mercoledì 4 marzo 2009

Io con un uomo mai capitolo 9


Capitolo 9


“Temperance, non lasciarmi sulle spine: cosa hai capito? Cosa pensi sia successo a Ian?” la curiosità di Angela Montenegro era motivata.
“Glossofobia. Il nostro grande uomo è affetto da questa patologia psicologica”
“La Glossofobia, già. La paura di parlare in pubblico. Ma come è possibile?”
“Non lo so, infatti è strano, te lo ripeto. Non si sceglie di fare il Profiler quando si ha un problema come quello”
“Sembrerebbe di più un uomo che ama stare al centro dell’attenzione”
“Già e tutto questo non fa altro che aumentare la mia preoccupazione nei confronti di Booth”
“Fidati cara, il nostro agente speciale preferito se la saprà cavare benissimo” Brennan sospirò sperando che Angela avesse ragione ma sperando soprattutto che la cotta o quello che era del suo amico passasse in fretta.
L’autoambulanza sfrecciò lungo la strada a sirene spiegate. La mano di Ian era ancora tra quelle del collega. Il piglio di Seeley Booth era preoccupato. Gli aveva chiesto che tipo di sostanze avesse usato per farsi ridurre in quello stato ma non aveva ottenuto nessuna risposta. Lo sguardo di Emmerich era rimasto vago e perso. Ian appoggiò la mano sul suo petto, sembrava volesse fargli ascoltare il battito accelerato del suo cuore.
“Per piacere rispondimi: che cosa hai preso!”
“Dolcezza niente, non mi sono drogato”
“Ma allora cosa? Sei malato? Cosa c’è che non va?”
“Penso che ora ce lo diranno i medici, no?” fece l’occhiolino. Con tono mellifluo esalò: “È bello che tu mi tenga la mano”. Booth era imbarazzato, quel gesto gli era venuto istintivo, solo ora si rendeva conto che il resto degli occupanti dell’ambulanza avrebbe dato per scontato che tra loro ci fosse qualcosa che andava ben oltre l’appartenere allo stesso corpo di polizia. Gli agenti dell’FBI non sono mai così in intimità.
“Ho avuto paura per te” ammise.
“Lo so, mi dispiace. Mi farò perdonare... ”
“Come se fosse tua la colpa. Lo è?”
“No, ti ripeto, non mi sono fatto”
L’infermiera che controllava costantemente i parametri vitali accedé in quel fitto dialogo: “Agente, non lo faccia affaticare. Il suo amico è molto provato”
“Mi dispiace” si sentì profondamente a disagio, voleva aiutare Ian invece gli stava facendo andare il cuore all’impazzata. Pensò che se quei paramedici avessero sentito il suo, di cuore, avrebbe ricoverato anche lui.


Temperance Brennan non temeva Ian Emmerich solo come persona, non di certo come rivale. Quello che la spaventava maggiormente era il potere che sembrava esercitare su Booth. Non tollerava il fatto che lo avesse in pugno. Se all’inizio aveva dato per scontato che si trattasse di gelosia dato i sentimenti di natura romantica che la legavano a lui, ora capiva che c’era dell’altro. Booth non era il tipo che si fidava di chicchessia anzi... era scettico per natura e si lasciava andare veramente solo quando era più che certo di aver trovato la persona giusta. E l’intuito le diceva anzi gridava che Ian Emmerich non era quello che voleva sembrare. Era ambiguo e non l’ambiguità affascinante che avrebbe attratto chiunque. Era un uomo troppo scaltro, troppo intelligente, e infinitamente troppo misterioso. Il suo passato era costellato da buchi neri. Sembrava avesse avuto cento vite. Tra un mestiere e l’altro c’erano dei salti temporali indefiniti. Era nato nella Carolina del Sud dove aveva frequentato il college e si era distinto per meriti sportivi. Aveva studiato a Quantico come agente FBI. Per alcuni mesi aveva vissuto in Europa. Era stato un collaboratore per un famoso studioso del comportamento umano. Ed ora usciva fuori che soffriva di Glossofobia, un problema per di più legato a persone con un’infanzia traumatica. Come poteva un uomo con una vita tanto turbolenta e misteriosa essere arrivato così in alto nell’FBI? Non riusciva proprio a spiegarselo. Se nascondi qualcosa caro Emmerich prima o poi la scoprirò. Booth potrai averlo abbindolato ma non me, si disse mentre cercava un taxi libero.


