Capitolo 14Booth sentì la gola chiudersi in una morsa paralizzante. Dove era finito? Possibile che Ian fosse di nuovo in pericolo? Cominciò a girare freneticamente nella stanza. Gridò il nome dell’amico. Era sul punto di uscire per chiedere rinforzi quando una voce dal tono scantonato lo bloccò: “Mi volevi?” la testa del Profiler fece capolino dal bagno
“Ian! Dio!”. Si rese conto di essere stato uno sciocco. Era stato talmente scosso dalla precedente scomparsa da non aver considerato la soluzione più ovvia!
“Mi hanno appena tolto il catetere e sto provando a fare nella maniera classica.”
“Scusa io... non volevo disturbarti, ma non vedendoti mi sono preoccupato.”
“Prelevato contro la sua volontà dal letto d’ospedale due volte di seguito? Nemmeno un pessimo sceneggiatore di soap lo riterrebbe possibile, stallone” senza badare a chiuder la porta proseguì la minzione.
È sempre lo stesso! Costatò Booth. Si sentiva felice. Ian era vivo e lo aveva chiamato stallone, mai prima di allora gli aveva fatto tanto piacere sentirsi chiamare così. Una volta finito in bagno, tornò dall’ospite trascinandosi dietro l’ingombrante asta appendi flebo.
“E ora perché quella faccia?” gli accarezzò una guancia. Booth si tolse stizzito. Il gesto affettuoso però gli fece tornare alla mente Brennan. Gli stampò un bacio sulla fronte.
“O mio Dio.”
“Che c’è?”
“Questo è il bacio più asessuato di tutta la mia vita.”
“È da parte di Bones.”
“Ora si spiega, ho avuto paura.”
“Paura?”
“Sì, di dover ricominciare a sedurti da capo. Se non sbaglio l’ultima volta ci è scappata un po’ di lingua, giusto?”
Lo sguardo di Booth si fece serio,“Ian, non serve che tu finga che non sia cambiato niente.”
“Perché, cosa è cambiato?”
“Sai cosa intendo dire... ”
“Non avrai intenzione di interrogarmi pure te come gli altri psicologi, e tra un po’ inizierà a torchiarmi per bene qualche fottuto collega. Non riesco a pensare a qualcosa di altrettanto noioso. A parte la tua antropologa... ” provò a stemperare il clima con una frecciatina.
“Lo so che per te non sarà certo piacevole rivivere quello che ti è successo ma dobbiamo farlo” Ian tornò a sedersi sul letto. Appoggiò la schiena su due cuscini.
“Non voglio parlare di questo. Come sta Parker? E a proposito della dottoressa Brennan: ti sei fidanzato con lei durante la breve vedovanza?”
“Finiscila di scherzare” il tono di Booth si era fatto grave: “tu non hai idea di quanto sono stato male credendoti morto, soprattutto per mano del killer della centrifuga.”
“Ecco qualcosa di cui mi piacerebbe discutere. Di quello che hai provato.” Ian gli prese la mano tra le sue. Booth, malgrado fosse a disagio, doveva ammettere che il contatto era piacevole.
“Stavo impazzendo, chiunque te lo può confermare.”
“Ma io ti credo. E poi mi basta guardarti. Quando ti ho visto stentavo a riconoscerti, ho pensato: dov’è finito il mio maschione?”
Booth sogghignò, le mani erano ancora intrecciate. Ma non era il momento delle coccole quello. Per quanto Emmerich fingesse di essere in buona salute, le sue condizioni non erano ancora soddisfacenti. Era disidratato, sciupato, malandato, il collo e le braccia erano costellate di ecchimosi che confermavano quanto avesse lottato. Per non parlare dei lividi sui polsi, ricordo delle corde che lo avevano sorretto. Ma erano le condizioni psicologiche a preoccuparlo maggiormente. Poteva fare il duro quanto voleva ma non la dava a bere. Le torture inflittegli, e non meno l’ansia di trovarsi tra quelle spregevoli mani, dovevano aver lasciato tracce indelebili nell’animo. Gli faceva una pena immensa, ma doveva iniziare le indagini. I reperti trovati nell’ex palestra erano sì importanti, ma mai quanto i dettagli che Emmerich avrebbe rilevato.
