giovedì 30 luglio 2009

Ogni singolo respiro, capitolo 10



Booth divenne paonazzo.
Da quello sguardo severo era facile intuire che il suo superiore non stesse scherzando.
“Perché mi dice questo?”
“So come stanno le cose.”
“E allora?”.
La porta era rimasta aperta e alcune persone di passaggio si voltarono di scatto richiamate dal tono alto della sua voce.
“Ne devi restare fuori, ripeto. L’amichetto con il quale coglievi margheritine durante le gite fuori porta è in prigione. Il procuratore arriverà all’udienza preliminare con il coltello tra i denti. Non so chi diavolo abbia concesso la possibilità di fartelo vedere, fatto sta che ho abbastanza argomenti per convincerti a disertare l’incontro.”
Sentendo quelle parole, se anche ci fosse stata da parte sua qualche reticenza in proposito, Booth capì che voleva rivedere Emmerich.
Ad ogni costo.
“Mi sta minacciando?”
“Può giurarci!”
“E se la minacciassi io? So cosa pensa lei, cosa pensano tutti, per l’FBI sono un ridicolo finocchio che si è fatto abbindolare da un incantatore di serpenti assetato di sangue. Incontrerò Emmerich e, sicuramente, interrogherò Kelly.”
“Non sia ridicolo, Kelly è già stato interrogato, se non sbaglio proprio mentre lei era in vacanza.”
“La vacanza è finita, Capitano Ardich. E se non mi darà lei il permesso di interrogare quel bastardo, userò tutte le conoscenze che ho. Farò più rumore possibile. Io…”
“Non osi…”
“Quanto scalpore susciterebbe se si sapesse di un agente dell’FBI amante di un infiltrato assassino, i dettagli all’interno. Cosa ne pensa?”
“Non si renda ridicolo più di quando non sia stato fin ora. In ogni caso tutto questo le costerebbe un rapporto scritto per insubordinazione.”
“Mi sta bene.”
“Allora si prepari a consegnare il distintivo, Booth. Fintantoché non si sarà rassegnato a tornare nei ranghi non le darò tregua”.
Ardich non scherzava. Voleva la testa di Booth già da prima di quel dialogo. Emmerich era stato per mesi il suo partner: possibile che non si fosse avveduto dei suoi traffici? E andavano persino a letto insieme! Quel pensiero disgustoso gli faceva venire il voltastomaco.
Booth non rispose a quell’ennesimo attacco.
Si prepari a consegnare il distintivo, aveva detto senza mezzi termini. Quella frase riecheggiava ancora nella sua mente.
Ma anche lui non c’era andato morbido. Minacciare di svelare la relazione con il Profiler alla stampa era stata proprio una bella legnata per un uomo tutto d’un pezzo come Ardich. Un repubblicano, tutto famiglia, FBI e chiesa non poteva nemmeno concepire l’amore tra uomini. Figuriamoci tra suoi sottoposti!
Durante il tragitto in corridoio che lo conduceva al suo ufficio s’imbatté in Caroline.
“Procuratore, io…”
“Che mi combini, chèrie? In questi dannati corridoi non si fa che parlare di una tua storia a sfondo sessuale con Emmerich, che c’è di vero?”.
Booth si sentì lo sguardo della donna addosso. Non lo stava giudicando, ma pretendeva spiegazioni. Era anche comprensibile. Probabilmente sarebbe stata lei il pubblico ministero che avrebbe dato battaglia a Kelly e al suo socio infiltrato. I dettagli erano importanti.
“Questi corridoi hanno udito fin troppo. Parliamone nel mio ufficio.”
“Va bene, bellezza, finiamo pure questa conversazione in privato.”

