mercoledì 24 giugno 2009

Borderline, capitolo 12




William si sforzò di non rimettere. La tosse era diventata così forte da aver procurato dei conati talmente vigorosi da farlo lacrimare.
Lo sconosciuto si chinò su di lui.“Tutto bene amico?” domandò in tono gutturale. Era alto, molto alto, e completamente rasato. Portava barba e baffi non del tutto neri e un collare di pelle attorno al collo con delle borchie appuntate sopra. I pantaloni erano calati. La punta del sesso ancora imperlata degli umori del piacere. Will, inginocchiato ai suoi piedi, fece sì con la testa. L’altro si limitò a vestirsi ed uscire dal separé.
Da quando Heath l’aveva lasciato, frequentare quel genere di posti era divenuta una consuetudine. Non andava elargendo piacere sessuali per soddisfare se stesso, ne tanto meno gli altri.
Voleva punirsi.
Guardò l’uomo uscire senza salutarlo. Si pulì i rimasugli di sperma con un fazzoletto, il resto andò giù insieme alla saliva. Non gli era mai successo di tossire con Heath, con lui scivola dentro che è un piacere. Con lui tutto era un piacere. I suoi occhi tornarono a riempirsi di lacrime. Era solo, dopo quasi quattro anni d’amore e dedizione, il suo ragazzo lo aveva mollato. Per un altro, un ginecologo. Si soffiò il naso mentre le lacrime copiosamente tornarono a rigargli il viso. Valutò se vista l’ora tarda fosse più saggio tornarsene a casa o attendere che un altro estraneo venisse a pulirsi l’arnese con la sua bocca. Se almeno quell’attività gli avesse concesso una minima soddisfazione! Invece lo faceva sentire solamente più triste, più solo. Ma l’idea di tornare a casa, nella sua casa che era pure quella di Heath, lo faceva piombare nel precipizio. Da Stacy non poteva andare. Da quando aveva preso quel lavoro di babysitter era sempre fuori. Persino di notte doveva stare con i gemelli e, di certo, il padrone di casa non accoglieva favorevolmente gli estranei. Certo lei era stata molto vicina a lui in quella settimana. Gli aveva leccato le ferite amorevolmente come solo una grande amica può fare.
Ma il dolore, quell’immenso mutilante dolore, doveva affrontarla da solo. In quel modo, forse, un giorno, ne sarebbe uscito. Un uomo sulla trentina entrò nel cubicolo. Senza presentazioni si spogliò. William notò i segni di una malattia virale. Ebbe un brivido. Ma cosa sto facendo? Heath mi lascia e io mi infliggo tutto questo? Come rinsavito fuggì via da quel luogo di perdizione per tornare, nonostante tutto, nel luogo dei ricordi.


Sette giorni prima...


“Amore di che parli, perché non dovremmo essere più insieme? A meno ché tu non ti sia stancato di me... ”
Lo disse sorridendo. Era un’eventualità talmente remota... lo era davvero? Lo vide divenire serio, terribilmente serio.
“Dolcezza cosa vuoi dirmi?” gli andò vicino e gli accarezzò la mano. Heath si sforzò di non piangere. Di non crollare. Doveva guardarlo in faccia e annunciare che c’era un altro. Un ragazzo bellissimo in quel momento in volo per le Barbados con il suo compagno. Era o non era uno stolto a fare una tale rivelazione?
“Ho conosciuto... cioè, lui è... è il ginecologo di Stacy. Quello che ha fatto nascere la bambina in metropolitana.”
“È in che senso?” William sentì nel suo interno montare rabbia e paura. Terrore e sgomento. Era un incubo o stava accadendo davvero?
“Abbiamo cominciato a frequentarci subito dopo la diretta televisiva e a provare qualcosa. Qualcosa di forte. Cioè, io... ” La voce si spezzò ma non si interruppe. Lo fissò negli occhi. “Non ho mai smesso di amarti, né di stare bene con te. Nonostante tutto la cosa è iniziata. E non posso farci niente.”
William trattenne uno sbuffo di riso. Incredulo. Totalmente incapace di credere alle parole di Heath.
“Naturalmente è uno scherzo? Tuo e di Stacy immagino, cosa c’è una telecamera nascosta? Poi metterete la mia faccia sbigottita su Youtube? Molto divertente, molto divertente davvero!”
“Vorrei fosse così ma non è uno scherzo. È capitato. E adesso stiamo insieme.” La rivelazione era stata fatta. Il gelo non tardò ad arrivare, e più tardi il tornado. Un vero ciclone che squarciò tutto. William ripensò al bel ragazzo alla destra di Stacy quel giorno durante la trasmissione. Davvero un bel bocconcino. Era gay? Questo non gli era stato riferito, né da lei né dal suo ragazzo. Si mise le mani sulla testa. Un rantolio allo stomaco. Un sudare a freddo, una voglia irrefrenabile di spaccare tutto, compreso il bel volto amato. Già, amore… ora gli sarebbe toccata quella parte, quella di chi ha ragione, di chi è stato ferito e la legittimità di buttare fuori tutto il suo veleno.
“Io... io... ” non riusciva a parlare William, non ci riusciva proprio. Fosse stato almeno in grado di alzarsi e picchiarlo! Eppure lo voleva con tutta la forza. Peccato che i suoi muscoli fossero bloccati. Completamente inerti di fronte allo sfacelo.
“William, dimmi qualcosa, ti prego... ” Heath era spaventato. Aveva immaginato quel tipo di reazione ma, una cosa è immaginarselo un’altra affrontarla.
Alla fine si tirò in piedi e si mise sopra il bracciolo della sua poltrona. Bastò questo gesto a far scattare finalmente Will.
“Non metterti vicino a me, vattene!”
“OK” ma prima che avesse avanzato di un solo centimetro lo prese per la camicia e lo attirò a se. Finirono in piedi guardandosi negli occhi.
“Mi stai lasciando... tu... TU...MI STAI LASCIANDO?!” berciò.
“Will calmati.”
“No, mi calmo, non mi calmo!” ormai la situazione era precipitata. Heath accettò le sberle, i calci sui polpacci ma quando lo prese per la gola cercando di strangolarlo, si ribellò. Serrò i polsi con entrambe le mani. Era più alto di lui e molto più robusto. Fu uno scherzo liberarsi dell’attacco. Lo sguardo di William tradiva rabbia e dolore, tanto dolore. Irruppe in un gemito prima di iniziare a piangere istericamente e, piangendo, a sbraitare tutto il rancore che aveva in petto. Disse cose gravi, pesanti. Rinfacciò praticamente ogni cosa si riferisse allo status economico del giovane. A sentirlo parlare sembrava che lo avesse raccattato per strada come un cane randagio. Heath aveva una dignità e sapeva che solo il venti per cento di quello che stava spiattellando crudelmente l’amante, era vero. Il resto solo esagerazioni per farlo sentire una merda. Per andare a colpire proprio quel nervo scoperto. “Tu mi lasci dopo tutto quello che ho fatto per te, mi lasci per un culo rotto” in una frase tutto il succo del discorso.


Non si erano lasciati bene William e Heath. Tutt’altro. Un acuto malessere occludeva il respiro del cantante. Ma chi cazzo l’ha detto che lasciare è migliore di essere lasciati? Era seduto su di una comoda poltrona nella Hall. Vide arrivare Jake da lontano. La visione gli procurò la prima sensazione di benessere dopo sette giorni d’inferno. Abbronzato, tonico, più attraente che mai.
Si alzò e lo accolse a braccia aperte.
“Ma che è successo? Sei sparito completamente.”
“Lo so. Ti chiedo di nuovo scusa” rivelò Jake baciandogli la guancia.
“Non fa niente, saliamo, dobbiamo parlare.” Una volta nella stanza di Heath, il ginecologo fu accolto dall’odore dell’amante.
“Da quanto sei qui?”
“In sostanza mentre il tuo aereo si staccava da terra.”
“Addirittura?” Heath fece sì con la testa. Dal frigo bar estrasse una birra ghiacciata. Ne porse un sorso all’amico.
“Finita” annunciò mestamente. “Con William. Mi ha cacciato di casa. Mi ha spedito i vestiti, qualche stupido disco e via. Finito tutto.”
“Mi dispiace. Non oso pensare a quanto sarai stato male... ”
“Male sto male, ma lui sta peggio credo. Mi ha chiamato la sua agente. Era disperata. Non capiva cosa stesse succedendo. Ha disdetto praticamente qualsiasi concerto, qualsiasi impegno mondano da qui a due mesi.”
“Gesù... ”
“Per fortuna c’è Stacy che lo ha controllato durante le prime ore. Capisci? Era così a terra che... ”
“Immagino! Ora come sta?”
“Non ne ho idea.” Si aggiustò i capelli biondi che gli coprivano la vista. Jake notò che erano più lunghi del solito.
“Anch’io ho molte cose da dirti... ”
“A sì?”
“Liam lo sa..."
“COSA?”
“Sa tutto.” Jake sorrise come un pazzo.
“E tu ne ridi? Come se niente fosse? Quando glielo hai detto?”
“Ha scoperto tutto da solo, credo che qualcuno ci abbia notato. Non chiedermi dove e perché. In ogni caso non l’ha presa come Will, niente del genere.”
“Sapeva tutto prima di partire... ed è partito lo stesso?” Heath era veramente incredulo.
“Un po’ è suonato strano anche a me all’inizio. Ma conosco Liam e tutto sommato è tipico di lui. Ha preso questa vacanza come una specie di celebrazione. In effetti abbiamo fatto sesso oltre ogni aspettativa e ricavandone un piacere impensabile.”
“Assurdo.”
“Tutto sommato no. Stiamo insieme da una vita, certe cose le capisci anche se le nascondi bene. Credo che avesse intuito la presenza di un altro uomo. E ci è rimasto male, eccome se ci è rimasto male, ma abbiamo vissuto questo periodo come del resto tutta la nostra relazione. Con amore, complicità, gioia.” Finirono i discorsi. Entrambi guardarono il pavimento in una lunga riflessione.
“Ma state ancora insieme?” Heath aveva davvero paura a formulare quelle parole. Temeva soprattutto la risposta.
“Sono sincero: se dipendesse da me andrei avanti così... Liam probabilmente mi terrebbe con sé pur tradendolo. Ma amore, tu no. Tu non lo meriti. Hai rinunciato per me alla persona che amavi più di te stesso e basta guardarti per capire quanto ne soffri ancora. Ma, come ti promisi, ora non torno indietro.”
si accoccolò ai piedi della sua poltrona. Appoggiò il viso tra le ginocchia simile ad un gatto che fa le fusa.
“Sei mio e io sono tuo. Soltanto tuo” garantì sbattendo le ciglia. Heath deglutì. L’eccitazione arrivò alle stelle, non succedeva da troppo tempo. Il sangue galoppò tutto verso le parti basse. Si sentì come una bottiglia di champagne pronta ad esplodere.
Lo prese per le spalle e lo avvicinò a sé. Si baciarono , a lungo e senza risparmiarsi. I vestiti volarono confusamente attorno a letto divenuto ben presto fulcro della loro attenzione. Jake si sdraiò bocconi. Divaricò bene le gambe in una richiesta muta. L’altro lo fissò per pochi attimi stordito.
Tutto il male che teneva dentro si sciolse liberando felicità pura.
Jake era suo, d’ora in poi.
Non c’era altro a cui pensare.

Erika Baldi, l’agente di William, era seriamente preoccupata. Per lei non era solo un assistito. Will era anche un caro amico. Bussò quattro volte alla sua porta per palesare la sua presenza. Al quinto rintocco il direttore d’orchestra si decise. Aveva un aspetto osceno. I capelli arruffati, il colorito tetro di chi è rifuggito dal sole troppo a lungo. Le occhiaie dovute alle poche ore di sonno risaltarono sotto la luce bluastra del corridoio. Bazzicare i retrobottega dei locali gay anziché dormire lasciava il segno.
“Non mi fai entrare Will?
“Erika, cara... quello che ci dovevamo dire ce lo siamo detti al telefono, cosa vuoi ora?” Lei si fece strada da sé. Per una negra cresciuta nel Bronx quel genere di problemi erano bazzecole.
“Il lavoro è lavoro l’amicizia è un’altra cosa. Che sta succedendo?”
“Strano che non si sappia ancora in giro. Pensavo che radio serva avesse ragguagliato il mondo intero. Ebbene sì, Heath Burton è di nuovo su piazza. Gioite gente!” parlava come uno stolto e aveva l’aspetto di uno stolto. Erika lo guardò con pena.
“Diavolo è una notizia tremenda. Non posso proprio immaginare perché tu e lui abbiate rotto, eravate semplicemente perfetti insieme.”
“Io lo so” affermò prima di attaccarsi ad una bottiglia di scotch. “talmente perfetti che è bastato che gli occhi azzurri di una puttana di ginecologo si puntassero su di lui e puff, il sogno è svanito.”
“Apri le finestre. C’è puzza di chiuso qui.” Anche di alcol e sperma. Pensò ma non lo disse. Notò però dei fazzoletti accartocciati sul divano accanto il p.c. portatile e a un oggetto dalla forma fallica. Una conversazione in cam era stata interrotta. Il tipo con i pantaloni arrotolati alle caviglie se lo stava ancora smanettando.
“Ripassi gli spartiti vedo.”
“Sei venuta qui per farmi la morale?”
“Quante seghe di fai al giorno?”
“Che c’è, ora ti occupi di statistiche? Interessante sapere quanto può annientarsi una persona dopo una rottura?” fissò la donna abbandonando l’atteggiamento cinico per qualche attimo: “Baby, lo so a che stai pensando. Guarda questo frocio patetico. Prima o poi mi passerà, lo so, non serve che tu me lo dica. Ho già un’amica che me lo ripete di continuo. Ma per adesso ci voglio sguazzare nel dolore. Sto soffrendo tantissimo. Ho paura di non farcela ma lotto per restare a galla. Prima o poi ne uscirò, lo so. Tornerò ai miei trionfi, tornerà William McCarthy il grande. Il magnifico. Ora no. Non ho voglia di lavorare.”
“Mettiti nei miei panni, ci sono delle scadenze.”
“Sostituiscimi, lascia credere che mi sono preso la gonorrea o l’HIV.”
“Ora esageri.”
“Edmund è bravo quanto me. Se la caverà.”
“Ed è magnifico, avrà una carriera esaltante. Ma non è te! I tuoi fan ti pretendono. Sai bene che ci sono un mucchio di persone che seguono i concerti solo per vedere te.” William si sentì lusingato da quelle parole. Sorrise. Il suo stomaco brontolò. Aveva dimenticato di pranzare. Gli succedeva spesso ultimamente.
“Lasciami preparare qualcosa. Ho il surgelatore pieno, ok?”
“Il concerto di primavera. Almeno quello. Me lo devi.”
William fece un segno affermativo con il capo. Un segnale sonoro irruppe imprevisto. Proveniva dal computer. Victim for love si era collegato. Aveva chattato con lui tre sere prima. Un tipo simpatico. Un po’ malinconico ma simpatico. E poi era senza cam. Quando William gli aveva proposto di masturbarsi insieme aveva gentilmente declinato l’invito. “Il contatto è insostituibile” aveva scritto.
“Romantico, io sono tutt’altro che romantico ultimamente” fu la sua risposta. Era curioso di tornare ad interagire con lui.
“Va bene, satanaccia, hai vinto. Vada per il concerto di primavera.” La donna fece hurrah con gli occhi e si accomiatò non prima di aver elargito un sonoro bacio sulla guancia.
“Ciao Victim, come va?”
“Ciao. Bene.”
“Che mi racconti di bello?”
“Che mi sento solo... ”
“Anch’io mi sento solo. Tu perché ti senti solo?”
“Dovevo scaricare la mia posta invece tutte le volte che accendo il p.c. di casa questo coso si collega.”
“E ti dispiace? Non vuoi chattare con me?”
Liam provò una sensazione tutt’altro che spiacevole. Poteva essere chiunque. Un grassone laido. Una donna annoiata. Un portatore di handicap. Eppure in quel momento ebbe la netta sensazione che al di là di tutti quegli improbabili fili ci fosse un tipo tutt’altro che insignificante. Ebbe un’erezione, immediata. Solida.
“Ho voglia di vederti... se sei attraente come hai detto l’ultima volta, Hot!”
“Però non è giusto. Tu mi vedi e io non vedo te.”
“Comprerò questa diavolo di telecamera, prima o poi se avrò tempo.”
“Hai detto che sei di New York e ti chiami Richard. Che hai quarant’uno anni e sei atletico e in forma. Ma se non ti fai vedere penserò che mi stai dicendo un mucchio di balle. Che invece sei un cesso.” Sostituì la bottiglia d’acqua all’alcolico. Continuava ad avere fame ma la voglia di restare con l’amico virtuale era troppa. Si accorse di essere di nuovo eccitato. Dio mio, questo prurito sessuale si sta facendo preoccupante. Pensò sistemandosi il pene nei jeans. Ma c’era qualcosa di diverso rispetto alle seghe con i compagni di masturbazione. Quel tizio lo faceva sentire bene sul serio. Capì dove aveva provato l’ultima volta quella sensazione di benessere e si sentì travolgere da quel piacere. L’angelo! Victim for love è l’angelo!

