martedì 25 novembre 2008

Il fuoco e la neve




C’è chi afferma che l’amore sia una forma di schizofrenia. Io non l’ho mai pensato.
Fino a quel famoso giugno del 1998, credevo di essere l’uomo più integerrimo del mondo. Di mariti più fedeli e devoti non ce n’erano nel raggio di chilometri, questo è certo.
Già. Forse perché nel raggio di chilometri non c’erano tanti altri mariti.
Il mio nome è Liam Formberg.
Avevamo lasciato Philadelphia cinque anni prima. Per essere ancora più precisi, tre giorni appresso il sesto compleanno di mia figlia, avevo trascinato la mia famiglia e me, in questa amena località tra le nevi perenni. Dovevo concludere il dottorato che mi avrebbe consentito un posto di rilievo nella Drum Academy pharmacological di Toronto: quella era la mia maggiore ambizione.
Non mi feci scrupoli su chi e cosa mia figlia e mia moglie abbandonassero. Meno che mai quel che lasciavo io. E cosa, dopo tutto? Pochi amici, parenti - genitori compresi- con cui avevo rapporti ridotti al minimo sindacale. Tanto valeva mollare e andarsene.
Dopo cinque anni passati tra i ghiacci di Monsbell, la mia vita aveva assunto una regolarità che oserei definire agghiacciante, passatemi il gioco di parole.
Mi alzavo tutte le mattine alle sette in punto. Posavo le labbra sulla schiena di mia moglie, e subito dopo, sulla fronte calda di Lizzy, la mia unica erede.
Scaldavo una tazza di caffè nel microonde. Ingurgitavo un paio di muffin. Mi lasciavo inghiottire dal pick-up e mi dirigevo alla centrale operativa al centro del paese.
Ogni mattina facevo questo, tranne la domenica che passavo giocando a tennis, sempre dopo aver accompagnato la mia famiglia in chiesa.
Un fax - un semplice rotolo di carta, un’invenzione assurda dello scorso secolo, obsoleta per i più - cambiò radicalmente la mia esistenza. Una mattina come tante, dicevo, un fax richiamò la mia attenzione. Terminati i fondi per la ricerca della molecola SDR. Prego contattare il dipartimento per la ricerca e prendere accordi riguardo la revoca.
Distinti saluti. Dottoressa Emily Rich.
Chiaramente c’era pure un numero di telefono. Le mani cominciarono a sudarmi violentemente. La testa mi girava.
Come era possibile? Tutta la mia vita ruotava intorno alla ricerca!
Adesso, di punto in bianco, mi veniva chiesto di gettare il tutto nella pattumiera?
Mi alzai di scatto e composi il numero. Una voce atona mi avvisò che la dottoressa Rich non era in studio. Sbattei la cornetta e imprecai contro il mondo. La testa mi doleva. Mi accasciai sulla scrivania tenendomi le tempie con entrambe le mani.
Cosa ne sarebbe stato di me senza il dottorato? Dove avrei trovato le parole da dire a mia moglie? Come spiegarle che quegli anni passati tra la neve, senza amici, senza una vita sociale, ci avevano portato al nulla?
Imprudente come in tutte le grandi decisioni, prenotai un volo per Toronto il giorno stesso. La mia segretaria mi fece tanto d’occhi.
Non presi in considerazione di tornar a casa per un cambio. Il volo era breve. Avrei avuto tutto il tempo per risolvere la situazione e fare ritorno a casa il giorno stesso.
Arrivai tra i civili prima del previsto. Ero faticosamente riuscito ad infilarmi nel volo dei pendolari, quello delle nove e tre quarti.
Il sole era talmente fulgido quando uscii dall’aeroporto, che faticai a tenere gli occhi aperti. Misi gli occhiali da sole e cercai un taxi.
Mi lasciai sputare davanti agli uffici della D.A.P.
“La dottoressa Emily Rich prego”
“Mi scusi, con chi ho il piacere?” La donna dietro il portello di vetro non aveva l’intenzione di essere accomodante.
“Dottor Liam Formberg di Monsbell. È piuttosto urgente, se posso.”
“Avevate un appuntamento?”
“No.”
“Ah certo, ora si spiega. La dottoressa è partita per l’Europa questa mattina stessa.”
Sferrai un pugno contro l’asticella di legno davanti a me.
“Signor Frimann se non si da una calmata dovrò chiamare la sicurezza!” sbraitò.
“Fromberg, il mio nome è Fromberg!” e così dicendo mi precipitai senza meta verso l’ascensore.
“Dove crede di andare!” blaterò la donna rincorrendomi.
“Bè, immagino che la dottoressa abbia un sostituto a cui io mi possa rivolgere no?”
La donna fece un grosso respiro e poi replicò: “Non glielo consiglio, si sta cacciando in un grosso guaio. Ad ogni modo, se proprio ci tiene… William French, undicesimo piano alla sua destra.” E così dicendo, riprese il suo posto dietro la vetrata.


Il corridoio era immacolato, bussai tre volte prima che una donna dai capelli rossi (e scompigliati) mi aprisse. Mi guardò come se fossi un fantasma.
“Prego?”
“Sono qui per parlare con il Signor French.”
“Certo ma… avevate un appuntamento? Perché a me non risulta.”
Non ero un uomo troppo navigato, ma nemmeno stupido. Mi fu immediatamente chiaro cosa stesse accadendo tra la rossa di fuoco e questo Mr.French dei miei stivali.
“Sono desolato se, bussando, ho disturbato… interrompendo qualcosa” mi pentii subito dell’uscita infelice, ma ero fuori di me.
E’ assurdo: la mia vita viene fatta a pezzi, e chi potrebbe aiutarmi è occupato a fottere.
“Oh no, non si preoccupi, le solite cose” s’affrettò a rispondere arrossendo.
Complimenti French, te la sbatti ogni mattina alle dodici in punto?
Finalmente fui accolto in quell’ufficio abbagliante. Ogni mobile era al posto giusto. La grande finestra, posta al centro della stanza, irradiava la stessa luce ingannevole che mi aveva fatto strabuzzare gli occhi quella mattina. Dall’altra parte della parete divisoria in cartongesso, sentii tossicchiare.
“Prego, si accomodi.”
La voce maschile mi destò dall’attimo di torpore. Ubbidii.
L’uomo dietro la scrivania ingombra di scartoffie, mi fissò chiedendosi chi fossi. Mi allungò una mano presentandosi. L’afferrai e pronunciai il mio nome.
Era biondiccio, i capelli corti ma fluenti, cadevano dietro le tempie ordinatamente. Gli occhi di un azzurro intenso, mi fissarono senza capire.
“Immagino che se le hanno permesso di salire avrà un motivo oltremodo valido per essere qui, giusto?”
“Validissimo” tirai fuori dalla ventiquattrore il documento che, in poche ore, aveva messo a repentaglio la mia esistenza.
“Stamattina mi è giunto questo, firmato Dottoressa Emily Rich, che mi si avvisa essere in Europa.”
“Già. Probabilmente è ancora sopra l’oceano in realtà” sorrise compiacendosi della sua obiezione. Prima di afferrare il foglio che gli avevo posto sotto il naso, aprì un piccolo scrigno che conteneva liquirizia e me la porse. Rifiutai educatamente.
Si mise una radice in bocca e cominciò a succhiare. “Mi scusi, Dottor Formberg. Sto cercando di smettere di fumare; sa, non è molto appropriato ad un vicedirettore di un’industria farmaceutica”.
“Dunque se lei è il vicedirettore, devo immaginare che la Dottoressa Rich sia la direttrice?”
French sogghignò. “Lo era. Attendiamo il prossimo consiglio per decidere chi occuperà il suo posto. La Dottoressa Rich ha accettato un trasferimento a Colonia; un lavoro di prestigio”.
C’era qualcosa di affettato in lui, nel modo di sorridere, persino di muovere le mani. Era facile intuire che ci tenesse parecchio ad occupare il posto della direttrice uscente.
Pensai subito a lui come un fottutissimo figlio di puttana arrivista e senza scrupoli, il cui unico obbiettivo era arrivare in cima alla piramide, e poter continuare a scopare tutte le segretarie carine che trovava per strada.
Deve essere una specie d’incantatore di serpenti questo. Rimuginai.
Finalmente prestò attenzione al fax. Gli occhi da cerbiatto, si mossero velocemente. Non c’era molto da leggere.
“Non posso occuparmi di una decisione presa da altri. Io non ho alcun potere. Mi dispiace”. Sentenziò gettando il foglio sulla scrivania, e me nel baratro.
“La prego, Signor French, cerchi di comprendere. Ho passato gli ultimi tre anni della mia vita in un paesino che non conta più di seicento abitanti; dove la temperatura non supera lo zero nemmeno in estate, solo per la ricerca. E ora, mi sento dire che non ci sono più finanziamenti? Com’è possibile?”
William mi fissò senza parlare. Passammo alcuni sofferti secondi guardandoci dritti negli occhi. Sprofondai in quel blu profondo temendo di annegare. Li abbassò lui per primo.
“L’unica cosa che posso assicurale, è che appena ci sarà un nuovo direttore, ne terrò conto”.
“Se sarà lei il nuovo direttore o… in ogni caso?”
Sorrise, ai lati della bocca si formarono le fossette.
“È molto impertinente da parte sua questa affermazione. Farò finta di non aver sentito” la radice di liquirizia rimase a mezz’aria come se si fosse trattato di un buon sigaro cubano.
Azzardai. “Ha nulla in contrario se ne parliamo a pranzo? Non tocco cibo dall’alba e il mio stomaco comincia a brontolare”
”Sicuro che non vuole masticare della liquirizia? È molto buona, sa. La produce una nostra affiliata, dicono sia molto indicata per la raucedine, tosse, coliche, addominali, gastrite…”
La gastrite mi verrà di sicuro se non mi aiuti.
Accettò il mio invito; non ci fu altro da aggiungere. Ci accomiatammo dalla giovane donna che ci guardò priva di espressione.


