sabato 14 febbraio 2009

Io con un uomo mai capitolo 4




“Mi vuoi rispondere ora?”
“Non capisco perché ti scaldi tanto”
“Mi scaldo tanto perché continui a tergiversare. Ti ho chiesto: perché, ora”
“Ok, vuoi sapere la verità?”
“Sì”
“Va bene. Ok. Ok” sospirò “Non lo so. Ok? Non lo so, perché ora. Sono anni che ci penso. Sono anni sogno questo momento esatto, perché rovinare tutto? Ora che finalmente ci siamo… avrei dovuto far passare altro fottuto tempo?”
“Deduco che non hai fatto passare altro tempo perché la tua virilità aveva bisogno di conferme”
“Che stai farneticando?”
“Lo sai benissimo, Booth. È triste quando le certezze vacillano, proprio tu che ti credevi tanto immune ti sei fatto abbindolare da quell’incantatore di serpenti. Da un predatore senza scrupoli”
“Eh?”
“Ora fai finta di non capire? Lo sai benissimo”
Già, lo sapeva, il fatto è che non voleva saperlo. Abbassò la testa scoraggiato. L’erezione era sotto terra come il suo amor proprio. Dove sarebbe finita la sua decantata virilità? Probabilmente era corsa dietro al condom. Temperance si alzò di scatto togliendosi l’ingombrante corpo di Booth con una spinta. Nel giro di due minuti era già vestita con tanto di cappotto.
“E te ne vai così?”
“Sta tranquillo Booth, mi conosci. Non parlerò di questo a nessuno. Anzi, per essere sinceri per me stasera non è successo niente, non cambierà assolutamente niente tra di noi”
“Come fai a dirlo? Cioè io…”
“Lui ti piace”
“Non è vero”
“Chi non ti piace?”
“Cosa?”
“Ora torni a fare il finto tonto?”
“Bones io… fermati, parliamone!”
“E di cosa? Di cosa vuoi parlare esattamente? A sì forse del fatto che volevi fare sesso con una donna per dimostrare a te stesso che non è cambiato niente. Ma non ti bastava una qualsiasi, volevi me. Ti rendeva più mascolino farti un antropologa forense rispetto a un infermiera o una segretaria qualsiasi? C’era bisogno di compromettere un’amicizia di anni…”
“Hai appena detto che non sarebbe cambiato niente tra noi”
“Esatto. All’apparenza. È quello che ti interessa, giusto? L’apparenza. Booth, non ti preoccupare. Nonostante tutto sei sempre lo stesso. Nessuno lo ha capito” con un sorrisetto maligno aggiunse “nessuno tranne il diretto interessato” a quella ennesima provocazione, l’agente sbottò,
“Ora finiscila! Non c’è niente che Emmerich possa aver capito perché non c’è nulla da capire”
ma lei proseguì l’arringa come se niente fosse.“Non ti preoccupare, non sei diventato gay. Sei solo caduto nella sua rete. Non dubito che lui ti farà divertire. Sei consapevole Booth che quando ti avrà convertito ai piacere omosessuali del caso, farai la stessa fine di quel preservativo non consumato?” dopo un ultimo sguardo carico di tensione, se ne andò.
Appena dentro l’ascensore, la dottoressa Temperance Brennan si mise le mani nei capelli. Aveva voglia di piangere. Ecco, l’aveva rifatto. Il suo ego perfezionista aveva avuto la meglio come altre mille volte gli era successo. Proprio ora che poteva esserci una cosa buona con lui l’ho buttata via. Ma non era l’occasione persa ad accecarla dal dolore. No, era ben altro. Era la consapevolezza di averlo sempre amato. Amava Seeley Booth. Non lo voleva ammettere ma ora c’era arrivata. E soprattutto era arrivata a capire il suo risentimento per Emmerich. Lui non si sarebbe lasciato sfuggire la notte d’amore con Booth, se ne sarebbe fregato delle quisquiglie. Ma erano davvero quisquiglie? No che non lo erano. Ed era facile comprendere come il suo atteggiamento dissacrante e disorganizzato fosse affascinante per Booth. Senza dimenticare che poteva essere tutta una manovra. Emmerich era un Profiler, un uomo capace di cambiare pelle come i serpenti e di entrare nell’anima della gente. Eppure c’era un dubbio, o forse anche di più, che non fosse tutto finto. E molto probabilmente c’erano davvero tra loro quelle vibrazioni. Temperance se n’era accorta. Il loro continuo guardarsi di sottecchi, di muoversi in perfetta sintonia, e del modo in cui Emmerich cercava Booth e di come Booth riuscisse sempre a farsi trovare. A confermare il tutto il fatto che Booth, nonostante lo trovasse goffo e inopportuno quanto lei, lo difendeva sempre. Sospirò una volta giunta dentro il taxi che l’avrebbe riportata a casa. Ora era chiaro perché fosse così gelosia di lui. E non le restava che smettere di pensare a quello che aveva perso ma di recuperare almeno in parte, il suo vecchio rapporto con Booth.