martedì 23 giugno 2009

Ogni singolo respiro, capitolo 6





Un uomo sudato e affannato, senza giacca e con l’aria di essere un pazzo scappato dal manicomio correva a perdifiato tra lo spartitraffico delle due arterie principali di Washington. Molto presto sarebbe stato affiancato da un’auto della polizia e, di certo, il conducente si sarebbe stupito di vedere il distintivo dell’FBI sventolare sotto il suo naso.
Ormai mancava poco. Un svolta a destra e avrebbe raggiunto la clinica. Doveva solo sperare di non svenire.
Arrivò di fronte alla receptionist. Una donna con un’acconciatura assurda lo guardò con tanto d’occhi.
“Mi scusi?”
“Temperance Brennan.” Malgrado non fosse sicura se fosse il caso o meno di dare corda a quell’individuo dall’aspetto disordinato, la curiosità le impose di dare un’occhiata all’elenco dei pazienti. Senza la minima professionalità, né tanto meno tatto, lesse ad alta voce.
“Eccola qui, Brennan, aborto volontario. Ore undici e trenta.”
“Aborto?” da rosso accesso per lo sforzo compiuto il colorito dell’agente divenne pallido.
“Dove si trova?”
“Non so posso darle questa informazione... ”.
Un’assistente venne in suo soccorso. “Claire, hai detto fin troppo a questo signore. Ora ti resta solo di indicargli dove si svolgerà l’intervento.” La donna di colore la redarguì con severità.
A Claire non rimase che ingoiare il boccone amaro. “Tredicesimo piano, sulla destra. Sempre dritti fino in fondo al corridoio.”
Booth volò letteralmente verso gli ascensori.

“Non capisco perché non abbiamo ancora iniziato!”
“Cerca di stare calma, hanno detto che la sala operatoria è stata occupata per un’emergenza improvvisa.”
Brennan stava per perdere la pazienza.
Il dottor Holden venne incontro ai dubbi delle due donne.
“Abbiamo ricoverato questa donna per via dell’incidente sulla settima di Constitution Avenue. Era incinta di ventisei settimane e siamo stati costretti a far nascere il bambino.”
“Se la caverà?”, chiese ansiosa la Montenegro.
“Ora è in terapia intensiva neonatale, ma siamo ottimisti. Ottocentosettanta grammi per un bimbo di così poche settimane è già molto.”
“Possibile che ci sia una sola sala operatoria in questo posto?”. L’impazienza di Temperance aumentava di minuto in minuto.

Il battito cardiaco di Seeley Booth era accelerato all’inverosimile.
Se avesse avuto un minimo dubbio che quello fosse stato un incubo avrebbe cominciato ad urlare ai passanti e, magari, si sarebbe buttato giù dalla finestra per provare a volare.
Ma sapeva fin troppo bene che non si trattava di un sogno.
Bones stava per andare sotto i ferri, sì, ma non c’era nessun tumore da asportare.
Stava per interrompere la gravidanza. Una gravidanza del quale lui non era a conoscenza.
Cam e Angela, Hodgins persino, forse, lui no.
A lui non era stato detto niente.
Si sentì in colpa perché avrebbe dovuto capirlo.
Se non fossi stato troppo occupato a farmi fottere da un presunto killer forse...
Intuì subito che quell’atteggiamento era sbagliato.
Sweets avrebbe avuto da dire la sua in proposito. Ma quello non era il momento di pensare alla terapia. Né all’ex compagno in cella. Né alle illazioni sulla sua presunta innocenza paventate dal dottor Reid.
Ora doveva solo occuparsi di Bones e al bambino che stava gettando nel cassonetto dei rifiuti organici.
Arrivò davanti alla sala operatoria.
Non c’era nessuno.
Troppo tardi, si disse.
Un medico in giacca e cravatta stava per prendere servizio. Vedendolo così affannato gli venne incontro.
“Chi cerca?”
“Brennan, Temperance Brennan.”
“Si tratta di una giovane donna con un’amica mezza asiatica?”
“Sì, sono loro. Angela e Bones! Dove le posso trovare?”
“Immagino sia una questione della massima urgenza. Si rilassi e prenda fiato.”
“Mi dica dove sono, la prego.”
“Le ho viste dirette pochi attimi fa verso il terrazzo.”
“Quale terrazzo?!”
“Alla fine di questo corridoio.”
Il grande terrazzo posto al tredicesimo piano della clinica era stato pensato come luogo di relax per i degenti. Chiuso da un vetro che proteggeva da tutti i possibili sbalzi termici, era addobbato da piante fiorite e da piccoli alberelli da frutta.
A quell’ora brulicava d’infermieri e personale medico vario che si fermava per chiacchierare o per uno spuntino veloce.
Angela e Temperance avevano scelto un angolo appartato, tra un cedro e una panchina occupata da due donne anziane.
Temperance lo vide arrivare e fu subito invasa dall’emozione.
Avrebbe voluto sparire, nascondersi, esiliare. Scappare via verso l’ignoto, magari ficcarsi nella terra. Vedendolo così distrutto capì quanto piccola e meschina fosse stata.
Aveva sbagliato. Aveva sbagliato a non avvisarlo. La luce scura che lesse nei suoi occhi la fece sentire letteralmente uno schifo.
“Booth”, esalò in un gemito.
“Non lo fare” il suo tono di voce era alto. L’attenzione di molti fu per loro.
“Perché sei qui?” Angela si scansò come se volesse togliersi di scena. Ma, in quella scena, nel dramma, c’erano tutti.
“Non lo fare, non lo farai, non ucciderai questo bambino.”
“Ti prego, Booth, tu non puoi...” non le fece finire la frase che se lo ritrovò inginocchiato ai suoi piedi.
Le abbrancò le gambe. Le strinse a sé. Tutta l’emozione per aver scoperto di essere ad un passo dal tornare ad essere padre e al non esserlo più la scaricò in quell’abbraccio.
“Non puoi, non devi, non voglio.” Bones, incapace di essere razionale, lo abbracciò a sua volta. Si chinò su di lui fino a che non furono faccia a faccia. Le fronti slittarono in una carezza quasi violenta, decisa. E poi un sussurro, una voce che mai aveva sentito, rivelò come in una litania: “Ogni singolo respiro, da qui alla fine di tutti i miei respiri. Io ti proteggerò da ogni male. Per sempre se lo vorrai.”
Quella frase la colpì immensamente. Scacciò un singulto con tutta la forza che aveva.
“Non lo so forse è troppo tardi per i progetti a lunga scadenza?”
“Perché?”
“Dov’eri Booth?” chiese indietreggiando come se temesse che la prossimità fisica potesse scalfire la sua convinzione, “Dove sei stato tutto questo tempo?” lo stava accusando. Ma con una dolcezza nella voce da sembrare una dichiarazione d’amore.
“So dove sono ora. So che ti voglio aiutare... ”
“No, non puoi! Non puoi essermi d’aiuto finché non starai bene. Non ricordi l’altra sera? Mi hai rifiutato. E hai fatto bene. Sì, ci ho pensato; avevi ragione tu. Non sei pronto per una relazione, ora.”
“Ma non importa se lo sarò o non lo sarò mai. Io voglio questo bambino. Il tuo bambino è anche mio figlio.”
“E quello che voglio io non è importante?” l’attenzione degli inerti spettatori era totale. Attorno alla coppia si era creato un silenzio quasi magico. Qualcuno si chiese se non si trattasse di una messa inscena. Magari si stava girando un film all’insaputa di tutti, al fine di ottenere maggiore spontaneità da parte dei figuranti. A rompere l’incanto venne l’equipe medica; reclamavano Temperance.
“La sala operatoria è pronta” fece sapere una giovane infermiera con solerzia.
“Non occorre più” rispose Booth alzandosi. La diretta interessata fece altrettanto aggrappandosi alle sue braccia.
“Sono pronta” fece sapere.
Comprendendo quanto la situazione fosse delicata il ginecologo affiancò la sottoposta.
“Si può ancora rimandare, signorina... ”
“No” si affrettò prontamente la donna.
“No, si può rimandare. Dobbiamo parlare.”
“No che non dobbiamo!” l’accesa discussione era solo all’inizio.
L’accesa discussione era solo all’inizio.
Temperance guardò Booth con occhi fiammeggianti: “Tutto questo è patetico e sbagliato!”
“Ma perché vuoi farmi questo? Vuoi uccidere qualcosa di mio.”
“Se è questo il problema dormi sonni tranquilli. Non è tuo.” Lo disse quasi con leggerezza. La sua voce era ferma. Non si accorse del nuovo gelo che cadde su quel terrazzo.
Booth considerò quella frase come una menzogna. Certo che è mio, di chi altri altrimenti?
“Bones... ”
“Hai capito? Ora non insistere.”
“Non mi importerebbe.”
“A sì? Saresti pronto ad occupartene come se fosse tuo. Molto generoso. Il problema è che non lo voglio io. Non me ne voglio occupare io.” Sospirò.
A quel punto Booth si sentì impotente.
Si arrese alla decisione della sua Bones anche se faceva un male cane.
Non ci credeva.
Dormi sonni tranquilli. Non è tuo.
L’aveva detto con troppa enfasi.
La mia Bones non sa proprio mentire, considerò sorridendo amaro.
E ora gli restava solo guardarla andare via, senza poter muovere un dito.
“Sarei pronto a dare la vita per entrambi.”, gridò quando lei fu ad un passo dall’entrare dentro la sala operatoria.


L’anestesista, un giovane uomo rasato piuttosto corpulento era stato tra quelli che avevano assistito alla diatriba in terrazza.
Era anche colui che avrebbe dato il via all’operazione.
Guardò la sua paziente con pena ma anche con stima.
Quella donna solo apparentemente minuta e pallida doveva essere, in realtà, una persona molto forte e coraggiosa.
“Lo sa. A volte la vita ci riserva trame strane.”, annunciò prima di infilare l’ago nella flebo e dare il via all’anestesia.
Temperance non rispose.
Chiuse gli occhi sperando di abbandonarsi quanto prima al sonno artificiale.
“Dico questo dopo aver assistito alla vostra diatriba. Parlo di lei e del suo ragazzo.”
“Non è il mio ragazzo. È un collega.”
“Beh, chiunque lui sia è qualcuno che darebbe la vita per lei e suo figlio. Magari accettandolo anche se non è biologicamente il suo. Ma le ripeto: il destino a volte fa scherzi incomprensibili. Qualcuno lo chiama destino, altri Dio... beh le racconterò un fatto: l’incidente sulla Constitution Avenue. Lo sa da cosa è stato causato? L’autista si è distratto a guardare l’incidente che ieri ha fatto sì che fossero rinvenuti i resti a cui lei stava lavorando”
“Come fa a saperlo...?”. La sua voce stava diventando flebile.
“E quel bambino venuto fuori a soli ventisei settimane? Beh, se il conducente del tir non si fosse distratto andando a tamponare sulla donna incinta, il bambino non sarebbe sopravvissuto. La vita riserva trame strane, ripeto.”
“Non capisco... ”
“Era in sofferenza fetale. La placenta ha smesso all’improvviso di funzionare e sarebbe morto entro poche ore. Ma l’incidente ha dato modo che nascesse anzitempo. Ora ce la farà.”
“Perché mi sta dicendo tutto questo?”. Bones non sapeva se essere infuriata con quell’uomo o se essergli grata. Le sue parole stavano scalfendo la sua determinazione. E questo non era un bene, a suo parere.
“Quello che intendo dire è che il suo ragazzo, o quello che è, ha fatto in tempo a dirle che vuole il bambino perché c’è stato l’incidente, altrimenti a quest’ora lei avrebbe fatto il raschiamento da un pezzo e molto probabilmente ora sarebbe in mensa a mangiare un boccone.”
“Non voglio sentire questi sermoni.”
“Se crede nel destino, qualcosa significa. Dia retta a quell’uomo. Magari non sarà biologicamente il padre ma ha una voglia smisurata di farlo. Di crescere questo piccolino. E, qualsiasi svolta prenderà la vostra relazione, leggerà per sempre nei suoi occhi il risentimento per avergli tolto questa possibilità.”

lunedì 22 giugno 2009

Hup, la zanzara che non si accontenta



Titolo: Hup, la zanzara che non si accontenta

Autrice: Giusi-poo

Disclaimer: Hup sono io, vorrei essere io, vi prego, fatemela fare a me!!!! ^^

Genere: RPS ma anche real zanzara slash ghghghhghggh



Note: molto importante leggere QUI se non sapete nulla di,
Jake Gyllenhaal Austin Nichols , di John from Cincinnati, del roulottesexygate, vi consiglio di informarvi se no dubito che capirete un bip bip di quello che la mia mente malata ha elaborato.