Il vicedirettore scelse un ristorante sulla tangenziale che fungeva pure da motel per camionisti. Lo intuii perché il parcheggio era oberato di autocarri.
Chissà perché mi ero convinto che saremmo andati in qualche ristorante giapponese elegante e raffinato.
Mangiammo hamburger a mani nude, sorridendo spesso e parlando di cose vacue.
Scoprimmo di avere molto più in comune del previsto. Ad esempio, amava come me il tennis. Lo praticava di domenica e in partitelle infrasettimanali con i colleghi.
Gli spiegai che a Monsbell esisteva un solo campo sintetico al coperto, destinato agli studenti del liceo, dove solevo allenarmi di tanto in tanto.
“Mi piacerebbe darti una bella strapazzata” annunciò caustico. Assurdamente lessi un doppio senso in quella frase.
La mia risposta fu altrettanto ambigua “non mi dispiacerebbe affatto”.
Ci fissammo per alcuni secondi. Un brivido, e non di freddo, mi attraversò la schiena.
Che mi sta succedendo?
Non capivo del perché mi sentissi strano. I pensieri andavano così veloci da non riuscire a stargli dietro. Non ero capace a mettere a fuoco quello che stava accadendo. Ma era evidente che annaspavo.
“Non vi annoiate te e tua moglie tra quei monti? Immagino che, doveri coniugali a parte, non ci sia gran che da fare, vero Liam?” il piglio malizioso della conversazione aumentò lo stato di eccitazione in cui ero sprofondato.
Cavolo amico! Sembri un adolescente al primo appuntamento! Quel pensiero mi gelò.
Non riuscivo a stare fermo un minuto, continuavo a muovere le gambe sotto il tavolino, i miei fremiti non potevano di certo passare inosservati al mio interlocutore.
“Tutto bene, Liam?”
Risposi di sì, senza esserne affatto convinto. Persino il modo in cui pronunciava il mio nome, aveva qualcosa di incredibilmente erotico.
La lingua colpiva il palato per qualche decimo di secondo di troppo, per poi planare tra il baluginio dei denti.
Stavo sudando. Mi tolsi la giacca e la posai con cura accanto al cappotto.
Lo sguardo di William indugiò sul mio torace per qualche secondo di troppo. Mi convinsi che stavo farneticando.
Ci fissammo per l’ennesima volta e il suo piede sfiorò il mio. Non ebbi il tempo di domandarmi se fosse un gesto voluto e meno, che il mio commensale chiese il conto. E non solo quello.
“C’è una camera disponibile, signorina? Il mio collega ed io veniamo da un lungo viaggio e vorremmo riposarci.”
“Certamente” rispose l’improbabile spettatrice della mia debacle.
Perché non protestai?
Perché lo seguii senza dire una sola parola?
Sapevo benissimo dove stavo andando e cosa stavo andando a fare. Una forza sconosciuta e invincibile, mi trascinava, come un automa, verso un destino segnato.


Mi destai a fatica. Le ore erano trascorse rapide. Ero caduto nel sonno senza rendermene conto. La luce impudente del giorno, che illuminava i nostri corpi, era stata sostituita da quella di un lampione.
Dio ma che ora sarà? Quanto tempo è passato?
Guardai l’uomo dormire accanto a me. Un rigagnolo di saliva faceva capolino dalla bocca schiusa. I capelli biondi erano scomposti sulla fronte.
Cristo, William French, che mi hai fatto? Chiusi gli occhi.
Dovevo riflettere un attimo e capire.
La scena mi passò davanti agli occhi, come se la osservassi su di uno schermo. Le immagini erano sbiadite, ma corrette.
Appena entrati in camera, William mi aveva trascinato sul letto abbracciandomi. La bocca schiacciò la mia con urgenza.
Sentii la sua erezione premere sulla mia coscia. Ci spogliammo febbrilmente, senza scambiarci una parola. Udibili solo gli schiocchi dei baci, gli ansimi e un "favoloso", che scappò al vicedirettore una volta che fummo entrambi nudi.
Serve precisare che non ero stato mai a letto con un uomo?
Mi lasciai manipolare da quelle dita che sapevano bene come muoversi su di me. Ogni tocco era una lenta, inesorabile, deliziosa tortura. Lasciammo che le erezioni frizionassero per qualche minuto. William si accorse che stavo perdendo il controllo.
Sorrise. “Sei bellissimo” sospirò, guardandomi e mi carezzò i capelli con dolcezza.
“Anche tu” risposi domandandomi dove avessi trovato la forza di parlare, stremato com’ero dall’eccitazione.
Scivolò sotto di me, guidando la mia erezione tra le sue cosce. Ci unimmo con naturalezza.
Se mi fosse capitato con una donna, probabilmente non ci sarebbe stato nulla di strano. Succede.
Ma non a Liam Fromberg. Non a me. E si che ne avevo avuto di possibilità. Sono un bell’uomo. Attiro. Lo dico senza falsa modestia, solo per farvi intendere come stanno le cose.
In quel caso, si sarebbe trattato solo di libidine; un prurito da alleviare alla svelta, niente di più.
Tra me e il vicedirettore della D.A.P. c’era stato qualcosa di completamente diverso. Qualcosa a cui non sapevo dare un nome, né una spiegazione.
Ci eravamo trovati. Probabilmente i lunghi sguardi senza parole avevano fatto intendere a lui, quello che io stentavo a capire. Finire a letto insieme sembrava il più logico degli epiloghi. Mi sorpresi di essere completamente a mio agio tra quelle braccia forti.
Non c’è niente da aggiungere, mi aveva completamente steso.
Sedetti, poggiando i piedi sul pavimento. Stavo per rivestirmi, quando un braccio mi agguantò per la vita.
“Dove vai, bel ragazzo? Pensi che abbia già finito con te?”
“Cristo, Will. Non so nemmeno a che ora c’è il prossimo aereo per Calgary. Pensi che sarà facile trovare un posto? Io non ci giurerei”.
Si mise a sedere dietro di me e mi abbracciò, abbandonandosi completamente. Il torace si attaccò ermeticamente alla mia schiena.
La sua bocca ad un soffio dal mio orecchio. “Perché non ti fermi, stanotte? Cerchiamo su internet il primo volo per domattina, d’accordo?”
Mi lasciai andare a quell’abbraccio. “No, amico. È fuori discussione. Non avrebbe senso… nemmeno dovrei esserci qui”.
“Che intendi con qui? Qui a Toronto o qui … tra le mie braccia?”
Sospirai lasciandomi andare ad un sorriso rassegnato. “Beh questo poi… non parliamone neppure.” La lingua di William mi stava torturando l’orecchio.“Bel ragazzo, prova a dire che non ti è piaciuto… ”
“Non dico questo” le nostre labbra si trovarono.
Lasciai che la lingua scivolasse vogliosa alla ricerca della mia. Voltandomi, gli afferrai i bicipiti stringendoli forti tra le mani.
Avevo nuovamente voglia di farlo mio.
Le gambe snelle si attorcigliarono ai miei fianchi. Mi sentii pervadere da una felicità cristallina, come non mi accadeva da tempo. O, probabilmente, come non era mai accaduto prima.
Venni dentro di lui. Mi abbandonai sul suo torace ancora scosso dai sussulti del post-orgasmo.
“William… William...William...” bisbigliai.
“Che c’è?” rispose, baciandomi la fronte madida di sudore.
“Non lo so cosa c’è. So solo che sono felice.” Lo vidi sorridere.
“Sei meraviglioso, dottore”, poi aggiunse “è la prima volta, vero?”
Ci fu un lungo silenzio. “Che tradisco mia moglie, o che vado a letto con un uomo?”
“Cristo, come sei prosaico. Intendevo se è la prima volta che fai l’amore in un motel.”
Ridemmo entrambi, sentendoci nuovamente complici.
“No, quello no. Non è la prima volta che lo faccio in un motel.”
Restammo nuovamente in silenzio, ascoltando i rumori della strada sottostante e dei nostri respiri affannati.
“L’avevo capito sai?” la sua voce giunse inaspettata.
Fui colto da un dubbio. “Vuoi dire che sono stato una frana, vero?”
Sorrise.“Sei stato la migliore frana che mi sia caduta addosso da quando sono nato, Dottor Fromberg”.
Con calma ci ricomponemmo e tornammo in strada.
Appurato che non c’era nessun volo per Calgary disponibile quella notte, accettai l’invito di William.
Esposi i fatti a mia moglie con chiarezza, ma ero confuso. Raccontavo la verità: la revoca dei finanziamenti, la partenza della direttrice, eppure mi sentivo meschino e bugiardo.
Non mentivo, ma omettevo la vera ragione per la quale passavo la notte fuori casa.
“Amore, mi raccomando. Cerca di mangiare qualcosa stasera. Sono certa che nervoso come sei non toccherai cibo.” Darla era così materna a volte con me da mettermi in imbarazzo.
“Stai tranquilla. Ho trent’otto anni, non sono mica un ragazzino!”
Prima che riattaccassi mi passò Lizzy, che mi chiese un regalo.
Mi sentii in colpa ma passò in fretta.
Nell’elegante Mercedes ad aspettarmi c’era l’uomo che mi aveva donato momenti di autentica estasi, e io avevo solo voglia di lui. Di nutrirmi di lui. Solo quello contava.


