lunedì 28 settembre 2009

Ogni singolo respiro, capitolo 15


Ian era veramente in ansia a causa del suo avvocato. Finché c’era stata Wendy ad assisterlo tutto gli era sembrato lineare, a tratti addirittura divertente! Invece Bower, divenuta Carol Miller per quel millennio, era la sua spina nel fianco. Dopo che l’incontro fu terminato, alcuni ricordi per niente piacevoli si affacciarono alla sua mente in maniera disarmonica. Non voleva ricordare di nuovo il suo passato, in particolare le torture subite da lui, Kelly e Bower-Carol. Erano solo dei ragazzini piccoli e spaventati. E, come aveva giustamente sottolineato l’avvocato, lui, ad un certo punto, ce l’aveva fatta a tirarsi fuori da quell’inferno. Dai sei anni in poi aveva avuto una famiglia che l’aveva amato al di sopra di tutto. E quando, intorno ai diciotto anni, Kelly lo aveva cercato, gli era sembrato scontato accettare l’amicizia di un quasi fratello. Dopo sei mesi di frequentazione nella quale parlavano, e spesso sparlavano, dei loro problemi compulsivi vari, Kelly lo pregò di accompagnarlo in Europa. Dopo le prime titubanze aveva accettato. E tutto era filato liscio. Ma come poteva esistere una normalità di qualsiasi genere dopo quello che avevano subito? Davvero si erano illusi di aver trovato un loro, magari precario, equilibrio? Eppure gli era stato grato a lungo. Era stato lui a fargli scoprire il corso di P.N.L. e, di conseguenza, restare così affascinato dalla mente umana da tornare sui libri, al college, e studiare psicologia. Da lì a poco, entrare nell’F.B.I.; raggiungere certi livelli si rivelò un’impresa tutt’altro che semplice. Addentrarsi in quei complicati meccanismi mentali era stata dura. Conoscendo gli altri aveva scoperto cose di se stesso che probabilmente non avrebbe voluto sapere. Scontrarsi con i fantasmi del passato. Iniziare a capire le cose, ad esempio il perché fosse un fissato della pulizia. Rivedersi legato sotto quel tavolo, le corde a fare male, a squarciare la pelle! Un bambino indifeso che non sa di essere brutalizzato ma che vede il tutto come una equa punizione. Dopo tutto ho sporcato, è giusto che io venga punito e stia tra i rifiuti. Quello doveva essere più o meno il pensiero del cinquenne Edward Ian Emmerich. Una tortura nella tortura.