Ciao, mi chiamo Hup, e sono una zanzara del pacifico. Mi piace ronzare qui giù per Santa Monica perché c’è un bel clima e si sta bene, soprattutto d’inverno. Qui è sempre caldo. Ma è la primavera la stagione che preferisco. Sì, in primavera si sta bene e vengo qua giù perché c’è una spiaggia stupenda dove mi posso fare gli affari miei tranquillamente. E soprattutto posso fare i dispetti a dei tipi e delle tipette molto carine. Ci sono pure una discreta ciurma di zanzaracce dispettose ma le sopporto stoicamente.


Quest’anno, nel luogo dove villeggio solitamente io, sono arrivati dei container. Gente assurda ha invaso parte della spiaggia dove io e le mie colleghe ci divertivamo a punzecchiare la gente.
Non sono rimasto deluso perché, tra i container, ho conosciuto lui: Facciadasballo! È praticamente il ragazzo più bello dell’universo e credetemi, io, di chiappe, braccia, facce, e via discorrendo, ne ho punzecchiate tante ma come mi piace succhiare il sangue a lui… oddio mai nessun’altro al mondo! Il mio problema è che, a differenza delle altre mie colleghe succhiatrici, io adoro pungere quelli belli. Non ci posso far niente. Hanno tutto un altro sapore.
Facciadasballo questa mattina non ha messo la testa fuori della roulotte, chissà come mai. Sono un po’ preoccupato, se non schiaccia quella cazzo di maniglia come faccio a succhiare il suo adorabile nettare? Ho pure una gran fame perché, stanotte, per dar retta a quelle quattro zoccolette di Ran, Vik, Sek, e Cirice, mi sono ritrovato rinchiuso in un altro container tutto buio che mi mancava l’ossigeno. E poi mi sono ritrovato a succhiare un cameraman brutto e pure puzzolente.
Facciadasballo, oltre ad essere bellissimo, ha pure un odore fantastico! E io lo riconosco lontano un miglio e anche di più. Anche se si lava spesso perché passa una cifra, un tempo assurdo, in mare con quella buffa tuta aderente che gli fascia i muscoli. Ha un suo profumo che per me assolutamente unico. Un attimo…. Ma cos’è sto odore? Uhmmm buono… viene da là…..zzzzzzzz svolazzo sopra gli altri container. Cosa vedono i miei occhi: ma chi è quel gran pezzo di essere umano che si sta avvicinando alla roulotte di Facciadasballo? Discesa in picchiataaaaaaaa
Capperi, visto da vicino è ancora più carino!! Che corpo, che andatura, che spalle da infarto! Sarà un altro attore? Per forza! E che odore meraviglioso. Sono morto e sono nel paradiso delle zanzare, forse? Sicuro, non c’è altra spiegazione! E ora che fa? Bussano alla porta di Facciadasballo quegli energumeni vicino a… come chiamarlo? Fisicodaurlo? Angelocadutoinvolo? Odoreincantevole? Va bé lo chiamerò semplicemente Facciadasballo2 perché alla fin fine si assomigliano, almeno nei modi e anche l’odorino che emanano è simile. Ecco ci siamo, Facciadasballo sta abbassando il maniglione della porta, la apre! Datemi qualche secondo per riprendermi dalla visione: strizza gli occhi infastidito dal riverbero del sole, indossa una maglietta bianca e un paio di jeans sgualciti un po’ a vita bassa. Sorride!!!! Mamma mia quel sorriso!!! Potrei disegnarlo con la mente se solo avessi la possibilità di disegnarlo con le mani. Ma non c’è tempo di emozionarmi, devo correre dentro se no questi mi lasciano fuori e sono out!
Facciadasballo2 viene introdotto nella roulotte mentre io mi faccio la mia ronzata di ricognizione. Perché si abbracciano ora? No! Non lo fate!! Che rischiate di mischiare i vostri odori e poi non ci capisco più niente. Ma perché fa così? Facciadasballo non lo ha fatto mai con nessuno! Si tengono le braccia appoggiate alle spalle e le guance attaccate, per la miseria! Se stanno così vicini, come riuscirò a succhiarli entrambi? Bene, si sono staccati. Ora Facciadasballo gli sta facendo vedere la roulotte, e che ci sarà d’interessante? Figuriamoci! Questi venti mq io già li conosco a memoria! Hahahaha, ora Facciadasballo sta indicando a Facciadasballo2 i pizzichi che gli ho procurato sulle braccia! Che divertente. Si sta togliendo la maglietta, evidentemente vuole fargli vedere pure quelli sul torace. Inutile, Facciadasballo2 sei carino, profumi che è un incanto ma non sei tanto intelligente, non è che appoggiandoci la bocca le bollicine irriteranno meno! Lascia perdere.
Un momento! Perché gli sta togliendo i pantaloni? Sono dieci giorni almeno che non bazzico sulle sue belle gambe, ho fatto una specie di fioretto. Da quando sono sopravvissuto, non so come, a Baygon Genius, ho giurato che non avrei morso il mio boy preferito sotto la cintola. A dire il vero è anche perché, ultimamente, si copre le gambe con le lenzuola e mi è difficoltoso arrivare laggiù. Ma, forse sarà stata qualcun'altro a pizzicarlo… Ci sono! È stato quel demente di Vik! Dovevo capirlo prima che si era invaghito del mio uomo! Maledetto! Hahahaha questo è divertente. Ora Facciadasballo2 gli sta togliendo le mutande. Che cosa pensa Facciadasballo2 che Vig sia talmente scaltro da riuscire ad arrivare fin certi luoghi? No, lui si sarebbe fermato all’ombelico, garantito!
È un vigliacco, lui.

Borderline, capitolo 11


Capitolo 11


William ordinò un pranzo stupendo. Vanilla e Stacy arrivarono in perfetto orario. Ma Heath non c’era.
“Ha un’audizione.”
“Lui è sempre indaffarato. Mentre per me solo queste cazzo di proposte oscene!”
“Quali proposte oscene?”
“Lo sai...l’allattamento. Un tizio mi ha proposto di girare un porno soft con il latte.”
“Mio Dio devo vomitare” teatralmente s’infilò un dito giù per la gola. “E poi dicono che noi gay siamo i perversi.”
“Già, pare che un sacco di bastardi si eccitano con una bella tetta che schizza. Non me la sto passando bene, economicamente parlando e ti dico la verità. Un pensiero ce l’ho fatta. Se tengono i loro schifosi uccelli lontano dalla mia passera e dalle mie tette, beh si può fare.”
“No, la mamma della mia figlioccia non fa porno. È escluso.” Si alzò risoluto. Aprì un cassetto posto nel mobile adiacente la porta d’ingresso. Tirò fuori il libretto degli assegni. Ne staccò uno consistente per la sua amica del cuore.
“Will... io”
“Sai che non devi ringraziarmi. Io e Heath siamo un po’ i genitori di questa bambina meravigliosa. E abbiamo abbastanza denaro da buttarlo in sciocchezze. Mentre lei ha bisogno di crescere.”
“Ma sono diecimila dollari! Cazzo, Will, dovresti sentire prima Heath.”
“Non ti preoccupare, lui sarà d’accordo.”
“Cosa ci faccio con tutto questo denaro?”
“Lo metti a parte. Ci fai il guardaroba nuovo. Ci paghi un escort. Ma lontano dai porno e dai maniaci sessuali.”
La donna sorrise grata per poi asciugarsi le lacrime commossa. “Perché ho due amici fantastici come voi? Che ho fatto per meritarmeli?”
“Perché sei tu fantastica. Perché ci permetti di spupazzare quest’angioletto delizioso e poterla crescere come nessun altro ci avrebbe consentito. Perché ti amiamo.” Proprio in quel momento la bambina fece un grido di gioia. Tutti e due si abbracciarono e, nel farlo, strinsero lei che si ribellò con un vagito.


Il JFK pullulava di turisti e viaggiatori vari. Liam e Jake attendevano di essere imbarcati. Nei loro volti non c’era l’eccitazione della partenza, né la rilassatezza per i futuri svaghi. Liam continuava a torturare il pennino del suo BlackBerry e Jake si mordicchiava le unghie. Aveva provato e riprovato a chiamare Heath quella mattina ma non c’era stato niente da fare, irraggiungibile! Aveva bisogno di lui, aveva soprattutto bisogno di fargli sapere gli ultimi sviluppi della sua storia con Liam. Partire senza avergli raccontato nulla sarebbe stato un protrarre il dolore, quel sordido malessere, per un tempo assolutamente non necessario. E sapeva che provare a contattarlo dall’estero sarebbe risultato estremamente complicato. No, tanto valeva fare come si erano promessi la sera prima: attendere che l’esilio finisse per poi scaraventarsi l’uno tra le braccia dell’altro e cominciare... cominciare qualcosa insieme, di diverso, di vero.
Jake sapeva solo guardandolo cosa stava pensando Liam. Probabilmente a tutte le volte che gli ho detto che aveva un cesareo ogni notte, troppe pazienti. Tra una considerazione e l’altra si sbucciò una banana. Un tipo con un cappelletto dei Lakers gli fece gli occhi dolci. Sospirò sconsolato.
“Non è colpa tua, quando si è così sexy mangiare una banana in pubblico è sconveniente.” Suggerì Liam andandogli a sedere vicino.
“Baciami, così la smette di guardarmi.”
“Non mi sembra il caso...” Spancer si guardò intorno indicando tutte le persone che avrebbero potuto trovare da ridire.
“E poi tra qualche ora saremo su di una splendida isola caraibica. Avremmo tempo di darci tutti i baci che vogliamo.”
“E prima? Uno piccolino, magari in aereo.”
“Assolutamente sì, piccolo.” Gli accarezzò la guancia paternamente.
Il volo fu interessante. Jake e Liam chiacchierarono quasi ininterrottamente. Del tempo, di Obama, di football, della donna che aveva partorito due gemelli senza cesareo né epidurale.
Una volta arrivati in terra straniera si sentirono finalmente in vacanza. E dunque consci di potersi dare alla pazza gioia. Prima di cena fecero un lungo riposino che li vede addormentarsi castamente abbracciati e con tutti i vestiti in dosso. Liam si svegliò per primo. Si fece una lunga doccia, la barba. Poi scese per comprare dei dolcetti da far trovare a Jake appena sveglio. Quest’ultimo si stiracchiò discostandosi dalle lenzuola.
“Che meraviglia! Cappuccino freddo e dolcetti al cioccolato. Questo sì che è un risveglio grandioso!” Liam si andò a sedere accanto.
“Ti sei dimenticato una cosa, mio caro Liam...” aggiunse.
“Una rosa sul vassoio?”
“No, piuttosto un bacio con la lingua...”
“Già, hai ragione.” Si piegò su di lui. Catturò il labbro inferiore tra i denti. Lo succhiò. Entrambi si eccitarono parecchio. Il vassoio fu gentilmente posato al comodino accanto. Il bacio si fece infuocato. Le bocche dardeggiarono come i denti e le lingue e la saliva dell’uno passò nella bocca dell’altro mischiandosi come l’acqua col sapone. In un impeto di passione Liam sbottonò strattonandolo il jeans per poi farlo passare oltre i polpacci assieme ai boxer. Una volta nudo, Jake divaricò le cosce ansimando.
Liam lo prese senza l’ausilio del gel lubrificante. La danza ebbe inizio rendendo il clima arroventato. I gemiti soffiarono nella bocca dell’altro. L’impeto dell’attivo si fece più pressante, e l’altro non riuscì a più a trattenere le urla estatiche.
“Ti amo” gridò nel suo orecchio. L’altro rispose con un sorriso amaro.
“Lo so che mi ami... lo so. Allora perché mi hai tradito?” Jake lo sapeva. Sapeva che il digiuno riguardo l’argomento ‘corna’ si sarebbe rotto durante il primo assalto sessuale. Confuso dal piacere pressante non disse niente. Fu a quel punto che sentì venire meno la profanazione. Liam si tolse del tutto lasciandolo basito. Al ginecologo sembrò che fosse terminato l’ossigeno.
“Tesoro, perché ti sei fermato? Lo sai che non mi piace quando fai così.”
“Devi rispondere: perché mi hai tradito se mi ami?”
“E se non lo faccio? Cercherai di soffocarmi con il tuo uccello come hai fatto con quel tizio nei cessi dell’Hotel?” lo sfidò.
“Potrei fare di peggio, potrei mettere a nanna il mio uccello e lasciarti così, ansimante e supplicante. Sono certo che ti farebbe meno male se tentassi di infilarti tutto il cazzo in gola.”
Jake deglutì. “Te lo dico, ok. Ma ricomincia a farmi l’amore” negoziò con dolcezza. Liam accettò e tornò a sdraiarsi su di lui. Lo fissò negli occhi intensamente cercando di non lasciarsi sopraffare da quelle pozze incredibilmente blu. Ne era a dir poco soggiogato. Scivolando dentro ricominciò a muoversi.
“Ti ho tradito perché...perché... lo amo. Sì, Liam amo anche lui. Amo Heath, ma in maniera diversa da come amo te.”
“Quale maniera?” Jake non voleva rispondere. I colpi ben ponderati stavano stimolando la sua ghiandola prostatica in maniera costante e risoluta.
“Così non ce la faccio... non è dialogo... ”
“Lo ami in maniera differente, che intendi?”
“Lui non è te, non lo sarà mai. Ma non posso fare a meno di te, come non posso fare a meno di lui!” affermò tutto d’un fiato. I colpi di bacino si fecero più ravvicinati. Liam stava volutamente colpendo il rigonfiamento all’interno del corpo. Lo sentì vibrare da dentro e lo vide chiudere gli occhi e perdersi nell’orgasmo imminente.
“O mio dio... o mio dio... ” esalò prima di essere invaso dalle contrazioni. L’apice era sempre così: meraviglioso e doloroso. Inquietante. Lo provava da oltre dodici anni, ora anche da due uomini diversi, e ancora non se ne capacitava. Liam attese che i fremiti si placassero. Uscì quasi in silenzio. Si sdraiò accanto a lui.
Jake attese che il proprio respiro tornasse al ritmo normale. Poi si alzò per andare a sdraiarsi sopra di lui.
“Presto o tardi mi ucciderai di piacere” sussurrò cercando con la mano il grosso pene eretto. Lo accarezzò qualche secondo prima di tornare ad usufruirne appieno.
“Tu mi uccidi e basta, piccolo” esalò quando iniziò a muoversi con decisione. Raggiungere l’apice fu solo una questione di poche spinte. Il ragazzo dagli occhi chiari si lasciò andare su di lui. Assaporò la pelle calda e sudata. Il suo odore era piccante ma non fastidioso. Persino le ascelle sapevano di buono; sempre. Difatti, adorava baciarlo e leccarlo anche in quel punto. Peccato che mentre lui gli sussurrava parole piene d’amore si ritrovò a pensare all’amante. Come mi manchi, come mi mancano i tuoi baci. Si sentiva un traditore, è vero. Ma fino ad un certo punto, prima o poi, sempre se avesse scelto di stare solo con Heath, anche Liam gli sarebbe mancato, eccome se gli sarebbe mancato...