Lasciai l’elegante appartamento alle nove quella mattina. Il taxi mi aspettava in strada.
“Così… te ne torni tra i monti.” La voce di William tradiva una punta di amarezza.
Gli agguantai il viso con entrambe le mani.
Ci baciammo.
Appena riuscii a staccarmi cercai di rassicurarlo.“Tornerò, ci rivedremo.”
Lo vidi accigliarsi. Torturava con le dita un piccolo ciondolo che pendeva da un girocollo d’oro.
“Come no” rispose, con una nota di cinismo.
“Guardami negli occhi, Will.” Gli sollevai il mento per costringerlo a girare la testa dalla mia parte.
“Questo per me non è uno scherzo.”
“Nemmeno per me” rispose.
Ci scambiammo un ultimo appassionato bacio, per poi dividerci.
La sua voce mi raggiunse, mentre mi apprestavo a farmi inghiottire dall’ascensore.
“Dimenticavo. Anche per me è la prima volta.”
Sorrisi maliziosamente “che facevi l’amore in un motel?”
William sorrise a sua volta e in tutto d’un fiato rispose: “Che m’innamoro.”


Che m’innamoro. Quelle parole mi erano entrate nel cervello. Cercai di ricacciarle, ma era impossibile. Sentivo le tracce della notte d’amore sul mio corpo, come se mi avesse tatuato da cima a piedi.
Atterrammo a Calgary all’ora prestabilita. La testa mi girava. Non avevo dormito un granché.
A casa non trovai nessuno.
Feci una lunga doccia e decisi di non pensare a quello che era successo. Dovevo trovare una soluzione per risolvere la questione finanziamento molecola SDR, affinché potessi restare a Monsbell e gli anni di lavoro non fossero sprecati.
Dovevo trovare quella dannatissima molecola. Era solo quello che contava nella mia vita.
Allora perché non mi dispiaceva la recondita possibilità di andarmene?
Forse Darla, dopo gli anni di esilio, avrebbe preteso di tornare a Philadelphia per essere accanto ai genitori. Ma, se avessi portato felicemente a termine la ricerca, un posto di prestigio alla D.A.P. non me lo toglieva nessuno. Lavorare per William, essere un suo dipendente. Di tutte le fantasie oscene, quella era la più audace.
Agognavo l’idea di ritrovarmi il prima possibile tra le braccia del mio compagno di una notte. Farmi ribadire, farmi imprimere nella mente, che non me lo ero sognato.
Mi ama, mi ha detto che mi ama. È questo che ha detto, Liam? Ne sei sicuro?
Si stava sbattendo la sua segretaria prima che arrivassi; forse aveva solo gli ormoni in subbuglio. I dubbi, naturalmente, presero il sopravvento.
Passai l’intero giorno pregando che il telefonino squillasse, e leggere il suo nome nel display. Accadde solo a tarda sera
“Ti disturbo, bel ragazzo?”
“No, macché, anzi…pensavo ti fossi dimenticato di me”.
“Veramente non volevo apparire troppo disperato”.
“Disperato?”
“Sì. Insomma… senza te non è che mi garba molto la cosa.”
Tossicchiai, e mi scappò un “ti sarai fatto consolare dalla rossa”.
Mi pentii subito di averlo detto. Ora penserà che sono geloso. Non posso essere geloso! Lo conosco da… da quanto? Mezzora?
Una fragorosa risata dall’altra parte della cornetta, mi tranquillizzò.
“Sciocchino. Non c’è il minimo paragone. Sono single, sono bello, che c’è di male se mi sbatto qualcuno in ufficio?”
“..O nei motel.” aggiunsi malizioso.
“Non provarci nemmeno a paragonare le due cose, io…” capii che stava cercando le parole giuste. Questo mi commosse. Merito tanto?
“Sei importante, Liam. Diavolo, se non fossi sposato!”
“Se non fossi sposato… cosa?”
“Vorrei che tra noi funzionasse. Capisci che voglio dire?”
Certo che lo capivo! Ma c’era un altro dramma da risolvere.
“Will, scusa se cambio discorso, ma sono davvero preoccupato per questa storia della revoca. Puoi fare qualcosa?”
“Ho già chiamato Emily. Lei non ne sa niente. Ha firmato quelle scartoffie la mattina all’alba ed è partita. La decisione di tagliare i fondi per la ricerca viene dall’alto. Nemmeno io posso fare molto.”
E aggiunse ironico: “Anche se divento il nuovo direttore.”
“Se perdo la borsa di studio sono fottuto!”
“lo so, ci credo. Troveremo una soluzione; vedrai. Sto facendo di tutto per portarti a Toronto. Pensi che mi stia bene saperti in mezzo alle montagne?”
“Sto male lontano da te” ma che sto dicendo? Oddio lo penso davvero.
“Anch’io.”
Fui assalito da una voglia di baciarlo quasi dolorosa. “Ora è meglio che riattacchiamo. Se no spacco il telefono dal nervoso” dissi.
“Perché ?”
“Perché vorrei averti vicino. Sai, penso di non essere assolutamente tagliato per i rapporti a distanza.”
“Questo è un bel problema per chi ha milletrecento chilometri che li divide”.
Ci salutammo con la promessa di sentirci ogni giorno.
E così fu.
Riempire il vuoto con le telefonate non servì a molto. Sfogai la rabbia in tanti modi diversi. Una su tutte, rompendo una racchetta durante una tranquilla partita domenicale con un mio collega.
“Stai bene, Fromberg?” mi chiese guardandomi di traverso.
“Sì, tutto bene.”
Raccontai l’accaduto a William che commentò dicendo qualcosa tipo -il mio selvaggio-.
Esattamente tre giorni dopo, mi fu recapitata in ufficio una racchetta nuova di zecca con allegato, un foglietto: ti prego non mi rompere. Più in basso: vorrei essere al posto di questa dannata racchetta per lasciarmi impugnare da te. William.
Lo chiamai subito.
“Non dovevi”
“Ti è arrivata?”
“Certo che mi è arrivata!”
“Non sei contento?”
Sospirai. “Avrei preferito riceverla di persona.”
“Ci ho pensato, sai? Quasi quasi vado nella landa desolata, mi sono detto. Ma sarei inopportuno, vero?”
”Tu non sei inopportuno, Will. Tutt’altro. Cristo, se mi manchi!”
“Potrei prendermi un paio di giorni…”
Quelle parole fecero raddoppiare i battiti del mio cuore. “Dici davvero? Non mi stai prendendo per i fondelli?”
“Dimmelo tu se devo venire”
“Certo che devi. Devi, devi, devi!” Mi lasciai vincere dall’eccitazione. Stavo gridando senza rendermene conto.
Cercai di ricompormi.
Il giorno seguente tornai al campo per due palleggi. Attesi che gli ultimi studenti sgombrassero il campo. Mi piaceva guardarli scherzare tra di loro. Rimpiansi di non aver incontrato William a quell’età. Forse sarebbe stato diverso, più facile.
Improvvisamente fui destato dal rumore. La porta principale si aprì all’improvviso.
“Ciao papà”
“Lizzy? Che ci fai qui?”
“Niente, mi ha accompagnato Brian, ho visto il pick-up e sono entrata”
“Brian? Il figlio minore del sindaco? Cristo ma ha quattordici anni! Non dovresti uscire con ragazzi della tua età?”
”Uffa non metterti a fare il padre adesso!” e, gravosamente, aggiunse “Ti ricordi di avere una figlia solo se mi vedi con uno più grande?” Restai di sasso.
“Che intendi dire?”
“Non ci sei mai” sentenziò, fissandosi le punte delle scarpe da ginnastica. Aveva undici anni ma ne dimostrava almeno tre in più. Era carina ma troppo magra, almeno era quello che pensavamo sua madre ed io.
“Ci sono eccome, non faccio più una notte da…”
”Non dico fisicamente! È con la testa che sei assente, sembri sempre assorto in mondo tutto tuo”
Come potevo darle torto? Avevo più del triplo dei suoi anni, ma il vero adolescente della situazione ero proprio io.
“Tesoro forse hai ragione, ma tu sai perché..sarebbe la fine per noi se non potessimo restare a Monsbell, giusto?”
“Già, la mamma ti ucciderebbe, questo è certo!” calò un silenzio pesante tra noi. Dopo di che il modo più logico per rompere l’imbarazzo fu quello di impugnare le racchette e giocare.


