva litigato con un superiore per potersi occupare del caso ma, in quel momento, non era competenza dei federali. Non lo sarebbe stata finché non fosse saltata fuori qualche piccola prova che collegasse il rapimento al killer di cui si occupava la Tack Force, la stessa della quale faceva parte Emmerich.


Booth non riusciva più a capire dove finissero gli incubi ed iniziasse la realtà e quasi sempre la realtà era peggio degli incubi con i quali doveva fronteggiare ogni notte. Quella mattina la voce di Ian la sentì nitida “Aiutami, Booth, ti prego, aiutami” gli gridava. E quel rumore, quel sordido rumore come di acqua e indumenti. E poi quello finale, violento e dinamico, la centrifuga. La voce di Emmerich proveniva direttamente da dentro la lavatrice. Improvvisamente dall’oblò uscivano fiotti di sangue umano. Non c’era più voce, niente che lo riconducesse all’amico. La scena cambiava ed era al Jeffersonian, e tutti gli confermavano che erano stati rinvenuti i resti dell’agente. Con passo claudicante, si avvicinava alle povere spoglie. Non erano pezzetti di carne maciullata, questa volta il corpo c’era tutto. Tutto tranne il cuore. Il killer aveva scavato un buco sul torace e prelevato il muscolo cardiaco. L’incubo terminava con lui che infilava la mano nel petto alla ricerca dell’organo perduto. Una voce misteriosa mai ascoltata rivelava: “Troppo tardi, lo hai perso”.
Si svegliò in un lago di sudore. Si toccò la fronte. Come al solito fu assalito dal panico: che motivo ho di alzarmi? Si disse. Eppure c’era Bones, c’era suo figlio, il suo lavoro.
Tutto ciò che fino a qualche giorno prima lo aveva reso felice non aveva più sapore, non aveva più colore. La notte d’amore con Temperance... era divenuta una spina nel fianco. Aveva fatto appassionatamente l’amore con lei mentre il suo amico veniva trascinato di forza verso morte certa. Una morte orrenda. Si sentiva tremendamente in colpa. Con Emmerich, e persino con Bones. Sapeva che lei non c’entrava e che avrebbe dovuto continuare quello che aveva appena iniziato come se niente fosse. La loro storia d’amore non doveva andarci di mezzo. Ma la sola idea di qualsiasi cosa romantica in particolare del sesso, lo disgustava. Continuava a vedersi tra le braccia di lei, a godere con lei, e dall’altra parte, in un immaginario schermo, veniva proiettata la scena di Ian strappato con forza dal suo giaciglio.
Aiutami, Booth, ti prego, aiutami, quella voce continuava a sentirla nella sua testa come un ronzio senza fine. E poi c’erano gli altri ricordi, quelli belli, quelli che lo facevano probabilmente stare peggio. Ian sorridente, Ian che scherza e che sfotte i colleghi, Ian che gli fa gli occhi dolci o che lo prende in giro. Ian con la salsa agrodolce fin sopra i capelli. Ian che lo bacia. Ian che canta per lui. Chiuse gli occhi e una lacrima scese sebbene avesse rinunciato persino di piangere. Era sentirsi così impotente che faceva più male, non poteva nemmeno indagare sul caso. E se mai fosse stato rinvenuto il suo cadavere, probabilmente ridotto in mille pezzettini, sarebbe stata Bones a dargli la notizia. Lo sconforto fu tale che sentì il bisogno di vomitare. Al bagno scoprì la lavatrice in funzione. Guardò come ipnotizzato il movimento dell’acqua mischiata al sapone. Ascoltò il gorgoglio. Capì che stava per cedere ad un nuovo attacco di panico. Sentì il bisogno di spegnerla ma non vi riuscì. Lo stomaco si tese in uno spasmo e iniziò a rimettere.


Al Jeffersonian si respirava un aria tesa. Nessuno aveva voglia di fare battute, né di parlare del caso Emmerich. E la più provata di tutti era certamente Brennan. Angela era rattristata per la possibile sorte di quel bel giovane ma era ancora di più in ansia per l’amica. Da quando si conoscevano non l’aveva mai vista così abbattuta.
“Piccola, posso fare qualcosa per te?” le disse appoggiando i palmi sulle spalle.
“Sono stata da lui questa mattina, aveva appena vomitato. Sta a pezzi Angela, sta a pezzi e io non posso farci niente”
“Tesoro sei a pezzi pure tu, ma ti sei vista? Da quando non ti lavi i capelli?”
“Che importa? Ti prego pensiamo al lavoro”
“Non è colpa tua. Smetti di sentirti in colpa”
“Per Booth sì”
“Non è così, sarebbe pazzo se pensasse che tu c’entri qualcosa”
“Lui era con me mentre rapivano Ian. Questo non riesce a perdonarsi, e, di conseguenza, non riesce a perdonare me”
“Gli passerà. Quando questa brutta storia sarà finita tornerete ad essere felici, vedrai”
“E come? Con il fantasma Ian Emmerich sempre tra noi? Non saremo più felici, non saremo nemmeno più amici” Angela la guardò tristemente. Ebbe il dubbio che le paure di Temperance fossero fondate. Nemmeno lei si capacitava di Booth in quello stato. Sapeva che era affezionato a Ian, sapeva che probabilmente c’era qualcosa di forte tra loro, ma mai e poi mai avrebbe pensato che sarebbe crollato in quella maniera. Appena trovata la forza di riprendere il lavoro, Cam entrò nel laboratorio portandosi dietro una faccia funerea che non prometteva niente di buono
“Ragazze purtroppo io... ”
“Oddio” esalò la Montenegro toccandosi le guance.
“Ci sono i resti di un cadavere non identificabile all’obitorio. Il Coroner non è riuscito a raccapezzarci molto. Lo portano qui”
Angela si avvide subito del pallore improvviso dell’amica: “Temperance ti senti bene?” finì la frase andandosi a mettere al suo fianco. La dottoressa aveva avuto un leggero mancamento.
“Non è niente, non mangio da ieri, probabilmente un calo di zuccheri”
“Dottoressa Brennan, se non se la sente... ” asserì Saroyan tristemente.
“No, è il mio lavoro, portatelo pure qui, se è opera dell’assassino della centrifuga è compito mio. Faccio parte della Tack Force dunque... ” le due donne la guardarono intensamente.


