martedì 14 aprile 2009

Io con un uomo mai capitolo 17


Capitolo 17


Fu Angela a rispondere: “Pudore.”
“Pudore?”
“Sì, pudore. Un agente dell’FBI legato e pure nudo alla mercé di un pazzo. O mio Dio, povero Ian.”
“Questo si chiama ostacolare le indagini” concluse Cam.
“E questo non piacerà affatto a Booth.”
“Non significa niente” Brennan prese in mano dei fascicoli e li mise in ordine come gesto di nervoso, “non possono perseguirlo per questo. Lo stato confusionale potrebbe essere la causa” tutti la guardarono sorpresa. Lo stava difendendo?
Cam prese la parola: “In ogni caso ci sono varie possibilità e la nudità non è l’unica. Ad esempio: chi ha letto la cartella medica di Emmerich?” Temperance non l’aveva fatto, capì che era stato una superficialità voluta. Una cosa era ricostruire un delitto l’altra frugare nelle torture subite da un collega tanto vicino.
“Che ci dice?”
“Che ad esempio non sta messo male come avrebbe dovuto essere. Un uomo grande e forte e pesante appeso in quella maniera, i segni sulla pelle fanno pensare a un trattamento meno cruento.”
“Dunque non è stato sempre appeso?” domandò sorpresa.
“Già. Ma a questo punto sarebbe interessante sapere: Ian Emmerich è stato tutti e sette i giorni in quella palestra?” la provocazione della dottoressa Saroyan scosse tutti i presenti.


Ian si avvicinò lentamente al volto dell’amico, provò a rimpossessarsi delle labbra ma l’altro si voltò; come sempre quando situazione si faceva ‘calda’ lui si tirava in dietro.
In suo soccorso venne pure il telefonino che vibrò nella tasca della giacca.
“Ora scapperai, vero?” Emmerich enunciò quelle parole tristemente. Booth lo vide accigliarsi mentre si scostava da lui.
Sospirò.
Conta fino a dieci...
Conta fino a cento...
Conta fino a mille...
Che si fotta.

E smise di contare. Con un gesto repentino tirò fuori il cellulare. Lo esaminò un secondo per poi spengerlo e buttarlo via come fosse una cartaccia. Emmerich lo guardò sorpreso.
Una volta tanto il GPS posizionato nei pensieri degli altri aveva smarrito la strada.


A casa Temperance provò a tornare a letto, ma prendere sonno risultò immediatamente una chimera. Questa volta l’acidità non c’entrava. Si girò più volte sperando che la stanchezza l’avvincesse. Evitò di prendere dei tranquillanti perché voleva rimanere lucida.
Ne avevano viste tante i suoi occhi, proprio tante ma quella vicenda la stava toccando nel profondo. C’era Emmerich di mezzo, e, soprattutto, c’era Booth.
A turbarla maggiormente non era quello che sapeva, tra l’altro nemmeno tantissimo, riguardo al killer, erano i segreti celati dietro il rapimento dell’agente. C’erano degli elementi che non le quadravano proprio.
E la divisa era solo uno di questi. Perché non raccontare di averla tenuta solo due giorni? Era davvero solo pudicizia?
Possibile che un uomo navigato come lui, un Profiler dell’FBI, si lasciasse volutamente sfuggire un dettaglio tanto essenziale mettendo a rischio le indagini?
Perché non rivelava tutto ciò che sapeva? Pensò che sarebbe stato interessante parlarne con Booth.
C’è qualcosa di strano nel suo rapimento. Qualcosa che non ci vuole dire. Si sentì una sciocca, dubitava di Emmerich perché era tanto, forse troppo vicino al suo Booth o c’era davvero la possibilità che ne sapesse più di quanto lasciava credere?
E quel passato oscuro, tutti quei buchi neri che non trovavano risposta.
Pensò di essere impazzita quando un dubbio subitaneo la tramortì. Senza rendersene conto parlò ad alta voce: “E se il complice del killer fosse proprio lui?”


Booth lo seppellì con il suo peso. Emmerich emise un gemito di dolore. Ogni ferita sembrò aprirsi all’improvviso.
“Ti ho fatto male?”
“Assolutamente no” minimizzò per quanto la sua espressione rivelasse altro.
“Scusami io... ”
“Ti dico che è tutto apposto.”
“Ok... ” Booth si chinò su di lui e lo baciò.
Tra un bacio e l’altro si trascinarono fino al letto.