Passai in rassegna le varie soluzioni per risolvere la questione finanziamenti. Mandavo email, facevo decine e decine di telefonate, se avessi potuto, avrei spostato gli oceani.
Quello che non vi ho detto fino ad ora, era il perché del mio interesse reale per la molecola SDR: ancora fresco di laurea, partecipai ad un convegno sulle malattie genetiche. M’appassionai talmente tanto che decisi di entrare nell’equipe di ricerca. Immaginatevi quando, circa dieci anni dopo, ottenni l’incarico di seguire la sperimentazione di una malattia rara ma terribile che la SDR, appunto, avrebbe debellato. Finalmente una casa farmaceutica prendeva in considerazione di investire nella ricerca.
Si sa, dove non c’è lucro, non c’è interesse. Probabilmente quelli della Drum Academy erano convinti che ci sarebbe voluto minor tempo. E dopo una lunga giornata passata tra cavie ed ampolle, telefonate e imprecazioni, dovevo sorbirmi il malumore delle mie donne.
Darla: Sono due anni che non ci facciamo una vacanza.
Lizzy: Sono stufa di portare la divisa della scuola, le mie compagne sembrano uscite da una sfilata di moda!! Solo io porto ancora la divisa della scuola!!
Darla: Le uniche amiche che ho, sono le commesse del drugstore.
Lizzy: Tutti hanno internet! Non si può vivere in uno stupido paese in cima ad una montagna e non avere nemmeno uno schifo di computer in rete!!
Darla: Liam dove stai andando? Non hai nemmeno dato un’occhiata a queste scadenze!”
Lizzy: Hai messo la tazza sopra i miei disegni! Era il mio compito di geometria questo, ora è impresentabile! Ma dove hai la testa papà?”
Mi allontanai da loro.
Salii in soffitta. La sala hobby rappresentava un rifugio antiatomico che mi proteggeva da loro. E che mi dava la possibilità di passare un’ora al telefono con William.



E poi c’era la baita. Un altro luogo in cui ero solito ritirarmi. La baita mi piaceva per tanti motivi. Prima cosa perché mi permetteva di vedere il sole prima degli altri. Ci avevo trascorso tante notti prima di trasferirmi definitivamente a Monsbell con Darla e Lizzy. Ero convinto che la molecola si celasse proprio la: nel punto più alto della montagna. Tra i ghiacci.
Il rifugio era un possedimento di una famiglia di pastori, ma una volta morto il capofamiglia, i figli l’avevano abbandonata e si erano trasferiti definitivamente in città. In sostanza non era di nessuno. Non c’erano chiavi alla porta. Non c’era nulla da rubare. Il camino dominava l’intero ambiente. Alla finestra vi erano appese delle tende color pesca raffiguranti elfi giocosi. E un tavolo di legno occupava per intero la cucina. Quanto mi sarebbe piaciuto mostrarla a William! Non ci vedevamo da due mesi, in pratica dal nostro primo incontro. E mi mancava da morire.
“Tra una settimana decreteranno il nuovo direttore” sentenziò. Strinsi il telefonino più saldamente. La mano s’impregnò di sudore. Attendevamo quella notizia da settimane. Nel frattempo la poltrona vagante era in mano a William, ma lo sarebbe stata anche il giorno dopo? “Non dormirò nell’attesa del responso.”
“Non ti preoccupare.” rispose frettolosamente “Sono sicuro che riuscirai a cavartela in ogni caso.” Sospirai
“Fosse così semplice! E’ che Darla non ha ancora capito la gravità della situazione, parla ancora di vacanze ti rendi conto?”
“A proposito, quando ce ne facciamo una noi due?” Sorrisi.
“Lo sai che mi piacerebbe, tempo fa dicesti che volevi venirmi a trovare.”
“E sarei venuto senz’altro se queste elezioni non mi avessero assorbito anche il poco tempo libero che ho!”
Ci salutammo con dolcezza. Percorsi la strada verso casa in preda ad un’emozione senza precedenti. La risposta del giorno seguente, avrebbe potuto cambiare la vita di parecchie persone. Soprattutto a William, sapevo bene quanto ci contasse. Dopo anni di gavetta, ci teneva ad arrivare nel punto più alto; era l’obiettivo che si era prestabilito da tanto tempo. Avevo capito che per lui non era solo una questione di prestigio, né tanto meno di stipendio. Non si trattava di salire un piano, avere un ufficio il doppio più grande e schiere di cavalier serventi pronti a chinarsi al suo passaggio. L’ambizione di William era di riuscire a modernizzare tanti aspetti arcaici dell’azienda; sbaragliare la concorrenza, fare della D.A.P. un modello per tutto il paese. Era la risposta a tutti i sacrifici che aveva compiuto. In pratica, come per me sarebbe stato giungere alla molecola SDR.


Quella notte non dormii molto. Mi alzai all’alba, attesi impaziente la telefonata che non arrivò. Dopo le cinque del pomeriggio, provai più volte a chiamare William ma il telefonino era sempre spento. Maledizione cosa sta succedendo? Perché non chiami? Esasperato, decisi di rischiare telefonando direttamente la D.A.P.
“Mi dispiace ma il signor French è già uscito.” decretò la voce dall’altra parte del filo. Imprecai silenziosamente e tornai ad attendere.
Alle otto di sera ero ancora in ufficio, fissavo il mio cellulare inebetito. Mi resi conto di quanto ero stanco solo quando mi ritrovai mezzo addormentato sulla scrivania. Avevo appoggiato la testa sul braccio e avevo chiuso gli occhi.
Bussarono alla porta, mi destati di scatto. Cristo è tardissimo, deve essere addetto alle pulizie. Rimuginai tra me. Aprii la porta. La mascella mi cascò letteralmente…
“William!? Che fai qui?” Sorrise compiacendosi del mio stupore.
“Sono felice di averti trovato.” Mi strinse forte a sé. Risposi a quell’abbraccio con slancio.
“Spiegami cosa ci fai qui?”
“Volevo darti la notizia il prima possibile, e, allo stesso tempo, volevo vederti. Così appena è finita la riunione mi sono precipitato in aeroporto e ora sono qui. Ma non credevo di trovarti in ufficio, ero passato di qui per puro scrupolo. Stavo per chiamarti…”
“Non tergiversare: dimmi come è andata.” Mi è difficile descrivere l’espressione che si delineò sul suo volto. Una specie di sorriso rassegnato, una felicità macchiata da una leggera velatura di tristezza.
“Fottuto Dottor Fromberg, avrai altri cinque anni di finanziamenti per il progetto.”
Emisi un gemito di gioia.
“Wow!! È fantastico! Questo significa che ora sei ufficialmente il nuovo direttore della D.A.P.”
Il suo viso non manifestava ne gioia né dispiacere. Ero perplesso.“Non sei felice Will?”
”Sono molto felice per te Liam.”
“Beh ma anche per te no? Per noi?”
Sospirò. Dopo un lungo silenzio enunciò:
“Non ci tenevo veramente ad essere direttore.” Sogghignai.
“Certo dici così ora che hai ottenuto la poltrona!” Lo vidi accigliarsi di brutto. Lo scrollai afferrandolo per le spalle.
“William che c’è? Non è fantastico? Sei il nuovo…” Mi interruppe bruscamente.
“Non ho detto questo.” Lo fissai senza capire.
“Ho detto che puoi continuare a lavorare per la D.A.P. non che sono il nuovo direttore, ma, ripeto, non era così importante” mi spiazzò.
“Cristo Will, mi stai forse dicendo che è stato eletto un altro al posto tuo?”
“Esatto.”
“Non capisco, e allora come mai hanno sdoganato il progetto SDR? Chi più di te aveva ragione di aiutarmi?”
“Non è una questione di –spinta-, vuol solo dire che te lo meritavi e io sono contento per te.”
La felicità che mi aveva pervaso pochi secondi prima, scemò davanti alla disfatta dell’uomo che amavo.
“Liam, non devi essere triste per me, goditi questa vittoria! Sono venuto fin qui per leggere felicità nei tuoi occhi belli, e non voglio vederti abbattuto per causa mia.”
“Ma come faccio ad essere appagato pensando che tu non hai ottenuto nulla di quello che ti eri prefissato?”
”Non è così. Non è tutto bianco o tutto nero. Esistono le sfumature. E tu sei la sfumatura più sfavillante della mia vita” disse accarezzandomi il viso. Il suo sorriso mi disarmò. Percepii che nonostante gli sforzi, una punta di sconforto c’era.“Sono felice per te ripeto, sono felice di essere qui, questo conta, solo questo.” Per una decina di secondi, restammo a fissarci in silenzio. Gli ghermii il volto tra le mani e lo baciai. Il sapore inebriante della sua bocca, mi restituì un po’ di serenità.