Essendo Booth l’unico che aveva a cuore le sorti di Ian Emmerich, pur non trattandosi di un famigliare, il medico di guardia, una donna di colore grassoccia e mascolina, comunicò a lui il suo stato di salute:
“Lei è l’amico dell’agente svenuto, vero?”
“Sì, sono io” la sua voce tradiva un tremore che lei percepì subito.
“Stia tranquillo, non corre alcun pericolo di vita. La tachicardia è passata”
“Cosa ha avuto esattamente?”
“Un po’ presto per dirlo ma pensiamo a uno sbalzo di pressione dovuto alla tensione nervosa” era teso? Ian Emmerich era teso come tutti i comuni mortali? Booth stentava a crederlo.
“Posso parlarci?”
“Ma certo” rispose mentre controllava distrattamente dei dossier
“Ha preso qualcosa, dottoressa. Intendo delle sostanze... ”
“Assolutamente no, il tossicologico è risultato negativo. Le persone mentono non le loro urine” si allontanò da lui con una pacca sulla spalla. Booth si sentiva rigenerato. Almeno non si era affezionato a un uomo con un problema di tossicodipendenza.
Entrò nel box a lui riservato. Ian Emmerich era sdraiato su due cuscini. Catturato dai propri demoni guardava alla sua destra attentamente come se stesse assistendo ad uno spettacolo della natura. Il suo vestiario consisteva in una squallida camicia d’ospedale bianca con degli intarsi rosa e celesti. Da entrambe le braccia si intravedevano numerosi tatuaggi, alcuni difficili da decifrare. I capelli biondi, scompigliati in numerosi aloni, erano umidi. La macchina elettrocardiografica controllava che il suo cuore non ricominciasse a galoppare.
“Ciao” esalò timidamente avvicinandosi a lui. L’attenzione del malato fu tutta per il nuovo venuto.
“Come stai stallone?”
“Tu chiedi a me come sto?” Booth sorrise timidamente sedendo sul bordo del letto. L’altro gli accarezzò la spalla facendo gli occhi dolci.
“Piccolo, te lo chiedo perché eri così spaventato”
“Sì, lo ero”
“Wow, questo si che mi piace”
“Ti piace essere malato o che io sia spaventato?”
“Mi piace che tu ci tenga tanto a me” ammise. Sbatté le ciglia umide.
“Fottiti, hai fatto prendere un accidente a tutti”
“Ma ora sto bene. Ora che ci sei tu accanto a me” continuò ad ammiccare
“Ce la fai ad essere serio una buona volta?”
“Ok, stallone. Vuoi sapere che mi è successo davvero?”
“Cavolo, certo che sì”
“So che ti cadrà un mito, la verità è che il tuo amico è un pappamolla, soffro di Glossofobia”
Prima di ribattere lo guardò interdetto: “Che roba è? Di che hai paura esattamente? Delle alte cariche della polizia?”
“La Glossofobia è la paura di parlare in pubblico”
“Non è possibile”
“Già, non sapevo di soffrirne fino ad un paio di anni fa. Mi occupai di una donna rapita e stuprata in Pennsylvania. Avevamo appena assicurato il colpevole alla giustizia. Il mio superiore non c’era, insomma mi ritrovai tutti i giornalisti intorno. Sai quanto ti stanno sopra e con una decina di microfoni sotto il naso? Beh, quella volta riuscii a pararmi il culo scappando. Non dissi nulla ma stetti parecchio male, cavolo. È stato tremendo”
“Ma se sapevi che ti faceva questo effetto potevi evitare di metterti dietro ad un microfono davanti a centinaia di estranei”
“Pensavo che la psicanalisi mi avesse aiutato. Non puoi fare questo mestiere se hai delle fobie. Te ne rendi conto?”
“Ma sei umano, tutti abbiamo delle paure!”
“Tu hai paura dei Clown, lo so”
“Già, tu sai sempre tutto” Booth si accigliò. Era complicato parlare a qualcuno che sembrava conoscere ogni anfratto della sua anima. Questo scatenò un moto di tenerezza in Ian. Gli poggiò la testa sulla spalla strusciandosi come un gatto.
“Finiscila Emmerich. Cerca di essere serio una buona volta!”
“Vorrei ma non ci riesco. Se comincio a prendere sul serio quello che provo per te... è anche peggio di essere in diretta mondiale”
“Non ti capisco”
“Mi hai stregato”
“Figurati”
“Dico sul serio. E io sono il tipo che abbindola non che si fa abbindolare”
