lunedì 2 febbraio 2009

Un padre e un padre 3

Diavoli angelici


“Stavo pensando. Sì, stavo pensando che sarebbe magnifico se facessi parte della squadra”
“La squadra? Intendete dire, giocando?” Julian si allontanò da lui quel tanto da non sentirsi vulnerabile ai bassi istinti, “È quanto mai impensabile, sono un sacerdote, ho dei doveri per la comunità e…”
“Ma non è anche suo dovere dare una mano? Intendo per la raccolta fondi. Sarebbe davvero magnifico. Sono certo che voi ci sapete fare” ridacchiò. Padre Julian aveva proprio un debole per la sua risata e fu tramortito dalla felicità che gli infuriava in petto. Era vero, quando era con lui Robert sembra quello di sempre, quello prima della disgrazia. Il suo Robert. Non suo come loro era stato per Denise, ma in un certo senso, suo.
“Non so cosa dovrei rispondere…”
“Solo di sì. Voglio giocare accanto a te. Ti darò una mano con le regole”
“Le conosco le regole, magari sono un po’ fuori allenamento, sai, il fiato” il boscaiolo tornò vicino a lui. Julian ebbe il timore che stesse per abbracciarlo o qualcosa del genere. Si limitò a una non troppo innocente carezza sul braccio.
“Mi fai così… così felice, Julian”
“Sei tu che mi fai felice” rispose in un sussurro. Le parole erano scappate. Robert lo guardò fisso negli occhi un poco sorpreso. Esisteva qualcosa di bello come i suoi occhi?Pensò. E diede un volto a colui che turbava i suoi sogni.
“Allora ci si vede per l’allenamento. Alle tre in punto, siamo intesi?”
“Va bene” l’umore dell’uomo era mutato di colpo, anche Padre Julian se n’era avveduto. E gli dispiaceva. Ora non gli restava che contare gli attimi che lo dividevano dall’allenamento.


Era stata una scelta imprudente quella di accettare. Julian se l’era ripetuto fino allo sfinimento, ma non c’era stato niente da fare. Mancavano una decina di minuti alle tre quando, infagottato con tanto di passamontagna, prese posto sulla bicicletta. Per fortuna le strade erano state pulite ma aveva in ogni caso rischiato più volte di finire dentro qualche pozzanghera. Arrivò al campo in orario. Alcuni uomini stavano tirando già due calci. Impicciato, camminò fino a giungere davanti allo spogliatoio. “Ci siamo” sussurrò. Era la parte più spinosa. Doveva spogliarsi e pregò Dio che nessuno lo sorprendesse durante la vestizione. Prese in mano la vecchia tuta che non usava da tempo, continuava a stargli troppo larga. Quando Robert Pange arrivò fortunatamente non c’erano centimetri di carne esposti. Alcuni ragazzi sotto i vent’anni invece, davano sfoggio dei loro fisici più o meno scultorei giocando a tirarsi dell’acqua incuranti del freddo.
“Sei pronto?”
“Se prima non muoio assiderato, penso di sì” Robert lo prese sotto braccio e lo condusse dentro il rettangolo di gioco. L’arrivo del parroco provocò chiacchiere e una vena di ilarità. Fregandosene dei presenti, Robert e Julian fecero il giro del campo quindici volte. Finalmente non avevano più freddo.
Alla fine dell’allenamento Robert, che oltre ad essere il capitano della squadra faceva pure l’allenatore, mise al corrente che non c’era acqua calda.
“Mi dispiace” sussurrò all’amico prete
“Per me? No, io tanto mi laverò in parrocchia” per non rischiare di trovarsi a tu per tu con il corpo nudo del suo capitano, si voltò diretto alla bicicletta. Mentre tornava a casa ebbe un sussulto. Poverino si sbatte per la sua famiglia, per questa sciocca partita e si fa pure la doccia fredda. Avrei potuto proporgli di venire a darsi una lavata da noi. Gli venne da ridere. Era una fortuna che quell’assurda proposta non fosse uscita dalla sua bocca.
Ci mancherebbe pure questo. Per il resto del giorno non riuscì a evitare fantasie in proposito.
Il corpo sgocciolante di Robert fuori della doccia. Io che gli porgo l’asciugamano, lui mi ringrazia e… si odiò ferocemente per quei pensieri. Prese in mano il nuovo testamento, lo appoggiò sopra alle sue disgrazie. La fisionomia del suo corpo gli ricordava prepotentemente che era un uomo. Un giovane uomo con pregi e difetti. E pieno di bassezze. Se simili scellerate immoralità fossero state provocate da una bella donna, sarebbe stato diverso? Si sarebbe sentito meglio? Padre Donald non si preoccupava dell’attrazione che gli procuravano le donne, anzi. Ma Julian sapeva, o quanto meno sperava, che non fosse quello il vero problema.
Il problema non era verso chi provasse attrazione, ma l’attrazione di per sé.
Ma come ho potuto essere così presuntuoso da sperare che non sarebbe mai successo? Che non avrei mai dovuto scontrarmi con le lusinghe del demonio? Il bel signor Pange sembrava tutto tranne un demonio però, sembrava un angelo, un angelo che volava sempre più vicino a lui.