Il bagliore fioco dell’abatjour, illuminava i nostri corpi creando ombre che riflettevano nella parete di fronte a noi. Ero tra le braccia di William, finalmente! La testa posata sul suo petto come ad auscultare il battito del cuore, lasciandomi cullare da lui come se fosse stata la più dolce delle melodie, e, in effetti, lo era. Che notte era stata! Dopo due mesi di desideri mai sopiti, di ansia mista a speranza, ci eravamo finalmente ricongiunti. Trovai un barlume di razionalità e avvisai Darla che non sarei rientrato a casa quella notte, mi rendevo conto che mi stavo comportando come un folle, ma chi per amore non ha mai fatto pazzie? Probabilmente quelli razionali come me fanno più fatica ad accettare simili stordimenti. Sì, per me era strano, ero completamente frastornato dalla processione di sensazioni che mi aveva travolto.
Uscimmo dagli uffici che erano passate le dieci. Ci dirigemmo a Calgary. Mi fermai sul primo hotel lungo la strada. Chiudemmo la porta alle nostre spalle e ci gettammo l’uno tra le braccia dell’altro, come se da quello dipendesse la nostra esistenza. Le guance di William erano calde dall’emozione e leggermente arrossate dal freddo; le mani invece erano gelide, le ghermii e le posai sotto la mia camicia. “Non ti da fastidio?” mi chiese premurosamente
“No anzi, sono qui per questo.”
“Per scaldarmi?”
“Sicuro.” Sorrise disarmandomi, mi persi nell’azzurro intenso dei suoi occhi che creavano giochi di luce riflettendosi nei miei. Era la sua bocca che contava, perdermi in quella. Le sue labbra schiuse, carnose e umide, così bramanti di sfiorare le mie.
“Liam baciami, fammi tuo” le sue mani si spostarono verso il basso fino a raggiungere la mia cinta e la slacciarono.
“Ti voglio.” aggiunse.
“Ti voglio pure io… forse troppo!”
“Perché troppo?” Restai in silenzio qualche secondo prima di rispondere.
“Forse perché non lo so gestire.” Il suo sorriso prese una piega maliziosa.
“Ho sempre amato quelli che non sanno trattenersi.” Il dialogo risultava insolito essendo le nostre labbra attaccate.
“E’ quello il problema: sono un tipo che vuole avere sempre la situazione sotto controllo, persino i sentimenti.”
“I sentimenti non si possono ponderare.”
“Ora lo so, ora lo capisco.” Gli accarezzai i capelli mentre il mio sesso lisciava il suo ventre. “William che mi hai fatto? Cristo Will…”
Mi serrò la bocca con un bacio. Mi afferrò per i fianchi. Ci trascinammo verso il letto, ma la voglia di aversi ci fece arrestare prima. Cademmo sulla moquette, persi nella passione. Non tentai nemmeno di penetrarlo, mi lasciai andare ad un orgasmo convulso.
“Vieni con me amore mio.” gli sussurrai quando fui ad un passo dal piacere estremo.
“Ci sono quasi.” rispose in un ansito. Gli accarezzai il sesso, gli bastò questo per esplodere. Sentii il suo corpo vibrare sotto il mio. Mi apparve così indifeso. In quel preciso istante fui consapevole che sarei potuto morire d’amore per lui. Che una vita intera spesa a donargli piacere, forse, non mi sarebbe bastata. Volevo di più.
“Amore mio…” gli sussurrai adagiandomi su di lui. Mi abbracciò. Le sue dita volarono lungo la mia schiena come quelle del pianista sulla tastiera. Facemmo l’amore tutta la notte mai paghi. Soprattutto io, mi sembrava di essere un naufrago, e William era la mia ancora.
La mattina dopo facemmo colazione a letto scherzando come ragazzini. Ma una nota stonata s’insinuò durante la giocosa conversazione. Il mio amante se ne avvide immediatamente.
“Che c’è Liam?”
“Niente.”
“Non me la dai a bere, ad un tratto ti sei incupito. Cosa c’è che non va? Stai pensando a tua moglie?”
“No, sto pensando a quanto ci tenevi a quel posto…”
“Finiscila, non sto mica in mezzo ad una strada!”
“Che centra. Non dico questo: avrei voluto che anche tu avverassi il tuo sogno.” Guardò un punto imprecisato davanti a se, sorrise.
“Ora il mio sogno è un altro…” Mi accoccolai più vicino a lui.
“E io centro qualcosa?” sussurrai accarezzandogli il collo.
“Sì bel ragazzo, centri qualcosa…”
“Esattamente…cosa?”
Le sue labbra si posarono sulla mia fronte. Mi appoggiai alla sua spalla.
“Vorrei potermi svegliare sempre così. Con te immerso in queste braccia che per troppo tempo sono state tese verso il vuoto” aggiunse, facendosi serio.
“Liam, solo tu puoi riempire questo vuoto.”
“E’ una proposta?” Tossicchiò nervosamente.
“Lo so che hai già una moglie e una figlia, ma che ci posso fare se..” Lo zittii poggiando un dito sulle sue labbra; lo baciò morbidamente.
“Sono solo tuo.”
“Già…adesso, e domani?”
“Domani è già oggi.” Non sapevo nemmeno io come mi sarei raccapezzato in quella situazione. Istintivamente sarei fuggito con lui anche il giorno stesso. Ma ero troppo ligio ai miei doveri morali per prendere minimamente in considerazione una soluzione simile.
“Non ti sto mettendo fretta, hai tutto il tempo per decidere.” Lo strinsi più forte a me e restai in silenzio. Non sarebbero bastate cento parole per dirgli cosa provavo per lui, me ne vennero fuori due, due soltanto
“Ti amo.” Gli sfuggi un gemito.
“Non merito tanto.” enunciò sorridendo.
“Non è quello che volevo sentirmi dire!” Gli agguantai il viso con entrambe le mani fissandolo.
“Ti amo anch’io.”


L’assenza di William creò un vuoto incolmabile nella mia vita. Nonostante avessimo ottenuto il consenso di restare a Monsbell, io e Darla non stavamo passando un momento facile. Ero con la testa a Toronto, pensando in continuazione al mio bellissimo biondo amante. Ero sempre teso, rispondevo male per un niente. Questo creò una voragine tra noi di proporzioni bibliche.
Una sera dopo che Lizzy era andata a dormire, Darla mi fu vicino e mi baciò sensualmente una spalla.
“La prossima settimana Lizzy va in campeggio, potremmo approfittarne per una piccola vacanza noi due da soli, che ne dici?”
“Lo sai quanto sono occupato ultimamente…”
“Cristo Liam, mettici un po’ d’impegno! A volte mi chiedo se tu lo voglia salvare davvero questo matrimonio!” Restai di sasso, eravamo già a quel punto?
”Non dire così.” risposi. Mi strinse forte.
“Ti prego Liam, dimmi che mi ami ancora.” Sapevo che dovevo mentirle, non volevo ferirla, mi sentivo già troppo in colpa per averla tradita.
“Piccola ti amo, ti ho sempre amata, cerca di non farti paranoie.”
Facemmo l’amore quella sera, dopo tanto tempo. Mi domandai da che parte stessi andando. Mi sentivo come un frammento di barca scampato alla tempesta, in balia delle onde. Mi stavo lasciando trasportare dalla marea senza sapere assolutamente dove sarei approdato.