“Quando esci di qui ne parliamo”
“Fantastico” Booth si alzò per allontanarsi da lui. Fuori dall’ospedale nevicava.
Stretta nel suo cappotto trovò Temperance.
“Sei venuta a trovare Emmerich, un gesto carino da parte tua”
“Non sarei sincera se ti dicessi che è vero. Sono venuta per vedere come stavi te. Eri sconvolto”
“Mi dispiace”
“Di cosa?” non capiva. L’uomo dinnanzi a lei sembrava così fragile che, all’improvviso, fu tentata di abbracciarlo. Ma si trattenne.
“Parliamone davanti a una bella tazza di tè, qui si gela”
“Ok Bones” e si diressero verso il bar camminando fianco a fianco.
Una volta nel locale Brennan ricominciò a sentirsi le punte dei piedi. Parlarono di Ian, del suo stato di salute. Nella voce della dottoressa non c’era ira né risentimento. Booth si sentiva sempre più confuso, guardava la donna e si sentiva tremendamente attratto da lei, poi pensava al collega malato e provava un’emozione incredibile. Avrebbe voluto essere accanto a lui per tenergli di nuovo la mano e, allo stesso tempo, era felice di essere con Bones. Come vorrei poter tornare indietro. Pensò
Se avesse avuto una macchina del tempo.
Se avesse potuto usarla e ritornare a prima dell’arrivo di Emmerich.
Se avesse conosciuto il modo di sfuggire all’attrazione che aveva provato per lui fin dal loro primo incontro. Ian Emmerich gli era entrato dentro come una malattia, e come una malattia stava distruggendo il suo sistema immunitario. Non sapeva fino a che punto avrebbe tollerato quella situazione. Era innamorato di lui? Amava Bones e non riusciva ad essere fedele come avrebbe voluto? Forse la soluzione era mettere da parte i sentimenti che lo conducevano verso l’uomo e provare a vivere una storia d’amore con Temperance. Sarebbero stati felici, si disse, avrebbero avuto una bella vita. Lei si sarebbe ulteriormente affezionata a Parker. Potevano sposarsi. Sorrise pensando a quanto era improbabile che una donna con le convinzioni di Bones accettasse l’idea.
Lei si avvide del suo mezzo sorriso.
“Perché stai ridacchiando? Ti è venuta in mente una cosa buffa?”
“Pensavo a te con una vestito da sposa addosso”
“Perché?”
“Niente, una scemenza”
Lei sorrise compiaciuta. “Se vuoi farmi la proposta magari è la serata giusta”
“Perché la serata giusta?” Temperance smise di sorridere. Stava per dirlo. Stava finalmente per scusarsi con lui.
“Ti ricordi quella serata disgraziata a casa tua?”
“E come potrei averla dimenticata, Bones”
“Il fatto è che nemmeno io riesco a dimenticare. Ci ho provato con tutte le forze ma c’è qualcosa in me, una parte di me, che vorrebbe tornare indietro. Ricominciare da capo”
“Credimi, è quello che stavo pensando pochi secondo fa, è stupefacente!”
“Lo so, quando due persone lavorano fianco a fianco per tanto tempo e tra loro c’è una complicità così forte come tra noi, capita. Sì Booth, io e te stiamo diventando come quelle coppie sposate da così tanto tempo che l’altro finisce le frasi quando si interrompe, che pensando contemporaneamente alle stesse cose. Non è un sentimentalismo, è chimica”
“Vuoi dire che è tutto un processo chimico tra di noi?”
“Non solo. In ogni modo, quello che provi per Emmerich non può frapporsi a noi. Questo purtroppo l’ho capito solo adesso”
“Perché se lo avessi capito quella sera magari ora io e te…”
“Avremmo una relazione”.
Sul volto dell’agente federale si allargò un sorriso.
“Un’altra chance” proferì sotto voce
“Cosa?”
“Bones, un'altra chance, diamoci un’altra chance. Stasera passa la notte con me”

2 commenti:

Alex G. ha detto...

Io lo adoro Ian e Booth con lui è così tenero qando si preoccupa per lui e gli tiene la mano.Continua presto anche se già prevedo un pò di sesso tra Booth e Brennan che nn mi piace troppo.

Unknown ha detto...

Sì, assolutamente, ho sempre sognato che Temperance fosse stato un maschio, un bel ragazzo, ma non se po' fa dunque accontentiamoci con la fantasia di questo nuovo collega :)