L’audizione si rivelò un mezzo fiasco. Gli chiesero di cantare una strofa di sound of silence dei Simon and Garfunkel. Non era esattamente il suo genere. All’una precisa si ritrovò al diciassettesimo piano del suo appartamento. Stacy e William avevano già iniziato a mangiare. Addentavano delle patatine al forno strisciandole prima nel ketchup come se spegnessero un mozzicone di sigaretta.
William si alzò in piedi per accoglierlo. Si diedero un bacio sulle labbra confidenziale ma privo di sensualità. Heath si sentiva lo sguardo severo della donna. Succedeva ogni volta.
“Dove è la mia piccolina?”
“Ha mangiato una quantità industriale di pappa e poi è svenuta.”
“L’abbiamo messa nel tuo letto tra due cuscini. È un amore” rivelò Will facendo gli occhi dolci. Prima di iniziare a mangiare il cantante andò nella sua stanza per rubare un bacino alla sua figlioccia. Si sentì emozionato. La stava perdendo... Non c’è nemmeno da pensarci: se rompo con William non ci vedremo più piccolina mia. Non potrò cantarti più niente. Si sentiva commosso ma non pianse. Ormai era deciso: quando Stacy se ne sarebbe andata avrebbe parlato al suo uomo di Jake. Avrebbe rivelato ogni cosa, compresa l’intensione di rompere. Sempre se non me la faccio sotto prima.
“Allora, raccontaci come è andata!” chiesero quasi contemporaneamente una volta che si unì alla combriccola per mangiare.
“Cosa dire... mi faranno sapere, come al solito.”
“Bastardi” commentò gutturale la sua collega. Gli diede un buffetto sulla guancia. Il primo gesto affettuoso dopo mesi. Non ne avevano più parlato. L’argomento ginecologo sexy era finito in cantina tra le scartoffie da dimenticare. Una volta che Vanilla fu sveglia Stacy fece sapere che aveva da fare. Un misterioso appuntamento... “Lasciala, come fai a vedere un uomo con una poppante al seguito?” fece sapere l’aitante direttore d’orchestra sorridendo.
“Non è quel genere di appuntamento. Forse il tipo mi da lavoro.”
“Davvero? Cosa aspettavi a dirlo?” Heath era genuinamente sorpreso.
“Non statemi addosso. Si tratta di un lavoro da babysitter, niente di ché.”
“Proprio tu!”
“Sì, Will, proprio io! Devo occuparmi dei suoi due mocciosi. Gemelli di cinque anni, allo stesso tempo potrò badare a Vanilla. È ricco. Ha una bella casa, e potrebbe persino piacermi.”
Il cantante fece spallucce fissandola con genuina incredulità.
“Heath non guardarmi così, non sto rinunciando a cantare. Ma è troppo importante lavorare con questa crisi e tu lo sai.”
“Fai bene, e ti piacerà. Vedrai che saranno due magnifiche pesti quei due ragazzini.”
“Grazie per l’incoraggiamento William, non so cosa farei senza di te!” sorridendo si accommiatò dalla coppia. Una volta soli i discorsi caddero inevitabilmente su quella scelta coraggiosa e prudente, forse troppo prudente?
“Pensi che anche io prima o poi finirò per fare il dog sitter o qualcosa del genere?”
“Che scemenza. Con il tuo talento tesoro? E poi non serva che ti ricordi che tu, a differenza di Stacy hai un marito che porta a casa un sacco di quattrini.”
Heath si mangiò un unghia prima di dire tutto d’un fiato: “E se non fossimo più insieme?”.

Dopo aver fatto l’amore Liam e Jake trascorsero il resto del pomeriggio in spiaggia tra Martini e musica caraibica. Cenarono a bordo piscina in un atmosfera assolutamente perfetta. Nessuno avrebbe potuto immaginare lontanamente che la loro storia fosse in dirittura d’arrivo. Civettavano come se fossero alla prima vacanza. Luna di miele in tutto e per tutto specialmente tra le lenzuola. Il tradimento confidato da Jake sembrava aver messo ancora più carburante sul fuoco alla loro già scoppiettante intesa sessuale. Liam lo prese più volte quella notte, persino mentre dormiva. Poi però era stato Jake a svegliarlo con un’appassionata fellatio. In tarda mattinata si decisero a scendere per un’abbondante colazione. Dopo una manciata di ore tra spiaggia e piscina tornarono in camera per fare di nuovo sesso e dormire e ancora sesso, sesso, sesso! “Per colpa tua una volta a New York dovrò consultare un chirurgo plastico. Per rifarmi il sedere! Ne hai abbondantemente abusato.” Liam fu tentato fortemente di fare una battutina acida in riferimento al suo amante che lo attendeva al ritorno. Te lo rifai per lui? Fu colpito da un dubbio subitaneo. E se fosse stato voluto? Lo stava facendo di proposito ad abusare dell’adorabile di dietro al punto da renderlo quasi ‘inservibile’ per chi sarebbe sopraggiunto dopo? Era una scemenza. Jake aveva perso la verginità a quindici anni. Da quel momento il sesso anale per lui era stata una consuetudine come lavarsi i denti dopo i pasti. E Liam, nonostante i famigerati ventiquattro centimetri, non si era trattenuto mai. Non amavano trattenersi. Nessuno dei due.
La settimana alle Barbados giunse al termine. Era stata proprio una bellissima vacanza. Entrambi più belli con l’abbronzatura. Nel caso di Jake esaltava gli occhi chiari.
Una volta nell’attico i due uomini scelsero poltrone distanti dove sedersi. Questa volta non potevano rimandare l’argomento. Tema trattato solo durante il coito. Dovevano per forza di cose affrontare la questione. Fu Liam ad aprirsi per primo.
“Te ne vai?”
“Dove vuoi che vada? È una settimana che Heath ed io non ci sentiamo. Non so nemmeno se poi l’ha fatto.”
“Cosa?”
“Mollare il suo boyfriend.”
“Non mi avevi detto che stavi rovinando un’altra famiglia.” Jake sorrise deliziato. Doveva chiamare Heath, alla svelta. Chiaramente non davanti a Liam.
“Fatti una doccia.”
“Ne ho bisogno, vero?” si annusò la maglietta costando che in effetti sapeva ancora troppo di Barbados.
Jake lo vide sparire in direzione del bagno.
Prese in maniera concitata il telefonino appena carico.
Uno, due, tre, quattro squilli. La voce poco brillante di Heath gli scaldò il cuore.
“Sei tornato. Perché non ti sei fatto più sentire?”
“Non sono riuscito a chiamarti, problemi di linea e, ti confesso, ho voluto che questa settimana fosse veramente tutta per me e Liam, puoi capirmi?”
“Non lo so... cioè posso solo dirti che per me è stata la settimana più brutta della mia vita!”
“Amore, che è successo?”
“Se riesci a venire qui ne parliamo dal vivo. Sono all’Embassy, sulla settima.”

martedì 16 giugno 2009

Ogni singolo respiro, capitolo 5


“Sono in mezzo a due grandi consolari. Nudo. Le macchine sfrecciano via accanto a me. Potrebbero investirmi ma non succede. Io stesso vorrei finire sotto. Cerco di superare il cavalcavia ma niente. Continuo a trovarmi in questo spartitraffico incapace di avanzare o di retrocedere” il ricordo del sogno che stava raccontando lo gettò nel panico. Si toccò la fronte sudata. Proseguì: “E sto male. Malissimo. Che cavolo significa? Cosa mi sta succedendo, Sweets?” Booth voleva una risposta. Serviva a lui, serviva a Bones, serviva a risollevarlo dalla polvere.
Il giovane psicoterapeuta che aveva ascoltato il resoconto con attenzione, esaminò con i suoi occhi vispi l’amico-paziente.
“Mi creda quando le dico che questi sogni angosciosi non sono affatto una minaccia ma la risposta a quello che cerchiamo.”
“L’idea che mi sono fatto io è semplice. Sono nudo come un verme in mezzo al caos malgrado questo tento di ritrovare la strada. Un percorso che mi faccia tornare ad essere l’uomo che ero. Con tutti i vestiti addosso.”
“Mi parli dell’uomo che ha smarrito. Del Booth vestito” si appoggiò allo schienale.
Prima di ribattere, sospirò: “Il Booth vestito era un uomo che credeva ciecamente nel suo lavoro. Nella giustizia. Nell’amore per una donna.”
“E ora?”
“E adesso non lo so più. Mi sento esattamente come nel sogno. Sono in mezzo a due grandi strade che non si possono intersecare tra loro.”
“Pensa che scegliendo una strada o l’altra possa ritrovare i suoi vestiti?”
“Ho capito che i vestiti sono una metafora della mia identità sessuale. È questo che dovrei fare? Scegliere quale vestito indossare? Non ci riesco ora. Sono confuso. E non solo perché nel mio cuore sento di non sbagliare credendo nell’innocenza di Ian. Ma so anche che Bones ha bisogno del vecchio Booth. E, credimi quando dico che ne ho bisogno anch’io.”
“Purtroppo temo che il vecchio Booth, quello con i vestiti non ci sia più mi dispiace. E l’unico modo che hai per trovare quella strada di cui parli è accettando i tuoi nuovi vestiti.”
“Lo farai se sapessi dove sono!”
“In realtà lo sa. Lo sa, Booth. Solo che non lo vuole sapere.”
“Se questa psicoterapia deve aiutarmi ad accettare l’angoscia che mi porto dentro e imparare a conviverci è ora che cominci a fare effetto.” I Booth dai modi spicci era tornato. Il dialogo con il dottor Reid aveva lasciato degli strascichi pesanti e ora era sempre più difficile tornare indietro. Tornare ad essere come prima. Poteva cambiare pelle come gli consigliava Sweets? Poteva un uomo tutto d’un pezzo come lui arrivare a quel punto di rottura che gli avrebbe consentito di rimettersi in gioco?
“La psicoterapia la sta già aiutando. La sua paura nello scegliere la strada è fondata. Perché sarebbe un errore.”
“Cosa?”
“Scegliere una strada.”
“Mi stai dicendo che devo continuare a stare in mezzo?”
“Le certezze che la nutrivano in passato, tutta la corazza che la proteggeva, si sono frantumate dal momento che ha permesso a qualcuno del suo stesso sesso di amarla. In quel momento si è sentito se stesso.”
“Ora non vorrai venirmi a dire che sono sempre stato omosessuale o qualcosa del genere?”
“No. Certo è vero che il salto è stato grosso. Lo sarebbe stato in ogni caso, anche se si fosse trattato di una ragazza. La sua devozione totale a Brennan nonostante tutto non è mai stata messa in discussione.”
“E dunque?”
“Può scegliere di essere un uomo migliore per lei. Può riuscire a destabilizzare tutto se accetta di non scegliere la strada. Se smette di sentirti minacciato dal fatto di stare in mezzo.” Lo guardò fisso negli occhi, e, lasciando per un attimo le vesti di psicoterapeuta si rivolse a lui in tono confidenziale: “Booth, l’accettazione di se stessi è il passo più arduo da compiere. Se non arrivi a patti con questo non troverai più i tuoi vestiti.”
Il cercapersone vibrò facendolo saltare. “Devo andare.”
“A domani.”
“A domani” rispose fuggendo dalla stanza.