“E’ lei il dottor Fromberg?” La voce dell’uomo dinnanzi a me era fredda e ostile.
Entrò nel mio ufficio senza darsi cura di presentarsi.
“Sono qui da parte della D.A.P. per un controllo.” Strabuzzai gli occhi. Che diamine, un controllo? Senza avvisare?!
“Con chi ho il piacere?”
“Philippe le Rue «
“Che tipo di controllo? Se mi è permesso”
“Beh non serve girarci intorno: la nostra azienda sta investendo parecchio nella sua ricerca Dottor Fromberg, e presto vorrebbe raccoglierne i frutti.”
“Tutti vorremmo raccogliere i frutti.” risposi lievemente stizzito.
“Devo dare atto che i risultati fin qui ottenuti sono ottimi. Ma non come ci eravamo prefissati, purtroppo.” Ne convenni. Nulla era come mi ero prefissato. La mia segretaria giunse appositamente per guidarlo tra le varie stanze. Dopo circa un’ora, tornò dinnanzi a me.
“Ah dimenticavo Dottor Fromberg: il prossimo consiglio d’amministrazione si terrà in Luglio, dovreste mandare un vostro rappresentante poiché l’ordine del giorno sarà la molecola SDR.”
Affondai le mani sotto la scrivania.
“Verrò io stesso.”
“Non ne dubitavo.” rispose sogghignando.
Prima di andarsene il viscido omuncolo si girò e, maliziosamente, aggiunse: “Così avrete modo di riunirvi al vostro caro amico French.” Restai senza parole, la bocca si seccò. Che diavolo ne sapeva lui di me e William? Non ebbi il tempo di chiedere ulteriori spiegazioni che il signor de Rue sibilò:
“Le auguro buon lavoro dottore.” e così dicendo, sparì dietro la porta.
Ero atterrito, non capivo, non riuscivo proprio a raccapezzarmi. Come era possibile che William avesse spifferato in giro la nostra relazione? Il nostro amore è un fiore segreto e inaccessibile, e, sdolcinatezze a parte, io sono un uomo sposato! Come hai potuto spifferarlo ai quattro venti? Tracannai un bicchiere d’acqua, la testa mi girava, il cuore mi batteva all’impazzata. Decisi di chiamarlo.
“Liam… come va?”
“Dimmelo tu come va…”
“In che senso?” Restai in silenzio ascoltando attento il respiro dell’uomo che amavo. E che mi ha tradito.
“A chi hai parlato della nostra relazione?”
“Eh? Ma di che stai dicendo? Hai forse bevuto? Io non ho detto niente a nessuno!”
“Dici di no? Allora come si spiega che un certo fottuttissimo Philippe le Rue si presenta senza appuntamento per un controllo e, prima di andarsene, fa allusioni a noi due?”
“Philippe le Rue » ripeté.
«Già... »
« Cosa ha detto esattamente? »
“Ha fatto delle allusioni sul fatto che sarei stato ben felice di rivederti durante il consiglio d’amministrazione.”
“Sì lo so, ce lo hanno comunicato proprio oggi, riguarda la tua molecola…”
Restammo in silenzio parecchi minuti. Avevo sperato che cercasse di scagionasi, di difendersi dalle accuse.
Ma non fu così. Il mio amante restò impassibile. Lo odiai. Se l’avessi avuto davanti in quel momento, lo avrei preso a pugni.
“E’ finita.” sibilai tutto d’un fiato. Le lacrime calde mi rigarono il viso. Per William era ben diverso, pensai. Forse ora ti sentirai libero. Già… libero di tornare a pascere le tue puttanelle da quattro soldi. Sono stato soltanto un’avventura eh? Ti divertiva corrompere un uomo sposato? L’eremita che coltiva il suo stupido sogno…
Con un filo di voce rispose
“Come vuoi tu” e aggiunse
“Se non ti fidi di me, è impossibile pensare di andare avanti.” La sua voce era glaciale come l’aria di montagna.
Il vicedirettore French chiuse sbrigativamente la conversazione. Fissai il telefono. Gridai “Maledetto!!” non sapendo bene a chi mi stessi rivolgendo. A William? A me stesso? Ecco forse ce l’avevo proprio con me soprattutto. Mi odiavo per essermi fatto abbindolare da qualcuno che non era stato capace nemmeno di preservare la nostra relazione, dandola in pasto ai pescecani. Sai le risatine che si saranno fatti alle mie spalle quelli della D.A.P.? e tutto perché volevi farti bello. Che sono stato io se non una tacca in più nella lista delle tue conquiste? Piansi per un quarto d’ora circa e poi me ne tornai mestamente a casa.


Il rapporto con Darla divenne impossibile. Colpa mia, naturalmente. Dopo la rottura con William odiavo tutto e tutti. Non riuscivo a sopportare persino la presenza della gente, tolleravo a mala pena mia figlia. Non volevo estranei in casa, anche se ci passavo pochissimo tempo. Mi alternavo tra l’ufficio e la baita, dove andavo a piangere soprattutto. Malgrado la squarcio tra me e il mio ex amante, malgrado lo odiassi (o tentassi di farlo) il ricordo di quelle fantasie che mi avevano scaldato il cuore fino a poche settimane prima, aveva creato una voragine senza precedenti. A volte me la prendevo con le cataste di legno buttandole per aria. Altre con dei ninnoli che frantumavo addosso al muro.
Perché doveva andare così?
Perché non mi aveva più chiamato? Davvero era stata solo un’avventura? Per lui sì, senz’altro. Per me no. Quell’amore segreto e bellissimo, aveva creato dentro di me un vuoto incolmabile. Prima di conoscerlo ero stato un uomo diverso. Avevo creduto di essere nel giusto, di essere nell’amore. Ora ero consapevole che quello che provavo per mia moglie era stato tutto tranne amore. Affetto, stima, amicizia, gratitudine per avermi seguito nelle mie scellerate scelte di vita. Ma l’amore, il trionfo della passione che ti fa nascere e poi ti distrugge come Medea. Che ti alimenta e poi ti affama. Che ti uccide e ti resuscita beffandosi di te. L’amore se n’era andato deridendomi e togliendomi ogni stimolo per andare avanti.
Darla lo chiamò esaurimento nervoso. Chiesi il divorzio. Più che altro per preservarla da me. Alla fine di maggio, le donne della mia vita tornarono a Philadelphia.