Dopo aver fatto l’amore, Temperance e Booth si ritrovarono abbracciati e pensosi. Ad essere inquieta era soprattutto la donna.
“Ti hanno detto cos’ha?” chiese riferendosi al ricovero di Emmerich.
“Una banale infezione. Ma temo ci sia di più. Le sue braccia erano costellate da strane ferite.”
“In che senso strane?” il piglio dell’antropologa si era fatto curioso.
“Come se fosse stato colpito più volte con un punteruolo e da ogni coltellata fosse sgorgato un po’ di sangue.”
“Non mi sorprenderebbe se fossero state le guardie. È nella natura umana far rispettare l’equilibro delle cose con giustizia sommaria e autarchica.”
“Sì, ci ho pensato anch’io” come colto da raptus scese dal letto.
“Dove stai andando?”
“Mi sento colpa a stare qui senza batter ciglio.”
“Ci risiamo... ”
“Bones, scusa.”
“Possibile che non sono ancora passati dieci minuti dall’ultima volta che sei venuto con me e già ti senti in colpa per quel...!” La rabbia le impedì di trovare l’aggettivo più adatto. Brennan stava per soccombere ad uno sbalzo ormonale piuttosto serio. In parte aveva ragione. Booth sembrava non rendersi conto con quanta facilità passasse da un eccesso all’altro. Troppo protettiva nei riguardi della futura madre. Troppo preoccupato per il recluso in attesa di giudizio.
“Non si scappa da un letto ancora caldo. Non così.”
“Non sto scappando! Voglio solo fare un paio di telefonate. Appurare se quei secondini sono davvero dei torturatori. Non c’è niente di strano.”
“Sì che c’è! Tu sei troppo preoccupato per il tuo ex collega per i miei gusti. Dovesti pensare solo a me, a nient’altri che me! Te ne rendi conto?” le accuse di Bones arrivavano precise al cuore di Booth. Se c’era qualcosa che faceva male, dannatamente male, era proprio sentirsi dire che non si occupava a sufficienza di lei, pensando invece all’ex amante, ‘maschio’, in carcere! Era o non era imperdonabile la sua condotta?
“Mi dispiace...” si accostò a lei accarezzandole il braccio. Era ancora nuda e umida. Mentre la guardava non gli riusciva di pensare a qualcosa di altrettanto attraente. Ma come socchiudeva gli occhi, l’immagine del torturato tornava a ‘torturare’ la sua anima.
“Io ti amo sul serio.”
“Basta smancerie, Booth! Non giriamoci intorno: finché questa storia di Emmerich non sarà in qualche modo conclusa non è una buona idea andare a letto insieme.”
“Ne sei sicura?”
“No! Certo che non voglio smettere di fare sesso con te! Ma tu non devi pensare a lui quando siamo insieme.”
“Ti giuro che questo è solo un caso. Ma hai ragione, sono imperdonabile.” Per una manciata di minuti restarono in silenzio. Brennan era rigida con la schiena attaccata alla spalliera del letto. Quando fu troppo dall’ultima volta che erano stati abbracciati, Booth decise di riappacificarsi con o senza l’ausilio di lei. Si piegò e le catturò le spalle. Rimasero stretti per diverso tempo.
“Proviamo a fare le cose con calma” propose la donna.
“In che senso?”
Si staccò prima di rispondere: “Se vuoi occuparti anche di Emmerich, e non sto dicendo che mi sta bene, devi pensare a quello.”
“Bones, non esiste, tu e il nostro bambino venite prima di tutto.”
“Non finché la tua testa è al carcere federale” la suoneria disarmonica di Booth s’inserì sfacciata.
Afferrò l’aggeggio: “Booth.”
“Carol Miller.”
“Mi scusi...”
“L’avvocato di Ian Emmerich. Il suo amico.”
“Conosco Wendy.”
“Sì, ma stamani mi sono recata io da lui. Che ne pensa di vederci domani a colazione?”
“Un consulto?”
“Qualcosa del genere.” Booth accettò per le dodici. Prima c’era l’incontro con Sweets. Mancavano tre giorni all’udienza preliminare. E, alla fine del processo, qualcosa sarebbe cambiato per sempre. Con Emmerich dentro a vita, magari ingiustamente, oppure fuori e dichiarato innocente. In qualsiasi dei casi, la sua vita avrebbe virato da un’altra parte.


“Ma anche no dipende da te.” Lo psicoterapeuta sottolineò la frase con un sorriso mellifluo che infastidì il suo assistito.
“Stai scherzando? È così, non vedo come potrebbe essere altrimenti, Sweets!”
“Lei afferma che, qualsiasi sia la sentenza, colpevolezza o innocenza la sua vita cambierà definitivamente, nonostante questo progetta di metter su famiglia con la dottoressa Brennan.”
“Hai afferrato il concetto. Sono un incoerente, per questo mi trovo qui!” Lo guardò aggressivo: “E tu devi aiutarmi! Voglio tornare l’uomo che ero prima. Il mondo non sa che farsene di questo Booth senza spina dorsale!”
“Non sia duro con se stesso e faccia quello che le chiedo di fare da quando siamo qui, accettarsi semplicemente. Accetti la sua incoerenza, i suoi dubbi. Accetti tutto quello che non è perfetto di lei. E anche la persona che la ama lo farà.”
“Quando dice la persona che mi ama intende Bones, giusto?”
“Da chi preferisce sentirsi amato?”
“Non fare questi giochetti, non mi sembra il caso!”
“Non sono giochetti. Sono costatazioni. Sa che Brennan la ama ma sente anche nitida la forza dell’amore di Emmerich, anche per questo sta lottando per lui.”
“Già, ma è proprio questo che mette a repentaglio il mio rapporto con la donna che amo.”
“Non credo. Sono certo che lei capirà” Booth lo guardò perplesso. Quest’ultima frase sembra uscita dall’amico e non dallo psicoterapeuta. Si rilassò sulla poltrona. Avevano parlato per oltre un’ora. Si era fatto tardi. Carol Miller, l’avvocatessa di Ian, lo stava aspettando.