Il Jeffersonian pullulava di piccoli macabri resti umani. Una macchina a gran velocità scontrandosi con un muro di cemento, aveva dato modo che fossero rinvenute tutta una serie di parti scheletriche. Nonostante l’appuntamento fosse appena un ora dopo, Temperance stava lavorando a quelle ossa. Occhiali con lenti d’ingrandimento, sguardo severo, concentrazione al massimo.
“Cam, dille qualcosa.”
“Perché? Pensi davvero che se gli chiedessi di non abortire lei mi darebbe retta?” rispose l’altra sconsolata. Hodgins entrò a manetta. “Di chi state spettegolando? Chi è il povero Cristo sotto le vostre grinfie?” sembrava sorridente. Probabilmente il suo buon umore era dovuto a dei calliforidi che gli avevano fornito chissà quale illuminazione.
“Si tratta di un questione privata. Torna alle tue larve.” Il riccioluto le guardò di sbieco.
“Sono davvero un parassita.”
“Jack!”
“Va bene, recepito il messaggio. Vado dai miei simili.” Girò i tacchi voltandosi diretto verso il suo laboratorio personale.
Sospirando la dottoressa Sorayan si avvicinò a Brennan.
“Lascia stare. Per oggi posso continuare io.”
“Sono ossa, non c’è carne. Finisco e poi vado.”
“Brennan non devi... ”
“Cam, ora ti ci metti anche tu.” Sconsolata si tolse li occhiali. “Non avrei dovuto renderti partecipe. Pensate entrambe di saperne più di me?”
“Vogliamo solo che tu non ti penta del tuo gesto.”
“Perché dovrei pentirmi? È questo dialogo che è inopportuno. Anzi, sai cosa vi dico? Vado un po’ prima. Magari per l’ora di pranzo questa storia è già finita.” Angela la seguì verso lo spogliatoio. “Non vuoi più nemmeno me?” Temperance si voltò di scatto e la guardò con occhi tristi.
“Ma certo che ti voglio. Ma come amica che mi capisce e sta dalla mia parte.” La Montenegro comprese e decise di essere totalmente dalla sua parte. Se aveva scelto di andare incontro alla tempesta quanto meno le avrebbe concesso una scialuppa di salvataggio.
Una decina di minuti dopo l’FBI entrò a chiedere ragguagli sulle ossa del muro di cemento. Booth era reduce dalla terapia con Sweets. I suoi superiori, non del tutto convinti che fosse all’altezza di garantire il massimo della professionalità, gli avevano affiancato l’agente Perrotta, una donna in gamba di cui aveva stima. Quest’ultima sembrava sentirsi più a disagio di tutti gli altri di fronte ai disordini professionali ed emozionali del collega.
“Ciao Cam, dov’è Bones?” chiese l’uomo con tono pacato.
“Ecco io... ” il tono traballante della sua voce le rivelò che gli stava tenendo nascosto qualcosa.
“Che succede?” Perrotta guardò prima la donna poi il suo compagno con aria interrogativa.
“Ricordi quel tumore? Oggi la operano.”
“Tumore, operazione?!”
“Sì, gli è stato diagnosticato ieri l’altro. Pensavo te ne avesse parlato.”
“Bones è sotto i ferri ora?”
Cam ingoiò la saliva. Era certa che chiunque avesse potuto leggerle nel pensiero. Soprattutto lui.
“Seeley...”
“Perrotta, continua senza di me. Io devo andare” come se fosse stato morso da un animale velenoso e dovesse nel minor tempo possibile assumere l’antidoto, Booth scappò dal laboratorio lasciando dietro sé i volti esterrefatti dei restanti.
La mia Bones ha bisogno di me.
La mia Bones ha bisogno di me.
La mia Bones ha bisogno di me.

Solo a quello riusciva a pesare durante il tragitto verso la clinica. Doveva raggiungerla, esserle vicino quando si sarebbe ripresa! Le avrebbe assicurato che tutto sarebbe filato liscio.
Basta cazzate! Ora Bones ha bisogno di Booth... di Booth con tutti i suoi fottuti vestiti.
I ricordi del suo incubo ricorrente tornarono non a caso. La strada che conduceva verso l’ospedale era bloccata da un incidente piuttosto serio. A quel punto si ritrovò a pochi isolati dal luogo d’arrivo con due alternative: andare avanti in auto rischiando di non poterla salutare prima dell’intervento o parcheggiare il suv da una parte e proseguire a piedi? Parcheggiarla avrebbe significato abbandonarla ad un ciglio della strada e camminare in mezzo allo spartitraffico. Proprio come il Booth nudo dei suoi incubi. Ma lui aveva i suoi vestiti. Aveva la forza di volontà per andare incontro a quella strada, per stare sullo spartitraffico come gli aveva consigliato Sweets. E più i minuti si rincorrevano, più una voce interiore gli imponeva di sbrigarsi. Quella voce gli ricordava che Bones aveva bisogno di lei.

Il dottor Holden si avvicinò a Temperance porgendole cuffietta e divisa ospedaliera.
“Come si sente?”
“Come vuole che mi senta?” era un momento penoso. Angela teneva a freno le lacrime. Era una lotta impari. Anche Brennan stava per cedere agli ormoni. La guardò con intensità.
“Sai che se inizi a piangere poi io ti vengo dietro, vero?”
“Piccola, non lo fare. Non prima di averlo detto a Booth” singhiozzò.
“Ma non capisci? Questo lo spezzerebbe. E lo amo troppo per fargli altro male.”
“Glielo stai facendo uccidendo suo figlio.”
“Non è così. Non lo sto facendo” tirò su con il naso.
“L’anestesista è pronto, mi segua.” Holden s’inserì nel fitto dialogo. Non trascurò le lacrime che rigavano il viso della sua paziente. Prese dal taschino del camicie un fazzoletto di carta.
“Non serve che le dica che se ha cambiato idea... ”
“Assolutamente no.”

venerdì 12 giugno 2009

Ogni singolo respiro, capitolo 4



WARNING! NC 17 per il linguaggio, la crudezza dei termini e accenni a violenza sui minori


Ian Emmerich se ne stava in disparte tutte le volte che doveva condividere il tempo con gli altri carcerati.
Temeva quella massa di delinquenti senza cervello, zotici e violenti di natura. Avrebbero potuto farlo a pezzi solo per il gusto di farlo se non fosse stato per alcune telecamere di sorveglianza posizionate sopra le loro teste e per i secondini, disseminati per tutto il perimetro del carcere federale.
La divisa arancione gli andava stretta nonostante fosse dimagrito, di botto, cinque chili.
Avrebbe potuto digiunare per settimane, non sarebbe stato un grande sacrificio. Il pasto dei reclusi era quanto di più disgustoso avesse mai messo sotto i denti. Escludendo il vomito che la sua tutrice gli costringeva a mangiare per punirlo se non si fosse comportato bene.
Più ore passava in quel luogo più i ricordi della sua infanzia tormentata giungevano alla sua mente.
-Edward, hai di nuovo giocato con la carta igienica? Quante volte ti ho detto di non farlo?
-Mandy, non sono stato io, te lo giuro.
-Quando hai finito di dire bugie, potrai tornare a giocare con i tuoi fratellini, ora lava questo schifo da terra.

Se guardava verso il basso, Ian ritornava a vedere il pavimento sudicio di ogni maleodorante schifezza. Feci vecchie da giorni, resti di cibo, scarafaggi, veleno per topi.
Mandy, la donna che si sarebbe dovuta occupare di quelle sei sfortunate creature, li avrebbe legati sotto il tavolino delle punizioni se non avessero ubbidito ai suoi dettami.
Tornò improvvisamente alla realtà.
Era nel suo letto, nella sua singola con vista sulle sbarre. Un nodo alla gola gli occludeva il respiro. Booth, amore mio, che aspetti a tirarmi fuori di qui? ancora di salvezza alla quale aggrapparsi era il pensiero dell’amico, fuori di lì.
Il ricordo dei momenti trascorsi con lui e suo figlio gli scaldava il cuore.
Durante l’ultima mattina di libertà si era svegliato presto, a dispetto delle poche ore trascorse a dormire.
Aveva osservato a lungo l’amante abbandonato in un sonno profondo, nonostante il chiarore del giorno invadesse la stanza creando uno scintillio di ombre e luci.
Lo aveva vegliato per un po’, senza osare disturbare quella quiete.
Un rumore improvviso lo aveva risvegliato dal torpore amoroso. Proveniva dalla mansarda. Evidentemente Parker era sceso dal suo letto.
In fretta recuperò i suoi abiti per rendersi presentabile agli occhi del bambino. Poi uscì dalla camera e lo trovò intento a cercare cartoni animati alla tv.
“Zio Ian, perché non ci sono i canali per bambini in questo Hotel?”
“Non credo che qui abbiano la televisione via cavo, campione”, lo informò prendendo posto sul divanetto.
“Che ne dici se invece di guardare la tv andiamo a fare una bella colazione?”
“Solo se dopo mi porti a vedere il pesce gatto.”
“Credo che per quello dovremmo aspettare tuo padre.”
“Ti prego!", lo implorò il bambino facendo il broncio.
Il profiler -il numero uno quando si trattava di manipolare le persone- di fronte alle insistenze del ragazzino si sentì impotente. Sorrise, accondiscendente.
“Va bene, hai vinto. Ora muoviti, prima che ci ripensi.”
Avrebbero dovuto tornare da Booth dopo la colazione ma Parker era eccitatissimo all’idea di salire sulla barca per pescare non lo avrebbe fermato nemmeno una bufera!
E poi, tra le onde che increspavano appena il lago, tutto il suo mondo era scomparso.
Chiuse gli occhi cercando di combattere l’inevitabile affluire dei ricordi spiacevoli.
Non voleva torturarsi.
Bastavano le torture dei suoi secondini.
Una smorfia gli contrasse il viso che, nonostante le vessazioni, rimaneva affascinante.
Si toccò la fronte come se i ricordi spiacevoli si potessero scacciare come le mosche. La mano raggiunse i capelli, o quello che ne restava. I suoi carcerieri, dopo la libertà, avevano preteso di togliergli anche quelli.


Angela continuava ad osservare con aria sognante la foto che ritraeva il feto di dodici settimane.
“Guarda tesoro, già si intravedono le manine! E il profilo? Ha un nasino all’insù che è un amore.”
Temperance non ne voleva sapere di condividere quell’immagine con l’amica.
Continuava a guardare davanti a sé, cercando la forza per respirare.
Si sentiva come se qualcuno gli stesse tenendo un cuscino in faccia, come se fosse di nuovo in mano al becchino ma, questa volta, il suo persecutore, un volto, un piccolo volto, lo aveva.
Rifletté: da ogni errore si trae un insegnamento. Cosa aveva tratto da quella gravidanza imprevista? Oltre al fatto che i profilattici si rompono proprio sul più bello?
“Piccola, ora dovrai per forza di cose dirlo a... ”.
“NO!”, rispose Brennan con tono fermo e deciso.
“Ma... ”
“Angela, ti prego. Booth ne deve restare fuori, assolutamente”. All’improvviso, come colta da un dubbio subitaneo, virò verso l’ufficio informazioni.
“Che vuoi fare?”
“Secondo te?”
Nel giro di pochi minuti, Brennan ricevette le delucidazioni che cercava.
“Temperance tu non puoi... ”
“Certo che posso.”
“Ma Booth... ”
“Questo è un problema mio, non di Booth”
“Non è giusto che tu interrompa la gravidanza a sua insaputa!”
“Perché? Perché, una volta tanto, sono io a proteggere lui?”.
“Perché ha diritto di sapere.”
“Fino a prova contraria, io sono una donna single e posso decidere il mio destino senza che altri interferiscano. E trattandosi di un evento assolutamente indesiderato, agirò di conseguenza.”.
“Per altri intendi anche la tua migliore amica, Bren?”.
L’antropologa assunse un’espressione più umana.
“Lo sai quanto bisogno io abbia della mia più cara amica.”.
“Fidati: tenere questo segreto non farà bene a nessuno. Di certo non farà bene al tuo rapporto con Booth.”.
“Mi sembra che l’abbia già compromesso abbastanza lui andando a letto con Emmerich.”
“Potete mettervi quella storia dietro le spalle ora. E questo bambino vi aiuterà a farlo.”
“Per niente. Quello che tu chiami bambino sarà solo l’inizio di un’altra spirale di problemi. Booth si metterà in testa di essere il padre dell’anno. Non rinunciando però, complice il suo senso di giustizia, a parteggiare per l’amico in prigione.”.
“È probabile. Ma è proprio di questo che ti sei innamorata. La sua infinita caparbietà, il suo senso del dovere. La sua lealtà.”
“So quel che faccio”. Niente e nessuno sembrava poter scalfire le sue certezze.
L’appuntamento era fissato. Tra due giorni e mezzo avrebbe smesso di essere una scienziata con un feto di dodici settimane.