Il clima sembrava irreale. Era di nuovo davanti a me. Dopo tre mesi di silenzio. E mi guardava senza proferire parola.
Cosa provavo? Rabbia, disgusto, confusione? Oppure: amore, rimpianto, nostalgia…
“Mi fa piacere rivederti.” William French mi strinse la mano. L’afferrai evitando il suo sguardo.
Ero volato a Toronto per presenziare al consiglio d’amministrazione. Mi chiesi se il mio volto stanco ed emaciato tradisse il momento terribile che avevo passato; anche se dire “passato” implica esserselo lasciati alle spalle, ma, in quel momento, ero ancora alla ricerca della luce in fondo al tunnel.
“Avrei voluto chiamarti ma…speravo lo facessi tu, non volevo opprimerti, mi hai detto che è finita.”
“Non mi pare opportuno parlarne qui, anche se tutti sanno grazie a te.”
”Non capisco Liam io…”
Fummo separati dalle hostess che c’indicarono i rispettivi posti. Provai a concentrarmi sugli interventi ma non ne ricavai molto, quei suoni giungevano a me distorti come in un incubo. Alla fine di tre ore e mezzo di colloquio ci fu il consueto coffee-break. Una donna dall’aspetto piacevole si avvicinò a me.
“Lei è il Dottor. Fromberg giusto?”
“Sì” enunciai senza enfasi.
“Sono Emily Rich.” Quel nome mi diceva qualcosa, ebbi l’illuminazione.
“L’ex direttore?”
“Esatto, mi fa piacere che si ricordi di me. Rammento lo spiacevole episodio del fax, sapesse quanto ne sono ancora desolata! Firmai quel foglio in fretta e furia. Senza darmi la pena di leggerlo. Un dirigente non dovrebbe farlo mai.” Aveva modi signorili ma, allo stesso tempo, simpatici e accomodanti.
“Se posso signora: come mai è qui?”
“Beh ora mi occupo della filiale di Colonia, non è un compito facile sa? Ma il mio quartier generale resta questo. Due o tre volte l’anno devo tornare. Ma lo faccio con piacere, alla D.A.P di Toronto ci sono i miei più grandi amici.” Guardò dalla parte di William che stava tracannando un caffè guardandoci di sottecchi.
“Come William ad esempio.” Restai in silenzio. Proseguì:
“Mi è tanto dispiaciuto per come sono andate le cose. Quel verme di Plajer non meritava di prendere il mio posto. Per non parlare di quel viscido di le Rue, il suo scagnozzo.” risposi pensieroso.
“Non so bene come stiano le cose ma, se mi consente, almeno mi hanno permesso di continuare la sperimentazione.”
“Già, e non si è mai domandato il perché?”
“Perché credono nel progetto, no?”
“Chiaramente William è troppo orgoglioso per ammetterlo.” e così dicendo si allontanò spiazzandomi. Mancavano pochi minuti alla riapertura del congresso. Che avrà voluto dire con - è troppo orgoglioso per ammetterlo-? Devo scoprilo Cristo santo, lo devo sapere…
”Signora Rich” La donna si girò di scatto.
“Cosa vuole Dottore?”
“Mi dica quel che non so.”
La donna sorrise maternamente. Mi accarezzò una spalla.
“William deve tenere davvero molto a lei se ha rinunciato al posto di direttore a favore della sua ricerca.” La campanella suonò. Sorridendo maliziosamente la donna aggiunse “Magari lo ha fatto solo per la ricerca.” e così dicendo prese il suo posto attorno al grande tavolo.
M’infilai le cuffie. Riuscivo a sentire solo il battito del mio cuore e la confusione, la consapevolezza di essere io nel torto. Devo assolutamente parlare a William, farmi dire cosa è successo. Che significa che ha rinunciato al posto per la mia ricerca? È assurdo, non capisco! Pregai che tutto finisse più in fretta possibile. Incurante dei possibili pettegolezzi, mi gettai dietro a William appena tutti si furono alzati. Picchiettai sulla sua spalla.
“William..”
“Che c’è?”
“Dobbiamo parlare”
“Come vuoi…” Ci recammo nel suo ufficio. Mi faceva uno strano effetto, era qui che ci eravamo stretti la mano per la prima volta. Fui soprafatto dai ricordi: la segretaria scapigliata, la luce abbagliante, la liquirizia tra le sue labbra, il suo sguardo..
“La Dottoressa Rich afferma che tu hai rinunciato al posto di direttore a favore della proroga del finanziamento per la ricerca sulla molecola SDR, è così?”
Sorrise, nel modo più strafottente che aveva. Compresi che lo amavo ancora, che non avevo mai smesso di amarlo, lo amavo sì…lo amavo disperatamente.
“Cosa vuoi sentirti dire?”
“La verità, solo quella.”
“Di vero c’è che mi hai lanciato accuse assurde non curandoti di verificare, che hai detto è finita, e io non posso darti torto. Che te ne facevi di uno come me?”
“Ma che stai blaterando!” Sbattei un pugno sulla scrivania. Un portafotografie crollò su se stesso.
“Non posso..non posso non sapere. Parla per Dio Will, dimmi come stanno le cose, io…io non ci capisco più niente!” Mi fissò negli occhi, il suo sguardo si era improvvisamente fatto serio.
“Ok ti risponderò, ma solo se mi prometti che dopo averti spifferato tutto non tenterai di farmi sentire più stupido di quello che sono stato.”
“Cioè?”
“Io…non voglio soffrire ancora Liam, tu non puoi capire cosa ho passato in questi tre mesi, e anche se una volta saputo come stanno le cose tu volessi tornare con me… Beh non sono disposto a farlo. Non voglio io.” Ero spiazzato.
“Non capisco, ma non posso prometterti questo.”
“Mi dispiace.” Si allontanò da me. Persi la testa e lo afferrai violentemente per le spalle sbattendolo al muro.
“Cazzo Will, non venirmi a parlare di sofferenza. No, amico, non parlare di dolore a me. Solo io so che cosa è il vero inferno in questa stanza!”
“Ma fammi il piacere Dottore, sofferenza dici?” Accigliandosi aggiunse
“Torna da tua moglie e tua figlia, il tuo posto è la!”
“E dove? Il mio posto è a Monsbell, e loro sono a Philadelphia!” Mi guardò incredulo.
“Io e Darla abbiamo rotto, e lei è tornata dai suoi.”
“Perché?”
“E me lo chiedi?”
“Mi stai dicendo che ti ho rovinato la vita Liam?” I nostri visi si sfioravano, le bocche ad un soffio.
Feci un grosso sospiro cercando di ritrovare la lucidità necessaria.
“Ti prego William, dimmi com’è andata!” Il mio ex amante abbassò lo sguardo.
“Sono stato ricattato. Mi lasciai sfuggire prima dell’assemblea che deliberava il nuovo direttore, che ci tenevo a portare avanti il progetto SDR che la giunta precedente aveva bloccato.” sospirò.
“Così Plajer è venuto da me e ha detto che se diventavo io il nuovo direttore, mi avrebbe messo i bastoni tra le ruote su tutto mettendomi il consiglio contro, a cominciare dal progetto SDR. A quel punto pensai: a che cazzo serve diventare direttore se ho le mani legate su tutto? E così ho messo sul piatto della bilancia il posto come direttore ma, in cambio, ho preteso altri cinque anni di finanziamento per il tuo dannato progetto, e il resto lo sai…”
Abbassai lo sguardo. Mi sentii l’essere più meschino al mondo.
“William io…tu hai fatto questo? Per me?”
“Ti sorprendi? Ah già: tu sei quello cinico. Quello convinto che al mondo ognuno gareggi per sé, ma questa non è una competizione. Questa è la vita e…” deglutì vistosamente.
“E io ho creduto in noi, mentre tu non lo hai fatto.” Sentii gli occhi riempirsi di lacrime e il cuore frantumarsi piano piano.
“E tu non mi perdonerai mai, vero William?”
“Di aver ucciso la cosa più bella che ci era mai successa? Mai Liam, questa è, e resterà, la tua condanna.” Feci un passo indietro. Lo guardai per l’ultima volta. Mi allontani da lui e da ogni felicità terrena.


L’atmosfera sembra irreale.
Tutto intorno mi apparve artefatto.
Chiusi gli occhi.
Guardai verso il basso.
Ne fui consapevole. Avevo finalmente trovato la molecola. Sebbene questo, continuavo a sentirmi l’uomo più infelice del mondo.
In un certo senso devo ringraziare William. Mi ero incaponito che la risposta a tutti i miei dubbi fosse nella montagna, nel freddo gelido, da escludere completamente l’alternativa opposta, vale a dire: il calore, il fuoco…Con la stessa sciocca presunzione avevo escluso l’amore dalla mia vita. L’illuminazione me la diede un sogno, il sogno del desiderio mai sopito, la fantasia di tutte le fantasie: William ed io abbracciati davanti al fuoco, fuori fa freddissimo. Abbiamo appena fatto l’amore. Il tetto della baita ci protegge dalla bufera di neve. Siamo bloccati là, magari potessimo restaci per sempre, pensiamo all’unisono.
“Vedi Liam, io e te siamo come il fuoco e la neve.”
“E chi sarebbe la neve?”
”La neve sei tu naturalmente: freddo e, allo stesso tempo, puro come un bambino che crede nei suoi sogni e li persegue.”
“E tu saresti il fuoco? Uhm, fammi pensare: istintivo, passionale, molto caldo…sì, sono decisamente d’accordo.” Aggrottai le ciglia.
“Ma sono due elementi incompatibili…”
“E’ proprio questo il bello” rispose.
Mi svegliai di soprassalto e, venti minuti dopo, ero già nel mio ufficio a proporre la mia strampalata idea.
“Forse stiamo sbagliando tutto: proviamo ad elevare la temperatura. Anziché meno 30°, +30°” Naturalmente mi guardarono come fossi un folle, e non gli do torto. Ma, tempo una settimana, i fatti mi diedero ragione.
Da quel momento ebbi elogi e gratificazione. Viaggiai per congressi e convegni, questo mi fu utile per non pensare a William. Passai un anno saltando da un aereo all’altro tanto da dimenticare dove fosse la mia casa.
Avvisai la mia segretaria che sarei tornato a Monsbell senza passare per Toronto. Già, ho omesso di dire che, dopo l’eccezionale scoperta, mi fu proposto di trasferirmi a Toronto e lavorare con l’equipe di ricerca della Drum Academy pharmacological ad un nuovo progetto. Accettai senza indugi. Era quello che avevo sempre sognato, anche se significava essere a contatto con William, o lo feci proprio per questo? Forse, nel mio cuore arido, la fiammella di speranza non si era ancora spenta. Ma ebbi ben poche occasioni per venire a contatto con lui tanto fui occupato in giro per il mondo.
Giunsi a Monsbell che era passata la mezzanotte. Il tempo era impervio. Ciò nonostante decisi di andare allo chalet. E dove se no? La casa mia e di Darla era stata venduta. E quel luogo mi attirava a sé, come una forza misteriosa. Rischiai di schiantarmi ad ogni curva. La visibilità era scarsa e, oltre tutto, la mia vista era occlusa dalle lacrime. Stavo di nuovo piangendo. Mi odiavo per la mia viltà.
Cristo Liam, non puoi vivere senza, va da lui e diglielo.
Mi diceva una voce, ma poi subito dopo, un’altra
Lui non ti vuole Liam, ha detto che non può perdonarti, se torni farai la figura del cretino.
Arrivai sano e salvo alla baita. Le luci erano spente, ma un bel fuoco illuminava tutta la stanza.
Una nuvola di fumo volava verso l’alto.
“Ce ne hai messo di tempo bel ragazzo.”
Mi sciolsi letteralmente come neve al sole.
“William!? Proprio tu?” Restai bloccato, il mio amante era semi sdraiato accanto al camino, la sigaretta tra le dita, gli occhi sfavillanti più del fuoco. Per niente al mondo avrei pensato di trovarlo là esattamente dove era. No sicuro sto sognando, oppure sono finito in mezzo alla scarpata, e ora sono in coma. Sì, sicuramente è andata così.
“Ero nel tuo ufficio quando hai chiamato la tua segretaria, ero venuto a portarle delle scartoffie, veramente era una scusa per scoprire quando saresti tornato.”
Si alzò di scatto. Mi saltò al collo. “Liam io…”
”Non dire niente!” Mi aggrappai alle sue spalle. Ci abbracciamo stretti fino a toglierci il fiato. Annusai il gusto inebriante dei suoi capelli. Affondai il viso tra l’orecchio e la nuca.
“Ti amo Liam, ti amo tanto.”
“Non quanto me.” Mi scostai per guardalo in faccia. Gli presi il viso tra le mani.
“Dimmi che non è troppo tardi, dimmelo!”
“Ma di che parli dottore? I giorni più belli della nostra esistenza non li abbiamo ancora vissuti.”
“Me lo garantisci?”
“Sono qui per questo.” sussurrò. Ci baciammo. Cademmo sul tappeto, dimentichi di ogni cosa
Tranne una.
Il fuoco e la neve si possono unire.
Nessuna chimica lo può spiegare.