Anche Booth venne a sapere del cadavere.
Poco prima che i resti umani raggiungessero la fredda base nella quale avrebbero lavorato Brennan e il suo staff, Cam ragguagliò Booth. Temperance fu grata alla donna di averlo fatto al suo posto.
“Cosa ha detto?”
“Niente, la cosa buona è che non si trova a casa da solo ma in mezzo a dei colleghi”
“Anche se fosse stato da solo non avrebbe mai... ”
“Fatto una sciocchezza? No, non lo avrebbe fatto. Booth è uno duro. Probabilmente avrebbe preso a cazzotti il muro e lo avremmo visto con le dita fasciate nei prossimi giorni”
“Pensi che è quello che farà quando gli diremo che”
“Basta Temperance, basta! Quel cadavere non appartiene a Ian Emmerich. Cerchiamo di essere ottimisti una volta tanto”
“Scusa Cam ma non ce la faccio ad essere ottimista, non ce la faccio più” Brennan stava per cedere. L’idea di mettere le mani sulle povere spoglie di quel ragazzo che aveva detestato e di cui si era sentita gelosa, la mettevano K.O. ma quello che la faceva sentire peggio, erano le conseguenze. Quando, una volta rimesso insieme il teschio o quello che ne restava, Angela avrebbe ricreato al computer il bel volto del Profiler, si sarebbe sentita morire, lo sapeva. Era incredibile come una donna navigata e dal sangue freddo come era lei stesse prendendo a cuore la scomparsa di un agente dell’FBI. Ma tutto riportava a lui, a Seeley Booth. Il mio amante meraviglioso di una sola notte.
Angela la raggiunse con un bicchiere di succo d’arancia.
“Bevilo, ti farà bene”
“Non lo voglio”
“Non fare la bambina tesoro, come fai a lavorare se non hai nemmeno la forza di tenerti in piedi?” proprio in quel momento, gli addetti giunsero con la lettiga.


Booth chiamò la madre di suo figlio. Aveva bisogno di continuare a vivere per lui ma doveva trovare qualcosa per la quale valesse la pena vivere.
“Rebecca, voglio parlare con Parker ti prego”
“Seeley lo so, ho saputo. Immagino, sarai sconvolto”
“Ti prego, fammi parlare con Parker”
“Va bene”
Il bambino fu interrotto mentre finiva di montare le rotaie del suo trenino preferito, un regalo di suo padre.
“Papà!”
“Parker, cosa stai facendo?”
“Sto giocando con gli scambi!”
“Il nostro trenino, bello! Potevamo farlo insieme”
“Ma tu non ci sei mai”
“Ti prometto che passeremo molto tempo nei prossimi giorni” così dicendo strinse forte la busta che teneva stretta in mano.
“Che bello papà, lo dico subito alla mamma!” dopo un rumore secco, Rebecca prese il mano il telefono.
“Cristo Seeley, ma sei impazzito forse?”
“Che vuoi dire?”
“Hai appena assicurato a Parker che passerai più tempo con lui quando sai benissimo che è una promessa che non puoi mantenere”
“Scusa ma questo potrebbe essere vero, anzi, quasi sicuramente sarà così, purtroppo”
“Continuo a non capire, che succede?”
“Rebecca, io sto per rassegnare le mie dimissioni”.
Booth aveva deciso di mollare. Era stata una scelta più che sofferta ma non poteva andare avanti così. Si stava torturando da troppe ore, da giorni ormai. I sensi di colpa nei confronti del collega non lo avrebbero abbandonato questo era certo, ma se il cadavere che proprio in quel momento stavano identificando al Jeffersonian era di Ian, lui non poteva continuare ad essere un agente dell’FBI. Non solo perché si sentiva dannatamente in colpa. No, non sarebbe più riuscito ad aiutare nessuno, aveva fallito su tutti i fronti. Con Ian, con Bones che si fidava di lui, con se stesso. Se solo fossi stato con lui. Se avessi continuato a tenergli la mano, tutta la notte. Si stava straziando. E quelle sensazioni, continuando ad essere un’angente FBI, non solo non sarebbero passate, si sarebbero acutizzate. Avrebbe visto i fantasmi di Ian Emmerich ad ogni angolo pronti a farlo sentire ancora più solo. Non sarebbe più riuscito ad amare nessuno, magari Bones, con il tempo forse... avrebbe potuto tollerarla. Tornare da lei, pretendere perdono, come poteva ora? No, ora doveva lasciarla in pace. Lei avrebbe identificato l’uomo dal quale si era sentito tanto attratto e che ora vedeva solo come un corpo esamine a cui era stato tolto il cuore, ma non era stato il killer a prenderlo, perché il cuore a Ian lo aveva rubato lui. Sì, ora che non c’erano più possibilità di dare un seguito a quella storia, ora capiva quanto Ian lo avesse amato e fosse pronto a dare tutto per lui. Anche il suo cuore. La consapevolezza che non sarebbero più stati insieme, che non l’avrebbe più toccato, che niente di ciò che era terreno sarebbe stato possibile tra loro, che la loro -quasi- storia sarebbe stata sì eterna come un quadro dalla bellezza stupefacente. Ma morto. Quella consapevolezza lo stava uccidendo lentamente. Incrociò con gli occhi la persona a cui avrebbe consegnato le dimissioni. Doveva solo attendere la telefonata. E il telefono maledetto vibrò.


Camille Saroyan si abbassò per tirare giù la cerniera contenente i resti del soggetto sconosciuto. Guardò le carni straziate sconcertata.
“Mio Dio Brenann, questo è uno scempio. Avremmo da lavorarci tutta la mattina”.