La mattina in cui Temperance Brennan scopriva di essere madre, il sostituto procuratore indiceva una riunione speciale.
All’ordine del giorno c’era la cattura del profiler reo di essersi associato da tempo a un serial killer e di essere entrato nelle maglie del FBI per tenere alla larga la polizia dai loro sudici piani. O forse semplicemente per infangarla.
Booth ascoltò la dissertazione cercando di capire se prima o poi si sarebbe rassegnato all’idea di aver avuto per partner un omicida.
“Ora siamo a conoscenza che sia Kelly sia Emmerich hanno avuto un’infanzia tormentata. Durante il loro soggiorno in casa di Madison Navaar, la donna che avrebbe dovuto occuparsi di loro, hanno subito abusi di vario tipo, violenza inaudita”.
Booth ripensò ai lividi che costellavano il suo corpo. Sentì crescere l’angoscia nel suo petto.
Perché non mi hai detto tutta la verità? Quanto ti facevano soffrire quei segreti? Fino al punto di non fidarti di me, ovvio, considerò amaramente.
La voce squillante del procuratore proseguì con l’esposizione dei fatti: “Tutto questo cianciare di ragazzini legati sotto i tavoli tra i liquami non deve influire sulla nostra determinazione a rendere giustizia a quelle povere sette donne. Sette madri che hanno smesso di vivere, per mano loro. Senza dimenticare il povero capitano Osbron”.
Un giovane dai capelli biondi, lisci e lunghi fin sulle spalle prese parola.
Era stato in disparte tutto il tempo. Chiuso in un mondo tutto suo, sembrava tutt’altro che interessato alla questione Emmerich.
“Mi scusi, Dottor Wright, quando lei afferma che i fatti angosciosi subiti da Kelly ed Emmerich non devono fuorviare la nostra attenzione dagli omicidi, dimentica, se mi permette, un dato molto importante: dietro ad ogni assassino c’è un’analisi comportamentale e dietro quest’analisi comportamentale troppo spesso c’è un bambino che ha subito un abuso.”
“Arrivi al dunque, Dottor Reid”.
L’attenzione si catapultò tutta su di lui. Si formò un fitto chiacchiericcio. Come osava un ragazzo che sembrava appena uscito dal college prendere posizione contro le alte sfere del FBI? Era un’insolenza bella e buona!
“Quello che intendo dire è che gran parte della bravura di Emmerich come profiler si fonda sulla comprensione e sulla totale abnegazione con le quali si è sempre dedicato al suo lavoro investigativo. Nell’analisi psico-sociologica del S.I.*”
“Reid, capisco o, meglio, tento di capire questo suo simpatizzare con un collega in difficoltà. Ma le doti investigative di Emmerich non lo rendono migliore agli occhi del mondo. Si è sporcato del sangue dell’ultima vittima. Il fatto stesso che aiutasse Kelly a commettere quei delitti inscenando situazioni molto simili alle barbarie subite da ragazzi... ”.
“Mi scusi se la interrompo, ma questi fatti non sono stati ancora provati.”
Booth fu molto colpito da quell’alterco. Il giovane Reid sembrava non temere lo scontro con i superiori e questo lo accomunava a Ian.
Era forse una caratteristica tipica dei profiler essere teste calde?
Si rese conto che avrebbe voluto saperne di più.
Wright tentò di chiudere la faccenda con il profiler usando frasi di circostanza. Concluse dicendo: “Non dobbiamo provare un sentimento di pena per loro. Non dobbiamo sforzarci di capirli. Se tutti quelli che hanno avuto un’infanzia disturbata divenissero degli assassini seriali il mondo ne sarebbe invaso”. Promise che l’accusa si sarebbe battuta per assicurare l’iniezione letale a entrambi, anche se era probabile che sarebbe stato Kelly ad avere la pena più dura.
Di fatti, pensò Booth, senza un’ammissione di colpevolezza e con un avvocato con gli attributi, si poteva sempre tentare di dimostrare che Emmerich era stato plagiato o qualcosa del genere. Nonostante tutto, sperava che se la cavasse.
Forse sto diventando pazzo.
Tentò di scacciare quelle considerazioni fuori luogo. Doveva restare con i piedi ben saldati al suolo. Emmerich era un bastardo, un assassino senza scrupoli. Se la realtà dei fatti era quella, niente poteva cambiarla.
In fondo al corridoio che conduceva alla sala riunioni s’imbatté in Reid. Si squadrarono per un lungo istante come se entrambi conoscessero chi fosse l’altro.
Fu il più giovane a presentarsi
“Sono il Dottor Reid”, disse mentre porgeva la mano. “Lei deve essere Seeley Booth, il compagno di Emmerich.”
“Sì, lo sono.”
“Sono costernato. Immagino debba essere tremendo.”
Booth si domandò perché chiunque lo incontrasse sentisse l’esigenza di trattarlo come la vedova di Emmerich. Cercò di ricomporsi e iniziò a parlare: “Mi piacerebbe conoscere la sua opinione sulla cattura di Kelly ed Emmerich.”
“Non mi dispiacerebbe approfondire la cosa con lei”, rispose l’altro. “Purtroppo devo essere a Portland entro le sedici di oggi”. Mentre spiegava i suoi programmi, il profiler aveva ripreso a camminare velocemente.
Per niente soddisfatto, Booth lo seguì fino all’ascensore. “Lei non pensa che Ian sia colpevole”. Lo disse tutto d’un fiato.
“Immagino lo abbia dedotto dal mio intervento. In effetti ho un’idea diversa dalla vostra”.
“Dalla nostra?”. Booth non aveva capito quale fosse, la sua idea! Probabilmente non quella che avevano i suoi superiori.
“L’impianto accusatorio è basato su prove indiziarie ma non è per questo che sono così scettico al riguardo”, affermò Reid.
“Allora mi illumini. Dottor Reid, perché pensa che Emmerich non sia complice di Kelly?”.
Il volto minuto dello scienziato si avvicinò di pochissimo a quello del suo interlocutore. Non sembrava un uomo che amava avvicinarsi troppo agli altri.
“Ho lavorato con lui a stretto contatto per mesi. E posso affermare con il massimo della sicurezza che non è un assassino. Non lo dico come profiler... ”. S’interruppe per accarezzarsi la nuca. “Ian Emmerich è una brava persona. Totalmente incapace di nuocere. Di certo non per il gusto di farlo! Di certo non a una donna. Lui si occupava delle donne che avevano subito abusi o che rischiavano di subirne. Per lui era una missione.”
“Lo so”, commentò sconsolato Booth. Ricordava i tatuaggi con su scritti i nomi delle vittime.
“Mi creda, signor Booth, con questo non voglio dire che non avesse un gemello cattivo, la sua infanzia sofferta ne farebbe un S.I. con i fiocchi! Mi vengono i brividi se ripenso a quella casa degli orrori. Ma aveva imparato a tenere il suo lato oscuro a bada. La sua doppiezza era la sua forza”. Intanto, le porte dell’ascensore si erano aperte. Non c’era più tempo per le chiacchiere.
Ma le parole di Reid avevano turbato non poco Booth.


*soggetto ignoto

mercoledì 10 giugno 2009

Borderline, capitolo 10




“Ti va di fare l’amore? No, non rispondere, ho già capito. Non ti va, si vede che hai l’aria stanca, preoccupata. Che ti succede, dolcezza?” Heath se ne stava seduto sulla poltrona della sua camera da letto. William l’aveva raggiunto vestito solo di un asciugamano legato alla vita.
Se lo guardo gli salto addosso, però non voglio, io... io non voglio tradire Jake! Era grave, davvero grave. Quello era il punto di non ritorno, quello era l’inizio della fine. Eppure era stata una festa talmente perfetta, almeno fino all’arrivo di Jake. Dopo era andata bene anche il resto della serata. Fintantoché la felicità post orgasmica non si era esaurita del tutto. Ora si sentiva spompato, come se gli mancasse l’ossigeno. Voleva il suo ginecologo, voleva anche non far male a William. Sapeva che quella possibilità non esisteva. La realtà era che qualcuno avrebbe sofferto, qualcuno o anche di più qualcuno.
Se io lascio Will, Jake farà lo stesso con Liam... quella era la verità. Ora doveva solo decidere. Aveva abbastanza palle per mollare il suo meraviglioso direttore d’orchestra? Probabilmente no.
“Ti dispiace?”
“Vuoi dormire subito? Ok me ne vado.”
“Sicuro che non te la prendi?”
“No, nel senso di sì, cioè mi dispiace. Ma non voglio forzarti.”
“Non è mai stato uno sforzo e lo sai bene.” William gli camminò dietro. Prima di lasciare la sua stanza non poté fare a meno di accarezzare i lunghi capelli biondi.
“Ti amo così tanto Heath. Sono un drogato d’amore. Passerei ogni singolo istante tra le tue braccia. Sono messo male, eh?”
Oddio...
“Un’altra parola e mi fai cambiare idea... ma sai quelle serate che proprio ‘lui’ non vuole collaborare?” guardò la parte alta dei propri pantaloni.
“Si è rinchiuso nel suo guscio? Sai che sono molto bravo con le contrattazioni. Se vuoi ci metto un secondo a farlo uscire fuori a braccia alzate!.” Quella di Heath era una palese bugia. Solo l’averlo visto quasi nudo l’aveva eccitato. Ma era un’eccitazione d’abitudine. William non gli sarebbe stato indifferente nemmeno durante un attacco terroristico! Sarebbe riuscito lo stesso a scoparselo. Da oltre tre anni non pensava ad altro, che cosa era cambiato? Jake...
“Ammetto che è una proposta interessante.”
“No, basta giocare. Notte tesoro, e se cambi idea sai dove sono.”
“Sicuro.” Dopo che William ebbe chiuso la porta Heath si portò le mani dietro la nuca. Tornò a guardare in direzione del suo pacco. L’erezione premeva dolorosa.
“Sei proprio un cazzo senza sentimenti. Hai fatto i tuo comodi con Jake e ora, ingordo come sei vorresti divertirti con Will, ma ce l’hai una cazzo di scienza?” sbuffò. Stava accusando il suo’ fratellino minore’ per non prendersela con se stesso?
So di essere un gran traditore. Devo farmi coraggio. Ok, ho deciso, sarà doloroso ma domani. Si, domani gli parlo.


Liam prese trenta gocce di valium per essere sicuro di dormire. Quando di fatti si svegliò il sole allegramente invadeva la stanza di letto sua e di Jake. Il suo ‘maritino’ fedifrago non era tornato.
Sarai con lui? Controllò l’ora, non erano ancora le otto. Il suo turno finiva alle sette circa, il tempo di fare la doccia e prendere la metro. Si toccò i capelli. Stranamente, nonostante il disastro in corso, si sentiva felice. Una felicità da pazzi, come se fosse uscito di senno. Ma il motivo di quella strana sensazione non erano le corna. No, non stava sperimentando una forma di masochismo. Era il pensiero di William a scaldarlo... era successo tutto in una sera: aveva scovato William, aveva molto probabilmente perso Jake.
Con la razionalità del caso poteva ancora fingere quasi che non fosse successo nulla. Di fatti ancora non era convinto che fosse tutto vero. Lesley può essersi sbagliata, continuava a ripetersi, aver capito male. Negazione.
Le valige per le Barbados erano tutte ammonticchiate nella stanza degli armadi. Jake e Liam possedevano una camera di oltre trenta metri quadri dove riporre il loro guardaroba. Ognuno il proprio reparto ma spesso, malgrado Liam fosse un po’ più grosso di spalle e leggermente più alto, i vestiti si confondevano. I pantaloni del più vecchio erano indossati dal ginecologo, soprattutto se si trattava di comodi sotto tuta di flanella. Si alzò si scatto dal suo giaciglio. Si chiese se quelle valige avessero ancora un senso. Camminando nella cabina armadio si soffermò sulle camicie dell’amato. Erano disposte in maniera ordinata, quasi simmetrica. Le accarezzò. Avrebbe dovuto odiarlo, sentirsi respinto da tutto ciò che lo riguardava, invece no. Si sentiva commosso. Se c’è un colpevole di tutto questo sono io. Continuava a ripetersi. Sono io che l’ho trascurato. Sono io che non ho fatto altro che saltare da un aereo all’altro, da un consiglio d’amministrazione all’altro. In ciascuno di quegli abiti era racchiuso un ricordo. Dalla prima volta che erano stati a casa dei suoi genitori in California, quella per la festa della sua laurea. La sua preferita, di Gucci. Così elegante e sobria. Così di Jake. Proprio in quel momento il protagonista dei suoi pensieri rincasò.
“Nottataccia. Ho dovuto fare pure un po’ di pronto soccorso. E la tua festa, come è andata?” si avvicinò per baciargli una guancia. “I bagagli sono pronti, che ci fai nella stanza degli armadi?”
“Ti racconterò della festa, hai già fatto colazione?”
“Un plum-cake al volo. Sono affamato, mangerei un bisonte farcito.”
Liam si diresse in cucina. Anche per allontanarsi dall’odore dell’amante. Sebbene la doccia sapeva ancora di ospedale e crema allo zinco per poppanti.
“Ci sono delle ciambelle e posso preparare il caffè. Magari per bisonte intendevi una vera colazione con bacon e uova, giusto?”
“Le ciambelle andranno benissimo” ammiccò. Liam tirò fuori dalla dispensa l’occorrente. Alle ciambelle aggiunse delle cialde e la cioccolata spalmabile che aveva comprato l’ultima volta che era stato a Parigi. Il suo ragazzo ne era a dir poco goloso. Si mise a sedere su di uno sgabello. Jake prontamente si appoggiò sulle ginocchia. Poggiò morbidamente le labbra sulle sue.
“Ma non avevi fame?” chiese Liam.
“Il sapore di nutella è più saporito se c’è il tuo DNA.”
“Il mio DNA?”
“Ti amo, Liam.”
“Lo so” lo fissò per alcuni, memorabili, secondo. “Lo so” ripeté. “Allora perché mi stai mettendo le corna?”


Quella notte William fece un sogno strano. Come protagonista c’era di certo lui. Siccome non lo conosceva, non ne sapeva il nome e non aveva nemmeno la sicurezza che ‘lui’ esistesse, si era inventato un soprannome. Angel. Lui era il suo angelo. Un angelo alto e con grosse spalle, che gli aveva fatto percepire la sua essenza e il suo sguardo per tutta la sera. Quella mattina si sentiva ancora eccitato. Sapeva che la ragione di quel prurito sessuale non era Heath ma un altro. E non se ne sentiva affatto in colpa. Dopo tutto è un angelo. E gli angeli non hanno sesso... pensò malizioso. La mattina non poté fare a meno di masturbarsi. Come un tredicenne che ha bisogno di una sega per riuscire ad infilarsi i pantaloni prima di andare a scuola, William si toccò. Lo fece pensando intensamente a Angel. Sentiva il corpo possente premere sul suo. Pesante e allo stesso tempo leggero, inconsistente. Allungava le braccia per tenerselo vicino, per non lasciarlo andare. Quando fu sul punto di raggiungere l’apice si rese conto che stava facendo troppo baccano. Stava urlando. Si mise a pancia in sotto. Premette la testa contro il cucino per essere sicuro che Heath non si sarebbe accorto dei gemiti. La sua mano si soffermò tra le natiche. Non mi bastano le carezze Angel, ti voglio dentro di me. Sussurrò con il pensiero come se ‘lui’ potesse udirlo. Dal cassetto prese un tubetto di crema gelatinosa. Se la spalmò sulle dita. In pochi secondi trovò la prostata. A quel punto il piacere divenne una tempesta, un vulcano che esplodeva, una forza della natura! Morse le cuscino prima di venire. E non riuscì a fare a meno di gridare a pieni polmoni.
“Ti senti bene?” Heath era entrato senza bussare. William se ne stava quasi svenuto riverso con il volto ancora sul cuscino. Quell’orgasmo l’aveva praticamente steso.
“Sì. Tutto bene.”
“Ti ricordi che oggi abbiamo a pranzo Vanilla e Stacy?”
“Comprerò una bella cena etnica nel drug-stone qui sotto.”
“Lo posso fare io.”
“Ma non hai un’audizione alle dieci?”
“Sì, hai ragione. Meglio che te ne occupi tu.” Heath lo guardò con malizia. “Sembrava molto eccitante... a cosa stavi pensando?”
Da sotto il lenzuolo che teneva fin sopra il mento, William arrossì.
“Non lo so a cosa pensavo, è stata una cosa rapida. E la colpa è la tua... ieri sera mi hai trascurato.”
“Lo sapevo che lo avresti detto!” si piegò su di lui e gli accarezzò le labbra con un bacio.
“Mi sei mancato comunque .”
“Davvero, bel bambino?”
“Si, Will, davvero.” Come avrebbe fatto senza di lui? Come poteva fare a meno del suo quasi quarantenne adorato così bello e così immaturo da masturbarsi come un’adolescente arrapato? Sarebbe stato lungo e doloroso, sarebbe stato tremendo. Basta! Abbiamo ancora un giorno intero... ci penserò e forse ci riuscirò. Si disse. Ma non ne era certo. E poi c’era il pensiero di Jake che partiva per il mare con il suo uomo. Si sentiva geloso di lui. E pensare che la sera prima avrebbe potuto incontralo, Liam Spancer. Cosa si sarebbero detti? Che avevano un magnifico ragazzo da condividere? Dopo tutto Jake era talmente pieno d’amore da dare che non c’era da stupirsi di quella situazione. Sospirò. E decise che sarebbe stato meglio farla finita con tutte quelle considerazioni ed iniziare a vivere quella giornata a partire dall’audizione imminente.