“Mi dispiace essere il primo fottuto agente dell’FBI che te lo chiede ma... ”
“Booth... ”
“Devo. E tu devi dirmi quello che sai”.
Temperance dispiegò dal suo involucro la divisa scolastica con la quale era stato trovato Emmerich.
La dottoressa Saroyan domandò alla collega cosa ne pensasse.
“Dallo stato non mi sembra sia stato costretto ad indossarla, non ci sono segni che lasciano trasparire questo.”
“Sono d’accordo.”
“Dunque Emmerich è stato spogliato della sua camicia, ancora non rinvenuta, e intimato di indossare questa roba da liceale.”
“Un feticismo bello e buono.”
“Già Cam, anche perché evidentemente lui non ha più quindici anni ed è un uomo di stazza.”
“Avrebbe potuto scucirla prima invece ha lasciato che gli scoppiasse.”
“C’è una componente sessuale in tutto ciò” Temperance dondolò la testa aggiungendo: “che schifoso. Ricreare una casa, una cucina, un ragazzino seviziato.”
“E a lui piacciono le madri di famiglia. Pensi anche tu che si sia rivisto in quel ragazzino?”
“Esatto, il killer odiava la madre, e si vendica uccidendo delle madri. Poi trova Osbron, che avrà più o meno l’età di suo padre, e uccide pure lui. E poi Emmerich.”
“Che però è l’unico ad esserne uscito vivo.”
“Non ha fatto in tempo.”
“E il complice? Quello con il Modus Operandi diverso?”
“Non lo so Cam, mi auguro che Booth riesca a ricavarne qualcosa dalla terribile esperienza di Emmerich. In questo momento si possono fare mille ipotesi.”
Più frustrate di prima passarono la palla Hodgins che avrebbe studiato al microscopio ogni particella di quegli indumenti.
Era quasi notte quando, finalmente, Temperance si recò a casa. Innervosita dal fatto che non ci fosse un bel nulla che portasse da qualche parte. Tutta quella serata, compresa la cena con Booth, era andata all’aria per niente.
“Ian, lo so che è dura, ma devi raccontarmi tutto. A partire da adesso.” Il degente si era lasciato andare, apparentemente rilassato. La testa affondava nel guanciale e i capelli biondi più folti di come erano usualmente, incorniciavano il viso pallido.
“Hai con te un registratore?” chiese apparentemente rassegnato.
“Sì.”
“Ok, ma non c’è molto da registrare, Booth, ti avviso.”
“Che intendi dire?”
“Quello che ho detto: non c’è molto. Non ricordo un fico secco di quello che mi è successo prima di finire attaccato sotto un tavolo.”
“Spiegati meglio.”
Rispose alzando le mani al cielo e imprecando silenziosamente.
“Ero nel box del pronto soccorso, sedato. Penso stessi dormendo quando sono stato trascinato via con la forza.”
“Vuoi dire che sei stato sedato ulteriormente? Dal killer?”
“Non lo so, quando mi sono svegliato ti ripeto, ero faccia in giù verso quel sudicio pavimento.”
“Ma sei pieno di lividi, hai preso un sacco di botte, si vede.”
“Se ho cercato di difendermi non me lo ricordo. So solo che lui non l’ho visto, non so che faccia ha, ok?” Booth si scusò con lui, non l’aveva mai visto così adirato. E gli dispiaceva tantissimo esserne il motivo.
“Scusami, hai ragione. Questo interrogatorio fa male a tutti e due. Lascerò questa parte a qualche collega.”
“Già, ma non lo hai fatto prima perché volevi dimostrarmi che vuoi fare di tutto per aiutarmi, giusto?” l’altro rispose con un cenno vago della testa. Diete una pacca sulla coscia stando attento a ponderare la forza. Non voleva fare ulteriori danni. Di rimando, Ian gli afferrò il polso saldamente. Si portò la mano alla bocca.
“Ora vattene, non vorrai restare qui a vegliarmi?”
“Non c’è bisogno di discussioni in proposito.”
