mercoledì 11 marzo 2009

Io con un uomo mai capitolo 11


Capitolo 11



A tre giorni dalla sparizione dell’agente speciale Ian Emmerich anche il mass media avevano preso a cuore la vicenda.
Temperance fece per uscire dal locale ma desistette quando la speaker di colore che stava conducendo una trasmissione completamente dedicata al killer della centrifuga, annunciò:
“I sospetti che il rapimento dell’agente FBI Ian Emmerich, specializzato in analisi comportamentale, prelevato dal pronto soccorso due giorni fa, sia opera del mostro della centrifuga, stanno prepotentemente prendendo piede” inorridì. Quando Booth sentirà queste illazioni perderà di nuovo la testa. Da quando Ian era sparito non era più in sé. Aveva litigato con un superiore per potersi occupare del caso ma, in quel momento, non era competenza dei federali. Non lo sarebbe stata finché non fosse saltata fuori qualche piccola prova che collegasse il rapimento al killer di cui si occupava la Tack Force, la stessa della quale faceva parte Emmerich.


Booth non riusciva più a capire dove finissero gli incubi ed iniziasse la realtà e quasi sempre la realtà era peggio degli incubi con i quali doveva fronteggiare ogni notte. Quella mattina la voce di Ian la sentì nitida “Aiutami, Booth, ti prego, aiutami” gli gridava. E quel rumore, quel sordido rumore come di acqua e indumenti. E poi quello finale, violento e dinamico, la centrifuga. La voce di Emmerich proveniva direttamente da dentro la lavatrice. Improvvisamente dall’oblò uscivano fiotti di sangue umano. Non c’era più voce, niente che lo riconducesse all’amico. La scena cambiava ed era al Jeffersonian, e tutti gli confermavano che erano stati rinvenuti i resti dell’agente. Con passo claudicante, si avvicinava alle povere spoglie. Non erano pezzetti di carne maciullata, questa volta il corpo c’era tutto. Tutto tranne il cuore. Il killer aveva scavato un buco sul torace e prelevato il muscolo cardiaco. L’incubo terminava con lui che infilava la mano nel petto alla ricerca dell’organo perduto. Una voce misteriosa mai ascoltata rivelava: “Troppo tardi, lo hai perso”.
Si svegliò in un lago di sudore. Si toccò la fronte. Come al solito fu assalito dal panico: che motivo ho di alzarmi? Si disse. Eppure c’era Bones, c’era suo figlio, il suo lavoro.
Tutto ciò che fino a qualche giorno prima lo aveva reso felice non aveva più sapore, non aveva più colore. La notte d’amore con Temperance... era divenuta una spina nel fianco. Aveva fatto appassionatamente l’amore con lei mentre il suo amico veniva trascinato di forza verso morte certa. Una morte orrenda. Si sentiva tremendamente in colpa. Con Emmerich, e persino con Bones. Sapeva che lei non c’entrava e che avrebbe dovuto continuare quello che aveva appena iniziato come se niente fosse. La loro storia d’amore non doveva andarci di mezzo. Ma la sola idea di qualsiasi cosa romantica in particolare del sesso, lo disgustava. Continuava a vedersi tra le braccia di lei, a godere con lei, e dall’altra parte, in un immaginario schermo, veniva proiettata la scena di Ian strappato con forza dal suo giaciglio.
Aiutami, Booth, ti prego, aiutami, quella voce continuava a sentirla nella sua testa come un ronzio senza fine. E poi c’erano gli altri ricordi, quelli belli, quelli che lo facevano probabilmente stare peggio. Ian sorridente, Ian che scherza e che sfotte i colleghi, Ian che gli fa gli occhi dolci o che lo prende in giro. Ian con la salsa agrodolce fin sopra i capelli. Ian che lo bacia. Ian che canta per lui. Chiuse gli occhi e una lacrima scese sebbene avesse rinunciato persino di piangere. Era sentirsi così impotente che faceva più male, non poteva nemmeno indagare sul caso. E se mai fosse stato rinvenuto il suo cadavere, probabilmente ridotto in mille pezzettini, sarebbe stata Bones a dargli la notizia. Lo sconforto fu tale che sentì il bisogno di vomitare. Al bagno scoprì la lavatrice in funzione. Guardò come ipnotizzato il movimento dell’acqua mischiata al sapone. Ascoltò il gorgoglio. Capì che stava per cedere ad un nuovo attacco di panico. Sentì il bisogno di spegnerla ma non vi riuscì. Lo stomaco si tese in uno spasmo e iniziò a rimettere.


