martedì 6 ottobre 2009

Ogni singolo respiro, capitolo 16



WARNING NC 17


Nonostante tutta la confusione che albergava in lui, o, piuttosto, proprio a causa di essa, Booth quella notte tornò tra le braccia di Temperance. E lo fece in maniera piuttosto risoluta. L’antropologa, reduce da una giornata apatica al Jeffersonian, aveva trovato il suo uomo ad attenderla davanti casa. Subito si era chinato a baciarla con veemenza. La collisione delle bocche aveva creato scintille e ci era mancato un niente che lo facessero direttamente sul pianerottolo! Per loro fortuna lo slancio era stato trattenuto fino alla camera da letto. Una volta che lei fu nuda dalla vita in giù, l’agente l’aveva piegata sul letto. Prenderla da dietro, nella maniera consona ovviamente (qualsiasi cosa ‘sodomita’ dove restare fuori dal loro menage) gli piaceva troppo. Ma la determinazione, l’aggressività o quasi con la quale si era presentato, misero Brennan in allarme. Il retaggio di un ricordo abbastanza recente decarburarono la libidine, sebbene i risoluti colpi contro il punto G fossero quando di più amabile a piè di una lunga giornata di lavoro.
“Booth basta!” esortò malgrado fino a tre secondi prima gemesse.
“Perché, non ti piace forse?” la sua voce tradiva cupidigia, e questo non piacque per niente a lei.
“Ti ho detto di finirla, togliti!” lo esortò. Il piacere fisico aveva lasciato spazio a qualcos’altro.
Booth tornò in sé. “Amore, mi dispiace! Se pensi che possa aver danneggiato il bambino...”
“No, non credo. Ma non mi piace quando sei così passionale. Cioè mi piace quando sei passionale, da impazzire. Ma non così. Sembri un energumeno. Cosa è successo oggi che ti ha reso tanto euforico?” quell’accusa colpì l’uomo. No, non c’era nemmeno da pensarci! Era vero che Carol lo aveva provocato. Era vero che la trovava attraente e che le sue attenzioni avevano messo a dura prova i suoi ormoni ma era Bones che amava! Era da lei che voleva il piacere. Non c’era speranza per nessun’altra al mondo!
“Sono solo pazzo di te. Ho visto come mi hai accolto sul pianerottolo e mi piaceva proseguire con quel tenore. Non pensavo di darti fastidio.” Furono interrotti dal telefono di Temperance. Era Angela.
“Piccola, ti ho disturbato?”
“Non proprio, dimmi pure.”
“Hanno scoperto a chi appartengono i resti dell’angelo!”
Brennan scattò a sedere come una molla. “Chi?”
“Nathan Shuman. Un guro del P.N.L. ti dice niente?”
“Kally e Emmerich.” Booth dilatò le pupille udendo quei nomi.
“Già. Su Web ci sono delle sue interviste. Pare fosse molto amato nel suo ambiente. Lavorava come coaching per diverse aziende multinazionali come motivatore ma, da un po’ di tempo a questa parte, aveva cambiato condotta.”
“Mio Dio”. Riagganciò dopo essersi data appuntamento con l’amica al Jeffersonian.
“Che hanno scoperto? Cosa c’entrano Kelly e Ian?”
“Booth, ti rendi conto? Anche quelle ossa potrebbero essere opera del killer della centrifuga!”
“Stai tranquilla tesoro...” La donna non voleva continuare a chiacchierare con l’amante mezza nuda e inumidita di piacere. Doveva ritrovare la sua razionalità, oltre a mutandine e gonna.

Se era stato un sogno, un presagio o un’allucinazione questo lei non lo sapeva. L’unica cosa di cui era a conoscenza che un uomo sicuramente buono l’aveva esortata a non disfarsi di suo figlio. Non riusciva a smettere di pensare a questo mentre al bordo dell’auto di Booth si dirigevano verso il laboratorio.
“Se questo tizio, come hai detto che si chiama?”
“Nathan Shuman.”
“Beh chiunque esso sia scopriremo perché è morto, da quando e se c’entra qualcosa il killer della centrifuga.” Pensieroso, biascicò: “Questo sarebbe un’altro buon motivo per interrogare Kelly.” Il suo piglio tradiva rabbia.
“Hai ancora intenzione di occupartene?”
“Certo! Prima del processo quanto meno. Se solo fossi stato a Washington quando è stato catturato... ”
Temperance si morse un’unghia. Non voleva pensarci nemmeno un secondo di troppo dove fosse, con chi fosse e, soprattutto, cosa stesse facendo durante la cattura del primo dei killer delle mamme. Con l’altro assassino? Con un innocente? Questo lo avrebbero deciso giudice, giurati e prove. A lei faceva male sapere che fosse con Emmerich e non con lei. Qualsiasi cosa il Profiler c’entrasse o non c’entrasse il suo uomo era stato a letto con lui. E quella specie di cotta o digressione sessuale sembrava ancora lasciare tracce ben visibili.
“A volte mi domando se riuscirò mai davvero a perdonarti di aver fatto sesso con Emmerich.” Ruminò a voce bassissima. Booth sperò di aver capito male, odiava dover tornare su quell’argomento. C’era sicuramente una parte di sé che lo amava ancora! E Sweets si era ben visto da scacciare o debellare quella parte. Era vulnerabile di fronte a quella consapevolezza. Così, proprio per non sbagliare, scelse il silenzio. Decisione che non entusiasmò Bones.