domenica 8 marzo 2009

Io con un uomo mai, capitolo 10




Capitolo 10


Era indubbiamente una proposta accattivante. E Temperance decise di non pensarci troppo. Perché se ci avesse riflettuto su, avrebbe finito per pensare a Ian, a quello che lo legava a Booth e sarebbe scappata di nuovo. No, quella sera non voleva scappare. Voleva stare tra le sue braccia. Voleva la passione, voleva il sogno. Loro due meritava il sogno, dopo tutto. Meritavano di essere felici.
Booth pagò il conto del bar. Alle undici erano di nuovo a casa sua e, questa volta, nulla si sarebbe frapposto.
Non erano solo due corpi che si amavano, anche le loro anime si stavano amando mentre i vestiti, lentamente, lasciavano intravedere i corpi nudi, i muscoli tesi, il sudore che si mischiava come fosse vento e pioggia. La neve cadeva fuori dalla finestra fresca come la seta mentre il bacino di lei si avvicinava a quello di lui.
Si entrarono dentro. Non solo lei lo stava accogliendo, anche lui, in un certo senso, stava accogliendo lei. E il piacere che dava era solo un’infinitesimale parte di quello che sentiva nel cuore. Quando furono uniti del tutto le labbra si scontrarono creando scintille. Lui mormorò qualcosa che lei non capì. Temperance riusciva solo a percepire le ondate di piacere che si irradiavano su tutto il corpo in una spirale da lasciarla senza fiato. Se avesse proseguito così lentamente, l’avrebbe uccisa di piacere. Erano solo pochi secondi che Booth era in lei e sentiva già nitidamente l’esigenza di arrivare.
“Booth ti prego” sussurrò tra gli ansiti
“Cosa?”
“Muoviti più forte” Booth capì e l’afferrò per i fianchi non ponderando più le spinte. La prese con veemenza fino a farla esplodere in un orgasmo così intenso che la fece gridare. Le unghie si conficcarono sulla pelle. Non era un vero graffio, si stava aggrappando a lui per non volare lontana. Come se il piacere fosse stato un vortice capace di squarciarla. Si sentì come se stesse precipitando da un precipizio. Quando sembrava che tutto stesse per cessare venne di nuovo. Non le era mai accaduto prima. Questa volta artigliò con le gambe alla vita dell’amante e cercò di trattenersi dall’urlare. Ma fu uno sforzo inutile. A quel punto anche lui si lasciò andare.
Una volta che le contrazioni si furono placate, restarono abbracciati languidamente, lui con il viso sui seni, lei con la bocca attaccata ai suoi capelli.
“Io, non avevo... io”
“Lo so, Bones, so tutto”
“Cosa sai esattamente?”
“Niente, in realtà non so niente, mi fa piacere sapere di essere stato all’altezza”
“Non si tratta di essere all’altezza. Tutto questo si chiama alchimia”
“Io ero convinto si chiamasse orgasmo multiplo”
“Non ci riuscivo, e mi dicevo che forse era sopravvalutato. Ma mi sbagliavo. Eccome se mi sbagliavo... ” lei lo guardò negli occhi sorniona. Booth ribaltò le posizioni. Brennan era così leggera sopra di lui, a differenza di… cercò di scacciare Ian dalla sua mente alla svelta. Si stava godendo il post coito più importante di tutta la sua vita, doveva concentrarsi su di lei, mettercela tutta per impedire che il mondo esterno si introducesse.
Booth si allungò la fino a toccarsi i genitali, lei pensò che stesse cercando di accarezzarla, invece voleva togliersi il profilattico.
“Non pensi che siamo stati degli imbecilli a non averlo fatto prima?”
“Non lo so, forse è meglio così” rispose baciandogli il petto
“Capisco che a voi donne piaccia andarci piano, Cristo sono quattro anni! Quattro fottuti anni di sublimazioni, di desideri sopiti. Roba da farti scoppiare il cervello”
“Però non c’è scoppiato il cervello. Siamo sani e felici” Booth convenne con lei. Temperance spostò la bocca lungo il torace. Lui sapeva già come sarebbe andata a finire. Ci lavorò fino a fargli raggiungere l’apice.
Dopo essersi ripreso, Booth sorrise.
“Ti scoccia se ti dico una cosa, Bones?” il suo tono tradiva malizia
“Cosa?”
“Sei negata. Mai ricevuto un lavoro di bocca fatto così male, giuro se non fosse stato il pensiero che eri tu a farmelo non sarei mai riuscito a venire”
“Che bastardo! Ha parlato il re del sesso orale”
“Già, la mia fama mi precede. Se vuoi posso darti un po’ di lezioni”
“Finiscila, tu vorresti dare lezioni a me di sesso orale? E da chi avresti imparato? È stato Emmerich a darti ripetizioni?” Booth si accigliò subito a quel nome.
“Ti prego, non parliamo di lui ora”
“Cosa c’è? Venendo a letto con me senti di averlo tradito?” Temperance si stava di nuovo innervosendo. Di li a poco sarebbe terminata come l’ultima volta che erano finiti a letto insieme, anche il motivo era lo stesso.
“Lo sai che non è per questo. Solo che non voglio che tu faccia illazioni”
“Ma c’è stato qualcosa tra voi. Booth, non mentire, te lo leggo negli occhi”
“Niente di serio”
“E cos’è niente di serio: baci? Carezze? Petting?”
“Bones, accidenti! Finirai mai di preoccuparti di lui? Ti sei già dimenticata di quello che hai detto ieri sera al bar?” lei ci pensò. Ecco, ci sono cascata un’altra volta, si disse. Voleva tornare tra le sue braccia. Si meritavano di essere felici. Ma allora se lui era tanto contento di essere con lei, di aver fatto l’amore con lei, perché leggeva quell’inquietudine nei suoi occhi?
Passarono la notte dormendo abbracciati. La mattina fecero l’amore sotto la doccia. E a colazione risero e si presero in giro come adolescenti scanzonati. Temperance non ricordava di essersi sentita così in sintonia con un uomo in tutta la sua vita. E non era solo un fatto sessuale. Certo, da quel punto di vista facevano scintille ma era anche tutto il resto che le piaceva. Con Booth poteva davvero essere se stessa, lui la conosceva talmente bene. Ogni gesto, ogni parola, ogni piccola cosa, le scaldava il cuore. Sarebbe potuta impazzire di gioia se solo non avesse avuto il raziocino di sempre a sostenerla.
Erano ancora con entrambi i piedi in paradiso quando il telefono di Booth prese vita.
“Booth” rispose, si trattava di una chiamata di lavoro.
“Cosa?” e pochi secondi dopo di nuovo: “Cosa?” Temperance capì subito che era accaduto un fatto estremamente serio. Chiuse la chiamata. Era sconvolto.
“Booth, cosa è successo? Sei pallido come un cadavere”
“Io... Dio... Dio mio, Bones”
“Ti prego, rispondimi. Parker? C’entra tuo figlio”
“No, grazie a Dio no. Ian... ”
“Ian, cosa? Sta male?”
“Non sta... ”
“Booth, cerca di calmarti” Bones si fece scarlatta. Vederlo così in ansia aveva gettato nel panico anche lei.
“Ian è sparito”
“Sparito? Come sparito, era ricoverato. I ricoverati non spariscono”
“Giusto Bones, è quello che dico pure io”
“A cosa stai pensando? Dio mio no, non starai pensando che c’entri il killer?”
A quel pensiero l’agente si sentì mancare. Dovette sorreggersi sul tavolino per non cadere. Per non svenire come era accaduto ad Emmerich il giorno prima.
“Oddio, ma tu stai male”
“No, Bones, non può essere questo, non può essere questo”.
Si mise le mani nei capelli. Gli occhi gli si riempirono di lacrime. Non voleva farsi vedere da lei in quello stato, ma la sola idea dell’amico tra le grinfie di quel macellaio tremendo gli faceva mancare il respiro. No, non poteva nemmeno pensare ad una cosa del genere. Ian non avrebbe fatto la fine del capitano Osbron. Poiché lui ne sarebbe morto di dolore, ne era certo.
Entrambi si precipitarono al Policlinico. Quello che appresero non lasciava spazio all’ottimismo. Il personale medico che aveva denunciato la scomparsa, aveva fatto sapere che il paziente non se n’era andato di sua spontanea volontà, come aveva sperato con tutto il cuore Booth, ma era stato quasi sicuramente trascinato via con la forza. C’erano tracce di sangue che facevano pensare ad una colluttazione, e sulla flebo del paziente c’erano resti di plasma sospetto. Molto probabilmente era stata manomessa con la forza.
“Dio mio, non può essere!” esalò Booth preso dallo sconforto. Tempernce le fu accanto. Lo prese per un braccio cercando di essere il più possibile cauta con lui.
“Perché pensare subito al killer. Non è detto, magari Emmerich ha dei nemici, qualcuno che ha approfittato della situazione per fargli del male”
“L’ha perso nel momento di massima debolezza. Quando era sedato e disarmato, non ci sarebbe mai riuscito se fosse stato in forze, non con uno come lui”
“Sì, questo è vero. Ma non ci dimentichiamo che all’assassino interessano le donne incinte o, in ogni caso madri. Che se ne fa di un atleta alto un metro e novanta?”
“E che se ne faceva di Osbron?”
“Booth ti prego, prova ad essere razionale” gli occhi dell’uomo tornarono a riempirsi di lacrime,
“Bones, non ci riesco, se penso che gli è successo qualcosa di brutto io... mi sembra di essere in un incubo” Temperance raggelò. Ci tiene fino a questo punto? Non se ne capacitava. Era lecito aspettarsi una reazione inquieta per le sorti di un collega, ma non così. E lei non sarebbe uscita di testa se ci fosse il dubbio che un killer sanguinario avesse rapito Angela? Forse doveva cominciare ad essere ottimista e vederla da quel punto di vista. Booth voleva bene al suo amico, era in ansia per lui. Ma avevano passato la loro prima notte d’amore, era stato tutto così perfetto. No, doveva impedire ai fantasmi di averla vinta. Booth era suo, suo e non di Emmerich. Ma a corroborare i suoi dubbi ci pensò l’agente: lei fece per abbracciarlo e lui si scansò. Restò di sasso.
“Volevo solo provare a consolarti”
“Non voglio essere consolato, voglio trovare Ian. Voglio solo questo” si asciugò le lacrime e ripeté: “Voglio trovarlo e riportarlo a casa”
Bones annuì, lo guardò intensamente, accarezzò la testa passando le dita tra i capelli, ed esalò:
“Lo troveremo tesoro, lo troveremo te lo prometto".