Il volo



Quella notte Robert sognò Padre Julian. Aveva poco e nulla indosso e, quello che era peggio, è che non aveva molto indosso nemmeno lui. Ridevano e il prete sembrava rilassato. I suoi magnifici occhi celesti sorridevano meglio di un intero battaglione di denti. Non erano sogni, considerò una volta sveglio, ma un braccio armato. Una pistola puntata contro di lui e il suo fragile equilibrio. Come al solito lavorò duro quel giorno e il pomeriggio si recò all’allenamento. Cercò di non pensare ai sogni durante la partitella che si svolse a ranghi ridotti. I preti c’erano entrambi presenti.
“Padre Donald, come mai non si è fatto vedere, ieri? Non è che correva dietro a qualche gonnella?” domandò un parrocchiano in vena di umorismo ma anche per movimentare la situazione.
Il prete non confermò ma nemmeno negò. Ammiccò un sorriso storto. Erano negli spogliatoi e c’erano pure Pange e Padre Julian. Nonostante non amasse certi sottintesi, la mente del sacerdote più giovane era troppo occupata da altro per pensare alle presunte tresche del collega. Dunque non fece nessuna faccia disgustata, nessun commento, niente di niente. Continuava a guardare la schiena nuda di Robert sentendosi ad un metro da terra. Ma invece di esser più vicino al cielo ne era più lontano. Uscì dal luogo di perdizione sentendosi in perfetta distonia con il cielo che era maledettamente celeste. Candido e con le nuvolette a fare da cornice. Ci fossero stati gli angeli, il quadro sarebbe stato perfetto. Sbuffò. Quel che temeva e che desiderava di più al mondo non era successo, non ancora. Era peggio la distruzione di tutto o quella precaria immobilità che contraddistingueva la sua esistenza? E non era scontato che l’esistenza di un sacerdote fosse statica? Scandita dal rintocco delle campane, dal via vai dei fedeli che giungevano a lui per confessarsi, a trovare conforto e serenità nel pacifico silenzio della chiesa. Come potevano essi sapere che chi li confessava, senza giudicarli è ovvio, era peccatore quanto loro anzi, probabilmente, più di loro? Chiuse gli occhi per una decina di secondi convinto che se fosse sopravvissuto a quello avrebbe potuto vincere anche Robert Pange. O meglio il desiderio che lo conduceva a lui. Ma la ruota anteriore prese in pieno una piccola pozzanghera a pochi centimetri dalla carreggiata facendolo finire a gambe per aria. Rotolò per qualche metro. Per qualche attimo pensò di essere più vicino a Dio perché quasi morto. Ma, sbucciatura del ginocchio destro a parte, era integro come sempre. Padre Donald arrivò in suo soccorso,
“Che combinate, prete? Avete perso l’equilibrio o siete voi quello ubriaco?”.
“Aiutami per piacere” mormorò accettando l’avambraccio da afferrare.
Era di nuovo in piedi ma la bici non sembrava in perfetta forma.
“Venite con me, passo da Parrinton a fare un po’ di spesa prima, o avete fretta di tornare a casa?” Julian non rispose: -ho forse altra scelta?- per non peccare di ingratitudine. Donald preferiva alla due ruote una Abarth in buon condizioni che si era giudicato ad un’asta giudiziaria. Julian non amava salire su quell’auto, gli ricordava troppo la provenienza -londinese- e dunque sospetta. Ma si gustò il panorama.
“Domani torno a prenderla, è un vecchio catorcio la tua bici ma non mi sembra giusto lasciarla lì, sono certo che se mi ci metto la riparo”.
“Non ha importanza” rispose tristemente.
Durante il rosario Julian si sentì uno sciocco completo. Aveva buttato via la sua bicicletta per una cavolata, un gesto da ragazzino. Chiudere gli occhi, e perché mai? Voleva davvero mettersi alla prova? Quanta paura ho di morire, forse era quello. Chissà. Poi arrivò il suono di un clacson e uscì in tutta fretta. Erano quasi le nove di sera e Donald già russava.