Il giudice per le indagini preliminari aveva disposto che Ian Emmerich fosse colpevole in qualche maniera e di essere in combutta con Kelly. Ma fino a quel momento, a parte la confessione di quest’ultimo e il rivelamento di alcuni reperti autoptici, nulla appariva chiaro, netto, nitido. E tutto il mondo si domandava il motivo per il quale un bravo e stimato agente FBI si mettesse a dare la caccia a madri di famiglia. Sarebbe stato sufficiente il profilo del Profiler? Sarebbe stato sufficiente rielaborare le immagini del piccolo Emmerich maltrattato per fare di lui un assassino? Il processo era alle porte. Sarebbe potuto durare molto oppure un’inezia. La selezione dei giurati era stata ostica. La voglia dell’accusa di mettere a cuccia, magari con l’ausilio dell’iniezione letale, i due assassini, aveva favorito la scelta di persone di sesso femminile, alcune madri o nonne o chi avesse direttamente che fare con bambini, ad esempio: una maestra d’asilo. Insomma persone poco incline a perdonare chi si fosse macchiato di tali efferati crimini.
La difesa, dal canto suo, avrebbe dimostrato quando nobili fossero state le imprese di Emmerich durante la sua carriera nell’FBI. Ma tutti e due, difesa e accusa, avrebbero scavato sul suo passato, quello dei maltrattamenti, del dormire sugli escrementi e le cinghiate. Lo avrebbe fatto anche l’accusa, per dare prova di quanto fossero fondanti i sospetti. Era una linea sottile quella che divideva pubblico ministero e difesa. Ma, di certo, se non fosse uscito qualcosa di nuovo abbastanza compromettente, la permanenza dei due nelle patri galere si sarebbe protratta per parecchio. Booth era tra quelli a cui premeva dimostrare l’innocenza di Emmerich ma era certo che avrebbe abbassato il capo di fronte ad una condanna di colpevolezza. Se fosse risultato chiaro il coinvolgimento dell’ex amante nella cattura e uccisione delle poverette, lui sarebbe stato il primo a gioirne. Se non altro, un’esistenza spensierata, o quasi, con la donna della sua vita lo attendeva. Le digressioni omosessuali potevano dirsi parte del suo passato. O no? Ci sarebbe sempre stato il fantasma delle sue colpe chiuso da qualche parte, magari insinuato tra la polvere del comò ad accusarlo, a ricordargli che era impuro e indegno dell’amore di Bones. Ma razionalmente voleva tutto. Voleva trovare la verità, voleva l’amore di Bones e il perdono di Ian. Oppure l’amore di Ian e il perdono di Bones? Questo sembrava fuori discussione in quel momento. Sebbene gli sbalzi d’umore, la donna rappresentava tutto ciò che aveva sempre desiderato.
Durante quei pochi giorni che precedettero il processo, Brennan e Booth vissero un piccolo idillio. Per non rischiare di incontrare Ardich, impossibilitato a parlare con il procuratore Franklin, Booth si rifugiò a casa della futura madre. Tra le sua braccia, ma, specialmente, tra le gambe. Per fortuna di Booth la donna non mostrò più dubbi e gelosie in particolar modo non nominò più Emmerich. Sembrava così appagata e felice dopo il sesso che tutto appariva facile e concreto. Erano loro due e basta e la ricerca del piacere. Dell’intimità assoluta. Ma buttare fuori di casa il resto, il veleno, i dubbi, la realtà, era stato difficile, quasi insostenibile, soprattutto a causa delle lunghe conversazioni telefoniche che l’agente non poté evitare con Wendy.


La notte prima dell’udienza Booth si portò il suo vestito migliore dietro. Lo appese sul porta abiti sospirando. Temperance gli fu dietro e lo abbracciò appoggiando il mento tra la spalla e la testa.
“Come ti senti?”
“Non me lo chiedere... non lo so. Un pesce fuor d’acqua o qualcosa del genere.” Si voltò per poterla abbracciare da davanti. Restarono per qualche minuto stretti simili ad innamorati romantici in una sala da ballo vecchio stampo. “Lo sai che ti amo?” le ricordò accarezzandole le labbra con un dito. L’indice fece dei cerchi simmetrici attorno alla sua bocca.
“Sì lo so, ti amo anch’io.” Lui restò interdetto. Era forse la prima volta che lo ammetteva. Magari glielo aveva confidato durante qualche orgasmo ma non gli aveva dato peso. Mai fuori dal contesto sessuale.
“Davvero?”
“Booth, stai scherzando? Certo che ti amo! Ti amo davvero tanto per guardare il tuo viso da labrador abbattuto e non sbatterti fuori a calci.”
“Mentre ora faremmo l’amore e tu sarai stata ben felice di non avermi sbattuto fuori a calci” ribatté mentre, sornione, alzava la gonna che fasciava le lunghe gambe toniche. Si chinò seguendo il percorso inverso dell’indumento. Guardò il ventre appena arrotondato. Lo baciò. La sentì rabbrividire. La liberò anche dello slip, e quando fu nuda dalla vita in giù, la contemplò per qualche istante. Non occorreva dirle quanto la trovasse meravigliosa. Lei e quella creatura che le cresceva dentro era tutto quello per il quale valeva la pena lottare, vivere. Fece per spostare la bocca in lidi più umidi e desiderosi d’attenzioni ma lei, trattenendo il desiderio, lo bloccò.
“No, stasera non facciamolo, ti prego.”
“Perché?”
“Diciamo che uno dei miei sbalzi ormonali, ok?” Booth si alzò in piedi. La fissò negli occhi senza chiedere... ma a lei bastò quello sguardo per rispondere.
“Ho paura di... di perderti, Booth.”
“Ancora queste insicurezze? Non cambierà niente... dopo.”
“Me lo giuri?”. L’uomo si morse il labbro.
“Qualsiasi cosa, ti prometto che non vi abbandonerò mai. Ogni singolo respiro, ricordi?” e così dicendo posò il palmo della mano sulla pancia.

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