mercoledì 4 marzo 2009

Un padre e un padre 5


Notte di Natale



Fu il parroco, naturalmente, a ufficiare la messa.
Padre Julian fece il suo ingresso, questa volta scortato anche da Padre Donald, con un vestito nuovo di zecca. La fascia viola copriva le spalle. La luce nei suoi occhi era di felicità pura. Tra i parrocchiani, naturalmente Pange, con i tre figli. Quando fu l’ora di consacrare le ostie, si spostò verso il ciborio. Aprì il tabernacolo e, dopo essersi chinato e fatto il segno della Croce, si alzò per dare inizio al rito.
Prendete, e mangiatene tutti: questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi. Dopo la cena, allo stesso modo prese il calice e rese grazie: Prendete e bevetene . . . questo è il calice del mio sangue, versato per voi e per tutti in remissione dei peccati, fate questo in memoria di me”.
Si formarono due file. Era inconsueto, ma era la notte di Natale, ed erano venuti in tanti quella sera ad ascoltare la parola di Dio. Naturalmente, Robert scelse la fila di Padre Julian che rabbrividì quando le sue dita toccarono la lingua dell’amato. Si sentì sconcio, ebbro e felice. Di una felicità impura.
A fine messa, furono in molti a salutare il parroco. A fare gli auguri tra abbracci e discorsi vacui. Ma lo sguardo e l’interesse di Julian era tutto per Robert. Lo vide lasciare i bambini a una donna che sapeva essere sua suocera. E restare fermo sull’androne della chiesa. Ad aspettare... ad aspettare.


“Non vai a casa?”
“Ho preferito restare, ti va se resto?”
“Ma è tanto tardi. Io... Robert, dovresti... cioè tu non dovresti stare qui, la messa è finita.”.
“Ho capito, ti scoccia che qualcuno ci vede. Ti aspetto fuori” senza attendere replica, l’uomo uscì dalla chiesa incespicando un po’.