“Allora, raccontami tutto” il temuto faccia a faccia con Angela Montenegro giunse la mattina dopo alle nove in punto come una catastrofe necessaria. Possibile che con tutto quello che c’è da fare si trova il tempo di spettegolare?
“Niente” rispose tristemente poggiando una pila di fascicoli sulla sua scrivania, “ora diamoci da fare con questi. Sono i reperti autoptici…”
“Finiscila, così male? Ma che è successo?”
“Angela ti prego”
“Temperance, ti prego”
“Ok, niente. Niente nel senso che non lo abbiamo fatto”
“E perché? Voglio dire, una questione di galanteria o ti sono venute le mestruazioni?”
“Nell’una e nell’altra supposizione” in quella furono interrotti da un inserviente venuto a liberare i cestini.
“Allora cosa?”
“Non è successo per i giusti motivi”
“Sarebbe a dire?”
“Io dovevo essere una specie di scaccia omosessualità” il volto di Angela si fece scarlatto,
“COSA?! Stiamo ancora parlando di Seeley Booth? Dell’agente speciale Seeley Booth, quel Booth?”
“Ha un cotta, o qualcosa di simile, forse una curiosità sessuale non so come definirla, per Ian Emmerich”
“Non è possibile, pure lui!”
A quella la dottoressa dondolò la testa contrariata, “Solo io sono immune al fascino di quell’uomo?”
“Ma cosa… ma come, voglio dire: te l’ha detto lui?”
“No, non lo ammetterebbe nemmeno sotto tortura. L’ho capito da sola” la conversazione cessò bruscamente con l’arrivo di Cam e Hodgins. Iniziarono una specie di riunione che tenne per qualche minuto almeno, la mente di Temperance occupata.


Booth si svegliò di soprassalto, aveva fatto di nuovo quell’incubo. Lui e l’assassino che centrifugava le sue vittime faccia a faccia. Aveva la pistola, aveva quella fottuta pistola nella fondina, ma non riusciva proprio a tirarla fuori. E lui, solo l’idea di un mostro, niente di umano e concreto, lui si avvicinava pronto a riservargli la stessa sorte del capitano Osbron. Faceva paura quel mostro, quasi quanto i mostri con i quali dovette combattere la notte dopo la debacle con Bones. Aveva fallito, il suo tentativo di seduzione era andato a puttane. No, la sua virilità era completamente andata a puttane. Ufficialmente, almeno per la dottoressa Brennan, lui era un omosessuale. Solo a pensarci si sentì male. Omosessuale. Esisteva parola altrettanto spaventosa? La sua mente, riservandogli un tiro mancino, cominciò a sciorinare tutta la serie di sinonimi che ben si adattavano a quelli come lui. Uomini sessualmente attratti da altri uomini.
Checca
Finocchio
Rotto in culo
Ciuccia cazzi
Frocio
Invertito
Pederasta
Diverso
Perverso
Sodomita