“Immagino che questa sia tua” affermò sicuro di se Pange mostrando la bici posta nel retro del camioncino. Julian non sapeva cosa dire. Forse perché Robert si portava dietro una luce strana. Quasi come se il sole non fosse tramontato ormai da un pezzo. O forse era colpa della neve che aveva ricominciato a cadere.
“Non dovevi cioè… sono davvero grato di questo ma…. Ma è solo una vecchia bicicletta, non funzionerà nemmeno più”
“Funziona, funziona, ci ho lavorato tutta la sera”
“Cosa?” per un attimo Julian temette davvero di aver capito male. La sua vecchia bicicletta era stata prima prelevata dal bordo della strada e poi aggiustata dal signor Pange? Una cosa tanto dolce e carina? E così generosa.
“Non serve che mi ringrazi” biascicò l’uomo di mondo. In realtà lui non l’aveva ancora fatto. Il sacerdote giocherellava con il clergis*. Era come se non gli passasse l’aria. Fu sul punto di toglierselo, ma desistette.
“Ora vado”
“No, scusami… scusa Robert ma sono rimasto senza parole, non ti ho nemmeno ringraziato”.
“Non è vero, la tua reazione è anche meglio di un ringraziamento” Julian arrossì
A che si riferisce? Pensò sentendosi morire di una morte dolcissima.
“Entra, ti faccio un tè caldo. Padre Donald è passato proprio stasera a fare scorta di tè e non solo…”
“Mi piacerebbe molto ma ho lasciato i bambini da soli”
“Non cambierà nulla se restano soli altri pochi minuti, il vostro Dean è quasi un ometto”
“Ho un’idea migliore Julian. Prendete il tè. Mettiamo l’acqua sul fuoco e… ”
“Io… ”
“Mi fa piacere. Voi ci mettete il dolce ed io il combustibile” Julian pensò che fosse fattibile. Era così nervoso ed emozionato che temette seriamente di dire o fare qualche sciocchezza. Ma non si tirò indietro.