“Liam... ” Jake si tolse dalle sue ginocchia come se avessero improvvisamente cominciato a scottare. Si sentì nudo come un verme di fronte alla platea formata da un milione di persone. Tutti ridevano e lo indicavano,l’intera giuria lo dichiarava colpevole.
Il suo sguardo confermò tutto quello che Lesley aveva detto.
“Ma allora è tutto vero! Perché?! Cazzo Jake, perché?”
Spancer iniziò a girare attorno alla penisola. Era fuori di sé ma non ancora al punto di tirare tazze e barattoli di nutella per aria.
“Non chiedermi perché. Chiedimi cosa provo, piuttosto.”
“Sei innamorato... chiaro, si vede a un miglio. Ora che lo so. Sì, si vede anche da lontano. Come ho fatto a non capirlo prima?”
“Chi te l’ha detto?”
“Questo non ha importanza, dimmi piuttosto. È vero che sei innamorato?” Jake non pensò nemmeno per un attimo di negare. Lo fissò fieramente negli occhi.
“Sono innamorato, sì, da impazzire. Lo amo. Va avanti da tre mesi. Sono innamorato di un altro Li, mi dispiace.”
“Non devi scusarti, se è capitato è... è pure colpa mia.”
“Ma questo non è vero! È solo stato il destino... ”
“Ma quale destino! Tu avevi bisogno di me. Di tutto me stesso. Avrei dovuto prendere un amministratore delegato e lavarmene le mani. Sapevo che non poteva durare in eterno.”
“Non metterla su questo punto. Non sei tu il colpevole, magari se c’è un colpevole è la puttana che è in me.”
“Ma la puttana che è in te voleva solo amore. E dove stavo io mentre tu quest’amore lo cercavi da un altro? In giro per il paese! O a quelle maledette fiere. O a pranzo con qualche schifo di capitano d’industria. Al County club.” Si morse le labbra. “Sarei dovuto stare con te ogni giorno, ogni minuto se occorreva. Dovevo scoparti dalla mattina alla sera. Di notte, in continuazione.”
“Non è che tenendomi il buco occupato avrei... ti sarei stato fedele. Ho conosciuto questo ragazzo meraviglioso e me ne sono innamorato. Riesci a capirmi?”
“Eccome se ci riesco... a me è successo tredici anni fa” si commosse un po’. In realtà qualcosa del genere gli stava succedendo... proprio in quel momento... Willliam. Tornò a pensare a quel direttore d’orchestra biondo e spavaldo. Che scherzi che fa la vita... ora sono qui a rompere con il mio ragazzo di sempre e a chi vado a pensare? A uno che ho appena incontrato ad una party. Dondolò la testa sconfortato.
“A questo punto... non lo so. Vuoi che io resti?”
“E tu vuoi restare?”
“Sì, cioè se tu mi vuoi ancora.”
“E come potrei non volerti ancora?” si avvicinò a lui. Gli catturò il volto tra le mani. Fissò i suoi grandi, immensi, occhi blu. Impossibile perdonarlo, impossibile lasciarlo.
“Lo sai che per colpa tua ho rischiato di ammazzare un uomo ieri sera?”
“Non dici sul serio.”
“Io non scherzo su queste cose... ” Jake abbassò lo sguardo.
“Immagino che le Barbados... salti tutto.”
“Per farti correre dal tuo nuovo boyfriend? Te lo scordi” si scansò da lui. Allargò le braccia indicando il set di valige. “. È tutto pronto. E abbiamo entrambi bisogno di ricaricare le batterie e... ”
“E sarebbe pietoso.”
“Perché? Perché dottore? Perché ti mancherebbe troppo?”
“Non tirarlo dentro. Questa cosa riguarda noi due.”
“Su questo ti do ragione. Ripeto: non te ne faccio una colpa. Ma partiamo. Alle tre, come previsto. E per questa settimana tu sei mio. Ancora mio. Me la concederai un’altra settimana, Jake?”
“E dopo?”
“Come faccio io ad impedirti di... di andartene.”
“Vuoi dire che se smettessi di vederlo tu mi vorresti ancora? Come se niente fosse stato?”
“Non prendiamoci in giro Jake. Non sei stato un santarellino in questi ultimi anni. Cosa credi, so dei ragazzi del college. So tutto. Ho avuto anch’io le mie trasgressioni. Ieri sera in Limousine c’è mancato poco che non me lo facessi succhiare da Lesley! Cioè lei stava scherzando ma io l’avevo presa sul serio. E se me lo avesse preso in bocca probabilmente l’avrei lasciata fare!”
“Per me non avrebbe significato niente.”
“Come non hanno significato nulla tutti gli uomini con cui l’hai fatto. Eri un ragazzino attizzato, volevi sperimentare e io ti ho lascito fare. Come avrebbe potuto durare tanto se ti avessi tenuto stretto il cappio al collo? Quelle esperienze erano zero rispetto a quello che eravamo noi... eravamo. Ora ti sei innamorato. È diverso.”
“È vero Li, è vero. Ma questo non significa... non vuol dire che non ti amo ancora. Io ti amo Liam. E ti amerò per sempre.” Si fissarono a lungo. Per poi sciogliersi in un caloroso abbraccio.

lunedì 8 giugno 2009

Ogni singolo respiro, capitolo 3



Il verde delle foglie rampicanti si estendeva fino alla balaustra.
Il sole alto della mattina creava tra le foglie un luccichio che le rendeva ancora più desiderose di crescere.
Fotosintesi clorofilliana, pensò Brenann.
Istintivamente si toccò il ventre.
Anche l’esserino che stava lì dentro aveva voglia di crescere.
Semiseduta sul parapetto del balcone, si era fatta catturare da quel gioco di luci e colori. Temperance attendeva che l’amica fosse pronta. Sentendola uscire dal bagno, tornò in casa.
L’appartamento di Angela Montenegro era disordinato all’inverosimile, disseminato da tele bianche e quadri. Una fitta polvere, probabilmente prodotta dalle tinte varie, aleggiava tutt’intorno.
“Scusa per l’attesa, mi farò perdonare pagando il pranzo.”
“Non dire sciocchezze”, rispose con affetto l’antropologa.
“Spaventata?”, domandò l’altra, afferrando la borsetta finita chissà come sotto il lavandino.
“No... anzi, sono ansiosa di conoscere il verdetto.”
Al sospiro che l’amica le diede in risposta, chiese: “Angela, che c’è?”.
“Piccola, siamo donne. Hai nausee, giramenti di testa, umore altalenante e acidità di stomaco. Non ci vuole un premio Nobel per capire... ”.
“È fuori discussione. Magari ho un cancro!”. Lo disse come se stesse parlando di un’allergia al polline.
La Montenegro sgranò i grandi occhi scuri: “Non dirlo nemmeno per scherzo!”.
Erano già per strada. Una folata di vento colpì le gambe di Brennan.
“Prendiamo un taxi?”, chiese Angela.
“Ho la macchina”, rispose Brennan.
“Ma te la senti?”.
“Mai stata meglio”, mentì cliccando il pulsante del telecomando.
Una volta in clinica, entrambe cominciarono a dare segni di nervosismo.
“Dovresti dirlo a Booth.”
“Perché? Non ha già abbastanza problemi?”
“Ma se sei incinta... ”
“No, non lo sono”, si affrettò a negare con veemenza.
“Hai fatto il test?”.
“Non ce n’è bisogno”.
Un’infermiera di colore le raggiunse. Aveva il camice macchiato di tintura di iodio e si portava dietro lo sgradevole odore del pronto soccorso.
“La signorina Brennan?”.
“Sì, sono io”.
“Il Dottor Wolker la sta aspettando. Box undici, sempre dritto sulla destra.”
La stanza del medico era asettica.
A parte alcuni quadri che rappresentavano iconografie di organi non c’era molto di interessante.
“Le analisi non sono ancora pronte”, informò, invitando le due donne a sedersi.
In quel momento bussarono alla porta.
Un’altra infermiera, rossiccia e leggermente più anziana dell’altra, porse delle cartelle al medico.
Il dottor Wolker aveva ormai abbondantemente superato i sessant’anni. Aveva pochi capelli che teneva rasati. I baffi e la barba curata lo facevano assomigliare ad un babbo natale moderno.
“Vogliamo scommettere che qui ci sono pure le sue Beta-Hcg?”
“Perché proprio le Beta-Hcg, non capisco!”, farfugliò la scienziata in difficoltà.
Angela, non avendo idea di cosa fosse quella sigla, si limitò a scrutare con aria interrogativa prima l’amica, poi il medico.
“Data l’età e il genere di malesseri che accusa è ovvio escludere una gravidanza in atto.”
“Non... va bene”, si arrese. Accartocciò nervosamente il fazzoletto che teneva in mano.
Ma perché rassegnarsi a quell’evenienza, per forza di cose? Magari era cancro.
Il dottor Wolker scrutò accigliandosi i nomi e i numeri diligentemente messi in riga. Sorrise bonariamente.
“Niente di cui non ci occupiamo in questa struttura” concluse.
Con un dito indicò il valore più eclatante della lista.
“È quello che penso?”, chiese Angela, piena di trepidazione.
Intanto la lingua di Temperance era paralizzata, incollata al palato.
Osservò l’uomo oltre la scrivania.
“Ragazze io sono solo un internista, il medico che fa per voi è il dottor Holden, è lui il ginecologo”.

Una volta fuori dallo studio del dottor Wolker, Angela spronò l’amica a parlare.
“Ti prego Temperance, dimmi qualcosa.”
“Io... io... non ci posso credere.”
“Ma non è un dramma! Aspetti un bambino! Potrebbe essere qualcosa di meraviglioso nella tua vita. Un segno del destino! Ora che Booth è…”
“Non dire sciocchezze! Booth deve stare fuori da tutto questo!”
“Stai scherzando?!”.
“Non lo deve sapere. Ne farebbe una questione colossale.”
“Ma è il vostro bambino!”.
“Non c’è nessun bambino.”
“Tesoro... ”.
“Andiamo da questo ginecologo”. Così dicendo, iniziò a correre in direzione del reparto di ginecologia e ostetricia.
“Ok... ma calmati ora”. Angela cercò di farla tornare in sé.
Da quando gli ormoni impazzavano nel corpo dell’amica, non la riconosceva più.
Non c’erano più dubbi. Logico che fosse incinta.
Temperance non si lasciava abbattere tanto facilmente. Non aveva la lacrima facile. Non si faceva prendere dalle emozioni.
Qualcosa la stava cambiando nel profondo e quel 'qualcosa' cresceva dentro lei.


Il dottor Holden accettò di visitare Temperance nonostante non avesse preso un appuntamento. Decisamente più giovane e attraente del dottor Wolker, sorrise gentilmente alle due donne, ancora scosse dalla notizia appena appresa e le invitò a sedersi.
Brennan porse le analisi sperando, nonostante fosse una speranza assurda, che ci fosse una ragione diversa per la quale le sue Beta-Hcg fossero così alte!
“C’è una gravidanza in atto.”
“Ne è sicuro?”, si affrettò a chiedere lei.
“Lo confermerà la visita. Emozionate?”
“Da morire!”, rispose Angela sorridendo.
“Sarà da molto che aspettate questo bambino”.
Le due donne si guardarono incredule.
“So come vanno queste cose: trafile burocratiche, bombe ormonali, inseminazione.”
“Aspetti... io e Angela non siamo una coppia.”
“Già. Io sono bisessuale e anche il padre di questo bambino lo è, ma noi due non stiamo insieme”, spiegò Angela, gesticolando come se parlasse ad un sordo.
“Smettila Angela. A lui non servono tutti questi dettagli.”, disse brusca Brennan.
L’espressione del dottore era a metà tra il sorpreso e l’interessato.
“Niente affatto... io adoro i dettagli. Questo è uno dei casi più interessanti che mi siano capitati da quanto esercito.”
“Non si faccia un’idea affrettata della situazione. Non siamo una specie di comunità hippy dedita all’omosessualità e alle orge”, precisò Angela.
“Infatti”, ribadì Temperance. “Questo non vuol dire che io non sia legata a lei”. Si voltò, sorridendo all’amica con affetto.
“Dolcezza...”, rispose Angela, grata.
Si guardarono con amore stringendosi la mano.
Il momento di grande sorellanza si interruppe appena si resero conto di come il medico che le stesse osservando deliziato.
“Ma insomma, lei è un ginecologo o una specie di guardone?”, sbottò Temperance.
“Bren!”, la redarguì l’amica.
“Non si preoccupi”, la tranquillizzò il medico. “Sono abituato all’ormone altalenante delle gravide. Se mi dovessi offendere tutte le volte che mi fanno un appunto dovrei litigare tutti i giorni.”
“Pensa che mi visiterà, prima o poi?”, incalzò Brennan.
“Certo!”, sorrise il ginecologo, e la fece sdraiare nell’apposito lettino.
“Io esco, non mi sembra giusto... ”, disse Angela, titubante.
“Aspetta...” la paziente la richiamò la sua accompagnatrice. “Non mi lascerai sola con questa specie di maniaco!”, sussurrò.
“Ma è un medico....! E tutti gli uomini perdono la testa di fronte a due donne gay sexy. Vedrai, ora che si è calmato farà il suo dovere”.
“Stammi vicina, ti prego.”
“Resti pure”, la invitò l'uomo, scuotendo divertito la testa. “Non la visiterò. Per avere conferma della gravidanza mi basta fare un ecografia”.
Un macchinario collegato a un piccolo schermo era posto accanto al lettino da visita.
Holden chiese a Brennan di scoprire la pancia.
Prima di appoggiare la sonda sul ventre, vi spalmò un po’ di gel, facendo rabbrividire un po’ Temperance.
“Lo so, è un po’ freddino”, si scusò il medico. “Ma è necessario: gli ultrasuoni utilizzati dalla macchina, pur non attraversando l'aria, superano bene i liquidi, evitando che si interponga aria fra il trasduttore e la parte del corpo che si vuole analizzare”.
“Non serve che me lo dica, sono una scienziata”, rispose piccata lei.
Sorridendo, l’uomo guardò lo schermo. “Già. Una scienziata con un bel feto di dodici settimane”.

domenica 7 giugno 2009

Borderline, capitolo 9




WARRING: abuso sessuale. Linguaggio violento e scurrile


“Dove eri finito?” William accolse l’amato a braccia aperte.
“Discorso favoloso.”
“Hai sentito?”
“Ne parlano tutti.” Era imbarazzato. Tra i presenti era l’unico, forse, a non aver udito nulla dell’accorata richiesta, apparsa così genuina e spontanea.
“Ora torniamo a casa però, mi sento stanco...”
“Stanco? Ma non abbiamo neanche cenato! Il buffet è solo l’aperitivo. Tra poco ci indicheranno il nostro posto a sedere e i camerieri ci delizieranno con dei manicaretti degni di un sovrano.”
“In effetti sono affamato. Mangerei un due polli interi. Solo che avrei preferito a casa nostra, magari sul tappeto davanti alla tv.”
“Sei proprio un inguaribile romantico... beh oggi ti tocca la mondanità. Problema tuo se hai scelto di amare una star…”
Heath sorrise grato. Durante la cena William, sebbene felice della compagnia e delle attenzioni del suo ragazzo, continuava a percepire gli occhi addosso. E non erano occhi qualsiasi, di un fan, di un ex amante, erano proprio di lui... si guardò indietro, prima a destra poi a sinistra.
“Sei inquieto Will?” Heath diede un buffetto su di uno zigomo, era rosso, probabilmente il caldo o forse quell’emozione indefinita che continuava ad infuriargli in petto.
“Niente tesoro,comincio a sentirmi stanco anch’io, appena finita questa splendida cena ce la svigniamo.”
“Perfetto.”