Feminuccia

Provò a pensare ad altro mentre cercava di capire che ore fossero. Meccanicamente prese il cellulare in mano. Non erano nemmeno le sette. Mentre si faceva una lunga doccia rivide il film della tremenda serata con Temperance. Fino al ristorante erano stati bene, e nemmeno il connilingus era stato male, anzi… dopo varie riflessioni decise che non poteva essere gay perché a lui le donne piacevano, piacevano tantissimo. Ci sapeva fare con l’altro sesso, aveva un figlio. Era cattolico. Pertanto le illazioni di Bones erano solo illazioni, niente di concreto.
Arrivò negli uffici dell’FBI piuttosto rilassato. Ma durò poco. Un bel giovane biondo, più o meno dell’età di Emmerich, gli chiese un’informazione, Booth rispose educatamente, l’altro ringraziò e sorrise. Ha ammiccato! Sì, ha proprio ammiccato. Ha capito che sono… come lui. Di nuovo i sinonimi a torturagli la coscienza. Per fortuna il Profiler causa di tutti i suoi dubbi, quella mattina non si fece vivo. Non essendoci ancora un nuovo capitano, Jennifer Power, la sua vice, presedieva il posto vagante. Incrociò Booth davanti al distributore del caffè.
“Dov’è il Profiler?”
“Perché dovrei saperlo?”
“Perché lavorate insieme Booth, te lo sei scordato?”
“Non ne ho idea”
“Ci sono delle novità ma si tratta di documenti strettamente riservati”
“Stiamo parlando del killer della centrifuga?”
“No, di mia nonna. Certo che stiamo parlando di lui! Cristo, stallone, dove hai la testa?” oddio, ora lo chiamavano tutti stallone? Non bastava Emmerich. Proprio mentre stava per allontanarsi da lei il suo telefonino vibrò nel taschino della giacca. Pregò che non fosse Bones. Era la madre di suo figlio. Doveva tenere Parker quel fine settimana. La donna aveva in programma un lungo week and in un posticino caldo con il suo attuale compagno, voleva conferma che sarebbe stato con lui a partire da giovedì. Ne fu contento. Stare qualche ora in più con suo erede lo avrebbe aiutato a scacciare dalla sua testa quei maledetti dubbi.