Dopo la nottata completamente insonne, Brennan si spostò dal suo giaciglio. Provò a chiamare Booth ma il telefono risultava ancora irraggiungibile. Sapeva benissimo che confidargli i suoi sospetti su Ian sarebbe equivalso a farla giungere davanti al plotone d’esecuzione.
Le fascine erano già pronte per ardere la strega che osava sospettare di un eminentissimo agente dell’FBI, un Profiler per di più, stimato e apprezzato. Ma gli elementi contro di lui c’erano, quelli non se li era sognati. Ora doveva solo organizzarsi. Mettere insieme tutte le idee e cercare di far luce.
Camminò a grandi falcate fino a raggiungere il Jeffersonian, una volta entrata voltò in direzione del laboratorio. Aveva il fiatone. Sperò che l’unica persona in grado di crederle fosse presente. Per sua fortuna c’era.
“Hotgins, ti devo parlare.”
“Cosa c’è di tanto urgente?” era sorpreso nel vederla così turbata, “siediti e bevi un bicchiere d’acqua. Hai la faccia di chi ha fatto a botte con il cuscino stanotte!”
“Non ho dormito un granché ma non è questo il problema.”
“Capito, qual è allora il problema?” Temperance abbassò lo sguardo. Pregò un Dio nel quale non credeva affatto che Jack Hotgins non le sputasse in faccia.
“Ian Emmerich è... potrebbe essere il complice dell’assassino.”
La reazione di lui fu glaciale.


Booth si guardò intorno cercando di capire dove fosse e che ora fosse. Mise a fuoco per alcuni attimi l’ambiente circostante. Riconobbe i suoi abiti ammonticchiati sulla sedia. Scorse la radio sveglia e, accanto ad essa, il suo cellulare spento. Stretto alle sue spalle, Ian Emmerich si stiracchiò appiccicandosi ancora di più a lui. D’istinto gli accarezzò le mani.
“Pensavo stessi dormendo” la sua voce era impastata dal sonno.
“Anch’io... in realtà” si girò per guardarlo. Al contrario di lui, era vestito di tutto punto, scarponcini compresi.
“Scusami per stanotte... saranno quei maledetti antidolorifici.”
“Figurati, non devi giustificarti. È stata una giornata talmente carica di emozioni.”
Nel bel mezzo di uno scambio sessuale piuttosto acceso, lui completamente nudo, le mani di Emmerich che lo accarezzavano, all'improvviso aveva percepito il tocco farsi sempre meno pressante, inanimato. Aveva provato a capire cosa fosse successo ma appena compreso ‘l’imbarazzante’ debacle, Booth aveva sorriso e si era accoccolato a lui provando a dormire.
Ian, una volta completamente sveglio, stava prendendo coscienza dell’accaduto.
“Ti giuro io e... e tu sei talmente bello... sono proprio un imbecille” aveva una gran voglia di prendersi a schiaffi mentre si scusava.
“Falla finita, Emmerich. Non ho fatto altro che ripeterti che non stai ancora bene, e tu cocciuto come sei, mi hai dato forse retta?”
“Ora mi sento bene... sto bene... e tu sei sempre bellissimo” appoggiò le labbra morbidamente sulle sue e fuoco esplose.
Per quanto restio all’intimità una volta abbandonatosi all’istinto, Booth si rivelava l’uomo passionale che Emmerich aveva potuto conoscere solo nei suoi sogni.
Ma la scintilla fu contenuta sul nascere.
“E adesso dove vai?” per Ian fu una discreta impresa sgattaiolare dalle sue braccia.
“Tutta questa luce mi da fastidio” rispose alzandosi per andare ad abbassare le tapparelle.
Cercava l’atmosfera o era semplicemente timido?
“Come mai ho bisogno dei fari abbaglianti per vederti?” chiese Booth quando attorno a lui fu solo tenebre.
“Pensavo ti facesse piacere.”
“Non sono così inibito” sentì che Ian lo stava tirando verso di lui.
“Solitamente trovo eccitanti le ragazze inibite, nascondono sempre un potenziale inaspettato.”
“Sta zitto. Parli troppo come sempre” ribatté mentre lo spogliava.
Lo toccò lentamente come alla ricerca di quel dettaglio che gli avrebbe fatto venire voglia di fuggire a gambe levate.
Ma non lo trovò.
Né il pomo d’Adamo sotto i sui denti, né la peluria sul torace, i muscoli grandi, molto più grandi di quelli di una donna, almeno di quelle che aveva frequentato. Niente lo turbò.
Bones ha ragione, non c’entra che sia un uomo, una lampada o un calzino:
quando c’è di mezzo l’amore il sesso è solo un dettaglio.