Al Jeffersonian si respirava un aria tesa. Nessuno aveva voglia di fare battute, né di parlare del caso Emmerich. E la più provata di tutti era certamente Brennan. Angela era rattristata per la possibile sorte di quel bel giovane ma era ancora di più in ansia per l’amica. Da quando si conoscevano non l’aveva mai vista così abbattuta.
“Piccola, posso fare qualcosa per te?” le disse appoggiando i palmi sulle spalle.
“Sono stata da lui questa mattina, aveva appena vomitato. Sta a pezzi Angela, sta a pezzi e io non posso farci niente”
“Tesoro sei a pezzi pure tu, ma ti sei vista? Da quando non ti lavi i capelli?”
“Che importa? Ti prego pensiamo al lavoro”
“Non è colpa tua. Smetti di sentirti in colpa”
“Per Booth sì”
“Non è così, sarebbe pazzo se pensasse che tu c’entri qualcosa”
“Lui era con me mentre rapivano Ian. Questo non riesce a perdonarsi, e, di conseguenza, non riesce a perdonare me”
“Gli passerà. Quando questa brutta storia sarà finita tornerete ad essere felici, vedrai”
“E come? Con il fantasma Ian Emmerich sempre tra noi? Non saremo più felici, non saremo nemmeno più amici” Angela la guardò tristemente. Ebbe il dubbio che le paure di Temperance fossero fondate. Nemmeno lei si capacitava di Booth in quello stato. Sapeva che era affezionato a Ian, sapeva che probabilmente c’era qualcosa di forte tra loro, ma mai e poi mai avrebbe pensato che sarebbe crollato in quella maniera. Appena trovata la forza di riprendere il lavoro, Cam entrò nel laboratorio portandosi dietro una faccia funerea che non prometteva niente di buono
“Ragazze purtroppo io... ”
“Oddio” esalò la Montenegro toccandosi le guance.
“Ci sono i resti di un cadavere non identificabile all’obitorio. Il Coroner non è riuscito a raccapezzarci molto. Lo portano qui”
Angela si avvide subito del pallore improvviso dell’amica: “Temperance ti senti bene?” finì la frase andandosi a mettere al suo fianco. La dottoressa aveva avuto un leggero mancamento.
“Non è niente, non mangio da ieri, probabilmente un calo di zuccheri”
“Dottoressa Brennan, se non se la sente... ” asserì Saroyan tristemente.
“No, è il mio lavoro, portatelo pure qui, se è opera dell’assassino della centrifuga è compito mio. Faccio parte della Tack Force dunque... ” le due donne la guardarono intensamente.


Anche Booth venne a sapere del cadavere.
Poco prima che i resti umani raggiungessero la fredda base nella quale avrebbero lavorato Brennan e il suo staff, Cam ragguagliò Booth. Temperance fu grata alla donna di averlo fatto al suo posto.
“Cosa ha detto?”
“Niente, la cosa buona è che non si trova a casa da solo ma in mezzo a dei colleghi”
“Anche se fosse stato da solo non avrebbe mai... ”
“Fatto una sciocchezza? No, non lo avrebbe fatto. Booth è uno duro. Probabilmente avrebbe preso a cazzotti il muro e lo avremmo visto con le dita fasciate nei prossimi giorni”
“Pensi che è quello che farà quando gli diremo che”
“Basta Temperance, basta! Quel cadavere non appartiene a Ian Emmerich. Cerchiamo di essere ottimisti una volta tanto”
“Scusa Cam ma non ce la faccio ad essere ottimista, non ce la faccio più” Brennan stava per cedere. L’idea di mettere le mani sulle povere spoglie di quel ragazzo che aveva detestato e di cui si era sentita gelosa, la mettevano K.O. ma quello che la faceva sentire peggio, erano le conseguenze. Quando, una volta rimesso insieme il teschio o quello che ne restava, Angela avrebbe ricreato al computer il bel volto del Profiler, si sarebbe sentita morire, lo sapeva. Era incredibile come una donna navigata e dal sangue freddo come era lei stesse prendendo a cuore la scomparsa di un agente dell’FBI. Ma tutto riportava a lui, a Seeley Booth. Il mio amante meraviglioso di una sola notte.
Angela la raggiunse con un bicchiere di succo d’arancia.
“Bevilo, ti farà bene”
“Non lo voglio”
“Non fare la bambina tesoro, come fai a lavorare se non hai nemmeno la forza di tenerti in piedi?” proprio in quel momento, gli addetti giunsero con la lettiga.