Temperance non odiava Booth, anzi, ora che aveva rivelato questa piccola debolezza, lo trovava ancora più attraente. E quando per motivi strettamente professionali si trovò al suo cospetto, provò a smorzare tutti i ricordi che la riportavano a quella sera. Erano passati solo due giorni.
“Dove stai andando con tanta fretta?” chiese Cam al suo ex boyfriend. Erano nei pressi del laboratorio. Erano rimasti in buoni rapporti. Bones fu terrorizzata all’idea che lui nominasse Emmerich o qualche misterioso amico. Rivelò che stava andando a prendere suo figlio per passare l’intero fine settimana con lui. Lei tirò un sospiro di sollievo. Il nemico sembrava lontano.
Parker fu felice dei nuovi videogiochi che suo padre gli aveva regalato . Malgrado avesse tanto da fare, Booth trovava sempre il modo di sorprendere suo figlio. Quella sera andarono da Mc Donald’s e poi subito dopo al cinema. Il venerdì dovette per forza di cose recarsi al lavoro e al Jeffersonian. Parker lo seguì. Sabato però cominciò a sentire la mancanza di Ian e questo gli fece piombare il morale sotto i tacchi. Aveva scoperto che era stato richiamato a Quantico per una questione riservata. Era in Virginia. Avrebbe dovuto sentirsi protetto data la distanza tra di loro. Ma non era così. Si sentiva un verme. Moriva dalla voglia di chiamarlo e più di una volta aveva considerato di farlo mentre era solo seduto sulla sua poltrona preferita con i mano il telefonino. Lo aveva stretto guardando lo schermo pieno di dubbi e paure ma anche di una felicità disordinata e tutta nuova. La sola idea di risentire quella voce lo turbava da morire. Sapeva cosa avrebbe provato, di questo aveva paura. Lui, che non temeva la morte o i delinquenti con i quali si scontrava ogni giorno o quasi, aveva paura di ammettere ciò che provava. Colmo di dubbi si chiese: Perché non mi ha più chiamato? Non restavano mai più di due giorni senza sentirsi ed era sempre Emmerich a cercarlo. Si alzò di scatto nervoso. Trovò Parker addormentato davanti alla tv. Lo prese in braccio e lo portò nella camera a lui riservata. Erano le undici passate. Se lo chiamo ora penserà che sono pazzo... già, che sono pazzo di lui. Perché come ha giustamente detto Bones: lui ha capito tutto! Passò altri dieci minuti in quello stato e, alla fine di una lotta impari contro i suoi demoni, pigiò il suo nome. Era libero.
“Emmerich” pronunciò con il suo marcato accento del sud.
“Sono io”
“Lo so che sei tu”
“Allora perché non rispondi pronto e basta?”
“Sono in un caffè pieno di gente e ci sono un paio di pollastrelle che mi stanno guardando. Se rispondo così faccio più scena, giusto stallone?”
“Sei ancora a Quantico?”
“Ti manco già?”
“Finiscila”
“In realtà sono a pochi passi da casa tua” a quella Booth si alzò in piedi come se il suo posto avesse cominciato a scottare.
“Ok, bello, se ti manco tanto possiamo anche vederci”
“Non dire fesserie, e poi sono a casa con mio figlio. Non mi posso muovere”
“Vengo io da te” che idea assurda! La gola gli si seccò all’istante. La lingua si attaccò al palato e la salivazione giunse allo zero. Se non era amore quello, qualcosa di molto serio stava attaccando il suo sistema immunitario.
“Non so cosa dire…” Come non sai cosa dire, pezzo di deficiente! Quello lì, a casa tua… e poi c’è Parker… no questa è una cosa buona, non può succedere niente se c’è Parker, e poi perché diavolo dovrebbe succedere qualcosa?
“Tesoruccio, sei ancora in linea?”
“Ehm?”
“Non dirmi l’indirizzo, lo so già. Ti devo portare qualcosa o hai già mangiato?”
“Sono le undici passate, vuoi che non abbia cenato?”
“Tacos. Tu ed io che mangiamo Tacos seduti sul tappeto e guardando tv spazzatura. Non è un buon programma?” sembrava fattibile.
Lo stomaco di Booth rumoreggiò. Il cinese non lo saziava mai. Non rispose. Emmerich gli garantì che stava arrivando.
Nell’attesa Booth si trastullò con un video gioco dal titolo poco rassicurante: Teste mozzate. Come c’era finito nei videogame di Parker? Il suono del campanello gli arrivò dritto al centro del cuore. Aprì. Sotto il piumino da motociclista Ian Emmerich indossava una felpa scura con incise le iniziali di una nota marca francese. Un pantalone nero copriva le lunghe gambe toniche. Aveva il fiatone. Per un attimo Booth si domandò se non fosse agitato quanto lui. Improbabile. Piuttosto sembrava avesse appena finito di fare ginnastica.
“Entra” enunciò il padrone di casa quando fu in grado di parlare. Il suo stato d’animo era a dir poco inquieto. “Dov’è il bagno, me la sto facendo sotto” Booth lo indicò. Prima di allontanarsi Ian Emmerich appoggiò sul tavolo l’involucro di cartone dal quale usciva un intenso odore di cucina messicana. Una volta tornato in sala da pranzo, si andò a sedere sul divano accanto al collega. Si guardò intorno. Da bravo Profiler qual’era, nulla di quell’arredamento lo sorprendeva. Sorrise sornione.
“Tuo figlio dorme?”
“Già”
“Ok, mangiamo”
“Ok” la timidezza di Booth confermava alla grande tutto! E per Ian non era un mistero il motivo di tanto impaccio.
Booth accese la televisione e, come da programma, mangiarono Tacos seduti sul tappeto e guardarono tv spazzatura.
“Non ti va di dirmi perché hai dovuto lasciare la città così su due piedi?”
“Perché invece non parliamo della tua cattiva settimana?”
“Cosa ti fa pensare che io abbia avuto una cattiva settimana?” rabbrividì. Dannato Profiler, ha già capito tutto.“Punto primo perché non c’ero io. Secondo perché è successo qualcosa di cui, logicamente, non parlerai però valeva la pena farti sapere che so”
“Cosa sai?”
“Che è successo qualcosa di cui non vuoi parlarmi”
“Tu… tu sei così dannatamente presuntuoso” Booth tracannò la sua birra. Fece lo sbaglio di fissarlo negli occhi. Ian sorrise e gli fu un po’ più vicino di quanto già non fossero.
“Tu invece sei così dannatamente sexy”
“Non fare così…” Booth provò ad allontanarsi da lui ma per quanto si sforzasse di essere normale, ogni suo atteggiamento tradiva disagio. E in quel caso, disagio era sinonimo di attrazione. I sodomiti finisco a bruciare all’inferno, gli diceva sua nonna. Si sentiva già i tizzoni ardenti lambire i piedi, solo che non c’era dolore.

1 commento:

Alex G. ha detto...

Nooooo.Come puoi fermarti così in questo modo. Voglio sapere se si danno il fatidico bacio. Mamma mia come sono sexy quei due insieme.Li amo.