Robert Pange aspettò diversi minuti fermo di fronte al piazzale antistante la cappella. La gente era tornata tutta nelle loro case, le campane avevano da un pezzo smesso di fare din don dan.
Raggiante, vide il suo prete preferito avvicinarsi a lui.
“Non ci speravo più”.
“Dovevo essere certo che Padre Donald fosse al letto”.
“Dici che ha capito tutto?”
“È talmente malizioso. No Robert, finiscila, non c’è niente da ridere” commentò guardando l’amico sghignazzare allegramente. Si ricompose.
“Hai ragione, non è proprio il momento di ridere... ” appena terminata la frase si catapultò sulla bocca di Julian, Un bacio breve, affettuoso e senza secondi fini. Si abbracciarono sotto la pioggia leggera che si stava mutando in nevischio.
“Se restiamo qui sotto tra poco ci trasformeremo in due pupazzi di neve” ruppe il silenzio Robert.
“Ti faccio entrare”.
Si spostarono lungo il portico che conduceva alle stanze nelle stanze dei preti senza passare per la chiesa. Julian era sulle spine. Dall’altra parte del muro, Padre Donald già russava. Robert fece per abbracciarlo di nuovo ma Julian si scansò deciso andando ad atterrare sull’unica sedia.
“Non qui. Non la notte di Natale” fece sapere guardando il pavimento.
“Pensi che cambi qualcosa? Pensi che qui in canonica o a casa mia, la notte di Natale o una notte qualsiasi, cambi qualcosa davvero Julian?”.
“Non capisci io, so solo che... ”
“Dio ci guarda ovunque noi tentiamo di nasconderci, no?”
“Non è questo il punto”.
“Lo so sei a disagio”.
“Si molto, voglio dire: sto bene con te e in questi ultimi tempi sono così felice quando siamo insieme”.
“Ma?”
“Ecco, Robert, il punto è che dovremmo parlare di questa cosa”.
“Ti sbagli, non dobbiamo parlare perché ci siamo detti tutto la notte che venisti da me a prendere il tè. Ti ho detto che ti amo, e tu mi hai detto altrettanto, penso che il resto... ” si avvicinò a lui. Si inginocchiò ai suoi piedi appoggiando le mani sulle sue ginocchia.
“Robert, tu... tu... sei una tale tentazione”
“Non voglio che tu mi veda così, non sono il diavolo travestito da serpente delle sacre scritture. Sono la persona che vuole amarti, darti tutto il suo amore, incondizionatamente. E averne da te”.
“E i tuoi figli? Non è giusto che restino a lungo da soli”.
“Ora non tergiversare. In ogni caso, sono con la nonna”.
“Non lo so... o meglio: so che è bello quello che sta succedendo tra di noi, è potente”.
Pange si tirò su. “Basta indugi. Ora fatti baciare”.



Parole e baci


Robert lo acchiappò per la vita e lo strinse forte a sé costringendolo a sollevarsi. A braccia così forti e decise non si poteva che cedere. Julian alzò il capo per poter guardarlo in viso. Pange gli accarezzò i riccioli biondi che si spandevano sulla fronte. Erano lì solo per farsi depredare dai baci.
“Non dobbiamo arrenderci” disse con poca convinzione quando le bocche furono per un secondo divise.
“Non abbiamo scelta, amore mio, possiamo solo lasciare che le cose prendano il giusto corso.”
“No, questo è solo il sollazzo dei sensi, e tu lo sai! Robert aiutami a essere fedele a Dio”.
“Non la mettere su questo punto. Tu sei più mio che di Dio”.
“Che Dio ti perdoni per queste parole”.
“Ma è così. Vogliamo solo essere felici, e ci stiamo riuscendo, insieme. È meraviglioso. Dio lo sa se mi sono sentito di nuovo vivo tra le tue braccia. Non che siano state tutte rose e fiori gli ultimi tempi. Era una tortura guardare le tue labbra schiudersi e non poterle mordere”.
“Non mi stringere così, mi manca il respiro” era vero. La passione con la quale lo teneva saldamente tra le sue braccia era quasi aggressiva. Ma Robert temeva che se avesse mollato un poco la presa, Julian sarebbe di nuovo sgattaiolato via.
“Ora basta tergiversare. Spogliamoci” Julian irruppe in un gemito quasi doloroso. Come scappare da qualcosa che desiderava così ardentemente?
“Sei un folle. Non qui, non questo. Non posso”
“Lasciati amare, Julian. Sei fantastico, ed io ti amo così tanto” gli occhi di Robert divennero ludici di passione. La sola idea di quello che stava per succedere lo mandava in estasi. Aveva solo il timore non sarebbe riuscito a ritrovare la sensatezza, dopo. C’era da diventar matti, ne era certo. Tirò su il vestito e lo spogliò. Per quanto Julian cercasse di dar retta agli ultimi barlumi di ragione, lo lasciò fare.


Nudi e sudati, nonostante fuori nevicasse in abbondanza, Padre Julian e Robert Pange si divincolarono da un intricato intreccio di coperte, muscoli e umori. Julian rise finalmente rilassato. Tornò a stringerlo a sé. Era tra le braccia del suo Robert. La peluria del petto gli accarezzava la guancia. Lasciò un piccolo bacio prima di parlare.
“Un penny per i vostri pensieri, Robert... ”
L’altro sospirò,“Perché parlare?”
“Non ti piacerebbe sapere a cosa sto pensando ora?”
“Con la bocca attaccata alla tua testa riesco a sentire tutto quello che c’è dentro”
“A sì? E cosa starei pensando?”
“Stai pensando: sono felice con Robert. Che bello è stato fare l’amore con lui. Sì, sono pienamente soddisfatto.”
“E fino a qui mi sembra piuttosto intuibile. Ogni mia cellula te l’ha appena confermato.”.
“Non meno le tue grida estatiche.”
“Pensi che Padre Donald ci abbia sentito?”
“Ne dubito, era talmente ubriaco”
“Già, ogni Natale la stessa storia. Con la scusa del goccetto della staffa, finisce per bere con tutti i parrocchiani che gli fanno visita dopo la messa. In ogni caso, questa come prova non vale un granché. Voglio conoscere meglio le tue doti divinatorie” Robert spinse di più la bocca tra i capelli dell’amante.
“Hai fame, ma state pensando che non è in caso di andare in refettorio”
“Perché se mai incontrassi Donald me lo leggerebbe in faccia che ho appena fatto l’amore. Questo però l’hai capito in quanto hai sentito brontolare il mio stomaco.”
“Esatto. Sono affamato anch’io. Scommetto che tu ti nutri di ostie. Ti è sufficiente il corpo di Cristo per andare avanti?”
“Non essere blasfemo.”
“Sei magrissimo, piccolo mio. Potrei portati a spalla fino a Londra e non sentirmi stanco dopo. Mia figlia Gina ha più ciccia sulle costole di te, per quanto non mangi mai abbastanza” tastò la pelle del torace che sormontava il costato.
“Sono sempre stato così. È vero, mangio poco, mi sazia la fede.”
“Ora ti sazia pure la passione.”
“Non stai mica... ” Julian costatò che la grossa mano di Robert si era spostata verso il basso.
“Voglio solo controllare una cosa... ”
“No... non” Julian trovava inconsuete quelle sensazioni. Non di meno trovarsi nudo di fronte ad un altro essere umano. Lasciarsi andare al piacere era stato facile, sembrava tutto così naturale e bello. Incredibile che secoli di storia ne parlassero come di un abominio. I loro corpi si erano trovati in una sintonia perfetta. Quando Robert aveva chiesto se faceva male, Julian aveva proteso il bacino verso di lui per accoglierlo maggiormente. E quando erano rimasti senza fiato, ricominciare restano uniti era sembrata la cosa più logica da farsi. Ora però Julian non era sicuro che fosse giusto replicare. Raggiungere il piacere una terza volta gli sembrava troppo. Avevano il dovere di trattenersi un po’. Questa volta Robert non lo mise con il volto rivolto al letto, lo sormontò e lo fece suo. Durò molto. E fu magnifico e, allo stesso tempo, straziante quando toccarono l’apice insieme.