Le mani raggiunsero il ventre e poi, lentamente, lambirono ciò che principalmente lo differenziava da tutte le amanti che aveva avuto tra le braccia. Il beneficiario delle carezze percepì quanta insicurezza e quanto desiderio contraddistinguessero quelle azioni.
Malgrado volesse con tutte le forze agevolarlo, lo lasciò in balia dei suoi demoni.
“Ian io... ”
“Non c’è problema, se vuoi lasciamo perdere.”
“Che diavolo... ”
“Sei ancora in tempo per andartene... ”
“Mi stai mandando via?”
“Voglio essere certo che tu sia sicuro di quello che stai facendo. Dopo non potrai tornare indietro, te ne rendi conto?”
L’altro sospirò. Quello che Ian diceva aveva un senso. Sicuramente con la ragione e il senno di poi sarebbe fuggito dal letto della colpa scusandosi dell’accaduto. Ma il raziocino, qualsiasi considerazione logica del caso, lo avevano da tempo abbandonato lasciandolo in balia del puro istinto. E l’istinto gli diceva, anzi, gli intimava di proseguire.
Gli accarezzò le labbra con la mano destra.
“Resto perché ho voglia di restare, ma... ”
“Ma?”
“Ma vorrei vedere quello che sto toccando” la rivelazione fu seguita da un imbarazzato silenzio.
“Fidati del tatto, è un senso sottovalutato, sai?”
“Questa cosa del buio è... so che stai facendo. Pensi che farlo con la luce mi creerebbe problemi, ma già che siamo fin qui, voglio fare le cose per bene.”
“Dio, sei noioso però... ”
“Non sto scherzando” a quel punto, conscio di non avere alternativa, cercò la presa del faretto sopra il comodino. Trattandosi di una lampadina a basso consumo ci mise qualche secondo per mettere a fuoco la situazione e rendere tutto meno decente.
Booth vide quello che c’era da vedere. Un biondo uomo nudo, piuttosto in forma, sdraiato su di un letto. E, a parte i soliti tatuaggi, non c’era davvero molto di speciale da vedere... o forse sì?
“Ian, che... che diavolo sono tutte quelle cicatrici?”
La domanda di Seeley Booth era lecita.
Ecco perché non voleva la luce
“È solo che... lo sai, ho subito un rapimento.”
“Non c’entrano le ferite recenti. Il tuo corpo è completamente segnato” piccole e grandi tracce rivelavano una vita di maltrattamenti.
“Ho fatto parte dei corpi speciali.”
“Sì, certo, nei Fight Club Corps?” in quel preciso istante a Booth rivenne in mente un dettaglio fino a quel momento trascurato. Mi hanno rifatto il naso già due volte, così aveva rivelato una sera dopo che erano usciti per bere una birra.

Jack Hotgins restò in silenzio. Poi il suo sguardo si fece severo.
“Allora non sono l’unico ad avere dei sospetti.”
“Meno male, ero terrorizzata che tu mi prendessi per pazza.”
“Magari lo siamo entrambi. Sospettare che un agente federale sia un serial killer, questa poi. E se lo sapesse Booth?”
“No, ora non lo deve sapere. Non riuscirebbe ad essere razionale. È troppo coinvolto.”
“Scusami Brennan, ma non capisco. Come ci sei arrivata?”
Temperance si mise a sedere. Doveva dare una spiegazione a Jack, l’unico che fortunatamente sembrava capirla.
“Ci ho pensato, ci ho pensato molto bene. È un manipolatore di professione, molto riservato. Ha tante facce, tante facciate, e troppi segreti. Ha fatto di tutto per portare Booth fuori strada tenendolo lontano dal caso ma quello che più conta, ha finto un attacco di panico durante la conferenza.”
“Vuoi dire che fingeva di essere affetto da Glossofobia?” a parlare fu la dottoressa Saroyan. Quanto aveva sentito di quel dialogo?
“Ragazzi, mi stupisco di voi. State facendo illazioni su Ian Emmerich?”

3 commenti:

Jivri'l ha detto...

Non ci credo...Ian un traditore, cioè, meglio, il complice?!Nooooo...Comunque finalmente Booth si è svegliato, anche se pare proprio che non sia il momento adatto:(...

Unknown ha detto...

Carissima... inanzitutto grazie per la fedeltà! In quanto a Ian... beh non ti anticipo nulla tranne che sarai costretta a continuare la lettura anche di un "evenatuale" sequel....

Alex G. ha detto...

Adoro questa storia e adoro Ian, spero davvero che non sia il complice del killer altrimenti povero Booth, non so che reazione potrebbe avere.E' innamorato e lo capirebbe anche un cieco.
Continuala tesoro,please.