“Ok, stallone” così dicendo Emmerich fece un po’ di spazio, “sdraiati accanto a me.”
“Sei pazzo? Ci può sorprendere qualcuno!”
“Che ti frega! Gli agenti non entreranno e le infermiere sono abituate a tutto.”
“Non penso che tu sia in grado di ragionare lucidamente ancora” il piglio dell’agente era ironico.
Ma, scartata la possibilità di ubbidire di primo acchito, la voglia di accoccolarsi vicino a lui, se non altro per confortarlo, ebbe la meglio. Si sistemò rannicchiandosi addosso al corpo. Il braccio di Emmerich circondò le spalle. Appoggiò la testa sulla fronte per lasciare dei baci leggeri assolutamente privi di malizia. Non si trattava della famigerata -tensione sessuale-, in quel momento, erano come fratelli divisi da un destino avverso e poi ritrovati.
“Tu non hai idea di quanto sono felice in questo momento, Booth.”
“Veramente questa battuta era mia” alzò la testa per perdersi nello scintillio degli occhi chiari. Per quanto celassero tutta la disperazione per i torti subiti nei giorni precedenti, erano comunque tanto belli.
“Sono felice che stai bene” aggiunge in un sussurro: “E sono felice di non averti perso, non me lo sarei perdonato.”
“Tu non hai colpe, piccolo.”
“Invece sì.”
“Cosa stai cercando di dirmi?”
Capitolo 15Booth fece un lungo respiro preceduto da un altrettanto lungo silenzio. Ma appena aprì bocca per parlare, l’altro lo bloccò: “Non lo voglio sapere” il suo tono era fermo.
“Ma, Ian io... ”
“Forse ti farebbe stare meglio ma... ma se tu lo dici lo fai diventare vero. E se è vero è un problema, e noi di problemi ne abbiamo avuti già abbastanza, non trovi?”
Booth ne convenne. Rivelare di aver passato un’intera notte d’amore con Temperance Brennan mentre lui veniva rapito, era un fatto. Messo di fronte a quel fatto Ian avrebbe avuto tutto il diritto di crollare, e magari di intimargli di andarsene. E in quel momento non aveva nessuna intenzione di lasciarlo. Con il braccio destro si aggrappò più forte a lui cingendogli la vita.
“Quando tutti ti avranno fatto le domande del caso, cerchiamo di buttarci dietro questa brutta storia. Almeno quando siamo da soli. Sarà un bene per entrambi.”
“Sono d’accordo. Non ne parliamo più” concluse il Profiler.
Fu un timido raggio di sole passato attraverso le persiane a svegliare Booth poco prima che l’infermiera di turno arrivasse per sostituire la flebo. Era rimasto stretto a lui tutta la notte.
La posizione scomoda aveva favorito un dolore all’altezza dei reni veramente fastidioso. Una volta in piedi lo osservò per qualche minuto sperando si svegliasse. Controllò l’orario: erano quasi le sette, tanto valeva recarsi al Jeffersonian per sapere se ci fosse qualche nuovo indizio. Prima di andarsene lisciò la testa dell’amico come se si fosse trattato di un ragazzino. Continuò a dormire come se niente fosse.
Giunto al laboratorio scoprì che non c’era ancora nessun impiegato. Si mise seduto. Per scacciare la noia dell’attesa scarabocchiò un foglio. Temperance arrivò in perfetto orario.
“Sei già qui?”
“Sembra ti dispiaccia.”
“Se c’erano novità di rilievo te l’avrei fatto sapere” sembrava irritata. Gli si avvicinò e lo annusò un tantino schifata:“Odori d’ospedale... e di malato.”
Booth cambiò discorso per non rivelare di aver passato la notte con Ian.
“Bones, mi dispiace per la cena. Una di queste sere mi rifaccio” lei sorrise amara. Pensò ad alta voce: “E così sono diventata -una di queste sere-.”
L’agente federale si sentì offeso. A lei ci teneva davvero, ed era reduce da un periodo troppo duro per ponderare bene il linguaggio.
“Perché fai così? Credevo fossi rinfrancata del fatto che Emmerich stesse bene.”