Propositi


Ma forse era tutto un sogno. Robert non era stato nel suo letto quella notte. La notte di Natale. E non era il suo seme quello che teneva dentro. Se l’era tutto sognato. Ne fu quasi certo quando, a notte tarda, si ritrovò solo nella sua stanza. Per qualche minuto ne fu quasi sollevato. Ma l’odore di passione persistente, lo fece tornare alla realtà. Aveva fatto l’amore con Robert Pange, con un altro essere umano. Con un uomo per di più. Non era certo quello il dramma, chissà quanti preti avevano ceduto alla passione, alle bassezze degli umani. Dopo tutto, l’incontro dei corpi, lo scambio del piacere, eccetera eccetera, erano tutti cose normali, umane, scontate. Come gli aveva detto Donald, quel giorno dopo la partita: “Mi piace su di te quello sguardo innamorato. Vi rende così… così umano.”
Gli uomini sono dei peccatori e tu non sei meglio. Sei un uomo. Si disse. Era da perfetti stolti pensare di essere speciale, di non far parte delle moltitudini. Julian fu certo che quello che era successo doveva far parte di un disegno divino. I giovanotti, in particolare quelli bellocci, grossi di statura e di stazza, con la voce bassa, molto maschili insomma, gli erano sempre piaciuti. E pure tanto. Sono stato uno stolto a pensare di essere superiore ai piaceri della carne e dell’amore. Gli era sembrata una buona idea legarsi alla spalliera del letto per evitare di toccarsi ma quando Robert lo aveva spogliato, lui lo aveva lasciato fare. Perché la passione non si può imbavagliare. Avrebbe dovuto dirgli di tornarsene a casa sua, quello sarebbe stato giusto e lecito. Invece ora, dopo avergli lasciato fare i suoi comodi, si ritrovava quasi straziato. Come se gli mancasse una parte del corpo. Gli avevano staccato un braccio e ora era lì, sdraiato sul letto sanguinante, a rimpiangere l’arto perduto. Ora che una parte di Robert era stata dentro di lui, era come se quella parte gli appartenesse e se ne sentisse privato. Faceva male, come era lecito aspettarsi. Ma non era sangue il liquido che lentamente defluiva fuori. Julian s’impose che avrebbe vissuto come sempre. Non era riuscito a essere un buon prete fallendo alla prima delle tentazioni? Avrebbe quanto meno vissuto da uomo onesto! Amava Robert. Robert lo ricambiava. Alla prima occasione gli avrebbe ridato il pezzo del corpo che gli mancava. Lo avrebbe fatto senz’altro. Sorrise sentendosi magnificamente immorale. Doveva solo aspettare che facesse giorno e il nuovo Padre Julian, più sereno, più vero e più vivo, lo avrebbero potuto conoscere anche gli altri.


Era tardissimo quando, con un cerchio alla testa, Padre Julian si destò dal suo giaciglio. Erano state le campane a svegliarlo. Sussultò. È il giorno di Natale, ed io che faccio? Dormo fino a tardi! In maniera convulsa recupererò se stesso e, poco dopo, i suoi vestiti. Padre Donald aveva battuto più volte alla sua porta per richiamare l’attenzione. Era assolutamente inconsueto che avesse bisogno di essere svegliato. Così avevano cominciato senza di lui.
La funzione si svolse quasi in silenzio. Anche Padre Donald aveva quel famoso cerchio alla testa, che era tutt’altro che un’areola, ma era dovuto ai postumi dell’alcol. Julian, in qualche modo, riuscì a farsi vivo.
“Che avete fatto stanotte, prete, non è da voi svegliarvi tardi!”
“Parlate piano, ho un mal di testa che… ”
“Alzato il gomito anche voi? Non me ne sono accorto!”
“Mi dispiace”
“Non sentitevi rammaricato, capita a tutti di esagerare un po’” già, il problema era che il genere di esagerazione nel quale era incappato non aveva niente a che fare con il luppolo. Smorzò un sorriso che poi si andò a spandere rendendo la sua espressione affascinante. Si ricordò dei buoni propositi: lui non era il vecchio Julian musone e con la puzza sotto il naso. Lui era l’uomo nuovo, quello che si era fatto amare da Robert, ed era rinato grazie a Robert. Doveva essere più tollerante con gli altri ma soprattutto con se stesso! Aveva dormito pochissimo, era chiaro che non avesse sentito il bisogno di alzarsi all’ora canonica. Durante la seconda funzione, fu sua la scena. Entrò prima del collega, fiero in volto e con una luce abbagliante che tutti avrebbero potuto vedere se solo avessero avuto occhi per guardare al di là delle apparenze. No, non vi era rimasto molto del sacerdote. C’era un uomo, semplice ma complicato. E vivo, finalmente, vivo mentre blaterava un sermone. E quando tra i bambini scorse i piccoli Pange, non si sentì in colpa, anzi. Ora li sentiva ancora più suoi. Gli voleva più bene di quanto li avesse amati già semplicemente perché erano figli di Robert.
A fine messa Gina saltò in braccio a Padre Donald. Indossava un vestitino di velluto rosso e dei tulle rosa e bianchi lo impreziosivano. Anche gli altri due ometti sembravano al meglio. E lo stesso Pange, che venne timidamente a salutare, indossava il vestito della festa, un abito grigio doppio petto. Si abbracciarono fraternamente sotto lo sguardo malizioso di Donald.