Booth chiamò la madre di suo figlio. Aveva bisogno di continuare a vivere per lui ma doveva trovare qualcosa per la quale valesse la pena vivere.
“Rebecca, voglio parlare con Parker ti prego”
“Seeley lo so, ho saputo. Immagino, sarai sconvolto”
“Ti prego, fammi parlare con Parker”
“Va bene”
Il bambino fu interrotto mentre finiva di montare le rotaie del suo trenino preferito, un regalo di suo padre.
“Papà!”
“Parker, cosa stai facendo?”
“Sto giocando con gli scambi!”
“Il nostro trenino, bello! Potevamo farlo insieme”
“Ma tu non ci sei mai”
“Ti prometto che passeremo molto tempo nei prossimi giorni” così dicendo strinse forte la busta che teneva stretta in mano.
“Che bello papà, lo dico subito alla mamma!” dopo un rumore secco, Rebecca prese il mano il telefono.
“Cristo Seeley, ma sei impazzito forse?”
“Che vuoi dire?”
“Hai appena assicurato a Parker che passerai più tempo con lui quando sai benissimo che è una promessa che non puoi mantenere”
“Scusa ma questo potrebbe essere vero, anzi, quasi sicuramente sarà così, purtroppo”
“Continuo a non capire, che succede?”
“Rebecca, io sto per rassegnare le mie dimissioni”.
Booth aveva deciso di mollare. Era stata una scelta più che sofferta ma non poteva andare avanti così. Si stava torturando da troppe ore, da giorni ormai. I sensi di colpa nei confronti del collega non lo avrebbero abbandonato questo era certo, ma se il cadavere che proprio in quel momento stavano identificando al Jeffersonian era di Ian, lui non poteva continuare ad essere un agente dell’FBI. Non solo perché si sentiva dannatamente in colpa. No, non sarebbe più riuscito ad aiutare nessuno, aveva fallito su tutti i fronti. Con Ian, con Bones che si fidava di lui, con se stesso. Se solo fossi stato con lui. Se avessi continuato a tenergli la mano, tutta la notte. Si stava straziando. E quelle sensazioni, continuando ad essere un’angente FBI, non solo non sarebbero passate, si sarebbero acutizzate. Avrebbe visto i fantasmi di Ian Emmerich ad ogni angolo pronti a farlo sentire ancora più solo. Non sarebbe più riuscito ad amare nessuno, magari Bones, con il tempo forse... avrebbe potuto tollerarla. Tornare da lei, pretendere perdono, come poteva ora? No, ora doveva lasciarla in pace. Lei avrebbe identificato l’uomo dal quale si era sentito tanto attratto e che ora vedeva solo come un corpo esamine a cui era stato tolto il cuore, ma non era stato il killer a prenderlo, perché il cuore a Ian lo aveva rubato lui. Sì, ora che non c’erano più possibilità di dare un seguito a quella storia, ora capiva quanto Ian lo avesse amato e fosse pronto a dare tutto per lui. Anche il suo cuore. La consapevolezza che non sarebbero più stati insieme, che non l’avrebbe più toccato, che niente di ciò che era terreno sarebbe stato possibile tra loro, che la loro -quasi- storia sarebbe stata sì eterna come un quadro dalla bellezza stupefacente. Ma morto. Quella consapevolezza lo stava uccidendo lentamente. Incrociò con gli occhi la persona a cui avrebbe consegnato le dimissioni. Doveva solo attendere la telefonata. E il telefono maledetto vibrò.


Camille Saroyan si abbassò per tirare giù la cerniera contenente i resti del soggetto sconosciuto. Guardò le carni straziate sconcertata.
“Mio Dio Brenann, questo è uno scempio. Avremmo da lavorarci tutta la mattina”.

2 commenti:

Alex G. ha detto...

Povero Booth, si sente in colpa e impotente. In colpa perchè mentre era a letto con Bones ian veniva rapito e impotente per non riuscire a catturare quel killer. Spero solo che si risolva tutto e che Ian torni sano e salvo dal nostro Seeley.

gossip boy ha detto...

siete tutti invitati su dirty gossip blog! http://dirtygossipboy.blogspot.com

dal lun al ven taaaaanti post carini per movimentare le vostre giornate... vi aspetto! ;)

ps. complimenti per il blog. veramente carino :)