“Lo sai che lo sono.”
“E allora cosa? Vuoi farmi sentire in colpa perché sono felice? Ieri sera mi sembravi... ”
“Non fare caso a me, ho lavorato a questo caso fino a notte inoltrata senza ricavarne niente. E ultimamente il mio umore è spesso altalenante. In ogni caso, riguardo i tuoi sentimenti per quell’uomo, mi sembra chiaro che non sono affari miei. O vuoi ancora ribadirmi che ci tieni a me e che vuoi che io sia gelosa di te?” Booth non si aspettava quel sermone mattiniero e se ne sentì minacciato.
“Perché non mi lasci il tempo di raccapezzarmi? Pensi che sia facile? Quello che provo... è così nuovo per me.”
“Si chiama amore, Booth, l’amore non è nuovo per te. Molto presto, probabilmente sta già succedendo, ti dimenticherai che è un uomo. Il fatto che è un maschio sarà una caratteristica qualsiasi come il fatto che cammina in posizione eretta e introduce aria nei polmoni” Booth scoppiò a ridere.
“Che ho detto che ti mette tanta allegria?”
“Tu, Bones... tu mi hai ricordato perché ti trovo fantastica.”
“Dunque ora sei a posto? Non ti preoccupi più del suo aspetto, giusto?”
“In questo momento vorrei parlare con te delle indagini” deviò il discorso imbarazzato. Quel riferimento all’aspetto di Emmerich nascondeva un sotto riferimento al sesso.
“Dovrebbe essere l’FBI a ragguagliare me non viceversa.”
“Chiaro, ma per conoscere ogni cavillo che ci manca il testimone dovrebbe rivelare ogni cosa. Anche se quello che ha detto a me non è molto, purtroppo. Non ha ricordi precisi.”
“Questo significa che è stato drogato?”
“Sì, e non solo. È ancora scosso. Non riesce nemmeno a parlare di lui. E preferisco che qualcuno più competente di me, lo interroghi.”
“Immagino quello che vuoi dire” lo stomaco di Booth rumoreggiò. Si ricordò in quel momento che non aveva ancora fatto colazione. “Se allora non ci sono grosse novità io andrei... ”
“Appena abbiamo qualcosa di concreto sarai avvisato” quel modo di parlargli deferente lo mise in agitazione. Perché la sua Bones prendeva le distanze da lui? Era quello il prezzo da pagare? Non era sicuro che sarebbe riuscito a sopportarlo. Le voleva bene, l’amava, l’aveva sempre amata, e sperava che non le avrebbe voltato le spalle in quel momento così delicato. Ma doveva riconoscere che la situazione era dura anche per lei. Quale donna si sarebbe sentita a suo agio sapendo che il suo amante prova attrazione per un uomo?
Formulando questi pensieri si recò al Royal Diner e ordinò un’abbondante colazione.
Ian Emmerich poté lasciare l’ospedale solo dopo quattro giorni. Nonostante la degenza forzata gli interrogatori che lo vedevano unico testimone dell’odioso rapimento, si susseguirono fittamente. Tutto questo creava in lui una grande agitazione.
Nell’ufficio dell’FBI fu preparato un piccolo party non proprio a sorpresa per lui.
“Temevo di essere già stato rimpiazzato” confidò al suo superiore una volta soli nel suo ufficio.
“Sono felice di non essermi sbagliato” così dicendo Ardich controllò che la sua cravatta non avesse macchie di caffè o quant’altro, “sapevo che non eri morto. L’erba cattiva non muore mai.”
“Felice di averle dato ragione.”
“Profiler, cosa significa se un uomo teme di avere la cravatta sporca?”
“Uhm. Figli piccoli che fanno colazione lanciandosi cialde spalmate di marmellata?”
“Mogli gelose di amanti inesistenti?”
“No, non credo” rispose sorridendo sfacciato. Era un’impertinenza bella e buona.
“Lo so da me di non essere un uomo affascinante. Sì, ho due figli piccoli. Magari lo sapevi già. Facciamo che mi fido e penso che sei ancora in grado di servire alle indagini: fai il profilo di quel bastardo che ti ha rapito.”