L’incontro con il nuovo avvocato di per sé non rivelò niente di straordinario, tranne forse il fatto che lei flirtò un po’ troppo spudoratamente. Booth doveva ammettere che fosse una bella donna. Appena la vide si rammentò di averla già incontrata sotto lo studio. E anche in quell’occasione era stato colpito dal suo fascino. Più sexy che bella, in verità. Vicino ai quaranta piuttosto che i trenta, tra l’altro portati benissimo. Aveva spalle così magre da esibire le ossa. I folti capelli scuri erano legati da uno chignon. Il sorriso e il volto tutto avevano qualcosa di artefatto. L’agente aveva intuito che il risultato di tanta sensualità era frutto di diversi interventi chirurgici anche se da quando stava con Bones non guardava più le altre donne. E trovava davvero inadeguate le confidenze che la Miller fece con tanta facilità. Da come si piegava su di lui mostrando il decolté mozzafiato. Alle risatine finto ingenue. Per non parlare dell’accavallamento di gambe stile Basic Instincts. Ma lei non era Sharon Stone né tanto meno Booth era Michael Douglas! Per questo, alla fine di quel pranzo, fu per lui difficile separarsi da lei senza sentirsi imbarazzato.
Una volta fuori il locale, Carol Miller chiese senza fare preamboli: “Ho parlato con Wendy. Pensa anche lei che sarebbe una buona idea se venisse a deporre.”
Booth restò di sasso. Era una di quelle cose che sperava non le chiedessero. “Non so, io...”
“Non si preoccupi. Abbiamo il benestare del giudice e anche il suo capo non farà obiezioni.”
“Lei crede sia una buona idea?”
“Assolutamente, Wendy farà le domande giuste. L’importante è far apparire Ian Emmerich un uomo giusto. Un bravo poliziotto, insomma qualcosa di lontano da un fuori di testa come Kelly.”
“A questo proposito: è da tempo che voglio interrogarlo. Come faccio a smuovere le acque?”
“Vorrebbe incontrare Kelly?”
“Sì.”
“È uno stolto. Non è una buona idea.”
“Già, appunto! Tutti non fanno altro che ripetere che è uno stolto, però, a causa delle accuse di uno stolto, Ian è stato accusato e tutti credono sia suo complice.” Quelle parole di autentico affetto colpirono molto il legale. Booth aveva dimostrato di tenerci parecchio al suo assistito. Impacciata, fece un sorriso di circostanza.
“Farò in modo di aiutarla anche in questo. Sono propensa ad assecondare ogni suo desiderio” disse con tono malizioso. Si avvicinò a lui un po’ troppo. L’uomo restò rigido. Ma Carol sentì il fuoco divampare dentro sé.

1 commento:

Alex G. ha detto...

Bello! Solo che non sopporto Bones, ma come osa dirgli quelllo he deve provare per Ian? Se l ama deve accettare che si preoccupi per lui, anche se forse il momento non era dei più felici, erano a letto.Va beh, comunque, mi piace e vai avanti.