Liam Spancer non aveva perso di vista William un solo attimo. La distanza tra il suo tavolo e quello del direttore d’orchestra non era proibitiva. Non poté far a meno di notare le confidenze con il suo vicino di banco. Stanno insieme, si vede lontano un miglio. Se avessero pomiciato davanti a tutti non sarebbe stato più evidente. Si sentiva geloso, inquieto e geloso... possibile che fosse veramente infatuato? Era una cotta, una discreta cotta che avrebbe potuto gestire, ma aveva deciso a starne fuori e, se da una parte friggeva dal desiderio di farsi avanti, dall’altra la sua fedeltà a Jake la faceva da padrona.
Tenersi alla larga dal biondino che aveva stuzzicato la sua fantasia non era solo un dovere alla coppia, lo faceva per non impazzire. Aveva già capito che un uomo del genere lo avrebbe potuto far uscire di testa, senza sé e senza ma. E non solo perché bello, colto e pieno di fascino. Aveva il fuoco dentro. Bruciava l’aria che respirava. Un piccolo, angelico demonio capace di infiammare il suo letto! Tra di loro la combustione sarebbe stata spontanea. All’improvviso ebbe un’illuminazione. Qualcosa di pazzesco, di irrazionale. Lo vide guardarsi intorno nervoso. INQUIETO. Cazzo ha capito! Mi sta cercando! Ma stava uscendo di senno? William non l’aveva nemmeno visto! Non era riuscito a farsi vedere. Come poteva cercare qualcuno di cui non conosceva l’esistenza? Eppure sono certo, sono sicuro che... mi desidera, forse non quanto lo desiderio io ma... erano vibrazioni quelle che sentiva? Oppure era solo uno sciocco quarantenne in crisi di mezza età che vedeva quello che voleva vedere? A rompere la processione delle fantasie, che tra l’altra cominciavano a farsi davvero oscene, ci pensò Lesley.
“Liam potresti venire un attimo di là, per piacere.” Il tono della donna era triste, malinconico e preoccupato.
“Tutto bene, bellezza?”
“Ti devo parlare.”
“Nemmeno il tempo di finire questi tortellini squisiti?”
“Preferisco di no.”
“Vorrà dire che chiederò il bis dopo. Dov’è finito quel manichino che ti sei rimorchiata?”
“L’ho mandato a cagare.”
“Mi dispiace, immagino già l’argomento di conversazione...”
“Non penso proprio.”
“Lesley che c’è? Sei strana. Più strana del solito.”
“Vieni con me.” Liam la seguì senza controbattere.
Camminarono per pochi metri lungo un elegante corridoio. Alla destra di una grande specchiera adornata dai faretti, trovarono la porta.
Entrarono.
C’era poca luce e una nuvola di polvere aleggiava ancora.
“Senti l’odore di sesso?” domandò la donna con voce tremante. I suoi occhi celesti si fecero lucidi.
“Si tratta di un modo per darmi prova che hai scopato con l’appendiabiti?”
“Liam... mi dispiace...”
“Che cosa, che cosa stai cercando di dirmi?” ora l’espressione di Liam tradiva inquietudine. Anche se la sua mente era ancora anni luce dalla rivelazione che avrebbe udito pochi secondi dopo.
“Ti voglio troppo bene per nascondertelo. Anche se so che farò male... molto male, ma è giusto che tu lo sappia.”
“Spara, farà crollare l’Hotel questa notizia?”
“Sì, mi auguro di sì. Ma perché devo essere proprio io cazzo!” si toccò i capelli nervosa.
“Parla.”
“Ugo ed io siamo venuti qui per una sveltina.”
“Me l’ero immaginato.”
“Quando abbiamo sentito aprire la porta... e... e ci siamo nascosti dietro quel divanetto.”
“Sì?”
“Si trattava di una coppia che ha avuto la nostra stessa idea.”
“Però, magari loro hanno concluso, da qui l’odore di sesso.”
“Liam, ascoltami senza parlare. Erano due...due maschi. Uno vestito da cameriere, l’altro un biondino niente male. All’inizio pensavo ad una tresca tra uno della servitù e un invitato. Mi era sembrata anche interessante come situazione ma poi...”
“Cosa?”
Abbassò la testa prima di rivelare la condanna: “Quello non era un cameriere vero...era... si trattava di Jake... Jake vestito da cameriere.”
“Piccola, rilassati. Ti sei sbagliata. Jake stanotte lavora non può essere assolutamente lui ti assicuro.”
“Purtroppo no. Era lui. L’ho visto. Hanno parlato anche delle Barbados, che l’altro, il biondino intendo, gli sarebbe mancato. Liam questa tresca va avanti da parecchio se ho capito bene...mi dispiace.” Lesley era distrutta. Liam si sentì come se improvvisamente la terra lo stesse risucchiando verso il nucleo.
Jake era stato in quella stanza?
Aveva fatto sesso con un altro?
Un uomo biondo? Uno degli invitati sicuramente
“Non ci credo voglio dire... non lo so, non c’è margine d’errore dici?”
“Purtroppo no.”
“Hanno fatto sesso.”
“Sì.”
“E tu hai visto e sentito tutto.”
“Mi dispiace Li... mi sento... Così...”
“Una scopata... Jake si è fatto una bella scopata con questo tizio... mentre io ero di là...”
“C’è dell’altro.”
“E cosa? Erano in tre? Hanno fatto sesso di gruppo? Sadomaso? C’erano pure degli animali?” l’ironia di Spancer tradiva tutto il disgusto e la delusione che provava. Se essere cinici aiutasse
“No intendo dire che... sembravano molto innamorati. Jake sembrava così... così coinvolto, emotivamente non solo fisicamente. E poi non è giusto che tu sappia i dettagli!”
“Invece li voglio sapere.”
“Liam ti conosco, ora so già quello che stai per fare. Vuoi addossarti la colpa. Ora dirai che Jake ti tradiva perché tu lo trascuravi, perché non gli davi abbastanza amore.”
“Cosa ti fa pensare questo di me?”
“Lo hai sempre fatto. Sempre. Lo hai difeso, protetto, messo su di un piedistallo. Idolatrato come fosse una musa. Una madonna dipinta. Ed era affascinante tutto questo. Ma ora non ti permetterò di ritenerti responsabile. Hai capito?”
“A questo punto dimmi chi è il ragazzo biondo.”
“Non lo conosco, non ho idea di chi sia.”
“Ma sapresti riconoscerlo. Se ora ci facciamo tutti i tavoli uno ad uno sapresti dire... è lui, giusto?”
“Penso di sì. “
“Allora andiamo.”
“Che vuoi fare? Non vorrai commettere qualche sciocchezza?!”
“Non lo so, deciderò al momento. Magari troviamo anche Jake. Evidentemente oggi al reparto non c’era molto lavoro, e magari lo troviamo accucciato sotto il tavolo che glielo sta ciucciando. Oppure lo sta prendendo in bocca da tutti gli uomini del tavolino.”
“Ora stai esagerando. Stiamo parlando di Jake non di una squallida puttana!”
“Tu non conosci Jake. Darebbe via un rene per un orgasmo prostatico, neanche a dire che non gliene procuri abbastanza! Ora si spiega perché ultimamente lavorava sempre di notte, tutte quelle assenze prolungate!”
“Ok, ha una relazione, capita!”
“Basta chiacchiere Lesley, portami da lui.”
“No, se non ti calmi.”
“Mi vedi forse nervoso?”
“Esatto. Incazzato come sei potresti commettere qualche danno irreparabile. Li, pensa alla tua posizione, a quanto hai lottato per arrivare dove sei... ”
“Da professore di chimica a magnate dell’industria. Non ti preoccupare, saprò reprimere i miei peggiori istinti .”
“Me lo auguro proprio.”
Spancer seguì la donna fin dentro la sala. Camminarono attorno ai tavoli imbanditi ancora occupati dai commensali. Quasi tutti occupati.
“Potrebbero essersene andati, oppure sono qui ma chissà dove.” Come colto da un’emicrania improvvisa Liam si toccò la testa. Ben presto si rese conto che doveva rimettere. Fece appena in tempo ad entrare nel bagno.
Dove sarai Jake? Magari dietro ad una di queste sei porte. Magari te lo stai facendo farcire da qualcun altro... no, sei ancora con lui. Ma certo! Lesley dice che quell’uomo è importante per te. Come era possibile? Aveva lasciato che Jake lo tradisse e chissà da quanto tempo andava avanti... non se lo poteva proprio perdonare.
Il conato di vomito passò ma in ogni caso restò nel bagno.
Un uomo sulla quarantina entrò e lo squadrò per qualche secondo. Riconoscendolo gli sorrise.
“Liam Spancer!”
“Brian Osvold”. Si fissarono per una dozzina di interminabili secondi. Quando la tensione si fece troppa, l’altro osò una proposta degna del luogo che li ospitava.
“Senti... Spaner, perché non entriamo? Sarebbe stupendo se mi lasciassi... ”
“Vuoi succhiarmi l’uccello?” ringhiò.
“Ehm... mi piacciono quelli che non parlano per giri di parole.”
Liam lo squadrò disgustato. Piccolo, pelato, effeminato. L’antitesi di Jake.
“Scommetto che non vedi l’ora lurido frocietto.”
“Perché tu insulti me? È risaputo che sei gay!”
“Perché io a differenza tua non devo elemosinare sperma nei cessi. Io ho un ragazzo d’oro che mi aspetta a casa.” Già quando non è occupato a prenderlo in culo da un certo biondino…“Senti, se devi fare tutte queste cerimonie per una scopata tornatene dal tuo fidanzato.”
“No! Ora mi hai fatto arrapare, e ora mi fai il lavoretto!” berciò.
“Ok, ok non scaldarti tanto.” S’infilarono nel secondo bagno. Quasi si strappò i pantaloni per aprirseli.
“Quanta foga... non scappa mica la mia bocca.”
“Lurido frocio, sta zitto, prendilo e finiscila di parlare a vanvera!” Liam era fuori di sé. Nonostante la bruttura della situazione la sua erezione era degna delle migliori occasioni.
Brian lo guardò estasiato.
“Madre natura ti ha graziato... sei stupendo quaggiù come lassù.”
“Finiscila di parlare, è l’ultima volte che ti avviso prima di spaccarti l’osso del collo!”
“Va bene...come sei bruto” replicò in falsetto. Di fatti, di lì a poco non fu proferito nessun suono verbale. Solo il sottofondo del risucchio e dei lamenti rochi di Liam. I gemiti si trasformarono in una nenia che diceva: “Jake...Jake... amore... mio... perché...perché...” era come se il lurido, meschino piacere che il suo corpo stava provando lo stesse sgretolando dentro.
L’accovacciato smise di fare quello che stava facendo con tanto ardore.
“Hai detto qualcosa? Va tutto bene Liam?”
“Basta! Mi hai davvero stufato! Tu e la tua schifo di voce. Tu e il tuo parlare” con un calcio lo spinse addosso al muro. Bloccò il suo respiro stringendo un cappio attorno alla sua gola.
“Checca schifosa, ora ti tappo la bocca per bene. Così non parli più di certo” e lo fece. Lo seppellì con i suoi ventiquattro centimetri finché il poveraccio non iniziò a emettere rantoli di dolore. Il pene era spinto fino alla base, sino ai peli pubici. Brian non riusciva più a trattenere i conati di vomito. Ma Liam, senza pietà continuava a premere la punta verso le tonsille. L’orgasmo partì da sotto i testicoli per poi propagarsi lungo la spina dorsale. Stava venendo ma non sentiva nulla di esaltante. È come farsi una sega, altrettanto squallido. Pensò. Quando ebbe terminato si scansò.
Brian Osvalt restò per alcuni minuti rantolante e boccheggiante. I suoi occhi erano pieni di lacrime e il colorito del suo volto si era fatto verdastro. Aveva rischiato seriamente di morire soffocato.
“Ti è piaciuto il trattamento, troia? Era buona la mia sbobba?”
“Tu... tu...
“Non provare a minacciarmi adesso. E comunque sai che non puoi dirlo a nessuno. Cosa ne penserebbe tua moglie e il tuo ricco suocero se scoprissero che ti piace succhiare i cazzi nei cessi?” mentre pronunciava con tono sprezzante quelle parole tornò in sé. Ma che ho fatto? Che cazzo ho fatto?!Era stato proprio lui a ridurre quel poveretto in quello stato? Quasi ad ucciderlo? Disgusto da tutto e soprattutto da se stesso, si allontanò dai bagni. Scappò letteralmente dall’hotel sperando di buttarsi tutto alle spalle e alla svelta.