“Ci sto già lavorando” rivelò caustico.
“Non ne avevo dubbi. Oggi alle quattro. Vi voglio tutti. Compresa la dottoressa Brennan.”
“Per il profilo.”
“Non solo. Ho una lista di sospettati. Pazzi con un’infanzia disturbata. Gli elementi nuovi ci porteranno da qualche parte. Adesso vai e rimettiti subito al lavoro.” Emmerich si alzò di scatto facendo la pantomima di un soldato che si mette sull’attenti.
“Non ti è bastato quello che hai subito? Hai ancora voglia di fare il buffone?”
L’altro si limitò a fare spallucce. Per poi guardarlo con rinnovato interesse.
“Ora che c’è?”
“Capitano la sua cravatta è... ”
“Sporca?”
“Decisamente di cattivo gusto.”
“Vattene.”
La riunione del pomeriggio fu inizialmente abbastanza tranquilla per poi accendersi con la descrizione del profilo dell’assassino. La lista dei sospettati era sotto gli occhi di tutti.
Temperance era seduta accanto a Booth.
“Perché ha voluto pure me, non lo capisco” continuava a torturarsi il colletto della camicia come se le desse fastidio.
“Perché il capitano si fida di te, Bones.” Improvvisamente lei sentì lo stomaco contrarsi e un improvviso senso di acidità invadere il cavo orale.
“Devo vomita... ” non fece in tempo a dirlo che, voltandosi in direzione del compagno, rimettesse sulla su giacca. Una pioggia di schiamazzi commentò l’accaduto.
“Dottoressa Brennan, si sente poco bene?” domandò Ardich incredulo. Emmerich, accanto a lui, dilatò le pupille.
“Scusate, scusami Booth” quest’ultimo aveva una faccia a dir poco sorpresa.
“Ti accompagno in bagno” le disse.
“Non occorre.”
“Tanto devo pulirmi.”
Una volta nella toilette della signore, Temperance si industriò con un fazzoletto a nettare il danno da lei combinato.
“Non so cosa mi sia preso. Odio sentirmi così.”
“Come ti senti esattamente, Bones?”
“Come se fossi sempre su una nave. Mi gira la testa e spesso ho la sensazione di dover rimettere. In questo caso è accaduto.”
“Hai sentito un dottore?”
“Booth finiscila, la mia salute non ha niente di anomalo. Almeno spero” finì la frase toccandosi di nuovo lo stomaco.
“Ecco ancora devo... ” corse verso il gabinetto. E come sempre Booth fu a sostenerla. Quando sembrò stare un po’ meglio, l’abbracciò con tenerezza.
“Il mio alito sarà pestilenziale e tu te ne stai qui nel bagno delle donne a coccolarmi.”
“Non essere sciocca.”
“Il problema è... è che mi sento sciocca” e come se niente fosse iniziò a piagnucolare.
“Bones... ma tu stai piangendo?” lei si asciugò le lacrime cercando di ricomporsi.
“Lo capisci ora perché mi sento stupida? E non è la prima volta. Cosa mi sta succedendo Booth?”
“Non ne ho la più pallida idea! Ma faremo qualcosa. Devi sentire un medico, per forza.” La prese di nuovo tra le braccia. Restarono stretti per parecchi secondi. Una donna sulla sessantina entrò nel bagno. Dopo aver messo a fuoco la scena li squadrò meravigliata.
“Io stavo uscendo” esalò imbarazzato l’agente.
“Ti seguo” e, un po’ stortiti, tornarono alla riunione.
“Ci siamo persi qualcosa?” domandò l’agente Booth rivolgendosi al suo superiore ma guardando Ian.
“Direi proprio di sì, si sente meglio dottoressa Brennan?”
“Un pochino meglio grazie.”
“Booth, lei può tornare a casa a cambiarsi la giacca.”
“Se permette prima vorrei essere ragguagliato.”
“Te lo dico io, seguimi” intervenne Emmerich che lo prese per un braccio e lo trascinò fuori dalla stanza.
“Che sta succedendo?”
“Abbiamo un sospettato. E un bel mandato... ”