Io con un uomo mai capitolo 9


Capitolo 9


“Temperance, non lasciarmi sulle spine: cosa hai capito? Cosa pensi sia successo a Ian?” la curiosità di Angela Montenegro era motivata.
“Glossofobia. Il nostro grande uomo è affetto da questa patologia psicologica”
“La Glossofobia, già. La paura di parlare in pubblico. Ma come è possibile?”
“Non lo so, infatti è strano, te lo ripeto. Non si sceglie di fare il Profiler quando si ha un problema come quello”
“Sembrerebbe di più un uomo che ama stare al centro dell’attenzione”
“Già e tutto questo non fa altro che aumentare la mia preoccupazione nei confronti di Booth”
“Fidati cara, il nostro agente speciale preferito se la saprà cavare benissimo” Brennan sospirò sperando che Angela avesse ragione ma sperando soprattutto che la cotta o quello che era del suo amico passasse in fretta.
L’autoambulanza sfrecciò lungo la strada a sirene spiegate. La mano di Ian era ancora tra quelle del collega. Il piglio di Seeley Booth era preoccupato. Gli aveva chiesto che tipo di sostanze avesse usato per farsi ridurre in quello stato ma non aveva ottenuto nessuna risposta. Lo sguardo di Emmerich era rimasto vago e perso. Ian appoggiò la mano sul suo petto, sembrava volesse fargli ascoltare il battito accelerato del suo cuore.
“Per piacere rispondimi: che cosa hai preso!”
“Dolcezza niente, non mi sono drogato”
“Ma allora cosa? Sei malato? Cosa c’è che non va?”
“Penso che ora ce lo diranno i medici, no?” fece l’occhiolino. Con tono mellifluo esalò: “È bello che tu mi tenga la mano”. Booth era imbarazzato, quel gesto gli era venuto istintivo, solo ora si rendeva conto che il resto degli occupanti dell’ambulanza avrebbe dato per scontato che tra loro ci fosse qualcosa che andava ben oltre l’appartenere allo stesso corpo di polizia. Gli agenti dell’FBI non sono mai così in intimità.
“Ho avuto paura per te” ammise.
“Lo so, mi dispiace. Mi farò perdonare... ”
“Come se fosse tua la colpa. Lo è?”
“No, ti ripeto, non mi sono fatto”
L’infermiera che controllava costantemente i parametri vitali accedé in quel fitto dialogo: “Agente, non lo faccia affaticare. Il suo amico è molto provato”
“Mi dispiace” si sentì profondamente a disagio, voleva aiutare Ian invece gli stava facendo andare il cuore all’impazzata. Pensò che se quei paramedici avessero sentito il suo, di cuore, avrebbe ricoverato anche lui.


Temperance Brennan non temeva Ian Emmerich solo come persona, non di certo come rivale. Quello che la spaventava maggiormente era il potere che sembrava esercitare su Booth. Non tollerava il fatto che lo avesse in pugno. Se all’inizio aveva dato per scontato che si trattasse di gelosia dato i sentimenti di natura romantica che la legavano a lui, ora capiva che c’era dell’altro. Booth non era il tipo che si fidava di chicchessia anzi... era scettico per natura e si lasciava andare veramente solo quando era più che certo di aver trovato la persona giusta. E l’intuito le diceva anzi gridava che Ian Emmerich non era quello che voleva sembrare. Era ambiguo e non l’ambiguità affascinante che avrebbe attratto chiunque. Era un uomo troppo scaltro, troppo intelligente, e infinitamente troppo misterioso. Il suo passato era costellato da buchi neri. Sembrava avesse avuto cento vite. Tra un mestiere e l’altro c’erano dei salti temporali indefiniti. Era nato nella Carolina del Sud dove aveva frequentato il college e si era distinto per meriti sportivi. Aveva studiato a Quantico come agente FBI. Per alcuni mesi aveva vissuto in Europa. Era stato un collaboratore per un famoso studioso del comportamento umano. Ed ora usciva fuori che soffriva di Glossofobia, un problema per di più legato a persone con un’infanzia traumatica. Come poteva un uomo con una vita tanto turbolenta e misteriosa essere arrivato così in alto nell’FBI? Non riusciva proprio a spiegarselo. Se nascondi qualcosa caro Emmerich prima o poi la scoprirò. Booth potrai averlo abbindolato ma non me, si disse mentre cercava un taxi libero.