*collare sacerdotale



Fammi volare


Robert Pange mise l’acqua sul fornello accanto al fuoco. Iniziò a bollire pochi minuti dopo. Anche il suo ospite stava, in un certo senso, friggendo. Si era finalmente tolto il collare che gli occludeva il respiro. Senza di quello non sembrava un prete. Sembrava un uomo, decisamente umano e schiavo della sua emotività. Le mani tremarono mentre si portava la tazza alla bocca. Gli occhi lucidi forse per via del poco fumo che usciva dal caminetto oppure… restarono in silenzio così a lungo che per diversi minuti l’unico suono era il tranquillo russare dei bambini.
“Ti sei fatto male quando sei caduto?”
“Un poco, una scemenza… ”
“Dove?”
“Il ginocchio, solo una sbucciatura”
“Ti ha medicato Padre Donald? Non sono del tutto convinto abbia fatto un gran lavoro, fammi vedere”
“Non è il caso…”
“Non fare il ragazzino. Sono abituato con i miei figli, tra una settimana c’è la partita e voglio assicurarmi che il miglior centrocampista stia bene” Julian sperò che il suo generoso interessamento fosse dovuto solo a quello. Oppure no? Voleva che ci fosse dell’altro?
“Non sono il miglior
“Secondo me sì” prese il kit del pronto soccorso che teneva strategicamente dentro un cassetto della cucina. In realtà era esperto in fasciature perché si feriva spesso anche lui, in particolar modo quando usava la pialla.
Si abbassò sul contuso. Tirò su il pantalone che copriva la gamba incidentata. La pelle chiara fu esposta agli occhi dell’uomo.
“La cosa più importante è tenere la lesione pulita per scongiurare l’infezione” fece sapere mentre liberava il ginocchio dalla precedente fasciatura.
“Mio Dio, guarda che bella ferita. Poverino deve farti parecchio male”
“No, è una vera idiozia, ahi!” finì la frase con un gemito. Robert stava detergendo con l’alcol puro.
“Brucia è? Ho quasi finito” disse massaggiando con dolcezza. Sembrava impossibile che quelle mani fossero capaci di usurpare alberi. Sembrava fossero nate per far star meglio. Per accarezzare. Almeno era quello che pensò Julian mentre si godeva il trattamento, finalmente rilassato e concio del piacere che dava. Non bruciava più l’alcol ma era il fuoco dentro sé ad ardere come non mai.
“Sei molto bravo”.
“A medicare? Figuriamoci anche mio figlio ci riuscirebbe”
“Non intendevo solo quello. Parlavo del tuo altruismo… ”
“Sei tu quello generoso. Sono felice quando, nel mio piccolo, posso sdebitarmi” era solo quello? Si preoccupava del suo ginocchio per la partita, e aggiustava la sua bici solo per mettersi in pari con la coscienza. Perché Julian voleva di più? Non era già tanto quello che aveva?
“Io sono solo un prete, faccio il mio dovere di sacerdote, tutto qui”.
“E io sono un parrocchiano qualsiasi per voi?” E ora perché questa domanda? No, sarebbe stato sconveniente ammetterlo. Almeno non in quel momento nel quale si sentiva così vulnerabile. Ma non riuscì a trattenersi dall’essere sincero: “No, non lo siete”
Robert sorrise malizioso. “Mi piacerebbe sapere perché… non lo sono, dimmelo”, esortò.
“Cosa?”
“Perché non sono un parrocchiano qualsiasi” Julian sospirò pesantemente. Le mani di Robert non erano più sulla sua gamba ma il suo corpo si era proteso verso di lui. Di nuovo sentì l’odore dei capelli e si sentì letteralmente svenire. Per qualche attimo temette davvero di perdere i sensi. Doveva star zitto, doveva alzarsi e allontanarsi da quell’uomo, subito! Ma restò fermo aspettando che qualcosa di sensato gli uscisse dalla bocca. Ma che non fosse una scusa, doveva essere sincero se voleva capire cosa stava succedendo. Dio lo stava mettendo alla prova e lui non poteva mentire, no, doveva ponderare ogni suo gesto ma senza fingere.
“Non dovrei ma… ma chiaramente ho una predilezione per te, per te e la tua famiglia. Mi sembra che anche tu ti senti meglio in mia compagnia rispetto a padre Donald”
“Non ci sono dubbi su questo” e si avvicinò ancora di più a lui, “mi sento meglio in tua compagnia rispetto a qualsiasi essere umano di tutta la comunità. Da qualche tempo a questa parte ho capito che per te è lo stesso” goffamente si protese per baciarlo. Julian riuscì a schivare il primo assalto girando il viso dalla parte della porta. Ma quando Robert gli bloccò le spalle stringendole a sé non poté che soccombere. La bocca dell’uomo schiacciò la sua con forza. A nulla servì dibattersi anche perché era chiaro come il sole che volesse essere baciato quanto l’altro volesse baciarlo. Pange non trovò alcuna resistenza quando lo sdraiò in terra. Julian lo accolse com’era giusto che fosse. Restarono a baciarsi per qualche minuto. Poi fu Robert a fermarsi per contemplarlo.
“Dio come sei bello, non ho mai desiderato nessuno quanto te” Julian non sapeva cosa rispondere. In verità non voleva parlare. Non aveva mai baciato nessuno, in quella maniera almeno. E Robert sembrava proprio aver spalancato le porte del paradiso, o dell’inferno. Ma di pensare all’inferno ci sarebbe stato tempo, modo e maniera.
“Baciami, baciami ancora” rispose quasi senza fiato. Robert non si fece di certo pregare. Cercò anzi un contatto fisico più intimo. I corpi erano così prossimi che sarebbe bastato poco, pochissimo, per farli esplodere.
“Se non ci fossero i bambini… ” a quella frase Julian ritrovò un barlume di lucidità.

2 commenti:

Silvia Azzaroli ha detto...

^_^ Non pensavo che li avresti fatti baciare, temevo che Julian si tirasse completamente indietro, ma invece.
La sua timidezza è così sensuale, ogni incontro tra lui e Robert è carico di sensualità e dolcezza, sia per le parole che per i gesti.
Il loro primo bacio, poi, meraviglioso e innocente.
Le paure e i desideri di entrambi sono così palpabili, così veri.
E' una storia davvero bella!

Unknown ha detto...

Vero, la timidezza di Padre Julian è il pezzo forte, ma sotto sotto...