Ian Emmerich passò l’ennesimo pomeriggio in infermeria. Lo stesso medico di guardia non seppe stilare un rapporto dei danni subiti dal detenuto.
“Ferite multiple in ogni parte del corpo provocate da un oggetto contundente.”
“Si chiama stuzzicadenti”, suggerì il detenuto, con voce soffocata, tenendosi la pancia in preda a fitte lancinanti, l’espressione che la diceva lunga su quanto soffrisse.
“Accusa dolori al basso ventre. Diarrea. Perdite ematiche anali.”
“Quei bastardi mi hanno infilato uno stecchino nel culo, scrivici questo!”
Il medico tirò su con il naso. “È già stato espulso?”
“Fottutamente, no.”
“In questo caso dobbiamo toglierlo.”
“Crede che non ci abbia provato da solo?”.
Il dottore fece per mettere i guanti in lattice ma Ian, prevedendo un’altra tortura, si alzò dalla lettiga per tornare nella sua stanza.
“Dove va? Torni qui!”
“Preferisco di no, sa com’è: il fisting* non è la mia pratica sessuale preferita”, lo informò mentre usciva.
Zoppicando, tornò nella sua cella. Scoprì che il suo compagno di stanza se n’era andato. Al suo posto c’era un ispanico tatuato dai piedi fino al mento.
“Piacere, Carlos”. Il nuovo venuto offrì la mano da stringere.
“Non te lo consiglio”, rispose Ian, sudante e tremante.
“Stai male, amico?”
“Secondo te?” si buttò sul materasso lercio. C’erano schizzi di sangue dappertutto, giaciglio compreso.
“Cos’è questo schifo?”, chiese l’altro riferendosi alle macchie ematiche.
“Non farci caso. Le guardie non sono tanto tenere con i presunti serial killer che ammazzano madri di famiglia.”
“Non lo sapevo. È questo che hai fatto?”
“E’ quello che ho fatto secondo l’accusa”. Una fitta gli tolse il respiro.“Devo andare al cesso! Se non torno entro dieci minuti dai l’allarme!”
Carlos attese che l’altro si fosse liberato. Questa volta ce l’aveva fatta.
“Uno stecchino? Ma è assurdo! E tu li lasci fare?”
“E che alternativa avrei? Se mi difendessi mi beccherei un’accusa per lesioni provocate a pubblico ufficiale. Non sarebbe un buon viatico in vista del processo.”
“Cristo santo, ma dove andrai a finire di questo passo? Oggi uno stecchino, domani una tenaglia di ferro arrugginita!”
Ian tornò a sdraiarsi nella sua posizione preferita. La testa e le spalle appoggiate al muro, le gambe leggermente divaricate, i piedi penzolanti. Ghignò: “A quel punto sarebbe complicato per loro far credere che mi sia infilata da solo una tenaglia!”
Anche l’altro sorrise di rimando.
Avrebbero dovuto dare inizio a un dialogo tra persone costrette a coabitare. Con il suo primo compagno non ce n’era stata possibilità, dato che si trattava di un saudita che non
spiccicava una parola d’inglese!
“Invece tu perché sei qui?”, domandò Ian senza autentico interesse.
“Narcotraffico.”
“Capito.” Ian chiuse gli occhi, provò a rilassarsi sul letto.
Le fitte delle ferite continuavano a farsi sentire, ma, quanto meno, non aveva più male alla pancia.

Caroline non aveva intenzione di dare una strigliata a Booth ma il dialogo risultò subito simile a un alterco. Per quanto provasse per lui affetto e stima incondizionata, aveva comunque un rospo in gola da tirare fuori.
“Quello che proprio non riesco a capire, chèrie, non è tanto il fatto che tu abbia provato attrazione per un uomo. In fin dei conti chi può dirsi veramente immune al fascino della trasgressione?”.
“Io, almeno finché non ho incontrato lui...”
“Esatto. Il problema è proprio lui. Voglio dire: potresti spiegarmi come ha fatto a plagiarti in quel modo? Uno in gamba come te che si fa fregare da un serial killer?”
L’agente ciondolò la testa contrariato: “È proprio questo che non torna. Procuratore, io non credo che Emmerich sia colpevole delle accuse che gli sono state mosse contro.”
“No?”
“E non sono l’unico.”
“A chi ti riferisci, bellezza?”
“Ad un altro Profiler...”.

Temperance Brennan si sentiva meglio.
Il giorno dopo il mancato aborto si svegliò rigenerata. Non le girava la testa, non sentiva l’acidità, non le veniva da rimettere. Possibile che quel miracolo fosse legato all’aver accettato, anche se ancora parzialmente, il fatto di essere incinta? Oppure le aveva semplicemente fatto tanto bene il sesso? Il sesso è sempre un toccasana meraviglioso. Se poi è con Booth lo è ancora di più, pensò sentendosi impudica ma felice.
Mangiò delle cialde con sciroppo d’acero e caffè lungo.
Tutto il resto, sembrava lontano anni luce.
Arrivò al Jeffersonian in perfetto orario. Poco dopo giunse anche Angela.
“Piccola, credevo ti prendessi un giorno di pausa, almeno per oggi.”
“Non ci crederai ma sto bene, ho smesso di odiare il mondo e non mi sento male da non stare in piedi!”
“Il fattore psicologico conta molto in questo caso. Ciò che ti faceva star male principalmente era il segreto. Tenerlo nascosto a Booth.”
“Il fattore psicologico ma anche il fatto che sono entrata ufficialmente nel secondo trimestre di gravidanza. In questa fase i fastidi si attenuano e, in qualche caso, spariscono del tutto.”
“Non vorrei fare la guastafeste ma non pensare che da qui in avanti saranno rose e fiori. La figlia delle mia vicina di casa durante gli ultimi mesi aveva i piedi così gonfi da essere costretta ad uscire in ciabatte”
“Di che parlate, di gravidanza?”, chiese Hodgins raggiungendole.
Immediatamente le due complici si fecero guardinghe e deviarono il discorso da tutt’altra parte. Proprio in quel momento Angela si ricordò che il Jeffersonian era anche un posto di lavoro.
“Tesoro, sono riuscita a ricostruire il volto dello scheletro nel muro.”
“Bene. Era ora che tornassimo a lavorare!”.
Si recarono di fronte all’Angelator, il computer tridimensionale brevettato da Angela.
Il volto dell’uomo, di quarant’anni circa, venne ricostruito attraverso mille e mille pixel partendo dall’alto verso il basso. Più i caratteri venivano svelati, più il colorito di Brennan si faceva cadaverico.
“Oddio, non ci posso credere!”, esalò ad un passo da un mancamento.
“Che succede? Lo conosci?”. La Montenegro era sorpresa da quella reazione.
“È lui!”
“Chi?”
“L’anestesista. L’uomo che mi ha convinto a non abortire!”

*Il fisting, dall'inglese "fist", pugno è una pratica sessuale estrema che consiste nell'introduzione dell'intera mano all'interno del retto

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