Essendo Booth l’unico che aveva a cuore le sorti di Ian Emmerich, pur non trattandosi di un famigliare, il medico di guardia, una donna di colore grassoccia e mascolina, comunicò a lui il suo stato di salute:
“Lei è l’amico dell’agente svenuto, vero?”
“Sì, sono io” la sua voce tradiva un tremore che lei percepì subito.
“Stia tranquillo, non corre alcun pericolo di vita. La tachicardia è passata”
“Cosa ha avuto esattamente?”
“Un po’ presto per dirlo ma pensiamo a uno sbalzo di pressione dovuto alla tensione nervosa” era teso? Ian Emmerich era teso come tutti i comuni mortali? Booth stentava a crederlo.
“Posso parlarci?”
“Ma certo” rispose mentre controllava distrattamente dei dossier
“Ha preso qualcosa, dottoressa. Intendo delle sostanze... ”
“Assolutamente no, il tossicologico è risultato negativo. Le persone mentono non le loro urine” si allontanò da lui con una pacca sulla spalla. Booth si sentiva rigenerato. Almeno non si era affezionato a un uomo con un problema di tossicodipendenza.
Entrò nel box a lui riservato. Ian Emmerich era sdraiato su due cuscini. Catturato dai propri demoni guardava alla sua destra attentamente come se stesse assistendo ad uno spettacolo della natura. Il suo vestiario consisteva in una squallida camicia d’ospedale bianca con degli intarsi rosa e celesti. Da entrambe le braccia si intravedevano numerosi tatuaggi, alcuni difficili da decifrare. I capelli biondi, scompigliati in numerosi aloni, erano umidi. La macchina elettrocardiografica controllava che il suo cuore non ricominciasse a galoppare.
“Ciao” esalò timidamente avvicinandosi a lui. L’attenzione del malato fu tutta per il nuovo venuto.
“Come stai stallone?”
“Tu chiedi a me come sto?” Booth sorrise timidamente sedendo sul bordo del letto. L’altro gli accarezzò la spalla facendo gli occhi dolci.
“Piccolo, te lo chiedo perché eri così spaventato”
“Sì, lo ero”
“Wow, questo si che mi piace”
“Ti piace essere malato o che io sia spaventato?”
“Mi piace che tu ci tenga tanto a me” ammise. Sbatté le ciglia umide.
“Fottiti, hai fatto prendere un accidente a tutti”
“Ma ora sto bene. Ora che ci sei tu accanto a me” continuò ad ammiccare
“Ce la fai ad essere serio una buona volta?”
“Ok, stallone. Vuoi sapere che mi è successo davvero?”
“Cavolo, certo che sì”
“So che ti cadrà un mito, la verità è che il tuo amico è un pappamolla, soffro di Glossofobia”
Prima di ribattere lo guardò interdetto: “Che roba è? Di che hai paura esattamente? Delle alte cariche della polizia?”
“La Glossofobia è la paura di parlare in pubblico”
“Non è possibile”
“Già, non sapevo di soffrirne fino ad un paio di anni fa. Mi occupai di una donna rapita e stuprata in Pennsylvania. Avevamo appena assicurato il colpevole alla giustizia. Il mio superiore non c’era, insomma mi ritrovai tutti i giornalisti intorno. Sai quanto ti stanno sopra e con una decina di microfoni sotto il naso? Beh, quella volta riuscii a pararmi il culo scappando. Non dissi nulla ma stetti parecchio male, cavolo. È stato tremendo”
“Ma se sapevi che ti faceva questo effetto potevi evitare di metterti dietro ad un microfono davanti a centinaia di estranei”
“Pensavo che la psicanalisi mi avesse aiutato. Non puoi fare questo mestiere se hai delle fobie. Te ne rendi conto?”
“Ma sei umano, tutti abbiamo delle paure!”
“Tu hai paura dei Clown, lo so”
“Già, tu sai sempre tutto” Booth si accigliò. Era complicato parlare a qualcuno che sembrava conoscere ogni anfratto della sua anima. Questo scatenò un moto di tenerezza in Ian. Gli poggiò la testa sulla spalla strusciandosi come un gatto.
“Finiscila Emmerich. Cerca di essere serio una buona volta!”
“Vorrei ma non ci riesco. Se comincio a prendere sul serio quello che provo per te... è anche peggio di essere in diretta mondiale”
“Non ti capisco”
“Mi hai stregato”
“Figurati”
“Dico sul serio. E io sono il tipo che abbindola non che si fa abbindolare”
“Quando esci di qui ne parliamo”
“Fantastico” Booth si alzò per allontanarsi da lui. Fuori dall’ospedale nevicava.
Stretta nel suo cappotto trovò Temperance.
“Sei venuta a trovare Emmerich, un gesto carino da parte tua”
“Non sarei sincera se ti dicessi che è vero. Sono venuta per vedere come stavi te. Eri sconvolto”
“Mi dispiace”
“Di cosa?” non capiva. L’uomo dinnanzi a lei sembrava così fragile che, all’improvviso, fu tentata di abbracciarlo. Ma si trattenne.
“Parliamone davanti a una bella tazza di tè, qui si gela”
“Ok Bones” e si diressero verso il bar camminando fianco a fianco.
Una volta nel locale Brennan ricominciò a sentirsi le punte dei piedi. Parlarono di Ian, del suo stato di salute. Nella voce della dottoressa non c’era ira né risentimento. Booth si sentiva sempre più confuso, guardava la donna e si sentiva tremendamente attratto da lei, poi pensava al collega malato e provava un’emozione incredibile. Avrebbe voluto essere accanto a lui per tenergli di nuovo la mano e, allo stesso tempo, era felice di essere con Bones. Come vorrei poter tornare indietro. Pensò
Se avesse avuto una macchina del tempo.
Se avesse potuto usarla e ritornare a prima dell’arrivo di Emmerich.
Se avesse conosciuto il modo di sfuggire all’attrazione che aveva provato per lui fin dal loro primo incontro. Ian Emmerich gli era entrato dentro come una malattia, e come una malattia stava distruggendo il suo sistema immunitario. Non sapeva fino a che punto avrebbe tollerato quella situazione. Era innamorato di lui? Amava Bones e non riusciva ad essere fedele come avrebbe voluto? Forse la soluzione era mettere da parte i sentimenti che lo conducevano verso l’uomo e provare a vivere una storia d’amore con Temperance. Sarebbero stati felici, si disse, avrebbero avuto una bella vita. Lei si sarebbe ulteriormente affezionata a Parker. Potevano sposarsi. Sorrise pensando a quanto era improbabile che una donna con le convinzioni di Bones accettasse l’idea.
Lei si avvide del suo mezzo sorriso.
“Perché stai ridacchiando? Ti è venuta in mente una cosa buffa?”
“Pensavo a te con una vestito da sposa addosso”
“Perché?”
“Niente, una scemenza”
Lei sorrise compiaciuta. “Se vuoi farmi la proposta magari è la serata giusta”
“Perché la serata giusta?” Temperance smise di sorridere. Stava per dirlo. Stava finalmente per scusarsi con lui.
“Ti ricordi quella serata disgraziata a casa tua?”
“E come potrei averla dimenticata, Bones”
“Il fatto è che nemmeno io riesco a dimenticare. Ci ho provato con tutte le forze ma c’è qualcosa in me, una parte di me, che vorrebbe tornare indietro. Ricominciare da capo”
“Credimi, è quello che stavo pensando pochi secondo fa, è stupefacente!”
“Lo so, quando due persone lavorano fianco a fianco per tanto tempo e tra loro c’è una complicità così forte come tra noi, capita. Sì Booth, io e te stiamo diventando come quelle coppie sposate da così tanto tempo che l’altro finisce le frasi quando si interrompe, che pensando contemporaneamente alle stesse cose. Non è un sentimentalismo, è chimica”
“Vuoi dire che è tutto un processo chimico tra di noi?”
“Non solo. In ogni modo, quello che provi per Emmerich non può frapporsi a noi. Questo purtroppo l’ho capito solo adesso”
“Perché se lo avessi capito quella sera magari ora io e te…”
“Avremmo una relazione”.
Sul volto dell’agente federale si allargò un sorriso.
“Un’altra chance” proferì sotto voce
“Cosa?”
“Bones, un'altra chance, diamoci un’altra chance. Stasera passa la notte con me”