FINE

L'uomo nell'ombra, a che punto siamo

A che punto siamo?
Un anno e 3 mesi circa di sbattimento, ma mica tanto, hanno prodotto questi risultati_
3 case editrici interessate ma con contributo
1 casa editrice interessata senza contributo ma con richiesta di una modifica da me ritenuta non fattibile.
E ancora tante tante risposte le sto aspettando.

lunedì 24 novembre 2008

Il doppiatore di South Park,


Era un martedì pomeriggio esattamente come oggi quando ho incontrato Ludo. Un martedì di due anni fa. Tornavo a casa dopo aver doppiato South Park. Sapevo che Giorgia non c’era, che faceva la lunga, e già pregustavo gli involtini primavera e gli spaghetti in salsa di soia di cui mi sarei cibato al bancone del cinese sotto casa mia. Invece incontro (che palle) il mio direttore editoriale che mi vuole a tutti costi pagare l’aperitivo. Inizia a piovere, così ci ritroviamo in un bar sconosciuto un po’ scadente. Lui si leva il soprabito e si guarda intorno interdetto, pezzo di merda peggio per te se questo posto fa schifo, penso. Poi si mette a martellare con la solita tiritera del –perché non la smetti con questi doppiaggi- oppure:-devi fare il giornalista a tempo pieno, ne hai le qualità- . Che ne sa lui quante ragazze mi scopo dicendo che faccio la voce di Butters in south park? Poi l’annoiato dialogo viene rallegrato dal suono del suo cellulare, inizia a parlare così ché mi posso fare una panoramica visiva del locale. E scorgo Ludo. Ha la testa tra le mani e la faccia di chi sta per vomitare, infatti vomita di li a poco. Io e lo stronzo ci alziamo di scatto, aiutiamo il malcapitato e io penso a quanto sono lontani i miei involtini primavera mentre lo sto accompagnando al Pronto Soccorso.
Ludovico non dimostra più di diciassette anni, in realtà ne ha ventuno. È magrissimo, no diciamo molto magro, non proprio magrissimo, diciamo che possiamo trovare delle parti meno morbide su quel corpicino lungo lungo. Lo guardo straiato sulla lettiga, mi prende per un braccio “Mi porti via da qui?” mi chiede. Ma ormai ci siamo. Quando lo fanno entrare per la visita gli do un buffetto, gli dico di farsi coraggio e lui mi chiede il mio numero cellulare, l’infermiera ci guarda storto, e io gli do il mio biglietto da visita per non farla tanto lunga, penso che lo butterà o che laverà i jeans a novanta grati e quel biglietto finirà male, proprio male.
Come sono finito male io a stare appresso a lui. Lodovico. Anima santa. Ora non vi dico dove sto andando ma sappiate solo che sto andando da qualche parte, e che sto male malissimo e bene benissimo da due anni a questa parte per causa di Lodovico.
Come è andata? Mi ha chiamato il giorno dopo, mi ha detto che dovevamo assolutamente vederci perché, testuali parole sue “quel relitto umano al limite del coma etilico non sono io”, ero quasi tentato una scusa, ma poi ci sono andato. Siamo stati bene per due ore in pizzeria, era tranquillo. Con i capelli puliti è persino carino, ho pensato. Penso: “a lui non serve che gli dica di south park tanto mica me lo devo scopare?” e mentre lo sto pensando mi prende la mano e me la mette sulla coscia. Per fortuna c’è il tavolino perché mi salvi dall’accusa di pedofilia, sembra proprio un ragazzino, e io un porco che vuole approfittarsi di lui.
Perché ci sono andato a letto malgrado non sia gay? Beh non ho mai pensato a Ludovico come a un “maschio” un uomo, uno che tra le gambe non ha una passera ma un cazzo. No, mai. ho sempre pensato a lui come un “caso umano”. Dopo è diventato tutto talmente eccitante che ho smesso di pensare al caso umano ma solo al culo. Sì, anche al resto. Il sesso omosessuale a trentadue anni può rivelarsi una bella sorpresa. Passi tutta la vita a deriderli i gay, non ti chiedi nemmeno perché non hai un amico gay, non ti frega niente dei loro diritti, pacs, dico e altre cazzate. Tutto finché non ti ritrovi tra le cosce di un Lodovico. Capita in continuazione. Alessandra, ad esempio. Alessandra è una mia ex, ha conosciuto Jennifer su My space. Non so dopo quanti mesi di chattata sono andate a brucarsi a vicenda però so quante pippe mi ci sono fatto con i dettagli che Alessandra mi raccontava. Roba da andare in giro per l’ufficio con l’uccello duro. Sensi di colpa per Giorgia? La ragazza con la quale sto da sei anni? Ci ho provato, credetemi, ci ho provato a sentirmi in colpa ma tanto che la tradissi con quale studentessa rimorchiata in chat o in birreria, o con Ludovico, cambiava davvero qualcosa? Perché non sono mai riuscito a vedere Lodovico come qualcosa di diverso da un’amante occasionale. Anche se andava avanti da mesi, anche se andavo a prenderlo in mezzo alla strada quando era sfatto di alcol e droga. Anche se i suoi genitori mi aveva messo alle calcagna un investigatore privato manco fosse colpa mia che il loro amato figliolo, l’erede, avesse manie autolesioniste.
Anche questa storia dell’autolesionismo, non so se si spegnesse le sigarette sul braccio perché lo faceva James Dean o perché gli piaceva sul serio, so solo che queste cose una persona normale non le tollera. Cominci a sentirti strano e smetti di vederlo punto e basta non importa quanto sia fantastico il sesso o meno, ne esci punto e basta. E invece no, magari lo chiamavo pure io se per caso stava due giorni e mezzo senza sms o senza farsi vedere in msg. Andavo in paranoia. E non pensate che non abbia avuto a che fare con pazzi schizofrenici in passato. Avevo una tipa, Paola si chiamava, che mi chiamava di continuo, anche alle tre di notte! Solo per chiedermi se l’amavo e cosa c’era che non andava. Non c’è niente che non va, cazzo, niente, e pure lei no, ancora a chiamarmi, a pretendere spiegazioni. Ad un certo punto voleva tagliarsi le vene davanti a mia madre (che ha un alimentari in zona Bra) ve lo immaginate? Per fortuna l’ho spaventata, le ho dovuto mettere quasi le mani addosso, l’ho strattonata. Lo so che la violenza alle donne è una cosa orrenda ma la violenza che lei faceva a me? Per mia enorme fortuna si è invaghita di un altro e mi sono salvato le chiappe. Stavo per diventare matto, sul serio, e poi con lei il sesso non era nemmeno questa gran cosa.
Poi quando cominci a calarti giù nel pozzo ti accorgi che non c’è speranza di risalire. Ludovico aveva allungato la mano, io lo volevo salvare, mentre non solo non lo salvavo ma finivo nell’essere trascinato dentro il pozzo assieme a lui. Sempre più in fondo, sempre di più. Risultato? Giorgia mi ha lasciato, mio padre non mi parla più da mesi, sono stato licenziato dal giornale in cui facevo praticantato. Mi resta solo south park, perché Butters ha una voce davvero particolare sennò mi avrebbero fatto le scarpe eccome!
Ed eccomi qui mentre vado a trovare Lodovico. È un posto tranquillo. Ci sono gli uccellini che cantano, è martedì, e sono due anni che l’ho conosciuto, quasi due anni in effetti. Il cielo è stranamente blu per essere a Milano. E sono già due volte che sbaglio la strada. Lo hanno messo tra un vecchio del diciotto e un ragazzo di ventisei anni caduto dalla moto. La foto che hanno scelto non è proprio il massimo, Ludo era meglio di così. È che da quando stava con me i genitori hanno smesso di fargli foto, hanno pure smesso di parlargli, come fossi io il colpevole, come se l’omosessualità o, l’amore, fosse il colpevole. Non lo hanno nemmeno voluto tumulare nella tomba di famiglia, ma si può? Ho deciso di ricominciare a vivere, per questo, proprio quando non ci credevo più sono riuscito a venire al cimitero. Perché se anche Ludovico è morto, l’amore è morto, la vita fa schifo, qualcuno dovrà pure doppiarlo south park, no?